Latragedia (dalgreco anticoτραγῳδία?,trago[i]día) è una delle forme più antiche diteatro. Le sue origini sono incerte, ma derivano certamente dalla ricca tradizione poetica e religiosa dellaGrecia antica.
La tragedia nasce intorno alVI secolo a.C. nell'Antica Grecia, in onore del dioDioniso, il quale veniva festeggiato con danze, canti e feste. Per i riti sacri, tutto, dai commerci alle guerre, si fermava, anche per tre o quattro giorni e i commercianti che perdevano giorni di lavori venivano retribuiti. I primi teatri erano costruiti in legno, ma successivamente si optò per la muratura, essendo il legno poco impermeabile. Il teatro, oltre ad essere un luogo sacro, era anche un luogo di riunione sociale e culturale. L'origine del termine è avvolta nel mistero: secondo le teorie più accreditate la prima parte del nome va messa in rapporto contràgos "caprone" e la seconda conoidè "canto". Si pensa infatti che la tragedia sia così chiamata o perché il vincitore della gara otteneva un capro come ricompensa (canto per il capro), oppure perché i coreuti indossavano delle maschere con sembianze caprine (canto dei capri).
Aristotele afferma che la tragedia discende dalditirambo. Secondo Aristotele il nome "drama" deriverebbe dal dorico δρᾶν "drán" "fare/agire". Inoltre, nella Poetica (1450) definisce la tragedia un'«imitazione di un'azione seria e compiuta in se stessa, che abbia una certa ampiezza, un linguaggio ornato in proporzione diversa a seconda delle diverse parti, si svolga a mezzo di personaggi che agiscano sulla scena e non narrino».
In epoca anticaAtene rivendicò la paternità della tragedia, anche se la lingua in cui ilcoro si esprimeva è lalingua dorica.
Iltempo della tragedia è un presente assoluto "hic et nunc" che agisce in quella 'realtà alternativa' che è il momento teatrale. Lospettatore dellaGrecia antica che assiste ad una tragedia vive una realtà che differisce da quella che sperimenta quotidianamente, ma che è altrettanto reale. L'atto teatrale, che accade in un tempo presente contemporaneo a quello di chi assiste, rende possibile qualsiasi evento imprevisto, esattamente come il presente dell'esperienza quotidiana, pur rifacendosi aimiti che in quanto tali sono eventi passati e immutabili.
L'eroe tragico, impersonato dall'attore, non perde la sua facoltà di autodeterminazione: i testi tragici sottolineano la volontà dell'uomo come elemento determinante, mettendolo a confronto con una alternativa, nella quale egli può ancora scegliere.
La contraddizione, all'interno dell'illusione teatrale, è tra il presente scenico e il passato delmito, nel quale la scelta è già stata fatta. Nella tragedia prende forma il paradosso della coesistenza di due diversi universi temporali. Il percorso obbligato del mito costituisce ildestino dell'eroe tragico, iniziando la riflessione umana sul contrasto tranecessità elibertà, riflessione con la quale anche il mondo contemporaneo continua a confrontarsi.
Mentre perEschilo la tragedia è quella della giustizia divina, del rapporto dell'uomo e dell'intera stirpe umana con le divinità, perSofocle gli dei sono potenti ma lontani e la tragedia rappresenta il dolore e l'infelicità dell'uomo che non accetta mai compromessi.Euripide si distingue dagli altri due grandi autori perchémette in evidenza il ruolo dell'irrazionale, della passione e dei sentimenti.
Al tempo dell'antica Grecia esisteva uncoro di dodici (e in seguito quindici) persone, che aveva il compito di cantare le parti ad esso dedicate (chiamate stasimi) ed interagire con gli attori durante le parti recitate (episodi). Col passare del tempo però furono gli attori stessi ad acquisire sempre maggiore importanza, mentre, al contrario, il coro vide sempre più ridotti i suoi interventi e le interazioni con gli attori: sono questi ultimi, infatti, che diventano sempre più il nucleo centrale attorno a cui ruota lo spettacolo.
Latragedia greca propriamente detta si stempera nel periodo romano repubblicano. IRomani hanno adattato le tragedie al loro tempo e alla loro cultura nellefabulae praetextae. Tra i grandi autori di tragedie di ambito romano si possono ricordare nomi come Ennio e Nevio.La tragedia greca riprende vigore conLucio Anneo Seneca, ma il gusto dell'orrido, del magniloquente e il grande numero di personaggi (non adatto per il teatro tragico a quel tempo) portano a ritenere che esse non fossero rappresentate ma destinate alla declamazione.Nell'era cristiana scorgiamo alcuni monaci, comeRosvita che cercano di riprendere la modulistica tragica classica per parlare di argomenti biblici e sacri a fini apologetici e di conversione.
Ilmedioevo è caratterizzato da molte rappresentazioni, per lo più a sfondo sacro ed edificante, ma difficilmente possiamo scorgervi un legame o una parentela con la tragedia.
La tragedia rinasce invece in tempi più moderni, e si riallaccia in qualche modo alle epoche precedenti, ma anche trasformandosi e a volte fondendosi in forme nuove. Ecco che si rinverdiscono i temi mitologici (es.Metastasio), si fa confluire la tragedia con l'Opera lirica (secondo gli autori rinascimentali la tragedia greca veniva esclusivamente cantata e non interpretata) e quando si disperdono i temi mitologici gli argomenti restano comunque spesso eroici, aulici e lontani dal quotidiano, accostandosi così ai temi cari ai cantori delle gesta di questo o quel personaggio.Questo accade già in epocarinascimentale e post-rinascimentale, con autori che la rappresentano sulla scena (come ad esempioShakespeare) che peraltro si basa su moduli e temi originali o, col tempo, anche in forma del tutto letteraria, che conserva un legame più o meno forte con la rappresentazione teatrale, o lo perde del tutto, divenendo un genere da leggere, senza neppure più ambire ad una scena.
Si può dunque dire che negli ultimi secoli il cammino della tragedia si diversifica: vi è quella che mantiene un rapporto stretto con la scena (es.Brecht, ecc. ) quella che diviene un genere letterario, quella che confluisce nell'opera lirica (La clemenza di Tito musicata daMozart, invece senza più ambizioni di imitazione del teatro classico l'Elettra diStrauss oppure ancora “Il lamento di Arianna” di Claudio Monteverdi), quella che al contrario riafferma la sua vicinanza alla poesia pura (es.Alessandro Manzoni, ma ancheOscar Wilde ecc.), quella che reinterpreta i miti greci, o che rappresenta le tragedie sociali del presente (per esempio,I cattivi pastori, diOctave Mirbeau, 1897), e così via.
La tragedia manzoniana si distanzia da quella classica, il soggetto non è più il mito ma il tema storico e le trame sono verosimili, giacché non avvengono eventi soprannaturali come nella tragedia classica (causati dagli dei), inoltre la tragedia manzoniana è dilatata nel tempo e nello spazio rispetto a quella classica (la cui storia si concludeva generalmente entro pochi giorni).
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