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Tibet (Stato)

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Stato del Tibet
Stato del Tibet - Localizzazione
Stato del Tibet - Localizzazione
Il Tibet durante la Seconda guerra mondiale.
Dati amministrativi
Nome completoStato del Tibet
Nome ufficialeབོད་Bod
Lingue ufficialitibetano
Lingue parlateTibetano
Innoinno nazionale tibetano
CapitaleLhasa
Politica
Forma di StatoTeocrazia
Forma di governoMonarchia assolutaelettiva
Organi deliberativiAssemblea (Tshogs du)
Nascita1912 conThubten Gyatso
CausaCaduta della dinastia Qing
Fine1950 conTenzin Gyatso
CausaAnnessione allaCina
Territorio e popolazione
Bacino geograficoRegione himalayana
Massima estensione1500000 km² circa nelXX secolo (anni trenta)
Popolazione2.000.000 di abitanti circa nelXX secolo (anni trenta)
Economia
RisorseAgricoltura,allevamento,minerali
Commerci conCina,Nepal,Regno del Sikkim,Impero britannico
Religione e società
Religione di StatoBuddismo tibetano
Classi socialiClero,aristocrazia,popolo
Mappa del Tibet nel1864.
Evoluzione storica
Preceduto daCina (bandiera)Dinastia Qing
Succeduto daCina (bandiera)Cina (Regione Autonoma del Tibet)
Ora parte diCina (bandiera) Cina
Nepal (bandiera) Nepal
India (bandiera) India
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LoStato del Tibet (intibetanoབོད་, BodW) fu uno Statoindipendente dal 1912 al 1951, governato da unateocraziabuddista. La sua indipendenza non venne mai riconosciuta daiQing, che amministrarono direttamente il Tibet dal 1724 al 1865 e nuovamente dal 1910 al 1916. L'indipendenza tibetana si concluse nel1950, quando lo stato fu occupato dalle truppe diMao Zedong per diventare unaregione autonoma dellaCina.[1]

Storia

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Lo stesso argomento in dettaglio:Storia del Tibet.
Ilpalazzo del Potala
Le guardie delDalai Lama nel1938

Nel1239 Godan Khan, nipote del più notoGengis occupò il Tibet, diviso e debole, distruggendo molti monasteri e uccidendo un grande numero di monaci. Il suo consigliere era il tibetano Sakya Pandt, capo della setta buddista deiBerretti rossi, che in seguito conquisterà il potere temporale. La sovranità ufficiale apparteneva all'Impero mongolo, ma la suddettaconsorteria governò il territorio per più di un secolo dalla città di Sakya. L'equilibrio vacillò allorché l'associazione deiBerretti gialli attuò un'incisiva riforma liturgica e riunì i gruppi oppositori deiBerretti rossi. Il movimento, guidato dal monaco Tson Khapa (1357-1419), ottenne l'appoggio deimongoli e, nel1578, uno dei suoi membri,Sönam Gyatso (1578-1588), fu nominatoDalai Lama, termine mongolo con il significato diVasto come un Oceano. Da quell'anno il potere spirituale e temporale fu attribuito ai cosiddettibuddisti riformati che lo esercitarono fino al1950.[2]

I primi due Dalai Lama,Gedun Drub (1391-1474) eGedun Gyatso (1475-1542) ebbero una limitata potestà: il quinto, invece, fu storicamente uno dei più significativi.Ngawang Lobsang Gyatso (1617-1682), detto ilGrande V, riuscì a compiere, per quei tempi, importanti riforme e a rinnovare la struttura amministrativa del Paese. Mantenne diplomaticamente, per il bene del Tibet, cordiali rapporti con i mongoli e con i cinesi, tanto da essere ricevuto - primo capo di Stato tibetano - dall'imperatore Fúlín aPechino. La manifestazione più visibile del suo potere fu la costruzione aLhasa (sulle rovine di un castello delVII secolo) dell'imponentepalazzo del Potala, residenza ufficiale e anche luogo di sepoltura dei Dalai Lama che lo alternavano successivamente con il palazzo d'estate diNorbulingka.[3]

Nei secoliXVII eXVIII il regno attraversò un periodo di grande incertezza e degenerazione, favorevole agli interventi degli stranieri, con sovrani deboli di carattere o non interessati alla politica. Quando morì nel1804 l'VIII Dalai LamaJamphel Gyatso, i Reggenti e gli abati dei grandi monasteri trovarono un accordo per mantenere a lungo il potere, facendo in modo che gliincarnati non raggiungessero mai la maggiore età, perché decedevano assai giovani. Si dovette attendere il XIII Dalai Lama affinché, almeno sotto tale aspetto, la situazione si ristabilisse.[4]

L'ultimoDalai Lama a 5 anni
Lhasa nel1938

I successori del V Dalai Lama furono costretti, inoltre, nelXIX secolo, a tener debitamente conto dei cambiamenti politici che si verificarono in Asia a causa della potente presenza dell'Impero britannico. Il conflitto con il Nepal favorì, nel1878, l'intervento mediatore del governatore inglese delBengala H. Hastings - primo diplomatico occidentale a incontrare le autorità tibetane - che ottenne agevolazioni commerciali dalPanchen Lama (la seconda carica più influente dello Stato), reggente durante la minore età diThubten Gyatso. I britannici, timorosi di un'espansione dell'ascendente russo sul Paese himalayano, occuparono Lhasa nel1904: il XIII Dalai Lama, figura di notevole spessore della storia locale, dovette riparare in Mongolia per rientrare cinque anni dopo.[5]

I cinesi s'impadronirono di nuovo del Tibet, ma dovettero desistere a causa della caduta delladinastia Qing, nonostante di fatto avessero per la prima volta assunto la sovranità dello Stato confinante. Il Dalai Lama, fuggito questa volta in India, ritornò ribadendo l'indipendenza tibetana dalla Cina. Quando nel1933 morì il XIII Dalai Lama, il ministro delle finanze Tsipon Lungshar tentò un colpo di Stato e i cinesi inviarono alcuni osservatori. Dopo una lunga ricerca, nel1935, fu rintracciata l'incarnazione del XIV Dalai Lama,Tenzin Gyatso, del quale fu reggente Taktra Rimpochè. Il Tibet mantenne una posizione neutrale durante laseconda guerra mondiale, pur permettendo ai velivoli anglo-americani di sorvolare il suo spazio aereo.[6]

Nel1950 l'esercito cinese invase la parte orientale del Tibet, proprio quando il Dalai Lama entrava nella pienezza delle proprie funzioni. I suoi poteri e quelli del Panchen Lama furono praticamente annullati, nonostante continuassero a risiedere nei loro palazzi a Lhasa, circondati dalle rispettivecorti.[7] Il 17 marzo1959 il Dalai Lama, con i suoi funzionari e migliaia di nativi, abbandonò il Tibet e, sostenuto dal primo ministro indianoJawaharlal Nehru, fissò la sua dimora aDharamsala, costituendo ungoverno in esilio. Il Tibet fu annesso allaRepubblica Popolare Cinese.[8]

Istituzioni

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L'Oracolo Nechung
Il palazzo d'estateNorbulingka
Un passaporto tibetano del1949

Il sistema istituzionale tibetano, che era di tipomonarchico, permetteva continuità di direttive e fu attuato per evitare le frequenti controversie tra lesette e che il potere fosse esercitato da pochi soggetti. L'originalità si basava sull'apparizione di un bambino, estraneo agli intrighi di corte, educato con severità esclusivamente per ricoprire, al compimento della maggiore età, il suo altissimo ruolo. L'unico inconveniente era la necessaria reggenza, a volte affidata a personaggi non all'altezza del compito.[9]

Dopo il Dalai Lama e il Reggente (Bod Gyalpo), l'ordinamento prevedeva un organo deliberativo, l'Assemblea (Tshogs du), con poteri essenzialmente di discussione e consultivi, non vincolanti: era composta dagli abati dei più importanti monasteri e da alcuni abbienti proprietari terrieri laici. Anche il governo era ripartito in due componenti, una concernente gli argomenti religiosi, l'altra per le questioni civili. Il Consiglio dei Grandi Segretari, invece, si occupava dell'ordine clericale e dell'amministrazione dei patrimoni immobiliari dei monasteri. Il Consiglio dei Ministri era costituito da un monaco e da tre laici. Il Kashag sovraintendeva al controllo dell'amministrazione politica e giudiziaria e aveva un compito fondamentale nella ricerca del nuovo Dalai Lama. L'esercito era formato anch'esso da monaci e da laici, i grandi monasteri disponevano di personali milizie. Oltre al Panchen Lama, seconda autorità religiosa del Tibet, era determinante l'Oracolo Nechung, interrogato per le questioni più significative dagli aristocratici e dal governo, residente in un proprio monastero, a Lhasa, nei dintorni diDrepung.[10][11]

Sovrani del Tibet (1391-1950)

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Lo stesso argomento in dettaglio:Sovrani del Tibet.

Note

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  1. ^Deshayes, p. 268.
  2. ^Raineri e Crespi, pp. 18-19.
  3. ^Omodeo-Salé, p. 30.
  4. ^Omodeo-Salé, p. 34.
  5. ^Raineri e Crespi, p. 20.
  6. ^Raineri e Crespi, p. 21.
  7. ^Deshayes, p. 235.
  8. ^Omodeo-Salé, p. 39.
  9. ^Omodeo-Salé, p. 29.
  10. ^Deshayes, p. 41.
  11. ^Tucci, p. 100.

Bibliografia

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Voci correlate

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