Intervista di Alessandra Venezia,iodonna.it, 1º marzo 2019.
A 41 anni mi sono fatta ritoccare gli occhi, ma lifting e altre operazioni non fanno per me. Sono convinta che quando si invecchia si abbia l'obbligo di apparire vecchi. Oggi paio la nonna di certe mie amiche coetanee: è deprimente? No: mi piace apparire quella che sono.
Labellezza è uno stigma di cui è difficile liberarsi: non puoi fare altro che essere piacente, mai arrivare a essere anche interessante. La gente parla del tuo look: quando sei giovane e entri in una stanza e tutti gli occhi sono puntati su di te, è come se il mondo si fermasse, ma tu vedi solo gli sguardi ostili delle donne e devi impegnarti a guadagnarti subito la loro fiducia: «Hey, la mia non è una dichiarazione di guerra, sono venuta in pace». Insomma, porta via un sacco di energia. I miei genitori, però, sapevano gestire bene quelle situazioni e gliene sono grata ancora oggi perché l'assenza di vanità mi ha aiutato nelle scelte di vita. Continuo a vedere donne che sono state stupende e ora sono torturate dai segni del tempo. Devi lottare con determinazione, per uscire da quella gabbia.
Jane Goodall, il mio eroe. Nel 1973 passai una settimana con lei nel parco nazionale di Gombe. Finalmente ero riuscita a convincere un giornale femminile a mandarmi in Tanzania previa una donazione di 10mila dollari. Stavo in una piccola capanna-gabbia per tenere lontani i babbuini, la mattina svuotavo le scarpe dagli scorpioni, fu molto dura. Se non fossi finita a fare quello che faccio, mi sarebbe senz'altro piaciuto diventare una primatologa.