Universale, dallatinouniversalem (in grecokathólou[1]), composto dauniversum (l'universo, il tutto, l'interezza) e dal suffisso–alem, usato per indicare "che appartiene"[2], è una parola che sta a significare nel senso più generale:
oppure in senso metafisico:
L'origine del problema filosofico dell'universale, secondo alcuni storici della filosofia[3], va rintracciato nellamaieutica socratica con cui il filosofo greco, attraverso il continuo domandare ("che cos'è", in greco:ti estì) all'interlocutore quale fosse la definizione dell'argomento deldialogo (che cos'è la sapienza, la virtù, ecc.), mirava a cercare l'essenza universale per cui tutte le cose o azioni simili appartengono a una comune natura.
Secondo Platone, le idee universali non sono elaborate dall'intelletto, ma esistono in una realtà soprasensibile chiamataIperuranio, intuita in una vita precedente e ricordata in quella attuale mediante il processo dellareminiscenza.
Aristotele vide nel dialogo socratico il tentativo di arrivare a quel procedimentoinduttivo attraverso il quale si astrae dalle cose ciò che esse hanno in comune e mettendo da parte le diversità si trova in questo modo ciò che le caratterizza per quello che esse sono.
Sia icinici chePlatone obiettarono al procedimentoastrattivo aristotelico che non si possono individuare i particolari di una cosa (le orecchie, la criniera, la coda ad esempio di un cavallo) se questi non sono già riconosciuti comequei particolari che fanno parte di un insieme omogeneo (il cavallo). Tu già sai che quegli elementi (orecchie, criniera, ecc.) appartengono tutt'insieme, fanno parte essenziale della cosa (cavallo). Si potranno cioè identificare gli elementi essenziali (orecchie, ecc.), scartando quelli contingenti (ad esempio il colore), per rapportarli alla cosa (al cavallo) solo sepreventivamente si conosce ciò che quei particolari hanno in comune, cioè la loro universale essenza.
In questo modo si poneva per la prima volta il problema della questioneontologica dell'universale, che esisterebbe nelle sue determinazioni universali (cavallo con orecchie, coda, criniera, ecc.)prima che esso assuma le sue connotazionicontingenti (colore, ecc.).
Aristotele pensava di risolvere il problema affermando che l'universale (oconcetto) è ciò che si attribuisce, si predica per natura nei confronti di una pluralità dienti; per natura, nel senso che la caratteristica dell'universalità deve necessariamente coincidere con l'essenza degli enti che si considerano e non con qualche loro caratteristica contingente, che può esserci o non esserci.
Ad esempio il fatto che la somma degli angoli interni di un triangolo sia equivalente a 180 gradi, a due angoli retti, noi lo riscontreremo in tutti i triangoli perché questa caratteristica appartieneper natura all'essenza (ousia) stessa del triangolo; se cioè la figura geometrica non realizzasse questa caratteristica (angoli interni uguale a due retti) il triangolo non esisterebbe.[4]
Quindi, poiché questa (degli angoli interni, ecc.) è una determinazioneuniversale che coincide con l'essenza stessa (del triangolo) allora noi possiamo applicarla ad ogni altro ente particolare (ai più diversi triangoli). Tutti i più diversi triangoli avranno comeuniversale la caratteristica che gli angoli interni equivalgono a due retti.[5]
Per Aristotele allora lascienza è sempre scienza dell'universale, essa non considera i particolari ma solo le caratteristiche universali che si rifanno all'essenza-sostanza[6], fondamento ontologico, della cosa studiata.
Ma cos'è la sostanza per Aristotele? Egli dice che non va intesa nella sua singola realtà materiale e potenziale ma che essa è forma in atto o megliosinolo, unione indissolubile di forma e materia. La nostra capacità cioè di conoscere ad esempio l'universale triangolo nella più svariate configurazioni triangolari, per Aristotele, dipende dal fatto che il nostro intelletto è capace di identificare ciò che c'è di essenziale (forma) in quelle figure e trascurare gli aspetti accidentali (materia). Il nostro intelletto cioè ha la capacità di tradurre inatto, cogliere la forma geometrica, che è presente inpotenza nella materialità di quelle figure.
Quindi appartiene all'attività dell'intelletto la capacitàlogica di cogliere l'universale, che a questo punto sarebbe solo una realizzazione logica. Ma – e qui risalta l'ambiguità del pensiero aristotelico – se noi possiamo elaborare,produrre l'universale, questo è possibile perché tutti i concetti, gli universali che noi ricaviamo dall'esperienza sensibile, nella quale questi sono contenuti in potenza, sono già presentiab aeterno, da sempre, e in atto nella mente di Dio.[7]
Quella forma geometrica del triangolo che io ricavo dagli oggetti triangolari con un passaggio dalla conoscenza potenziale alla conoscenza in atto, è già in atto, è una verità realizzata già nella mente di Dio.[8] Allora l'universale è una nostra produzione intellettuale o una realtà nella mente di Dio?
Lascolasticamedioevale tentò di chiarire quanto Aristotele aveva lasciato non risolto iniziando quel dibattito filosofico che fu chiamatoDisputa sugli universali[9]. Da essa si originarono le concezioni contrapposte del pensiero moderno, rappresentate dalnominalismo (per cui gli universali ricavati con il procedimento razionale dell'astrazione sono semplicementesimboli,nomi delle cose) e dalrealismo (per il quale gli universali esistono per loro conto, sono il riflesso nelle cose e nell'interiorità dell'anima dell'uomo di quelle idee reali con cui Dio ha creato l'universo).
Una terza posizione era infine quella delconcettualismo, secondo cui gli universali non hanno una realtà per sé stante ma non sono neppure dei semplici nomi, bensì delle formazioni autonome del nostro intelletto: esistono come processi mentali.
La scopertakantiana deltrascendentale sembrò risolvere il problema di far convivere l'aspetto logico e ontologico dell'universale. L'universale infatti comecategoria, comefunzione trascendentale dell'intelletto, è un reale modo di operare del nostro intelletto, che però esiste e acquista senso e significato solo se viene applicato alla realtà empirica e fenomenica.
L'universale, il concetto, avrebbe quindi la caratteristica di essere allo stesso tempotrascendente – essendoa priori, precedente alla realtà – eimmanente, in quanto diviene vivo e operante solo entrando nella realtàfenomenica.
Rimane però, a detta dei critici della filosofia, la sostanziale formalità e astrattezza dell'universale kantiano, che siapplica ai dati materiali ma questi gli preesistono, esistono per loro conto. Si potrebbe in questo senso inquadrare la soluzione kantiana nell'ambito del nominalismo scolastico, per cui l'universale è un astratto operare del nostro intelletto, un puro e semplice nome, negando l'oggettività dello spazio e del tempo.[10]
Nella soluzionehegeliana il termine 'universale' viene sostituito da quello dell'assoluto, espressione di un pensiero che pensa e crea. Il pensiero è cioè un'attività progressiva e infinita che nel produrre se stessa produce anche l'universale, il concetto (Enciclopedia delle scienze filosofiche, par. 20), che non è una mera astrazione dell'intelletto ma è l'attività di una ragione reale (ospirito infinito) che vive e fa tutt'uno con la realtà dialettica.Tutto ciò che è reale è razionale e tutto ciò che è razionale è reale.
J. H. Stirling riferendosi ad Hegel parlò diuniversale concreto: «Come Aristotele, aiutato da Platone, ha reso esplicito l'universale astratto che era implicito in Socrate, così Hegel, aiutato daFichte eSchelling, ha reso esplicito l'universale concreto che era implicito in Kant»[11].
L'universale concreto è stato ripreso daBenedetto Croce, che lo ha storicizzato, considerandolo nella concretezza storica: l'universale, lo spirito, vive, opera e progredisce nella realtà storica. Al contrario quelli che la scienza ritiene siano universali, concetti, non sono altro chepseudoconcetti, validi tutt'al più come classificazioni utilitaristiche[12].
Quasi sullo stesso piano la concezione diGiovanni Gentile, per il quale l'universale non è una mera astrazione nei confronti dei concreti particolari ma è «quella universalità concreta che è unità di parte e tutto: la parte nel tutto e il tutto nella parte.»[13].
Questa unità la realizza il pensiero stesso, che rende vivo ogni concreto contenuto riattualizzandolo al suo interno come una sua proprietà ideale, come un propriopensato.
La filosofia contemporanea ha rifiutato, per i suoi sottintesi metafisici, la concezione dell'universale concreto, preferendo fare riferimento allaprassi (marxismo,pragmatismo) come fonte di quei significati e valori riconosciuti dalla collettività umana e in questo sensouniversali.
Il problema dell'universale astratto è oggi trattato soprattutto sotto l'aspetto logico, sia dal punto di vista formale (sintattica), sia da quello logico-linguistico (semiotica), sia rispetto all'uso concreto (pragmatica), in particolare nellateoria dei giochi diWittgenstein.
Nella recente ricercaepistemologica è apparsa una nuova concezione dell'universale, principalmente per opera di autori come David Malet Armstrong e M. Tooley. La nozione di universale presentata da questi autori si distingue completamente da quella classica e anche da quella emersa con ilromanticismo, per il fatto che l'universale, pur mantenendo alcune delle caratteristiche normalmente attribuite al concetto, ha un carattere rigorosamentea posteriori. In questa concezione l'esistenza dell'universale è del tutto indipendente da noi, in quanto soggetti che conosciamo, e denota il suo carattere di oggetto assoluto. In altre parole non è dato sapere a priori quali sono gli universali. Anzi, Armstrong propone addirittura il cosiddetto "Irish principle", secondo cui «se si riesce a dimostrarea priori che qualcosa cade sotto un certo predicato P, allora non esiste alcun universale corrispondente al predicato P». La nozione di universalea posteriori è stata particolarmente usata in relazione al concetto di "Legge di natura".
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