Lozolfo di Sicilia è stata una delle più importanti risorse minerarie dellaSicilia, non più sfruttata. L'area interessata dai grandi giacimenti è quellacentrale dell'isola ed è compresa tra le province diCaltanissetta,Enna edAgrigento: L'area è anche nota aigeologi comealtopiano gessoso-solfifero. L'area di sfruttamento minerario si estendeva tuttavia anche fino allaProvincia di Palermo con il bacino diLercara Friddi e allaProvincia di Catania, di cui faceva parte fino al1928 una parte della provincia di Enna; essa è quella nella quale nell'ultimo quarto di millennio si è svolta l'estrazione, la lavorazione e il trasporto dello zolfo. Per un certo periodo ha rappresentato anche la massima zona di produzione a livello mondiale.
Il prelievo dello zolfo di affioramento avveniva anche in tempi molto antichi, si sono infatti trovate vestigia minerarie risalenti al200 a.C.; questo veniva usato inmedicina da tempo immemorabile ma iRomani lo utilizzarono anche ascopo bellico mescolandolo ad altri combustibili.[3]
A metter in moto lo sfruttamento su larga scala dello zolfo siciliano fu la scoperta delmetodo Le Blanc (1787) per la fabbricazione su scala industriale della soda. Lo zolfo, ingrediente fondamentale anche per la produzione dellapolvere da sparo, assunse allora un'importanza strategica pari a quella ricoperta nell'era moderna dall'uranio. Durante leguerre napoleoniche numerosi capitalisti britannici cominciarono ad interessarsi delle zone minerarie a cielo aperto che si trovavano in prossimità dei porti della Sicilia meridionale. Dopo la pace e laRestaurazione del1815 anche varie imprese francesi iniziarono la loro attività nel settore in virtù dello sviluppo della produzione e della richiesta dell'acido solforico che ebbe un ulteriore effetto propulsivo sull'estrazione del minerale siciliano[4].
In seguito alla Restaurazione si ebbe finalmente il decollo dell'industria zolfifera tanto che nella seconda metà deglianni Trenta del XIX secolo le esportazioni all'estero di zolfo si ritrovavano già al primo posto tra quelle dell'Isola con un valore annuo di 1 671 500 ducati[5].
Negli anni tra1828 e1830 l'esportazione di zolfo verso gli opifici diMarsiglia per la produzione disoda eacido solforico raggiunse e superò le 35 000 tonnellate[6]. Vari motivi contingenti, tra cui la sovrapproduzione, fecero sì che dal1830 in poi l'industria zolfifera avesse alti e bassi con oscillazioni dei prezzi piuttosto sostenute anche per la concorrenza dellepiriti estratte nel centroItalia, e lavorate in loco, il cui costo di trasporto era inferiore. I tentativi di stabilire industrie produttive di acido solforico e soda in Sicilia non ebbero per varie ragioni molto successo[7]; nel1838Ferdinando II aveva concesso il monopolio dello zolfo siciliano alla societàfranceseTaix & Aycard che in cambio prometteva lo sviluppo di industrie di trasformazione e la costruzione di 25 km di strade carrozzabili l'anno. Tuttavia questa scelta non condusse ai risultati sperati, poiché i prezzi di mercato salirono eccessivamente, le iniziative industriali non ebbero seguito, e si manifestò la dura opposizione dellaGran Bretagna che minacciò addirittura il sequestro delle navi siciliane, così nel1846 gli accordi in tal senso vennero revocati.[8][9]Il più grande importatore, nel 1849, era rappresentato dall'Inghilterra, ma lo zolfo era venduto in grandi quantità anche agliStati Uniti.
Lo sviluppo di metodi di utilizzazione delle piriti (di costo molto più basso) al posto dello zolfo nella produzione dell'acido solforico assieme alla diffusione del metodoSolvay per produrre soda artificiale furono determinanti nella progressiva perdita di quote di mercato, in particolare in Germania e Inghilterra, con conseguente crollo dei prezzi dello zolfo siciliano. La produzione continuò fino alla fine dell'Ottocento ma il crollo dei prezzi di vendita mise in crisi tutto il settore.
Nel1896 venne costituita a Londra laAnglo-Sicilian Sulphur Company Limited una società di cui faceva parteVincenzo Florio, che ne era il procuratore per la Sicilia, e un gruppo di investitori interessati tra cui gli inglesi Benjamin Ingham e Agostino Porry; lo scopo era quello di rilanciare la commercializzazione di acido solforico e derivati dello zolfo[10]. Gli accordi stipulati con laAnglo-Sicilian-Sulphur Co. permisero ai produttori l'accesso al credito per il finanziamento di impianti industriali più moderni migliorando le strutture delle miniere[7].Per un certo periodo il settore solfifero siciliano venne risollevato dalla crisi in cui era precipitato; i prezzi che nel 1895 erano scesi a 56 lire a tonnellata già qualche anno dopo si erano stabilizzati a 90-95 lire.
A rilanciare la richiesta di zolfo fu anche la seria diffusione di una malattia delle piante, l'Oidio; un fungo parassita dellavite colpì i vigneti di tuttaEuropa devastandoli. L'unico rimedio per prevenirne la diffusione era l'irrorazione delle piante con polvere di zolfo in soluzione acquosa. La raffinazione e la macinazione dello zolfo divennero quindi di nuovo redditizie con la nascita di raffinerie e impianti molitori in varie località costiere daLicata fino aPorto Empedocle e nella città diCatania.
Uno dei problemi alla base delle varie crisi del settore era la carenza infrastrutturale nei trasporti,[11] mancanza di strade di comunicazione, mancanza di porti che permettessero l'approdo delle grosse navi da carico, assenza di mezzi meccanici e ferrovie[12] che i vari governi avevano trascurato e che il nuovo Regno d'Italia affrontava con poca determinazione. Nei primianni settanta delXIX secolo il sindaco diCatania Tenerelli, finanziere e imprenditore del settore zolfifero, denunciava il ritardo con cui si procedeva nella costruzione dellaFerrovia Palermo-Catania come motivo principale di paralisi dell'industria zolfifera.[13] Infatti, solo dopo l'apertura della tratta fino aVillarosa (1876), realizzata in subappalto daRobert Trewhella (anch'egli grosso imprenditore zolfifero del catanese) lo zolfo poté giungere celermente alle raffinerie della città e alPorto di Catania.Tale fatto portò la città ad assumere un ruolo preminente nel settore,[14] perché abbatté a quasi la metà il prezzo unitario di trasporto, fino al tempo realizzato per mezzo deicarramatti, sorta di carri da carico tirati da robusti cavalli da tiro.[15]
Verso la fine delXIX secolo erano presenti e attive oltre 700 miniere con un impiego di forza lavoro di oltre 30 000 addetti. Le cui condizioni di lavoro tuttavia rimanevano al limite del disumano. Gli anni di fine secolo videro quindi la nascita e lo sviluppo delle primeorganizzazioni sindacali e l'inizio degli scioperi per ottenere più umane condizioni di lavoro.[16] Glizolfatari furono quelli che più di tutti parteciparono alla costituzione deiFasci dei lavoratori: nel maggio1891 si costituì ilFascio di Catania, nell'ottobre1893 aGrotte, paese minerario in provincia di Agrigento, si tenne il congresso minerario. Al congresso parteciparono 1 500 fra operai e piccoli produttori. Glizolfatari chiedevano di elevare per legge a 14 anni l'età minima deicarusi di miniera sfruttati fin d'allora come schiavi, la diminuzione dell'orario di lavoro (che era praticamente dall'alba al tramonto) e il salario minimo. I piccoli produttori chiedevano provvedimenti che li affrancassero dallo sfruttamento dei pochi grossi proprietari che controllavano il mercato di ammasso ricavandone, loro, tutto il profitto. I Fasci tuttavia vennero sciolti d'autorità dalGovernoFrancesco Crispi all'inizio del1894 dopo che negli scontri con l'esercito erano morti oltre un centinaio di dimostranti in un solo anno.[17]Il settore era entrato in crisi negli anni novanta e la società anglo-siciliana aveva spostato i commerci sulPorto di Licata e suPorto Empedocle dove i costi erano inferiori provocando serie ripercussioni sull'economia catanese.[18]
Nel1901 le unità lavorative raggiunsero il livello massimo di trentanovemila con 540 000 tonnellate di minerale di zolfo estratto.[7]
La società anglo-sicula continuò ad operare ma cessò l'attività in conseguenza della diffusione del nuovo metodo di estrazione ilprocesso Frasch diffusosi negliStati Uniti che, abbassando drasticamente i costi di estrazione, rese non più competitive le miniere di Sicilia alle quali il metodo non era applicabile a causa della differente conformazione e composizione dei giacimenti.
Laprima guerra mondiale aumentò le difficoltà di approvvigionamento dei materiali per l'industria e diminuì i minatori in conseguenza della chiamata al fronte della gran parte della forza lavoro. Alla fine della guerra l'industria dello zolfo americana si accaparrò gran parte del mercato mondiale. Nel1927 ilfascismo demanializzò il sottosuolo minerario creando l'Ente Nazionale Zolfi Italiani con sede aRoma accentrandovi tutte le attività estrattive, commerciali ed economiche non riuscendo tuttavia nell'intento di risollevare il settore. La produzione siciliana di zolfo riprese un po' di fiato solo dopo il1943, a guerra finita (in Sicilia), ma solo fino ai primianni cinquanta dato che l'America impegnata nellaguerra di Corea canalizzava verso l'industria bellica le risorse.[7]
La successiva ripresa della produzione industriale americana rastrellò di nuovo tutti i mercati bruciando la concorrenza con bassi prezzinonostante il protezionismo italiano sia a livello di Governo centrale che regionale (che nel1962 aveva creato allo scopo l'Ente Minerario Siciliano). I provvedimenti adottati non fecero altro che prolungare inutilmente la lenta agonia del settore zolfifero isolano fino a quando la liberalizzazione del mercato voluta dalMercato Europeo Comune non ne ha decretato la fine. Nel1976 la produzione di zolfo isolano non aveva superato nel complesso le 85 000tonnellate.[19] A partire dal1975 varie leggi hanno prodotto la progressiva chiusura delle miniere Musala, Zimbalio,Gaspa La Torre, Baccarato, Giangagliano, Floristella, Grottacalda, Giumentaro per citarne le maggiori; oggi non ne rimane nessuna in attività.
Alcune tra le centinaia di zolfare divise tra le province dellaSicilia centrale:
Secondo i ricercatori il ritrovamento archeologico di una scritta a rilievo su tavoletta di argilla in contradaPuzzu Rosi, nell'area minerariacomitinese inProvincia di Agrigento, testimonia dello sfruttamento del minerale sulfureo in epoca imperiale romana. Sembra comunque, da reperti del Monte Castellazzo, che già nel1600 a.C. vi fossero commerci del prodotto con popolazioni Egee.[20]Si trattava in genere di minerale di affioramento e di cave a cielo aperto presenti un po' dovunque in tutta l'areanisseno-agrigentina. Il metodo di scavo, rudimentale, conpale,picconi e ceste per il trasporto rimase pressoché lo stesso fino alle soglie delXIX secolo.La richiesta sempre più alta di zolfo, per la produzione dipolvere da sparo,acido solforico e soda, soprattutto da parte di Francia e Gran Bretagna, nelRegno delle due Sicilie venne soddisfatta incentivando l'apertura di nuove miniere, nelle quali il minerale veniva estratto seguendone il filone e scavando nuovi pozzi e gallerie sempre più in profondità. Il lavoro di minatore in Sicilia nacque proprio in quel periodo e pur essendo un lavoro durissimo venne visto come un'ulteriore occasione di lavoro per i contadini che vi si adattarono senza grosse difficoltà. Si formarono delle categorie vere e proprie come quella deipirriaturi (o picconieri) che staccavano il minerale e icarusi, spesso bambini di 7-8 anni. La relazione Franchetti - Sonnino, "La Sicilia nel 1876" riporta:Comunque sia di ciò, o che il padrone della miniera tratti direttamente coi picconieri, oppure coi partitanti, è sempre il picconiere che pensa a provvedere i ragazzi necessari per eseguire il trasporto del minerale da lui scavato, fino a dove si formano le casse. Ogni picconiere impiega in media da 2 a 4 ragazzi. Questi ragazzi detti carusi, s'impiegano dai 7 anni in su; il maggior numero conta dai 10 ai 16 anni. Essi percorrono coi carichi di minerale sulle spalle le strette gallerie scavate a scalini nel monte, con pendenze talora ripidissime, e di cui l'angolo varia in media dai 50 agli 80 gradi. Non esiste nelle gallerie alcuna regolarità negli scalini; generalmente sono più alti che larghi, e ci posa appena il piede. Le gallerie in media sono alte da circa metri 1,30 a metri 1,80, e larghe da metri 1 a metri 1,20, ma spesso anche meno di metri 0,80; e gli scalini alti da metri 0,20 a 0,40; e profondi da metri 0,15 a 0,20. I fanciulli lavorano sotto terra da 8 a 10 ore al giorno, dovendo fare un determinato numero di viaggi, ossia trasportare un dato numero di carichi dalla galleria di escavazione fino alla basterella che vien formata all'aria aperta. I ragazzi impiegati all'aria aperta lavorano da 11 a 12 ore. Il carico varia secondo l'età e la forza del ragazzo, ma è sempre molto superiore a quanto possa portare una creatura di tenera età, senza grave danno alla salute e senza pericolo di storpiarsi. I più piccoli portano sulle spalle, incredibile a dirsi, un peso da 25 a 30 chili; e quelli di sedici a diciotto anni fino a 70 e 80 chili[21] e lo trasportavano in superficie con dei contenitori sulle spalle risalendo gli stretti cunicoli centinaia di volte[22][23]. Il tutto era guidato dai sorveglianti ocapumastri[22]. Il sistema di sfruttamento prevedeva la cessione ingabella della miniera da parte del proprietario al capo picconiere (che aveva interesse a produrre il massimo per potere spuntare un guadagno); la gabella veniva pagata in natura in ragione del 40-50% della produzione ottenuta[22].I metodi di estrazione tuttavia rimasero sempre antiquati; questo fatto unito all'estremo sfruttamento del lavoro dei minatori furono spesso causa di terribili incidenti[22] per tutto il periodo di attività, fino ai giorni nostri.
Le già difficili condizioni comuni a tutti i lavoratori minerari erano aggravate inSicilia da una condizione lavorativa di tipo feudale simile allaservitù della gleba. Unita ai metodi antiquati e rudimentali mantenuti in atto dalle compagnie sia straniere che siciliane per evitare onerosi investimenti nelle infrastrutture provocò frequenti incidenti gravissimi con perdite umane enormi. Alcuni dei più gravi eventi conosciuti sono:
Il trasporto dello zolfo venne effettuato fin quasi alla fine delXIX secolo per mezzo di carriaggi a trazione animale fino agli approdi di imbarco siti per lo più nellacosta mediterranea dellaSicilia traLicata ePorto Empedocle. Verso la fine del secolo iniziò la costruzione ditranvie e piccoleferrovie minerarie e le miniere principali ebbero anche sistemi di trasporto all'uscita delle gallerie principali costituiti da vagoncini spinti a mano surotaie che convogliavano il minerale verso i vagoni delle ferrovie ascartamento ridotto costruite in gran numero ma in ritardo sull'occorrente.
Nel periodo 1893-1894 nacquero ad opera di privati laTranvia Raddusa-Sant'Agostino e laPorto Empedocle-Lucia.Nel 1898 fu realizzata una tranvia a cavalli, lunga 3 km, per collegare laminiera Trabonella allastazione di Imera. Nel 1904 fu attivata unateleferica della lunghezza di 10 km tra ilcomplesso di zolfare Trabia-Tallarita allastazione di Campobello di Licata. Nel 1908 una tranvia a vapore per il trasporto dello zolfo dalle miniere Pagliarello e Respica allastazione di Villarosa. Nel 1915 ancora una travia a vapore collegò anche le miniere Juncio-Stretto alla stazione ferroviaria di Imera.
Solo nel1902, in seguito alle conclusioni di un'apposita Regia Commissione e di una legge varata nel corso dell'anno, venne definita la modalità di costruzione e di finanziamento dellelinee interne siciliane che però potevano essere costruite solo in economia e ascartamento ridotto. Anche le prime ferrovie essenziali che congiungevano le aree di produzione ai porti d'imbarco furono costruite con molto ritardo[26] e solo a partire dal1866 e raggiunsero daPalermo il bacino diLercara Friddi solo nel1870 e collegaronoCatania e il suo porto conCaltanissetta solo nel1876[27]. Anche i porti di imbarco della Sicilia meridionale erano poco più che semplici approdi e le navi più capienti ormeggiavano al largo costringendo al doppio trasbordo su chiatte dalla riva e al carico poi sulla nave[28]. La mancanza di strutture efficienti di trasporto realizzate a rilento e con molto ritardo è vista da molti come uno dei motivi del tracollo economico dell'industria dello zolfo siciliano. Nel1904 per trasportare il minerale dalla minieraTrabia-Tallarita fino allastazione di Campobello di Licata venne realizzata una lineateleferica di 10 km, mentre un'altra teleferica collegava la miniera di Trabonella alla stazione ferroviaria di Imera, tra Caltanissetta ed Enna. Ma la costruzione della rete ferroviaria vera e propria ebbe inizio soltanto dopo che lo Stato ebbe riscattato laRete Sicula[29] e quindi dopo il1906 vennero costruite:
L'essere stata per oltre due secoli una delle attività più dure ma più diffuse nella Sicilia ha fatto della zolfara uno degli argomenti più toccati dapoeti, scrittori, romanzieri ecantastorie.Uno dei poeti e scrittori maggiormente toccanti ed espressivi è senz'altroAlessio Di Giovanni, nativo diCianciana uno dei centri zolfiferi dell'agrigentino, che nei suoiSunetti di la surfara, in lingua siciliana, ha espresso il tormento e la disperazione dei lavoratori-schiavi delle miniere.
AncheLuigi Pirandello, la cui famiglia gestiva delle zolfare, nella sua raccoltaNovelle per un anno scrisse sul duro lavoro, soprattutto minorile nelle zolfare con le novelleIl fumo eCiàula scopre la luna. Il tema dellozolfo si interseca infatti in varia maniera nella sua produzione letteraria come motivo ispiratore di parecchie novelle nelle quali è presente il mondo che gravita attorno alla zolfara. La miniera gestita dalla sua famiglia che egli chiamala Cace, la zolfara grande è presente nel suo celebre romanzoI vecchi e i giovani finito nel1913.
LaRacalmuto-Regalpetra di Leonardo Sciascia, terra di zolfare e zolfatari, risuona nella sua produzione letteraria come inLe parrocchie di Regalpetra.
(Leonardo Sciascia,Le parrocchie di Regalpetra, Aldelphi, 1991)
La strage dicarusi avvenuta nella Miniera Gessolungo il 12 novembre1881 (il cui cimitero, detto dei carusi, è ancor oggi visitabile in prossimità di Gessolungo) è stata il tema ispiratore del testo della canzoneLa zolfara diMichele Straniero portata al successo nel1959 daOrnella Vanoni:
(Michele Straniero,La zolfara)
I terribili e frequenti incidenti nelle zolfare hanno ispirato poeti e scrittori: uno di questi, avvenuto nel1951 nelle miniere del bacino di Lercara, venne documentato dallo scrittoreCarlo Levi nel libroLe parole sono pietre:
(Carlo Levi,Le parole sono pietre)
Il 13 settembre1895 a Catania si tiene la prima dell'opera teatrale "La Zolfara" diGiuseppe Giusti Sinopoli[30].
Nel1991 una legge regionale ha istituito l'enteParco minerario di Floristella-Grottacalda, inprovincia di Enna, la cui miniera di Floristella, risalente alla fine delXVIII secolo ha svolto attività fino al1984. Nel Parco è presente anche lasolfara Grottacalda e il pregevole palazzo delbarone di Floristella,Agostino Pennisi, geniale imprenditore che ivi fece dimora con la propria famiglia.
Con due decreti del1994 e del1996 l'Assessorato regionale ai beni culturali ed ambientali dellaRegione Siciliana ha sancito l'interesse etno-antropologico delle dismesse zolfare diLercara Friddi.
ACatania lacittadella dello zolfo, l'area industriale sorta per la lavorazione dello zolfo, a nord-est dell'attualeStazione di Catania Centrale da tempo abbandonata è stata recuperata neglianni settanta integrando nuovo e antico e creandoLe Ciminiere un'area fieristica, espositiva e per convegni. L'agglomerato di stabilimenti di raffinazione e molitura e ciminiere occupava una superficie pari all'intero centro storico testimoniando dell'importanza del settore zolfifero per l'economia catanese del tempo.
Il 26 settembre2007 allaCamera dei deputati (XV Legislatura) è stata presentata la proposta di Legge N. 3067 d'iniziativa dei deputati Lomaglio, Aurisicchio, Buffo, Burgio, Burtone, Cacciari, Crisafulli, Daro, Di Salvo, Dioguardi, Fumagalli, Maderloni, Orlando, Rotondo, Samperi, Spini, Trupia, Zanotti per laIstituzione del Parco nazionale geominerario delle Zolfare di Sicilia.[31]; il decreto è decaduto con la fine della legislatura nel 2008. Nel 2010 è stato inaugurato il Museo delle Solfare di Trabia Tallarita, allestimento permanente presso ilsito minerario di Trabia (Riesi), che ospita un ricco percorso storico-tecnico sull'epopea delle solfare siciliane.[32]
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