(disus.abbate), sm. [sec. XIII; dal latino ecclesiasticoabbas-ātis, a sua volta dall'aramaico ābā, padre].
1) Superiore di un monastero retto con indipendenza e con piena giurisdizione, essendo esente dalla potestà episcopale. Fig.:sembrare un padreabate, avere un aspetto florido e beato, condurre una vita agiata e oziosa.
2) Titolo onorifico dato dal sec. XVI a chi portava l'abito talare o godeva di un beneficio ecclesiastico.
3) Capo del popolo (sec. XIII e XIV), di corporazioni di arti e mestieri.
L'abate può essere un religioso o un secolare. Gli abati religiosi si distinguono in: A) abate primate, capo di tutte le congregazioni di uno stesso ordine; B) abate generale, capo di una congregazione; C) abate di un monastero sui iuris (nel qual caso si dice: abate nullius), non sottoposto alla giurisdizione di alcuno.
Già San Benedetto stabilì regole precise sull'ordinazione dell'abate (Regola: capitoli 64-65). Hanno un abate generale gli ordini monastici: cassinese, basiliano, camaldolese, vallombrosano, cistercense, olivetano, silvestrino, mechitarista, certosino e i canonici regolari lateranensi e premostratensi. Nel corso della storia il titolo di abate ebbe maggiore estensione. Così in qualche regione si chiamano abate anche i laici e i seminaristi autorizzati a vestire l'abito ecclesiastico o solo tonsurati. In Francia, per ragioni storiche, è diffuso l'uso di chiamareabbé tutti gli ecclesiastici secolari.
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