L'Umanesimo fu un movimento culturale irradiatosi dall'Italia nel corso delXV eXVI secolo. Ispirato da autori trecenteschi qualiFrancesco Petrarca e in parteGiovanni Boccaccio, esso era volto alla riscoperta dei classicilatini egreci nella loro storicità e non più nella loro interpretazioneallegorica, inserendo quindi anche conoscenze e usanze dell’antichità nella quotidianità tramite le quali poter avviare una "rinascita" della cultura europea dopo i cosiddetti "secoli bui" delMedioevo.
L'umanesimopetrarchesco, fortemente intriso dineoplatonismo e tendente alla conoscenza dell'anima umana, si diffuse in ogni area della penisola (con l'eccezione delPiemonte sabaudo), determinando di conseguenza l'accentuazione di un aspetto della classicità a seconda delle necessità dei "protettori" degli umanisti stessi, vale a dire dei vari governanti. Nel giro delXV secolo, gli umanisti dei vari Stati italiani incominciarono a mantenere forti legamiepistolari fra di loro, aggiornandosi riguardo alle scoperte compiute nelle variebiblioteche capitolari oclaustrali d'Europa permettendo alla cultura occidentale la riscoperta di autori e opere fino ad allora sconosciuti.
Per avvalorare l'autenticità e la natura dei manoscritti ritrovati, gli umanisti, sempre sulla scia diPetrarca, favorirono la nascita dellamoderna filologia, scienza intesa a verificare la natura deicodici contenenti le opere degli antichi e determinarne la natura (cioè l'epoca in cui quel codice fu trascritto, la provenienza, glierrori contenuti con cui poter effettuare comparazioni in base allevarianti). Dal punto di vista delle aree d'interesse in cui alcuni umanisti si concentrarono maggiormente rispetto ad altre, poi, si possono ricordare le varie "ramificazioni" dell'umanesimo, passando dall'umanesimofilologico all'umanesimofilosofico.
L'umanesimo, che trovò le sue basi nelle riflessioni dei filosofi greci sull'esistenza umana e in alcune opere tratte anche dal teatro ellenico, si avvalse anche dell'apporto della letteratura filosofica romana,in primisCicerone e poiSeneca. Benché l'umanesimo propriamente detto sia stato quello italiano e poi europeo che si diffuse nelXV e nelXVI secolo (con limiti cronologici che conoscono talune differenze a seconda delle discipline) alcuni storici della filosofia utilizzarono questo termine anche per esprimere certe manifestazioni del pensiero all'interno delXIX e delXX secolo.
Il termine "umanesimo" fu coniato nel1808 dalpedagogista tedescoFriedrich Immanuel Niethammer (1766-1848),[1] col fine di valorizzare gli studi di greco e latino all'interno delcurriculum studiorum[2]. Da quel momento in avanti, il vocabolohumanismus cominciò a essere utilizzato nei circoli tedeschi degli specialisti di filologia e filosofia per tutto il corso delXIX secolo, tra i quali si ricordano ilbasileseJacob Burckhardt, autore deIl rinascimento in Italia del 1860, eGeorg Voigt, autore delDie Wiederbelebung des classischen Alterthums, oder das erste Jahrhundert des Humanismus, la cui seconda edizione ampliata (1880-81), tradotta da Diego Valbusa (Il Risorgimento dell'antichità classica ovvero il primo secolo dell'umanismo, 1888-90), rese familiare in Italia il termine[3]. I contributi sulla storiografia umanista giunsero a piena maturazione però nel corso delXX secolo, grazie agli studiosi tedeschi naturalizzati americaniHans Baron (coniatore dell'umanesimo civile fiorentino) ePaul Oskar Kristeller, specializzato negli studi suGiovanni Pico della Mirandola eMarsilio Ficino. In terra italiana, dopo la ripresa avviata daFrancesco de Sanctis nell'Ottocento, il magistero di filosofi qualiEugenio Garin da un lato, e gli studi compiuti da filologi comeGiuseppe Billanovich e diCarlo Dionisotti dall'altro, permisero la nascita e il radicamento in terra italiana di una solida scuola di studi[4].
La prima affermazione umanistica nellafilosofia occidentale può essere riferita al filosofosofistaProtagora (V secolo a.C.) il quale, sulla base del frammento 80 B1 DK[5], affermò:
«… di tutte le cose misura è l'uomo, di quelle che sono, per ciò che sono, di quelle che non sono per ciò che non sono.»
Questa affermazione spostò l'interesse filosofico dallanatura all'essere umano, che, da questo momento, diventò il personaggio centrale della speculazione filosofica. L'uomo, fin dagli albori dellafilosofia greca, è sempre stato al centro della speculazione filosofica fin dallascuola ionica edeleatica, con la differenza che prima era visto comeparte della natura[6]; poi, con l'avvento della sofistica prima e del socratismo platonico poi, l'attenzione si è spostata definitivamente sull'uomo in quanto tale e sulla sua realtà a prescindere dai rapporti con le forze della natura. ConSocrate e Protagora, difatti, si passò alla fase, nelle classificazioni date daNicola Abbagnano eGiovanni Reale, "umanistica" o "antropologica", per cui l'indagine sull'uomo avviene attraverso la speculazione incentrata sulla sua dimensioneontologica e sul suo rapporto con gli altri uomini[7]. Dopo la fine dell'età classica e l'inizio della stagioneellenistica, la riflessione sull'essere umano si spostò su problemi strettamente di carattere etico:Zenone di Cizio, fondatore dellostoicismo;Epicuro, fondatore dell'epicureismo; e loscetticismo, corrente evolutasi daPirrone per poi proseguire fino alla piena età romana, cercano di dare all'uomo un'etica pratica con cui affrontare la vita quotidiana e i dilemmi della sua stessa esistenza, tra cui la morte[8].
Terenzio,Commedie, codice dell'XI secolo contenente anche l'Heautontimorumenos. 96 fogli in pergamena, conservato nellaBiblioteca Nazionale di Spagna, classificato Vitr/5/4.
Le opere di commediografi qualiMenandro, rispetto ai dilemmi universali proposti daEschilo,Sofocle edEuripide, lasciano il posto ai rapporti interfamigliari quotidiani, incentrati specialmente sul rapporto padre-figlio: «fatterelli della vita quotidiana a sfondo sentimentale ed a lieto fine, messi in scena per puro scopo di intrattenimento»[9]. Tale accezione etica continua all'interno della cultura romana, sia letteraria-teatrale sia filosofica, imbevuta delle idee professate dalle scuole ellenistiche. A partire dalII secolo, infatti, il commediografoPublio Terenzio Afro, rifacendosi alla tradizione menandrea, elabora ulteriormente la funzione etica nel dramma teatrale, giungendo a stendere, nell'Heautontimorumenos, la celebre battuta: «Homo sum, humani nihil a me alienum puto»[10], in cui:
«Humanitas, per Terenzio, significa anzitutto volontà di comprendere le ragioni dell'altro, di sentire la sua pena come pena di tutti: l'uomo non è più un nemico, un avversario da ingannare con mille ingegnose astuzie, ma un altro uomo da comprendere e aiutare.»
Lungo lo stesso filone etico-antropologico si pone all'interno della cultura filosofica romana, caratterizzata dall'eclettismo, coniugante in sé le varie filosofie ellenistiche. La proclamazione della virtù da parte diCicerone nei suoi scritti[11] e la dimensione elitaria e autosufficiente del saggio proclamata dallo stoicoSeneca riportano inevitabilmente alla questione dei principi etici umani, intesi non come speculazione morale, ma come vita pratica[12]. Tutte tematiche che affascineranno e conquisteranno, più di mille anni dopo, l'animo di Francesco Petrarca.
Francesco Petrarca manifestò, fin da quando era un giovane esule italiano adAvignone, un profondo amore per iclassici latini, comprando sul mercato dell'antiquariato codici preziosi e cercando di ricostruire i tasselli dei poemi epici, da lui tanto amati, incollazioni che ne potessero ricostruire l'integrità originale[13]. Ammiratore diCicerone, diVirgilio e diTito Livio, nel corso della sua vita l'Aretino consultò da cima a fondo le più importantibiblioteche capitolari dell'Europa cristiana, nella speranza di ritrovare quel patrimonio librario e spirituale da lui tanto amato. Grazie ai numerosi viaggi in qualità di rappresentante dellafamiglia Colonna, Petrarca ebbe importanti legami umani ed epistolari con quei dotti che avevano accolto la sua proposta culturale, giungendo a estendere la sua rete a livello europeo[14]: Matteo Longhi, eruditoarcidiacono dellaCattedrale di Liegi;Dionigi di Borgo San Sepolcro, eruditoagostiniano operante prima ad Avignone e poi in Italia; il colto re di NapoliRoberto d'Angiò; il politico veroneseGuglielmo da Pastrengo, chiave per la lettura delleEpistole ad Attico di Cicerone nellaBiblioteca capitolare di Verona. Poi, durante le sue peregrinazioni in Italia, Petrarca attirò a sé altri intellettuali di varie regioni italiane, costituendo dei nuclei "proto-umanistici":Milano conPasquino Cappelli;Padova conLombardo della Seta; e infine Firenze[15].
La riscoperta della dimensione classica e l'antropocentrismo
Francesco Petrarca è uno dei fondatori dell'umanesimo[16]. La netta spaccatura che egli operò rispetto al passato in materia filosofica e letteraria produsse la nascita di quel movimento rivoluzionario che spingerà la nuovaélite intellettuale ad affermare la dignità dell'uomo in base alle proprie capacità intrinseche, l'autonomia identitaria della cultura classica[17] e l'uso di quest'ultima per costruire un'etica in netta contrapposizione con lascolastica di stampo aristotelico[18], vista come lontana dal proposito di indagare la natura dell'anima umana[N 1]. Lo studio di tale identità deve portare a una vivificazione dell'antico[19], consistente nello studio e culto della parola (vale a dire lafilologia), da cui parte la comprensione dell'antichità classica con tutti i suoi valori etici e morali[20].Ugo Dotti sintetizza il programma culturale petrarchesco:
«Elogio dell'operosità umana, le lettere come nutrimento dell'anima, lo studio come fatica incessante e inarrestabile, la cultura come strumento del vivere civile: questi i temi proposti dal Petrarca.»
Conoscendo la mentalità degli antichi, resa possibile attraverso una titanica ricerca di manoscritti in tutte le biblioteche capitolari europee, Petrarca e gli umanisti poterono dichiarare che la lezione morale degli antichi fosse una lezione universale e valida per ogni epoca[21]: l'humanitas di Cicerone non è diversa da quella di unsant'Agostino, in quanto esprimono gli stessi valori, quali l'onestà, il rispetto, la fedeltà nell'amicizia e il culto della conoscenza. Benché Petrarca e gli antichi fossero separati, con grande dispiacere del primo, dalla conoscenza del messaggio cristiano e quindi dal battesimo[N 2], Petrarca superò la contraddizione tra il "paganesimo" e la sua fede «attraverso la meditazione morale, che gli rivela una continuità tra pensiero antico e pensiero cristiano»[22]. Ancora, la scia tracciata da Petrarca e dai primi umanisti fedeli alla sua scuola seguirono questo dettame riassunto daPaul Renucci: «la "saggezza cristiana", nutrista insieme dipatristica e di ciceronianesimo, più avanti diplatonismo, non rappresenta, si può dire, che una sistemazione dellafilosofia morale derivata da altri pensatoripagani, anziché daAristotele (la cui etica non è peraltro respinta), in una condotta di vita pubblica retta sempre dalla fedeltà alla religione stabilita»[23], segnando quindi un connubio tra cristianesimo e platonismo.
Petrarca, nel corso della sua vita, ebbe importanti legami epistolari con i dotti che avevano accolto la sua proposta culturale. Il gruppo più nutrito di questi discepoli di Petrarca si trovava aFirenze:Lapo da Castiglionchio,Zanobi da Strada eFrancesco Nelli costituirono il gruppo originario, cui ben presto si aggiunse anche Giovanni Boccaccio[24], ammiratore della fama che Petrarca aveva conquistato con la sua incoronazione inCampidoglio, nel 1341[25]. Il sodalizio fra i due intellettuali, incominciato nel 1350 e durato fino alla morte del Petrarca nel 1374, permise a Boccaccio di acquisire appieno la mentalità umanistica e, nel contempo, anche queglistrumenti filologici necessari per il recupero e l'identificazione deimanoscritti[26].
Boccaccio, divenuto in poco tempo il principale referente dell'umanesimo a Firenze, si dimostrò (al contrario di Petrarca) profondamente interessato allalingua e alla cultura greca, di cui apprese i rudimenti dal frate calabreseLeonzio Pilato e ne gettò la semenza nei suoi allievi fiorentini[27]. Fedele al messaggio umanista, Boccaccio affidò quest'eredità culturale al gruppo di giovani studiosi cheerano soliti ritrovarsi nellabasilica agostiniana di Santo Spirito, tra i quali spiccava per importanza il notaio e futuro cancelliereColuccio Salutati[28].
L'umanesimo del XV secolo, forgiato dalla presenza di umanisti dai tratti personali e dagli interessi più variegati, vide nella proposta petrarchesca e poi boccacciana la base comune su cui dare vita al progetto culturale dei due grandi maestri delXIV secolo. Oltre, però, alla diffusione capillare dell'umanesimo in varie forme e usi, l'umanesimo quattrocentesco vide un'evoluzione che lo portò a sviluppare interessi e direzioni talvolta antitetiche rispetto ai primi decenni del secolo, a causa anche di fattori esogeni quali l'instaurazione dellesignorie e il rafforzamento del platonismo a livello filosofico[29].
L'intellettuale del tempo fu costretto a confrontarsi con una realtà storica caratterizzata dalla crisi delcomune medievale e, come appena detto, dalla nascita delle signorie, mentre in Europa si stavano affermando lemonarchie nazionali. Gli intellettuali del tempo, per potersi dedicare alla libera ricerca intellettuale, scelsero di legarsi a una corte. Tale scelta comportò alcune conseguenze: si accentuarono gli elementi aristocratici della loro cultura (si scriveva a un pubblico ristretto di iniziati); si allentarono i legami con la comunità urbana (la vita in campagna era sentita più congeniale agli "ozi" letterari); si ruppero i legami fra la ricerca e l'insegnamento[30].
L'umanesimo della prima metà del secolo è caratterizzato, in generale, da una vitalità energica nel diffondere la nuova cultura, energia che si esplica attraverso varie direttrici: dal recupero dei manoscritti nelle biblioteche capitolari alla diffusione delle nuove scoperte grazie a intense opere di traduzione dal greco al latino; dalla promozione del messaggio umanistico presso i centri del potere locale alla creazione di circoli eaccademie private dove i simpatizzanti dell'umanesimo si riunivano e si scambiavano notizie e informazioni[31]. Le scoperte e i progressi dei vari umanisti non rimanevano circoscritti all'interno di un'area geografica ben precisa, ma venivano diffusi, attraverso fitti scambi epistolari basati sul latino diCicerone[32], su scala nazionale, promuovendo in tal senso il genere dell'epistolografia come mezzo principe di informazione[33]. Un esempio di questo scambio di informazioni continue tra umanisti nella riscoperta degli antichi autori è rappresentato dalla celebre lettera diPoggio Bracciolini aGuarino Veronese in occasione della riscoperta di un codice diQuintiliano contenente l'Institutio Oratoria nell'abbazia di San Gallo inSvizzera, ove si trovava per partecipare alConcilio di Costanza (1413-1417)[34]. In questa lettera, infatti, Poggio non parla tanto della scoperta di un libro, quanto dello stesso Quintiliano uomo trovato «ita laceratus...ita circumcisus, culpa, ut opinor...nullus habitus hominis in eo recognoscerent», cioè «così lacerato, così mutilato, credo...che in lui non si riconosceva alcuna foggia, alcun aspetto d'uomo»[35][N 3].
Sulla scia di quanto fatto da Giovanni Boccaccio, il ritorno in auge del greco antico in Italia prima e nel resto d'Europa poi furono merito di alcuni intellettualibizantini giunti in Italia per chiedere soccorso all'Occidente contro la minacciaottomana.Manuele Crisolora eDemetrio Cidone, giunti aVenezia, incontrarono il fiorentinoRoberto de' Rossi, amico del cancelliere di Firenze Coluccio Salutati. Il Salutati, desideroso di proseguire l'iniziativa del maestro Boccaccio, fece sì che laSignoria facesse ottenere a Crisolora una cattedra di greco presso lostudium fiorentino[36][37]. Il magistero di Crisolora fu fondamentale per la corretta esegesi e traduzione dei testi greci in latino, in quanto non solo si fermò a Firenze ma si recò anche aMilano (1400-1403[38]) pressoUberto Decembrio dove tradusse in parteLa Repubblica diPlatone e diede ai suoi discepoli dei manuali scritti da lui chiamatiErotemata[38][39]. I legami traCostantinopoli e gli umanisti italiani si accrebbero sempre più (alcuni quali Guarino Veronese, Giovanni Aurispa e Francesco Filelfo partirono alla volta della capitale dell'Impero Bizantino[40]) finché non si giunse alConcilio di Firenze del 1439[38], ove intervennero dotti provenienti dall'Oriente ellenico quale ilneoplatonicoGiorgo Gemisto Pletone, la diffusione del cui pensiero inspiròCosimo il Vecchio de' Medici la costituzione di un'Accademia neoplatonica[41] affidandola aMarsilio Ficino[42], e il futurocardinale Bessarione il quale ebbe il merito di aver salvato, dopo lacaduta di Costantinopoli nel 1453, molti manoscritti greci e di averli trasportati in Italia[43].
Per una categorizzazione degli interessi in particolare si spazia, pertanto, da un umanesimo incentrato sulla scoperta, l'analisi e la codificazione dei testi (umanesimo filologico)[44] a unumanesimo propagandistico incentrato sulla produzione di testi volti a celebrare la libertà umana e a esaltarne la natura tramite l'influsso del neoplatonismo (umanesimo laico efilosofico)[45]; da un umanesimo volto a esprimere le linee politiche del regime di appartenenza (umanesimo civile veneto, fiorentino e lombardo), a uno invece più preoccupato di conciliare i valori dell'antichità con quelli del cristianesimo (umanesimo cristiano)[46]. La categorizzazione non dev'essere però resa fissa e statica, ma serve per comprendere i vari interessi su cui si incentrarono gli umanisti del primo Quattrocento: difatti, più "anime" dell'umanesimo si possono ritrovare nell'opera di un determinato umanista, come dimostra l'eclettismo e la varietà d'interessi dimostrata da unLorenzo Valla o da unLeon Battista Alberti[47].
A partire però dell'affermazione definitiva delle Signorie sui regimi municipali e repubblicani (come l'ascesa deiMedici a Firenze, quella degliSforza a Milano, l'umanesimo meridionale nato dopo decenni di anarchia politica), coincidente con gli anni '50 e '60, il movimento umanistico perse quest'energia propulsiva ed eterogenea a favore, invece, di una staticità cortigiana e filologica. Così Guido Cappelli descrive il cambiamento tra le due stagioni:
«Nell'insieme, dunque, la fisionomia dell'umanesimo italiano risulta ben differenziata tra una prima fase - la "lunga" prima metà del secolo, fino agli anni sessanta - e una successiva, che si estende sino alla fine del secolo....È allora, nell'ultimo terzo del secolo [dagli anni '70 in avanti], che si assiste a un processo di specializzazione e al tempo stesso "normalizzazione" della cultura umanistica, la quale si incammina...verso il ripiego erudito e la squisitezza metodologica, abbandonando però progressivamente l'impulso innovativo e totalizzante delle generazioni precedenti.»
Domenico Ghirlandaio,Angelo Poliziano, particolare tratto daZaccaria nel Tempio,affresco, 1486-1490,Cappella Tornabuoni inSanta Maria Novella,Firenze. Il Poliziano, oltre a essere uno squisito filologo classico, fu anche poeta eccellente in volgare, e tra i promotori culturali dell'umanesimo volgare.Filippino Lippi,Luigi Pulci,affresco,Cappella Brancacci. Il Pulci fu uno dei letterati fautori con Lorenzo il Magnifico e Angelo Poliziano del ritorno del volgare nella cerchia letteraria di fine '400.
Il recupero dell'antichità e il principio cardine dell'imitazione dei classici (l'imitatio ciceroniana) favorirono, nell'ambiente della cultura quattrocentesca, il dominio del latino quale veicolo comunicativo esclusivo dell'umanesimo[48]. Di questo periodo, abbiamo in volgare soltanto leVite di Dante e di Petrarca del Bruni del 1436[49], e l'infelice esito delCertamen coronario organizzato, col patrocinio diPiero di Cosimo de' Medici, da Leon Battista Alberti nel 1441[50]. Esiliato da Firenze per l'ostilità che incontrò sia nel vecchio Bruni sia in Cosimo de' Medici[N 4], l'Alberti compose, con tutta probabilità, laGrammatichetta vaticana (chiamata ancheRegole della lingua volgare[51], 1442) il primo manuale di grammatica dellalingua volgare italiana, sottolineando che in questa lingua hanno scritto grandi scrittori e che quindi ha la stessa dignità letteraria della lingua latina[52].
Prima che, però, si veda un sistematico ritorno del volgare quale lingua della cultura e della poesia, bisognerà aspettare almeno glianni settanta, allorché nella roccaforte dell'umanesimo italiano, Firenze, la poesia volgare riprese vigore grazie alla politica culturale diLorenzo il Magnifico, che con il patronato alleStanze delPoliziano e alMorgante delPulci intendeva esportare la produzione lirica toscana nel resto d'Italia, sancendone così la superiorità[53][54]. Il più esplicito segno di questa rinascita del volgare è costituito dal regalo aFederico d'Aragona,Raccolta aragonese, un'antologia letteraria preparata da Poliziano su commissione di Lorenzo in cui si mettono a confronto i grandi poeti toscani dalTrecento fino a Lorenzo stesso, con i classici[55]. Quest'operazione politica e culturale nel contempo, che segna la nascita dell'umanesimo volgare[56], è richiamata con orgoglio dal Poliziano stesso in una missiva che fungeva da premesse alla raccolta:
«Né sia più nessuno che quella toscana lingua come poco ornata e copiosa disprezzi. Imperocché, se bene giustamente le sue ricchezze e ornamenti saranno estimati, non povera questa lingua, ma abbondante e politissima sarà ritenuta.»
Il programma scolastico adottato dai primi teoricipedagogici dell'umanesimo, vale a dire Guarino Veronese (allievo a sua volta diGiovanni Conversini) e Vittorino da Feltre, rifletteva una rivoluzione metodologica rispetto all'insegnamento medievale. La pedagogia umanista, adottando, sul modello platonico, il dialogo come mezzo di conoscenza, intendeva coinvolgere lo studente nel processo di apprendimento tramite un clima cordiale e di dolcezza, abolendoin toto la violenza fisica[57].
Il programma pedagogico umanista prevedeva lo studio diretto dei classici (il latino veniva imparato direttamente sul testo, e non affidandosi all'eccessiva teoria grammaticale medievale; il greco, invece, era studiato sugliErotemata del Crisolora), per poi addentrarsi nell'ambito letterario e poi nelle scienze deglistudia humanitatis:storia,filosofia morale (che si basava sull'Etica Nicomachea di Aristotele),filologia,storiografia eretorica[58]. Inoltre, venivano reintrodotti gli esercizi fisici nei programmi scolastici, in quanto oltre all'anima, bisognava che anche il corpo fosse giustamente allenato, in nome della completezza umana[59]. Questo percorso di studi, basato teoricamente sulDe liberis educandis diPlutarco[60], doveva formare un uomo virtuoso e un cristiano convinto della propria fede[61], perché potesse poi gestire al meglio lo Stato secondo onestà e rettitudine morale[62].
Tra la morte di Boccaccio (1375) e l'ascesa diCosimo de' Medici (1434), ilComune di Firenze accentuò ulteriormente il carattereoligarchico delle sue istituzioni. Sconvolta dalle lotte intestine tra le classi sociali nella metà del XIV secolo, e quest'ultime acuitesi negli ultimi anni in seguito a una grave crisi economica sfociata nellarivolta dei Ciompi (1378), le vecchie magistrature comunali diventarono monopolio di poche famiglie aristocratiche, tra le quali primeggiò quella degliAlbizzi. Nei decenni successivi, Firenze acuì questa sua sfaccettaturaoligarchica (statuti del 1409-1415) determinando l'insoddisfazione di quel popolo minuto messo a tacere dopo la fallimentare esperienza rivoluzionaria del 1378[63]. Di questo stato di insofferenza sociale approfittò il ricchissimo mercanteCosimo de' Medici, latore delle richieste popolari e acerrimo nemico degli Albizzi. Esiliato per volontà degli Albizzi, Cosimo riuscì nel 1434 a rientrare a Firenze grazie al sostegno dei suoi partigiani e del popolo minuto, instaurando quella “cripto-signoria” che perdurerà fino al 1494[64].
Ritratto immaginario di Leonardo Bruni, opera di G. Palazzi[65]Coluccio Salutati
In seguito al magistero di Boccaccio e di Petrarca sul circolo dei preumanisti fiorentini, il nuovo movimento culturale assunse connotati ben precisi in relazione alla costituzione repubblicana della città, dando avvio alla prima fase dell'umanesimo fiorentino, denominato "civile"[66]. Questa linea programmatica si declinò nell'impegno politico diColuccio Salutati (1332-1406),cancelliere di Firenze dal 1374 fino alla morte (1406) e animatore delcircolo umanista di Santo Spirito, e diLeonardo Bruni poi (1370-1444), entrambi entusiasti patroni delle lingue classiche come veicolo di diffusione della cultura.
Coluccio Salutati, iltrait d'union tra i protoumanisti Petrarca e Boccaccio e la prima generazione degli umanisti, è considerato come il maestro indiscusso dell'umanesimo fiorentino grazie al coordinamento del gruppo di Santo Spirito e ponte tra la stagione delle due corone fiorentine e quella più matura del pieno Quattrocento[67], esaltò perennemente il modello della costituzione fiorentina, basata sullalibertas e l'autodeterminazione personale propri dellaRepubblica Romana, contro la tirannide assoluta delVisconti (incarnante invece la schiavitù dell'Impero)[N 5]. Erede dell'umanesimo civile del Salutati fu proprio Leonardo Bruni (1370-1444), chiamato anche Leonardo Aretino per le sue origini. Attivo alconcilio di Costanza qualelegato papale diGiovanni XXIII, Bruni ottenne solo nel 1416 la cittadinanza fiorentina, e nel giro di un decennio diventò cancelliere (1427), carica che mantenne fino alla morte nonostante la vittoria del partito mediceo[68]. Profondo conoscitore delgreco antico, instancabile traduttore da questa lingua in latino fin dalla giovinezza[69][70], Leonardo Bruni manifestò con ancor più vigore ed efficacia l'eccellenza del modello sociopolitico fiorentino rispetto a Salutati[71], culminante nellaHistoria florentini populi. A fianco della produzione esclusivamente latina del Salutati e del Bruni, bisogna ricordare anche la figura diMatteo Palmieri, agiato mercante fiorentino che, neglianni trenta, redasse in volgare quello che è considerato il manifesto dell'umanesimo civile, il trattatoLa libertà fiorentina.
Con l'avvento al potere di Cosimo de' Medici, l'umanesimo civile lasciò il posto a una forma di umanesimo in cui prevaleva la dimensione elitaria, astratta e contemplativa[72][73]. Cosimo, detentore del potere effettivo a Firenze, favorì un umanesimo che fosse al servizio della sua causa politica e che non formasse una nuova classe dirigente autonoma ispirata ai più puri valori repubblicani. Offrendo la protezione a intellettuali cortigiani qualiCarlo Marsuppini,Ciriaco d'Ancona,Niccolò Niccoli,Vespasiano da Bisticci e, non ultimo per importanza, alfilosofo neoplatonicoMarsilio Ficino, la cui influenza sulla cultura fiorentina fu determinante nello spostamento degli interessi umanistici dalla partecipazione politica alla contemplazione filosofica e cristiana, Cosimo diede una svolta alla cultura fiorentina, che culminerà con la stagionelaurenziana e i suoi protagonisti più importanti:Pico della Mirandola,Cristoforo Landino eAgnolo Poliziano[74]. Negli affreschi dellaCappella dei Magi dipalazzo Medici Riccardi,Benozzo Gozzoli ci ha lasciato i ritratti di vari umanisti, tra cui:
Giorgio Gemisto Pletone, filosofo neoplatonico bizantino, che influì sulla riscoperta di Platone nella cultura umanistica;
Ciriaco d'Ancona, che per la sua attività di ricerca di testimonianze storiche, realizzata in numerosi paesi delMediterraneo, nel tentativo di salvarle dall'oblio e dalla distruzione, è considerato, anche dai suoi stessi contemporanei,pater antiquitatis, il fondatore o "padre dell'archeologia". Oggi è perciò considerato internazionalmente il fondatore in senso generale dell'archeologia[75], mentreWinckelmann, con la pubblicazione della "Storia delle arti del disegno presso gli antichi", è considerato il fondatore dell'archeologia moderna[75].
Francesco Barbaro, politico e umanista di primo piano nella Venezia del primo Quattrocento
L'umanesimo veneziano si può inquadrare, nella sua declinazione geo-politica, in un umanesimo politico non molto dissimile da Firenze. Differenza tra i due modelli repubblicani fiorentino e veneziano consisteva nella flessibilità delle classi sociali, elemento che a Venezia non esisteva rendendola una repubblica nobiliare[76].
In seguito all'espansione militare sulla terraferma e l'acquisizione diVerona,Padova eVicenza, la Serenissima permise la fusione della coscienza umanistica con la volontà di rendere prestigioso lo Stato[N 6], con l'intento di formare future classi dirigenti che sostenessero, in chiave letteraria, la grandezza della patria[77]. In questo senso, promotori della pedagogia statale furono da un latoPier Paolo Vergerio il vecchio (1370-1444), dall'altro il patrizio venetoLeonardo Giustinian (1388-1446), fervente promotore del programma scolastico propugnato dal Vergerio e dal Barbaro e amico di Flavio Biondo e Francesco Filelfo[78]. Insieme al Giustinian e al Vergerio, si unisce la figura dell'altro patrizioFrancesco Barbaro (1390-1454) considerato il «campione dell'interesse della classe dirigente della Serenissima per la nuova cultura»[79]. Barbaro si dedicò anima e corpo alla progettazione concreta dell'umanesimo politico veneziano tramite l'attività politica (procuratore di San Marco nel 1452) e quella letteraria[80]. Tra i lavori principali di questo periodo ricordiamo ilDe re uxoria, trattatello famigliare in cui Barbaro sottolinea l'importanza della madre nell'educazione del bambino secondo i costumi patrii[81].
Non si devono dimenticare ancheVittorino da Feltre eGuarino Veronese, le cui esperienze pedagogiche valicarono i confini veneti, andando il primo a insegnare aMantova presso la corte diGianfrancesco Gonzaga; l'altro, divenendo ilprecettore diLeonello d'Este. Risultato di questi sforzi fu una vera e propria proliferazione di scritti celebrativi di Venezia e del suo sistema di governo. Tra i più significativi prodotti dell'umanesimo veneto si ricorda quello diLauro Quirini (1420-1479) che, con il trattatoDe Nobilitate, esaltava la funzione dell'aristocrazia[82]. Altro elemento fondamentale dell'umanesimo veneziano fu la forte dimensione religiosa che, al contrario di quanto avvenne a Roma o a Firenze, non determinò una fusione tra gli elementi paganeggianti della nuova cultura e ilcristianesimo. Grazie all'azione di alcuni religiosi colti, qualiLorenzo Giustiniani eLudovico Barbo, l'interesse per l'antichità classica andò di pari passo con l'aspetto dottrinale, contribuendo allo sviluppo dell'umanesimo cristiano[83].
Il secondo Quattrocento: Ermolao Barbaro e Aldo Manuzio
Il secondo Quattrocento vide il consolidarsi delle prospettive del Giustiniani e del Vergerio in merito all'educazione. Il critico letterario e filologoVittore Branca parla degli ultimi decenni delXV secolo a Venezia come un periodo aureo per lo sviluppo delle arti, della letteratura, della filosofia e, soprattutto, della nascenteeditoria libraria. Quest'ultima, dopo l'impulso dato daJohannes Gutenberg aMagonza nel 1450, si diffuse rapidamente a Venezia prima per opera di alcuni editori tedeschi e francesi e, a partire dal 1490, grazie all'azione diAldo Manuzio, inventore di edizioni tascabili (leAldine) e rigorosamente curate dai maggiori umanisti dell'epoca, tra cuiErasmo da Rotterdam[84]. La maggiore personalità di questo periodo, a livello culturale, fuErmolao Barbaro il Giovane (1454-1493), fautore dell'applicazione filologica dettata daLorenzo Valla e della riconsiderazione del "vero"Aristotele in seguito alla traduzione del suocorpus di scritti[85].
L'umanesimo romano può trovare il suo inizio con la fondazione, da parte dipapa Innocenzo VII, della cattedra di greco e latino a Roma[86] e col magistero diFrancesco da Fiano. Gli anni immediatamente successivi, dopo il pontificato di Innocenzo, furono contraddistinti da un vuoto di potere dovuto alla fase culminante delloScisma d'Occidente, che si concluse nel 1417 con l'elezione dipapa Martino V con la conclusione delconcilio di Costanza. Fu però sotto il pontificato di Martino e quello dipapa Eugenio IV che la cultura umanistica a Roma vide intensificarsi intorno allaCuria romana, dando all'umanesimo pontificio un volto cosmopolita che lo contraddistinguerà per tutto il secolo. Tra i principali umanisti spiccarono per importanza e significatoPoggio Bracciolini,Maffeo Vegio eFlavio Biondo.Poggio Bracciolini (1380-1459), nativo diTerranuova, allievo di Salutati e amico di Bruni, fu per trent'anni un personaggio di spicco alla corte pontificia, finché nel 1453 non accettò da Cosimo de' Medici l'incarico di Cancelliere della Repubblica[87]. Poggio Bracciolini è ricordato, principalmente, per essere stato il più significativo ricercatore e scopritore di classici dell'intero XV secolo[88][89], e per essere stato uno dei più significativiepistolografi tra i suoi contemporanei. A fianco di Bracciolini si distinse Maffeo Vegio (1406-1450), segretario pontificio che si concentrò nella produzione letteraria erudita volta alla celebrazione della Roma cristiana (De rebus antiquis memorabilibus Basilicae Sancti Petri Romae)[90]. Infine, nel pontificato di Eugenio, nacque anche la storiografia umanista grazie all'opera del forlivese Flavio Biondo (1392-1463)[91]. Costui, grazie alla sua monumentaleHistoriarum ab inclinatione Romani imperii Decades, si confrontò con la
Poggio Bracciolini, ritratto nel codice Urb. lat. 224 contenente ilDe Varietate Fortunae, custodito presso laBiblioteca VaticanaPio II (1458-1464), il celebre umanista Enea Silvio Piccolomini nel circolo di affreschi delPinturicchio
produzione storiografica bruniana, caratterizzata da una forte vena ideologica e perciò in contrasto con l'esattezza del metodo storiografico basato sulla consultazione delle fonti storiche[92].
L'auge dell'umanesimo romano trovò il suo compimento sotto i pontificati diNiccolò V (1447-1455) e diPio II (1458-1464): il primo, appassionato bibliofilo e cultore delle antichità romane, si propose unarenovatio urbis volta alla glorificazione della Roma cristiana[93]:Leon Battista Alberti,Giannozzo Manetti,Pier Candido Decembrio e di alcuni prelati greci quali ilcardinal Bessarione[94], o il filosofo e cardinaleNicola Cusano (patrocinatore di unateologia negativa[95]) furono i principali animatori del pontificato del primo. Sotto Pio II, lui stesso umanista e autore deiCommentarii, l'umanesimo pontificio trovò un mecenate meno prodigo di Niccolò ma, nel contempo, il primo papa-umanista. Intorno alla corte di Pio si riunironoPorcelio Pandone;Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, chiamato a dirigere laBiblioteca apostolica vaticana[96]; eGiannantonio Campano (1429-1477), fedele consigliere di Pio II, rivide iCommentarii del Pontefice e ne scrisse una biografia postuma[97].
Dopo la morte di Pio II, incominciò la crisi della parabola umanistica a Roma. I pontefici, infatti, non avranno più lo stesso entusiasmo nei confronti della cultura umanistica, o al limite la proteggeranno considerandola come un fattore culturale acquisito. L'umanesimo romano, come a Firenze e in altri centri culturali della Penisola, esaurì la spinta propositiva della prima metà del secolo, riducendosi a puro e semplice spirito di ornamento esteriore del potere papale[98], trovando un ultimo sprazzo di originalità con l'accademia diPomponio Leto[99][100].
Medaglia di Pier Candido Decembrio, opera diPisanello. Considerato uno dei massimi umanisti italiani, la personalità culturale del Decembrio dominò incontrastata a Milano fino al 1447, anno della morte del suo protettore Filippo Maria Visconti.Francesco Filelfo, grande avversario di Pier Candido Decembrio e personalità di spicco durante il ducato di Francesco Sforza
L'umanesimo patrocinato dalladinastia Visconti prima, e da quellasforzesca poi, cercò di contrapporsi all'uso strumentale di cui le repubblicane Firenze e Venezia facevano degli ideali classicisti. Nato grazie al soggiorno di Petrarca (1352-1360) e sviluppato poi daPasquino Cappelli, vero e proprio propulsore della nuova cultura in terra lombarda[101], i primi risultati significativi furono raccolti dal vicentinoAntonio Loschi, celebre autore dell'Invectiva in Florentinos (1397) e fervido sostenitore dell'assolutismo visconteo[102]. Da Loschi in avanti, infatti, gli intellettuali promossero l'eccellenza del modello monarchico cesareo (rappresentato appunto daGiulio Cesare) contro quello repubblicano incarnato daScipione l'Africano[103].Gian Galeazzo Visconti prima, e il figlio Filippo Maria poi, favorirono il patrocinio di tale produzione politologica, incentivando nel contempo il patrimonio della cultura classica (evolgare) nellaBiblioteca di Pavia da un lato, e loStudium pavese dall'altro, col fine di assicurarsi una stabile base intellettuale al servizio del potere[104]. In quest'ottica, intorno alla corte di Filippo Maria gravitarono umanisti del calibro del frate francescanoAntonio da Rho (1398 – post 1446)[105],Guiniforte Barzizza (1406 – 1463)[106] e, soprattutto,Pier Candido Decembrio (1392-1477), segretario del duca e celebre per aver completato la traduzione dellaRepubblica di Platone e per l'intensa attività di traduttore di opere classiche[107]. La tradizione cortigiana continuò anche sottoFrancesco Sforza e i suoi successori: durante questi decenni, si ricordano le figure diFrancesco Filelfo (1398-1481) e, in particolar modo sotto il governo diLudovico il Moro, quella dello storico della casataBernardino Corio. Nella corte cosmopolita di Ludovico, oltre al milaneseGaspare Ambrogio Visconti, operarono anche scrittori provenienti da altre regioni italiane, qualiSerafino Aquiliano,Antonio Tebaldeo eSabbadino degli Arienti[108].
Infine, altra direttiva su cui si mosse il primoumanesimo lombardo fu quella della riscoperta del greco antico, grazie al magistero triennale che vi esercitò Manuele Crisolora dal 1400 al 1403 e alla collaborazione con il politico localeUberto Decembrio conGasparino Barzizza eGuarino Veronese[109]. Come fece a Firenze, il Crisolora regalò ai suoi allievi gliErotèmata, favorendo il radicamento del greco in terra lombarda, grazie alla presenza, nel corso dell'età sforzesca, diFrancesco Filelfo e diGiovanni Argiropulo.
Miguel Hermoso Cuesta,Ritratto di Alfonso V, conservato oggi presso il Museo provinciale diSaragozza
A causa delle guerre intestine alladinastia d'Angiò, ilRegno di Napoli giunse in ritardo nell'acquisizione del sapere umanistico. Dopo il disastroso governo dell'ultima esponente della Casa d'Angiò,Giovanna II, il Regno di Napoli cadde nelle mani dell'aragoneseAlfonso V, detto il Magnanimo, governandolo dal 1442 al 1458[110]. Uomo non dotato di eccezionali capacità politico-militari, Alfonso cercò di riparare ai danni causati dalla guerra, intavolando rapporti quasi paritari con i baroni ed elevando culturalmente il regno determinandone l'entrata dell'umanesimo[111].
L'umanesimo alfonsino non fu favorito dall'azione di umanisti autoctoni, ma da intellettuali catalani amanti della rivoluzione petrarchesca. Sostenitore dell'umanesimo inteso come movimento culturale di formazione etica e professionale di una classe politica che lo affiancasse nella ricostruzione del reame, Alfonso si appoggiò principalmente a due umanisti Giovanni Olzina, segretario di Alfonso, autore di un manuale di governo e protettore del giovaneLorenzo Valla e delPanormita; eArnau Fonolleda, diplomatico catalano che curò i rapporti con gli umanisti fiorentini e curiali[112].
Coadiuvato da questi suoi collaboratori, Alfonso V creò una vastissima biblioteca regale della quale si servirono molti degli umanisti italiani di passaggio da Napoli:Giannozzo Manetti, autore delDe dignitate hominis; Pier Candido Decembrio, durante l'esilio da Milano; Poggio Bracciolini, che dedicò al sovrano la versione latina dellaCiropedia diSenofonte; e l'irrequieto Lorenzo Valla[113].
Oltre a Valla, le due principali figure umanistiche presenti alla corte di Alfonso furonoBartolomeo Facio eAntonio Beccadelli, detto il Panormita. Il primo, ligure trapiantato a Napoli, fu consigliere e segretario di Stato del monarca aragonese. Tra le sue opere principali si ricordano ilDe rebus gestis ab Alphonso I Neapolitanorum rege libri X (1448-1455), ilDe bello veneto clodiano (pubblicato nel 1568) e i trattati moraliDe humanae vitae felicitate eDe hominis excellentia[115].
Figura più singolare e movimentata fu quella del Panormita che, dopo essersi trasferito a Napoli, aprì un suosalotto letterario non molto dissimile dall'Accademia di Pomponio Leto a Roma, dettoPorticus Antoniana, in cui si riunivano i colti napoletani[113]. Oltre a questa sua attività di promozione dell'umanesimo, il Panormita si accattivò l'animo di Alfonso con il suoDe dictis et factis Alphonsi regis, ma ne suscitò anche l'imbarazzo e, presso i circoli umanisti, rimprovero, per il suoHermaphroditus, opera dalla dubbia morale ma degna epigona delle lirichecatulliane e degli epigrammi diMarziale[113].
Celebre già per l'anticostudiumuniversitario,Bologna conobbe un periodo di relativo splendore sotto iBentivoglio, famiglia che manterrà, per conto dello Stato Pontificio, il potere signorile fino al 1506. L'umanesimo bolognese, frutto delmecenatismo dei Bentivoglio, della presenza delloStudium e delle commissioni di importanti ecclesiasti, fu animato anche dalla presenza di umanisti provenienti da tutta la penisola, grazie alla strategica posizione geografica (a metà strada tra Firenze, Venezia e Milano). Gli umanisti bolognesi più celebri del XV secolo, cioèFilippo Beroaldo eFrancesco Puteolano, si occuparono di un'attività culturale che passava dalla produzione di scritti cortigiani celebranti i Bentivoglio, ad attività più specificamente filologico-letterarie. Infatti, Beroaldo eAntonio Urceo Codro si dedicarono alla traduzione in volgare diPlauto,Lucrezio eApuleio; mentre Francesco Puteolano ebbe il merito di commentareCatullo eStazio, oltre a essere uno dei primi umanisti a interessarsi dellastampa a caratteri mobili (pubblicando Ovidio nel 1471)[116].
Guarino Veronese, in Carlo de' Rosmini,Vita e disciplina di Guarino Veronese e de' suoi discepoli, Niccolo' Bettoni, Brescia 1805
Ferrara: da Donato degli Albanzani alle soglie del Cinquecento
Pisanello,Ritratto di Leonello d'Este,tempera su legno,Accademia Carrara, 1441. Principe illuminato, allievo di Guarino Veronese, fu uno dei più importanti governanti sensibili alla nuova temperie umanista.
Il messaggio umanistico in terra diFerrara fu diffuso da uno dei più stretti amici del petrarca, il colto letterato toscanoDonato degli Albanzani. Quest'ultimo, infatti, risiedette a partire dal 1382 nella città emiliana[117], dando adito al nuovo sapere:Alberto V fondò loStudium di Ferrara (1391)[118] e Donato fu chiamato quale precettore diNiccolò III (1393-1441)[117], che sarà grande estimatore della cultura umanistica.
Il punto di svolta per l'umanesimoferrarese fu dovuta alla permanenza in città, a partire dal 1429, dell'umanista e pedagogistaGuarino Veronese. Questi, importatore della nuova educazione e grande cultore dei classici latini e greci, si occupò sia dell'attività delloStudium sia dell'educazione dell'erede del marchesatoLeonello (1441-1450)[119], che passò alla storia quale insigne intellettuale e modello del principe rinascimentale. Guarino importò il greco antico a Ferrara, approfittando anche della convergenza dei dotti bizantini nelConcilio di Basilea-Ferrara-Firenze, che tra il 1438 e il 1439 si tenne proprio in Firenze, e prese come collaboratoreGiovanni Aurispa, erudito siciliano e il massimo ricercatore di codici greci del secolo[120], e il poeta-umanistaLudovico Carbone[121].
Dopo la morte di Guarino (1460), la scena culturale ferrarese fu dominata diTito Vespasiano Strozzi (1424-1505), poeta in lingua latina e autore dellaBorsias, emulazione ferrarese dellaSphortias del Filelfo; e daPandolfo Collenuccio (1447-1504), operante sottoErcole I (1471-1505) quale giurista e compositore di dialoghilucianeschi[121]. Fu però sotto il regno del successore di Ercole, il figlioAlfonso I (1505-1534), che l'umanesimo ferrarese toccò l'apice con il recupero del teatro classico con l'azione diLudovico Ariosto, autore nel 1508 dellaCassaria, primo esempio di puroteatro rinascimentale dopo l'esperimento del Poliziano a Mantova[122].
La piccola signoria diRimini, retta dallafamiglia Malatesta, vide il fiorire dell'umanesimo sotto il principale esponente di quest'ultima,Sigismondo Pandolfo Malatesta (1417-1468). La nuova cultura prese spunto dalle vicende biografiche del Signore, che fossero sia sentimentali sia bellici. Oltre a poeti qualiGiusto de' Conti,Roberto Valturio eTommaso Seneca da Camerino che, ricalcando il modelloovidiano, celebrarono l'amore tra Sigismondo eIsotta degli Atti[123], il principale esponente dell'umanesimo riminese fuBasinio da Parma (1425-1457). Basinio, allievo di Vittorino da Feltre, si concentrò, oltre sulla relazione tra i due amanti (da cui nacque la raccolta di elegie ovidianeIsoetteus[124]), anche sulle vicende belliche dei Malatesta scrivendo l'Hesperis,poema epico in 13 libri scritto celebrante le impresi militari di Sigismondo contro gli aragonesi di Alfonso V e ricalcante, per linguaggio e spunti stilistici, laSphortias[125].
Incisione raffigurante Battista Spagnoli, da un'edizione delle sue opere delXVI secolo
L'umanesimomantovano sorse a partire dagli anni trenta quando il marcheseGianfrancesco Gonzaga (1407-1433) invitò, nel 1423, il celebre pedagogoVittorino da Feltre, che a Mantova aprirà la "Casa gioiosa", scuola in cui l'erede al marchesato Ludovico fu educato insieme a ragazzi di tutte le estrazioni sociali[126]. Abitò a Mantova, seppur per breve periodo, anche il grecoTeodoro Gaza, fornendo all'umanesimo mantovano le basi per uno sviluppo in senso ellenista della sua cultura[127]. I due illuminati coniugiLudovico II Gonzaga (1444-1478) e la moglieBarbara di Brandeburgo resero Mantova, a partire dalla seconda metà del secolo, un piccolo ma vitale centro dell'umanesimo lombardo: protesseroil Platina che, rifugiatosi a Mantova dalla persecuzione dipapa Paolo II, compose laHistoria urbis Mantuae Gonzagaeque familiae in segno di ringraziamento[128]; chiamaronoLeon Battista Alberti; e il successore di Ludovico,Federico I (1478-1484), ospitò ilPoliziano, che a Mantova mise in scena e dedicò a Federico laFabula d'Orfeo. A parte la presenza di umanisti stranieri, laMantova delXV secolo poté vantare, quale umanista autoctono,Battista Spagnoli detto il Mantovano (1447-1516), soprannominato il “Virgilio Cristiano” daErasmo da Rotterdam[129] a causa della fusione tra la lingua latina e le tematiche cristiane e autore dell'Adulescentia, composta da dieci ecloghe bucoliche dominate da una forte vena realista[126]. La cultura mantovana, rinvigorita poi dalla figura poliedrica della moglie diFrancesco II (1484-1519),Isabella d'Este, cominciò ad assumere quel volto cortigiano proprio della corte ferrarese, attraverso la protezione dell'umanista e poeta cortigianoMario Equicola, autore delLibro de natura de amore[130].
Il Ducato di Savoia nel 1475, incastonato tra la penisola italiana e il Regno di Francia
Unica area in cui il movimento umanistico-rinascimentale non trovò campo fu quello delDucato di Savoia, Stato la cui orbita gravitazionale fluttuava tra l'area francese e quella italiana. La crisi del ducato sabaudo nel corso del Quattrocento, attanagliato da rivalità interne, dipendenze politiche e culturali dal potenteRegno di Francia e governato da duchi inetti[131], non permise alla classe dirigente savoiarda di recepire i vantaggi della nuova cultura umanistica, relegando il Piemonte a un vero e proprio ritardo culturale:
«Il terreno sul quale si manifestano più profonde le differenze fra la corte sabauda e le corti principesche italiane è quello della cultura: né intellettuali, né pittori, né poeti, né scultori: e neppure rappresentazioni teatrali. O meglio, artisti di tono minore, imitatori di scuole, manovali dell'arte, teatranti girovaghi. Lo studio universitario fondato a Torino all'inizio del Quattrocento non vale a colmare le distanze dai centri umanisti di Firenze e di Padova...E gli artisti che lavorano alla corte sabauda sono nomi sconosciuti: il poetaMartin Lefranc; il cronistaJean d'Orville...; gli scultoriGerardo di Berna eJanin di Bruxelles; il pittore venezianoGregorio Boni...; un altro pittore,Giacomo Giacheri...Poca cosa.»
Le travagliate vicende che funestarono il Ducato nel corso del primo Cinquecento, sotto il debole governo diCarlo II il Buono (1504-1553), causarono l'ulteriore ritardo culturale del Piemonte, situazione da cui lo Stato sabaudo fu poi risollevato grazie all'energica guida diEmanuele Filiberto (1553-1580), restauratore del Ducato e protettore diGiovan Battista Giraldi Cinzio[132].
Lorenzo Valla (1407-1457) e Leon Battista Alberti (1404-1472), per il loro eclettismo, cosmopolitismo e varietà d'interessi, non possono rientrare in una ben specifica categorizzazione geografica o tematica.
Jean-Jacques Boissard e Theodor de Bry,Lorenzo Valla, incisioneRitratto di Leon Battista Alberti del 1804, per l'edizione delTrattato sulla Pittura
Per quanto riguarda il pensiero e l'attività del Valla, si può sostenere che l'umanista romano fondò una sorta di filosofia dellaparola basata sulla sua assoluta preminenza rispetto ai discorsi di carattere filosofico e culturale che si possono sviluppare in seguito. Ilverbum deve essere indagato, studiato etimologicamente, ricostruito in base all'usus di cui si fece e analizzare, pertanto, anche le accezioni semantiche più particolari[133]. Soltanto partendo da quest'analisi rigorosa, basata sulla lezione del retore romanoQuintiliano nella suaInstitutio Oratoria si può ricostruire il senso del testo. Insofferente verso le autorità filosofiche della cultura tomista, Valla non si fermava neanche davanti agli stessi autori classici (lettera a Juan Serra, 1440) o agli stessi Vangeli (di cui compì, per la prima volta, l'emendatio degli errori compiuti dasan Girolamo nella redazione dellaVulgata), qualora l'umanista vi avesse trovato degli errori da correggere: in quest'ottica, si può comprendere allora il coraggioso attacco contro il testo riportante la presuntaDonazione dell'imperatore romano Costantino dei possedimenti occidentali dell'Impero apapa Silvestro I, documento su cui si fondavano le pretese delpotere temporale dei papi. Valla, sostanzialmente, abbandona le ultime armi mediatrici del primo umanesimo, per combattere a viso aperto contro tutta quella cultura che poteva ostacolare l'attività corretta della sua ricerca, suscitando le stesse ire di un umanista estremamente bizzarro e anticonformista quale fu Poggio Bracciolini[134].
Leon Battista Alberti è considerato uno dei più poliedrici e significativi umanisti europei. Intellettuale che ardeva nel concretizzare il sapere umanistico nei più svariati ambiti (l'arte, l'architettura, la medicina, il diritto e la scultura), l'Alberti si segnala per lo spregiudicato sperimentalismo, per la volontà di riabilitare il volgare italiano davanti alle detrazioni dei suoi colleghi umanisti (si riveda l'episodio infelice delCertame coronario) e per un anomalo pessimismo di fondo sulla natura umana[135]. La riflessione sull'uomo, declinata nei trattati dedicati alle relazioni sociali (De familia,De Iciarchia), o in quelli dal sapore politico (Momus eTheogenius), mostra il superamento dell'iniziale ottimismo antropologico per abbracciare invece sia la positività sia la negatività, ambivalenza che genera la concezione "doppia" dell'uomo[136]. Oltre alla dimensione speculativa, l'Alberti si preoccupò di coniugare tale sapienza con l'attività pratica e con le scienze combinando, nello specifico, il sapere tecnico della classicità con l'attività di architetto e d'artista (De re aedificatoria,De pictura)[137].
Pico della Mirandola e il manifesto dell'umanesimo
Il conteGiovanni Pico della Mirandola (1463-1494) fu senza dubbio l'esponente maggiore dell'umanesimo filosofico italiano. Dotato di una memoria prodigiosa che gli meritò l'appellativo di "fenice degli ingegni", giovanissimo studiògreco all'Università di Pavia,ebraico e lafilosofia cabalista a esso annessa, cercando di creare un sapere universale tramite la fusione dellereligioni monoteiste e il sapere greco e latino. Considerato eretico, vicino sia all'aristotelismo padovano sia alplatonismo fiorentino, fu esiliato per un po' di tempo in Francia al fine di sfuggire all'Inquisizione, ma poté rientrare in Italia nel 1486 dove poté esporre la sua idea di filosofia che doveva essere necessariamentepia in quanto «capace di assicurare una pace e una "concordia" tra tutte le scuole [di pensiero]»[138]. Rifugiatosi in Francia in seguito all'esposizione delle sueNovecento tesi e delDiscorso sulla dignità dell'uomo, poté finalmente rientrare in Italia nel 1487 a Firenze e, avvicinatosi alSavonarola negli ultimi anni della sua vita in quanto attirato dall'ardore della sua riforma morale dellaChiesa, morì avvelenato in circostanze non chiare nel 1494, poco più che trentenne[139].
Il nome di Pico della Mirandola, oltre alla prodigiosa memoria, è legato anche al dialogoOratio de hominis dignitate oDiscorso sulla dignità dell'uomo, in cui espone il manifesto dell'umanesimo. L'opera, incentrata sul dialogo traDio eAbramo[139], esalta l'uomo in quanto dotato dellibero arbitrio, ossia di quella facoltà unica che Dio diede all'uomo unico tra le altre creature di scegliere tra il bene e il male e di operare in conseguenza di ciò, dimostrando di avere una natura non predeterminata capace di abbassarsi al livello dei bruti sia di elevarsi a quello degli angeli:
(latino) «Nec te celestem neque terrenum, neque mortalem neque immortalem fecimus, ut tui ipsius quasi arbitrarius honorariusque plastes et fictor, in quam malueris tute formam effingas. Poteris in inferiora quae sunt bruta degenerare; poteris in superiora quae sunt divina ex tui animi sententia regenerari.»
(italiano) «Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, affinché fossi di te stesso quasi un Demiurgo arbitrario e onorario, in cui tu plastifichi la forma secondo ciò che più preferisci. Potrai degenerare nei gradi inferiori propri dei bruti; potrai rigenerarti nei gradi superni e divini secondo la tua intima decisione.»
A partire dalla fine del Quattrocento l'umanesimo, da fenomeno strettamente legato all'area italica, cominciò a diffondersi presso le altre nazioni europee grazie ai soggiorni degli intellettuali stranieri nel nostro Paese. In alcuni di essi (qualiFrancia eInghilterra) l'umanesimo tardò a causa dellaguerra dei cent'anni prima, e delle lotte per la ricostruzione del tessuto nazionale poi; in altri, invece, il dominio della filosofia scolastica e della cultura medievale in genere non permisero all'umanesimo di penetrare se non verso la fine del Quattrocento: furono i casi delRegno d'Ungheria col suo sovranoMattia Corvino e quello diPolonia, grazie all'azione della reginaBona Sforza, maritata dal 1518 conSigismondo I Jagellone[140].
Il principale esponente dell'umanesimo che ha avuto un sapore internazionale è stato sicuramente l'umanista olandese Erasmo da Rotterdam (1469?-1536), definito "il principe degli umanisti". Considerato al contempo l'esponente di punta dell'umanesimo cristiano Erasmo, che nutriva una profonda avversione per lascolastica e per la corruzione in cui versava la Chiesa di Roma, si proponeva di restaurare una fede che fosse veramente sentita nel cuore (ladevotio moderna), ancor prima che nelle forme esteriori, e quindi di ritornare al modello dell'età apostolica[141].
Sulla base di questo progetto, l'umanista olandese (i cui contatti epistolari spaziavano dal Colet a Tommaso Moro, da Manuzio all'editoresvizzeroFroben, da eminenti ecclesiastici a principi) propose la sua "riforma etica" del cattolicesimo attraverso una rivisitazione filologica delNuovo Testamento; la creazione di un manuale per la formazione del cristiano (l'Enchiridion militis christiani) e la produzione di opere letterarie, fortemente contrassegnate dall'ironia (si ricordi il celebreElogio della follia), volte a smuovere le coscienze[142].
La combinazione dei modelli classici e patristici con la sensibile attenzione verso le tematiche contemporanee (la deplorazione della guerra tra i cristiani; l'attenzione verso le tematiche pedagogiche e politiche) fece di Erasmo il campione dell'umanesimo fino allo scoppio dellaRiforma protestante e dalla sua contrapposizione con gli estremismi della fazione luterana e di quella cattolico-romana, che accusarono l'anziano umanista di essere ora segretamente protestante, ora segretamente cattolico. Nonostante Erasmo avesse difeso, nello scrittoDiatribe delibero arbitrio del 1524, la teoria secondo cui ogni essere umano dispone liberamente della propria coscienza e, quindi, delle proprie azioni, andando anche contro la morale divina, la sua protervia nel rimanere neutrale nella disputa gli alienò le simpatie anche dei cattolici[143].
Per quanto riguarda l'area francese, il primo umanista che importò in patria la nuova cultura fuJacques Le Fèvre d’Étaples (1455-1536), teologo e uomo di cultura che rimase affascinato dalle proposte di Marsilio Ficino e di Giovanni Pico della Mirandola al principio degli anni 1490[144]. La lezione filologiche e filosofiche di d'Étaples verranno ulteriormente diffuse in seguito alleguerre d'Italia diCarlo VIII,Luigi XII e, soprattutto, diFrancesco I, che rese il franceselingua ufficiale del Regno e che protesse numerosi artisti e letterati. Sotto il suo regno visseroGuillaume Budé (1468 - 1540),François Rabelais (1494 - 1553)[145] e vari dotti parigini qualiCharles de Bovelles eSymphorien Champier, vicini alla lezione di Pico e di Nicolò Cusano[146]. Nella seconda metà del secolo, campeggia la figura diMichel de Montaigne (1533 - 1592),scettico indagatore della natura umana nelle sue molteplici sfaccettature[145].
Nella prima metà del XV secolo, singolare fu la figura del reggente e membro dellacasata dei LancasterHumphrey di Gloucester il quale, oltre agli impegni di governo sotto il nipoteEnrico VI (1421-1461/1470-1471), fu mecenate dell'umanesimo commissionando al segretarioAntonio Beccaria[147], a Pier Candido Decembrio, a Leonardo Bruni e ad altri umanisti italiani la traduzione di opere dal latino e dal greco[148]. Sconvolta poi dallaguerra delle due rose (1455-1485), l'Inghilterra cominciò a ricostruire le sue energie, tra cui anche quelle culturali, sotto l'energico governo del primo sovranoTudor,Enrico VII (1485-1509). In questo periodo, la ripresa del commercio e degli scambi colcontinente favorì la penetrazione dell'umanesimo anche in terra inglese grazie alla figura del religioso e futurodecano dellaCattedrale di San PaoloJohn Colet (1466/67-1519), fervente sostenitore delneoplatonismo e degli studipatristici greci e fondatore dellaScuola di Oxford. Vicino a Colet fu la figura più prestigiosa del primo umanesimo inglese,Tommaso Moro (1478-1535), amico di Erasmo da Rotterdam, cancelliere diEnrico VIII (1509-1547) e autore del trattato sociopoliticoL'Utopia. Il pienorinascimento inglese si svolse nettamente in ritardo rispetto all'Europa: fu sotto l'età elisabettiana (1558-1603) che le teorie umanistiche furono raccolte daPhilip Sidney e, soprattutto, daWilliam Shakespeare[149].
Tra i principali umanisti tedeschi si ricordanoJohannes Reuchlin (1455-1522), che introdusse in patria le nozioni di Pico della Mirandola riguardo al valore magico della cabala ebraica[150];Ulrich von Hutten (1488-1523), traduttore dell'opera di VallaLa falsa Donazione di Costantino e fautore del luteranesimo in chiave violenta[151];Johannes Agricola (1494-1566), inizialmente fautore di Lutero e poi suo oppositore; e infineFilippo Melantone (1497-1560), raffinato umanista e rappresentante della fazione moderata del luteranesimo[152].
Nel territorio dell'attualeSvizzera è soprattutto la città diBasilea che può essere qualificata come uno dei centri umanistici più importanti al nord delle Alpi. Grazie alla fondazione dellalocale università nel 1460 (prima università svizzera), dove s'installerà anche Erasmo da Rotterdam, la famiglia Holbein oParacelso, e come nuovo centro di stampa di libri (in concorrenza conParigi eVenezia), Basilea riuscirà a stabilirsi come la città elvetica più importante dell'epoca e come luogo d'innovazione intellettuale. Diventò inoltre anche terra d'accoglienza per vari rifugiati religiosi di provenienza italiana, tra i qualiBernardino Ochino[154].
^Petrarca aveva fondato una filosofia che «profondamente avversa alle vuote dispute delle scuole, è indagine sulla vita degli uomini», come ricordaGarin, p. 30. Rifacendosi al pensieroneoplatonico cristiano disant'Agostino d'Ippona, il letterato aretino basa l'esistenza sulla conoscenza intima di sé stessi, filtrata attraverso lo studio dei classici e la preghiera, per poi procedere alla comunione con l'intero ecumene umano:
«Perciò il viaggio...alla scoperta dell'anima propria, fu insieme la conquista di un più solido legame con gli altri uomini.»
^Il Petrarca, uomo profondamente religioso, manifestò un forte dolore nel libro XX delleFamiliari composto, per la maggior parte, da lettere inviate ai grandi scrittori del passato: Cicerone, Seneca e altri. Il dolore che uomini così virtuosi non siano venuti a conoscenza del messaggio cristiano lo si denota, per esempio, nel saluto finale dellaPetrarca2, Familiare, XX, 3, quando Petrarca sottolinea la distanza temporale spirituale fra i due: «anno ab ortu Dei illius quem tu non noveras, MCCCXLV», cioènell'anno 1345 dalla nascita di quel Dio che tu non avevi conosciuto.
^La sensibilità umanistica di considerare gli antichi come uomini, come spieganoBerté-Petoletti, p. 229: «...richiama altopos letterario della personificazione e del colloquio con i libri, che ha avuto grande fortuna in età umanistica».
^L'Alberti era fortemente critico verso il monolinguismo della cultura umanistica fiorentina che, con l'avvento di Cosimo nel 1434, era diventata l'espressione del rinnovamento culturale mediceo. Perciò fu costretto ad allontanarsi da Firenze per prendere la strada ecclesiastica. Si vedaCappelli, pp. 309-310.
^Come però rivelaPastore Stocchi, p. 34, l'accorata difesa della libertà fiorentina non aveva nulla a che vedere con l'uguaglianza interna tra magnati e popolo minuto, quanto una differenza di carattere sociopolitico tra due modelli di Stato antitetici:
«In effetti anche nel primo '400 l'apologia della libertà fiorentina rimane condizionata, in buona misura, da un'istanza di autonomia-autocefalia raffermata contro una minaccia esterna. Si tratta, insomma, di un concetto di libertà che assume significato nel quadro di uno scontro di interessi politico-economici fra Stati, non già da un serio tentativo di analisi comparativa interna dei rispettivi sistemi statali.»
^Tutte e tre le città sono luoghi significativi per l'umanesimo: la prima è la patria diGuarino Veronese, patrocinatore della pedagogia umanista con Vittorino da Feltre;Padova si poteva considerare la "sede spirituale" delpetrarchismo per la forte impronta che l'insegnamento del Petrarca ebbe sull'élite politica e culturale locale; aVicenza, infine, nacque l'umanista "politico"Antonio Loschi, allievo di Coluccio Salutati e futuro cancelliere del duca di Milano Gian Galeazzo Visconti. Si vedano:Cappelli, p. 140 eTateo, cultura umanistica, pp. 92-93.
^Questi alti prelati non furono soltanto simpatizzanti dell'umanesimo nascente, ma anche loro stessi umanisti e appassionati scopritori di codici. Bartolomeo Capra, per esempio, scoprì laRethorica e laDialectica di sant'Agostino; mentre Gerardo Landriani, nel 1421, riportò alla luce ilDe Oratore di Cicerone.Cfr.Cappelli, p. 229.
«Essa non esclude l'uomo dalla sua considerazione; ma nell'uomo vede soltanto una parte o un elemento della natura, non già il centro di un problema specifico. Per i presocratici, gli stessi principi che spiegano la costituzione del mondo fisico, spiegano la costituzione dell'uomo.»
«La filosofia [post-aristotelica] è ancora e sempre ricerca; ma ricerca di un orientamento morale, di una condotta di vita che non ha più il suo centro e la sua unità nella scienza, ma subordina a sé la scienza come il mezzo al fine.»
^Tali esperimenti filologici del giovane Petrarca furono la collazione delledecadi di Tito Livio (codice Hamilton 2493), realizzata tra il 1326 e il 1330 (Cfr.Wilkins, p. 24); e la costituzione delVirgilio ambrosiano,codice composto di 300 fogli manoscritti contenenti leBucoliche, leGeorgiche e l'Eneide diVirgilio, a cui aggiunsero quattroOdi diOrazio e l'Achilleide diStazio (Cfr.Wilkins, p. 5; p. 32).
^L'attività frenetica di Petrarca a livello europeo viene sinteticamente riportata daGargan, pp. 134-140, ricordando come il punto di partenza fosse stata la "fortunata" coincidenza di trovarsi, allora, ad Avignone la sede del papato (si veda laCattività avignonese per maggiori informazioni storiche), «centro situato in località propizia per essere un punto di contatto culturale tra nord e sud [Europa]» (Gargan, p. 135).
^Per avere uno sguardo complessivo della vita di Petrarca, si fruisca del libro diWilkins citato in bibliografia. Altro valido aiuto è rappresentato dal libro diPacca.
^Con l'umanesimo petrarchesco, difatti, i classici vengono visti nella loro condizione storica, e non più interpretati secondo l'esegesi cristiana operata nelMedioevo. CosìGarin, p. 21:
«Proprio l'atteggiamento assunto di fronte alla cultura del passato, al passato, definisce chiaramente l'essenza dell'umanesimo. E la peculiarità di tale atteggiamento...va collocata...in una ben definita coscienza storica. I "barbari" [i medioevali] non furono tali per aver ignorato i classici, ma per non averli compresi nella verità della loro situazione storica.»
«Tra Venezia, Padova e Bologna dominava l'aristotelismo scolastico: Petrarca vi oppone il suo cristianesimo spiritualista, venato di platonismo e di stoicismo, e la sua morale fondata su una lettura attenta e laica dei classici.»
«L'umanesimo rinascimentale non è soltanto l'amore e lo studio della sapienza classica e la dimostrazione del suo accordo con la verità cristiana; è anche e soprattutto la volontà di ripristinare nella sua forma autentica tale sapienza, di intenderla nella sua effettiva realtà storica.»
^Petrarca poneva, come conseguenza dello studio dei classici, l'apprendimento dell'etica greco-romana, un'etica virtuosa cui doveva corrispondere, nella vita quotidiana, un'ortoprassi identica. La teoria, esposta nellaFam. I, 9, è riportata daGarin, p. 26.
(latino) «Quid hic tibi dicere aliud videtur, quam quod in Proverbiis Salomon: «Iustus prior est accusator sui»? Aut quid aliud Seneca idem ad Lucilium, ubi ait «somnium narrare vigilantis est, et vitia sua confiteri sanitatis indicium est», quam quod in psalmo David: «Dixi: confitebor adversum me iniustitiam meam Domino (en confessio); et tu remisisti impietatem peccati mei (en sanitas confitentis)»? Quamvis ergo cui et qualiter confitendum sit nemo nisi cristianus noverit, tamen peccati notitia et conscientie stimulus, penitentia et confessio comunia sunt omnium ratione pollentium.»
(italiano) «Che cosa sembra che ti dica costui a te, quanto ciò Salomone [disse] neiProverbi: "Il giusto è il primo accusatore di sé stesso?" O che cos'altro il medesimo Seneca [disse a Lucilio], quando esclamò: "è proprio di colui che vigila narrare il sogno, ed è segno di probità ammettere i propri vizi", quanto ciò Davide [disse anche] nel salmo: "Ho detto: denuncerò contro me stesso la mia ingiustizia al Signore (ecco la confessione); e tu rimettesti l'empietà del mio peccato (ecco l'assennatezza del penitente)"? Per quanto a costoro [Salomone e Davide] e, così come nessuno se non il cristiano ha ristorato ciò che si deve confessare, il pentimento e il riconoscimento [delle proprie colpe] sono comuni a tutti coloro che sono dotati di ragione.»
«[Il Boccaccio] intravvide, seppur vagamente, che l'Umanesimo per esser veramente integrale doveva completarsi con la matrice della cultura e della 'humanitas latina, cioè con la cultura e l'humanitas' dei Greci»
«Lo scrittore che, fin dal secolo XIV passava senza contrasto come il modello più perfetto della prosa latina, era Cicerone [...] Ma [Petrarca] nutriva per lui troppa venerazione, per mostrarsi lieto di una tale scoperta; e dal suo tempo in poi, l'epistolografia in primo luogo e in seguito tutti gli altri generi di composizione, eccettuato soltanto il narrativo, non avevano preso altro modello, fuorché Cicerone.»
«Invece, a partire dal Petrarca..., l'Umanesimo viene affermandosi anche nel modo in cui le informazioni sono fatte circolare velocemente in un esteso e fitto intreccio di canali, grazie ai frequentissimi contatti personali favoriti dall'avventurosa mobilità di tanti studiosi, e soprattutto al commercio epistolare, istituzione principe e universalmente officiata nella nuova cultura.»
^Per un discorso generale sulla figura, l'opera generale e la lettera riportata di Poggio a Guarinocfr.Berté-Petoletti, pp. 226-232.
«Quando si dice che l'umanesimo rinascimentale ha scoperto o riscoperto "il valore dell'uomo" s'intende affermare che esso ha riconosciuto il valore dell'uomo come essere terrestre e mondano, inserito nel mondo della natura e della storia e capace di forgiare in esso il proprio destino.»
Si guardi anche il paragrafoPoggio Bracciolini e il valore dei beni terreni inGarin, pp. 54-58.
^Guglielmino-Grosser, p. 255: «Per quasi tutto il Quattrocento (sino all'ultimo quarto) il predominio del latino come lingua di cultura, a scapito del volgare, è nettissimo...»
«...Lorenzo il Magnifico, il quale, per sancire la superiorità culturale di Firenze, sollecità l'uso del volgare come lingua d'arte e affida così agli scrittori della sua corte, umanisti esperti dei classici latini, il compito di applicare al volgare toscano i costrutti eleganti che avevano condotto le lingue antiche alla loro perfezione morale.»
«L'umanesimo volgare avrà dunque la sua estrema definizione in senso politico-culturale. Il fiorentinismo che lo ispira da sempre sarà allora fiducia in un programma di espansione e di supremazia politica; e come tale non dissociabile dalla persona stessa [il Magnifico] del singolarissimo programmatore, promotore di cultura e di iniziative culturali prima ancora che mecenate.»
^L'attenzione alla pratica religiosa come rispecchiamento esteriore del sentimento interiore era proprio più della scuola di Vittorino da Feltre, come ricordanoCappelli, p. 132 eBurckhardt, p. 165.
«Non meno vigile e operoso fu il Bruni. Anch'egli cominciò a formarsi il primo nucleo coi doni del Crisolora, da cui ricevette unDemostene; sin poi dal 1400 pose mano alla ricca serie delle traduzioni dal greco colFedone platonico...»
«L'attività propriamente umanistica del Bruni è legata alla sua vasta opera di traduttore; oltre gli storici, già citati, tradusse Demostene,Eschine,san Basilio...e ancora ilFedone, ilGorgia, ilFedro, l'Apologia, ilCritone, alcune lettere e ilConvito di Platone. Se la traduzione dell'opera platonica diede un fecondo contributoalla diffusione del platonismo nell'umanesimo fiorentino, le versioni aristoteliche dellaNicomachea (1417), degliEconomici (1420), dellaPolitica (1434) intesero rinnovare la lettura del filosofo [cioèAristotele]....»
«Il Bruni è molto più abile e certo più coerente nel perseguire il suo [di Salutati] disegno apologetico. la sua critica ai sistemi tirannici non è affatto esplicita, ma è pure meno contingente: si proietta infatti nella celebrazione delle origini repubblicane di Firenze, fondata quando ancora a Roma [la libertà]...dove glisceleratissimi latrones sono Giulio Cesare e gli imperatori successivi, che hanno tolto a Roma la libertà repubblicana di cui Firenze è rimasta unica erede e fiera custode...»
Edward W. Bodnar e Clive Foss (a cura di),Cyriac of Ancona: Later travels, Cambridge (Massachusetts), Harvard University Press, 2003,ISBN0-674-00758-1. Bodnar chiama Ciriaco: «the founding father of modern classical archeology» ("il padre fondatore della moderna archeologia classica");
«Quindi, se Ciriaco de' Pizzicolli (v. Ciriaco D'Ancona), che viaggiò in Grecia fra il 1412 e il 1448 ricercando e annotando opere d'arte e iscrizioni, può dirsi, in certo modo, il fondatore dell'archeologia in senso generale, l'archeologia nel suo carattere storico-artistico, come viene intesa oggi, può ben dirsi datare dalla pubblicazione della Storia delle arti del disegno presso gli antichi di J. J. Winckelmann, avvenuta nel 1764»
«Si trattava di una forma di stato repubblicano ovviamentesui generis, fondato sulla conservazione istituzionale, sull'equilibrio tra i poteri e sulla programmatica esclusione dell'allargamento della partecipazione al governo cittadino.»
«...il primo umanesimo veneto appare caratterizzato soprattutto da funzioni - per così dire - istituzionali: accolto nelle grandi famiglie dell'aristocrazia, l'umanesimo contribuì soprattutto alla formazione di uomini politici, ambasciatori, prelati.»
^Testimonianza del metodo storico, basato sullaveritas historiae, è la lettera cheLapo da Castiglionchio il Giovane invia al Biondo, nell'aprile del 1437. In essa, Lapo elogia Biondi, per aver osservato i precetti della storiografia antica, senza però esserne un pedissequo emulatore:
(latino) «Nam quae sunt primum hystoricis quasi impositae leges, ut ne quid falsum admiscere audeant, ne quid verum praetermittant, ne...a vera ac recta sententia deducantur, abs te diligentissime conservatae sunt.»
(italiano) «In primo luogo, difatti, queste sono delle sorti di leggi imposte agli storici, affinché non osino aggiungervi qualcosa di falso, non omettano qualcosa di vero, e non si allontanino da un discorso vero e giusto, e da te [queste leggi] sono conservate in modo assai diligente.»
^Kelly, p. 413: «Il suo ideale di essere il restauratore di Roma, il protettore degli uomini di lettere e l'assertore del papato come guida della civilizzazione...»
^InTateo, Niccolò V questi sono soltanto alcuni degli umanisti più importanti che giunsero a Roma chiamati dal loro "collega" divenuto papa. Nell'organizzazione dei codici della Biblioteca Vaticana e nella loro traduzione dal greco in latino, infatti, furono chiamati un'infinità di intellettuali di cui si riportano i nomi:
«Tradussero dal greco per il pontefice, e in qualche caso conosciamo la loro lautissima retribuzione, Giovanni Aurispa, Poggio Bracciolini, Pietro Balbi, Pier Candido Decembrio, Francesco Filelfo, Teodoro Gaza, Giorgio da Trebisonda, Gregorio Tifernate, Guarino da Verona, Jacopo da San Cassiano, Lilio Tifernate, Giannozzo Manetti, Carlo Marsuppini, Orazio Romano, Nicolò Perotti, Lorenzo Valla, Rinuccio da Castiglione che, ancor prima dell'elezione al pontificato, aveva tradotto per il Parentucelli le Favole di Esopo, Maffeo Vegio. Altrettanto ampio il novero di coloro che dedicarono loro opere e loro traduzioni a N.: come Andrea Contrario, Antonio Agli, Antonio da Bitonto, Antonio Tridentone, Rodrigo Sánchez de Arévalo, Bartolomeo Facio, Basinio da Parma, Benedetto da Norcia, Bernardo da Rosergio, Biondo Flavio, Lampugnino Birago, Poggio Bracciolini, Filippo Calandrini, Michele Canensi, Leonardo Dati, Pietro del Monte, Gaspare da Verona, Giano Pannonio, Giovanni da Capestrano, Giovanni Giusti, Pietro Godi, Girolamo Guarini, Leonardo da Chio, Lorenzo da Pisa, Lupo da Speio, Paolo Maffei, Timoteo Maffei, Giovanni Marrasio, Nicolò Cusano, Porcelio Pandone, Nicolò Perotti, Lauro Quirini, Giovanni Serra che si offrì anche come biografo, Raffaele da Pornassio, Rinuccio da Castiglione, Giovanni Torquemada, Giovanni Tortelli.»
«...quindi si trasferì a Roma (1462-63) quando il suo allievo Francesco Gonzaga ricevette la nomina cardinalizia, e a Roma concluse felicemente la sua carriera di umanista come prefetto della Biblioteca vaticana.»
«...e i suoi [di Paolo II] successori, Sisto, Innocenzo e Alessandro accettarono sì qualche dedica e si lasciarono esaltare dai poeti senza misura (si parla persino di unaBorgiade, scritta probabilmente inesametri), ma ebbero in generale ben altre occupazioni e cercarono appoggi più solidi, che non fossero le servizi adulazioni dei poeti-filologi.»
Sempre inIbidem, nota 90, Burckhardt rivela il nome dell'autore dell'incompiutaBorgiade, taleSferulo da Camerino.
«Scipione e Cesare, simboli rispettivamente della repubblica e della monarchia, sono i due grandi eroi antitetici su cui il poeta aretino per primo richiamò puntualmente l'attenzione dei contemporanei [...] La contrapposizione...era tra libertà individuale ed efficacia nell'azione di governo, tra repubblica e monarchia.»
^Tateo: «aveva scritto infatti, per onorare i Gonzaga suoi protettori, una storia della città di Mantova (Historia urbis Mantuae), iniziata nel 1466 e completata nel 1469.»
Nicola Abbagnano,La filosofia antica (dalle origini al neoplatonismo), a cura di Nicola Abbagnano, collanaStoria della filosofia, vol. 1, Milano, TEA, 2001,ISBN88-7819-717-3.
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