| Tattiche della fanteria romana | |
|---|---|
| Descrizione generale | |
| Attiva | 753 a.C. -476 |
| Nazione | Roma Antica |
| Tipo | fanteria |
| Guarnigione/QG | accampamento romano |
| Patrono | Marte dio della guerra |
| Colori | Rosso |
| Battaglie/guerre | si veda la voceBattaglie romane |
| Decorazioni | Dona militaria |
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Pertattiche dellafanteria romana si intendono non solo un'analisi storica della sua evoluzione, ma anche quali manovre la fanteria mise in atto, dall'inizio della suafase regia, poirepubblicana edimperiale, fino allacaduta dell'Impero romano d'Occidente. Ciò risulta tanto più interessante se confrontato con le diverse tipologie di nemico, che l'esercito romano incontrò nei diversi secoli della sua esistenza.
La tattica mutò notevolmente nei dodici secoli distoria romana, che qui sotto ci apprestiamo ad analizzare. Basta ricordare cheRoma nell'VIII secolo a.C. era uno dei tanti e piccoli villaggi che popolavano ilLatium vetus e sottoAugusto occupava ormai tutti i territori intorno albacino del Mediterraneo. È evidente che la struttura militare del suo esercito e la conseguente tattica, mutarono insieme alle conquiste che via via ne ampliarono i territori inglobati, influenzata dalle tendenze politiche, sociali ed economiche di cui la città si arricchiva, ed ai popoli che a Roma "regalavano" di volta in volta le loro conoscenze belliche.
Roma fu molto abile nell'assorbire il meglio delle differenti tattiche, degli armamenti e dell'organizzazione militare, dei suoi nemici, con i quali si scontrò nei secoli (dall'VIII secolo a.C. alV secolo d.C.). Essa si adattò in modo estremamente flessibile e rapido, grazie al forte senso di disciplina che la società romana imponeva al propriomiles ed alla ferrea volontà di cercare di perseguire ad ogni costo la vittoria completa, a volte senza mediazioni o senza farsi grossi scrupoli.

Le tecniche di questo periodo erano molto simili a quelle di altripopoli italici, in particolare aiLatini, di cuiRoma faceva parte, e non dovevano essere di sicuro migliori di quelle utilizzate nella vicinaMagna Grecia. Al contrario, si trattava di un combattimento semplice ma violento, non particolarmente ordinato, tra poche centinaia di uomini dei vicini villaggi, che poteva durare anche pochi minuti, difficilmente alcune ore.[1] Vi era poi la consuetudine di lanciare un potente grido di guerra per intimorire l'avversario, prima dello scontro, come del resto in tutto il mondo antico.[2] A ciò si aggiunge il fatto che spesso, sempre per scoraggiare il nemico, venivano battute le aste o le spade contro gli scudi generando un grande fragore.[3]
Ora sulla base dei recenti ritrovamenti archeologici si è potuto notare che il primo esercito romano, quello diepoca romulea, era costituito da fanti che avevano preso il modo di combattere e l'armamento dallaciviltà villanoviana della vicinaEtruria. I guerrieri combattevano prevalentemente a piedi con lance, giavellotti, spade (con lame normalmente in bronzo, ed in rari casi in ferro, della lunghezza variabile tra i 33 ed i 56 cm[4]), pugnali (con lame di lunghezza compresa tra i 25 ed i 41 cm[5]) ed asce, mentre solo i più ricchi potevano permettersi un'armatura composta da elmo e corazza, gli altri una piccola protezione rettangolare sul petto, davanti al cuore, delle dimensioni di circa 15 x 22 cm.[6] Gli scudi avevano dimensioni variabili (comprese tra i 50 ed i 97 cm[7]) e di forma prevalentemente rotonda (i cosiddetticlipeus, abbandonati secondoTito Livio attorno alla fine delV secolo a.C.[8]) atti ad una miglior maneggevolezza.[4]Plutarco racconta, inoltre, che una volta uniti tra loro,Romani eSabini,Romolo introdusse gli scudi di tipo sabino, abbandonando il precedente di tipoargivo e modificando le precedenti armature.[9]
Il combattimento, in verità, prevedeva, sulla base delle tradizioniomeriche, una serie di duelli tra i "campioni" dei rispettivi schieramenti, in genere tra i guerrieri più nobili, dotati di maggior coraggio e abilità (vedi ad esempio l'episodio tramandatoci degliOrazi e Curiazi[10]), equipaggiati con il miglior armamento. Ipatrizi ed i loroclienti più ricchi, combattevano in prima linea, i soli a potersi permettere armature, scudi, spade, elmi di qualità, oltre ad una cavalcatura (da cui smontavano, prima dello scontro). I più indigenti, non potendo permettersi a protezione del proprio corpo nessuna armatura completa (a volte solo una piastra di cuoio o bronzo, davanti al proprio petto), ma solo scudi in legno, venivano schierati nelle file più arretrate. I più poveri, dotati di sole armi da lancio, come giavellotti e fionde, o anche rudimentali scuri, erano invece utilizzati all'inizio dello scontro, per provocare e disturbare il nemico schierato con continui e fastidiosi lanci di proiettili da lontano, oppure all'inseguimento del nemico in fuga, dopo uno scontro vittorioso.[1]
L'esercito diRomolo, descritto daTito Livio, potrebbe essere stato, quindi, un'anticipazione di quello di epoca successiva diServio Tullio.[a 1] Secondo Livio, infatti, sarebbe statoRomolo a creare, sull'esempio dellafalange greca,[11] lalegione romana, formata da 3.000 fanti e 300 cavalieri.[12][13][14] La legione si disponeva su tre file,[8] con lacavalleria ai lati. Ogni fila di 1.000 armati era comandata da untribunus militum, mentre gli squadroni di cavalleria erano alle dipendenze deitribuni celerum.[15]
Tito Livio racconta di una forma particolare di ordine di marcia dell'esercito romano in territorio nemico: si trattava del cosiddettoagmen quadratum, dove in testa ed in coda c'erano le due legioni consolari, ai lati leali deisocii, al centro i bagagli di tutte le quattro unità menzionate (ovvero gliimpedimenta dellelegio I eII oltre a quelli delle dueali). Tale ordine di marcia fu utilizzato fin dall'inizio dellaRepubblica,[16] menzionato anche durante leguerre sannitiche,[17] laguerra annibalica,[18] laguerra giugurtina,[19] e labattaglia di Carre.[20]
Con l'occupazione diRoma da parte degliEtruschi e la successiva riforma diServio Tullio, ilnuovo esercito, di stampo quindietrusco-greco, fu reclutato tra i cittadini romani secondo il loro ceto sociale: di conseguenza, composizione, equipaggiamento e aspetto delle singole file, potevano variare molto tra le cinque differenti "classi" sociali. Le formazioni armate comprendevano sia corpi diopliti (fanteria pesante), sia di truppe leggere (velites) e dicavalleria.
(Ateneo di Naucrati,I Deipnosofisti oI dotti a banchetto ovveroI filosofi esperti dei misteri della culinaria, VI, 106.)
Gliopliti della prima fila formavano un "muro di enormi scudi rotondi" parzialmente sovrapposti, in modo che il loro fianco destro venisse protetto dallo scudo del vicino commilitone. Sostenevano un addestramento costante ed il maggior peso del combattimento, che effettuavano in modo estremamente compatto, armati di lancia e spada, difesi da scudo, elmo e corazza (o comunque con una protezione pettorale).
(Tito Livio,Ab Urbe condita libri, VIII, 38.)
I comandanti romani erano spesso in prima linea, per dare dimostrazione del proprio coraggio ed impeto ai propri soldati, ai fini del buon esito della battaglia. Ciò portava, però ed inevitabilmente, ad una loro alta mortalità a causa dell'elevato rischio a cui erano esposti.Tito Livio racconta che lo stessoTarquinio il Superbo, nel tentativo di riottenere il potere aRoma, mosse guerra contro ildittatore romanoAulo Postumio Albo Regillense, dopo essersi portato nelle prime fila del suo schieramento:
(Tito Livio,Ab Urbe condita libri, II, 19.)
L'obiettivo rimaneva quello di far cedere lo schieramento opposto, cercando di incunearsi dovunque l'avversario si trovasse in maggiori difficoltà, e spezzare così le file nemiche. La spinta avveniva anche grazie alla pressione delle formazioni più arretrate che si accalcavano, premendo con grande impeto e sospingendo la propria prima fila contro il "muro" umano nemico. Sembrava di assistere ad una gara di forza, dove dopo alcuni ondeggiamenti iniziali di due "muri umani" ormai a stretto contatto, una delle due parti subiva l'inevitabile sfondamento e successivo travolgimento, fino alla sconfitta finale. Da qui l'importanza che i comandanti delle retroguardie assumevano per dirigere la spinta da tergo.[21]
(Tito Livio,Ab Urbe condita libri, VIII, 38.)

L'avanzamento del singolo combattente, dotato di maggior ardore combattivo o forza fisica, era ritenuto assai inutile nella ferrea disciplina romana, ma soprattutto pericoloso per lo schieramento falangitico, che poteva portare alla rottura dello schieramento in piena battaglia, con conseguenze disastrose. La fuoriuscita dalle linee del proprio schieramento, era pertanto considerata una colpa assai grave, non un atto eroico, e quindi punita anche con la morte.[21] Nel340 a.C. il consoleTito Manlio Torquato punì il proprio figlio con la decapitazione, per aver disobbedito agli ordini, spingendosi con grande furore combattivo oltre le file romane e mettendo a rischio l'integrità del proprio schieramento, come ci racconta Livio:
(Tito Livio,Ab Urbe condita libri, VIII, 7.)
Considerato la loro esiguità numerica, si può pensare che combattessero affiancati da guerrieri con gli stessi compiti, ma con armamento e protezioni minori.[22] Lo scudo di grandi dimensioni dava la maggior protezione al corpo: poteva essere rotondo in bronzo con due maniglie (di tipoargivo) oppure rettangolare con bordi arrotondati e rinforzo verticale centrale (a modelloceltico oitalico). L'elmo di bronzo poteva avere o meno la cresta ed era inizialmente di tipo villanoviano, con la famosa cresta metallica, o ditipo Negau amorione; successivamente si usarono elmi a campana e, a seguito dei contatti con le città greche, ditipo calcidese (con paraguance e paranuca e le orecchie scoperte),corinzio (a copertura quasi totale, con paranaso ed una sola fessura centrale per gli occhi e parte della bocca) ed etrusco-corinzio (senza paranaso e con apertura leggermente più aperta. La protezione alle gambe era possibile dotandosi dischinieri di bronzo, e quindi era disponibile solo per gli opliti armati più pesantemente.
Le truppe leggere comprendevano fanti leggeri e tiratori e dovevano provocare il nemico, disturbarlo e disorganizzarlo prima dell'urto degli opliti. Ifanti leggeri erano armati di giavellotti, difesi da uno scudo rotondo, indossavano un elmo ma non usavano corazza né piastre pettorali. I tiratori potevano esserearcieri ofrombolieri e portavano al fianco una piccola spada, pugnale o coltello per la difesa personale, ma non avevano alcuna protezione. Vanno anche ricordati gliascieri, che operavano insieme agli opliti con il compito di tagliare le lance della formazione avversaria: essi usavano inizialmente un'ascia ad una mano nel periodo villanoviano, per poi passare a quelle a due mani ad un taglio o bipenni. La loro protezione era affidata ad un elmo e a qualche forma di protezione pettorale, piastre o corazze.
Lacavalleria si basava sulla mobilità e aveva compiti di avanguardia ed esplorazione, di scorta, nonché per azioni di disturbo o di inseguimento al termine dellabattaglia, o infine per spostarsi rapidamente sul campo di battaglia e prestare soccorso a reparti di fanteria in difficoltà.[23] I cavalieri usavano briglie e morsi, ma le staffe e la sella erano sconosciuti: non è quindi ipotizzabile una cavalleria "da urto". Quei cavalieri che, nelle stele funerarie appaiono armati di lancia e spada, protetti da un elmo, magari con scudo e piastra pettorale, erano molto probabilmente una sorta di fanteria oplitica mobile.


Un primo esempio diformazione "a testuggine" (testudo) utilizzato dallafanteria romana, fu menzionato daTito Livio nel corso dell'assedio di Veio e diquello di Roma degli inizi delIV secolo.[24] In questa situazione i soldati romani serravano le file e si avvicinavano tra loro, quasi fossero delle tegole di un tetto che ripara dalla "pioggia di dardi e frecce", sovrapponendo gli scudi, tenendoli di fronte a loro ed alzati sulle loro teste. Sembrava di vedere un carro armato vivente, che avanzava sotto i colpi degli arcieri nemici, limitando al minimo le perdite. Ovviamente la testuggine era una formazione lenta, che era spesso utilizzata negliassedi, per avvicinarsi alle mura avversarie, oppure in battaglia in campo aperto, quando si era circondati da ogni lato, come accadde nellacampagna partica di Marco Antonio.[25][26]
Questo tipo di formazione era usato soprattutto in fase diassedio alle mura di una fortezza nemica.[26] Viene ricordata ancora da Livio durante leguerre sannitiche[27] o daGaio Sallustio Crispo durante laguerra giugurtina.[28] E perché fosse efficace, necessitava di grande affiatamento di reparto, coordinazione nei movimenti ed esercitazioni specifiche.

Spesso però tale formazione fu impiegata in Oriente, di fronte alla terribile cavalleria deicatafrattipartici o degli arcieri orientali, come accadde durante lecampagne di Marco Antonio:[26]
(Cassio Dione Cocceiano,Storie, XLIX, 30.)
Appartengono a questo periodo i primi assedi subiti dalla città diRoma ad opera degliEtruschi diPorsenna e deiGalli diBrenno, da cui i Romani evidentemente appresero nuove tecniche per occupare le vicine città etrusche elatine. Risalirebbe, infatti, al396 a.C. ilprimo importante assedio ad opera dei Romani tramandatoci dagli antichi scrittori latini: lacaduta di Veio, dove si racconta che Camillo si diresse su Veio, fece costruire alcuni fortini ed una galleria che doveva arrivare fino alla rocca, passando sotto le mura nemiche. Gli scavatori furono divisi in sei squadre che si avvicendavano ogni sei ore. Dopo giorni e giorni in cui gli assalti romani erano stati sospesi, con sommo stupore degli etruschi, il re di Veio stava celebrando un sacrificio nel tempio di Giunone quando gli assaltatori romani, che avevano quasi terminato lo scavo e attendevano di abbattere l'ultimo diaframma, udirono il presagio dell'aruspice etrusco: la vittoria sarebbe andata a chi avesse tagliato le viscere di quella vittima. I soldati romani uscirono dal cunicolo, iniziarono l'attacco e prese le viscere le portarono al loro dittatore. Nello stesso tempo fu sferrato l'attacco generale di tutte le forze romane contro i difensori delle mura. Così, mentre tutti accorrevano sui bastioni,
(Tito Livio,Ab Urbe condita libri, V, 21., Newton Compton, Roma, trad.: G.D. Mazzocato)
In una pausa dei combattimenti Camillo ordinò, per mezzo di banditori, di risparmiare chi non portava armi. Il massacro si arrestò e si scatenò il saccheggio.

Roma, al principio delIV secolo a.C., aveva appena sperimentato un decisivo salto di qualità dellasua storia, sia per l'importante acquisizione territoriale sia per l'esibizione di un'accresciuta disciplina e organizzazione militare, uscendo vittoriosa nel396 a.C. dalleguerre con Veio.[29] Lacaduta di Veio aveva comportato un riequilibrio degli assetti politici delle altrecapitali etrusche e delle loro tradizionali tensioni interne: l'ostilità verso Veio era malamente adombrata dalla neutralità manifestata dalle altre città delladodecapoli etrusca gravitante intorno alFanum Voltumnae: in almeno un caso, questa ostilità era apertamente sfociata nell'aperta alleanza offerta a Roma daCaere (Cerveteri).[29] Un altro effetto fu l'accresciuta consapevolezza delle potenzialità, anche militari, dellares publica.[29] A minare questo clima di fiducia e a mettere in allarme Roma fu una tribù particolarmente bellicosa:[30][31] iSenoni,[31] invasero la provincia etrusca diSiena dal nord e attaccarono la città diClusium,[32] non molto distante dalla sfera d'influenza di Roma. Gli abitanti di Chiusi, sopraffatti dalla forza dei nemici, superiori in numero e per ferocia, chiesero aiuto a Roma, che rispose all'appello. Così, quasi senza volerlo,[30] i Romani non solo si ritrovarono in rotta di collisione con i Senoni, ma ne divennero il principale obiettivo.[33]I Romani li fronteggiarono in unabattaglia campale presso il fiume Allia[30][31] variamente collocata tra il390 e il386 a.C. I Galli, guidati dal condottieroBrenno, sconfissero un'armata romana di circa 15.000 soldati[30] e incalzarono i fuggitivi fin dentro la stessa città, che fu costretta a subire una parziale occupazione e unumiliante sacco,[34][35] prima che gli occupanti fossero scacciati[31][34][36] o, secondo altre fonti, convinti ad andarsene dietro pagamento di un riscatto.[30][33]
In seguito a questi eventi i Romani potrebbero aver adottato un nuovo tipo di elmo (chiamato di Montefortino, dal nome di una necropoli vicino adAncona, che venne utilizzato fino alI secolo a.C. dall'esercito romano,[37]), unoscudo protetto da bordi in ferro[38] ed un giavellotto (pilum) tale, da conficcarsi e piegarsi negli scudi avversari, rendendoli inutilizzabili per il prosieguo della battaglia.[38]Plutarco racconta, infatti, che 13 anni dopo labattaglia del fiume Allia, in un successivo scontro con i Galli (databile al377-374 a.C.), i Romani riuscirono a battere le armate celtiche, e ne fermarono una nuova invasione:[38]

(Plutarco,Vita di Camillo, 41, 3-6.)
Oltre 150 anni più tardi (nel225 a.C.), ancora i Celtifurono affrontati e vinti dai Romani. Questo il racconto diPolibio:
(Polibio,Storie, II, 28-29.)
E ancora Livio e Cesare, riferendosi ai Celti, raccontano che, durante labattaglia di Sentino del295 a.C. e laconquista della Gallia del58-50 a.C., essi conoscevano già la tecnica-tattica dellatestuggine, da cui forse i Romani l'avrebbero appresa:[39]
ÈPolibio ad informarci dell'ordine di marcia "base" di un esercito romano consolare, formato quindi da duelegioni romane e due dialleati (socii).[40]In testa alla "colonna" (agmen pilatum[41]) si trovava un'avanguardia di soldati scelti tra le truppe alleate (socii delecti), poi seguiva l'ala dextra sociorum, a seguire i bagagli alleati (impedimenta sociorum alae dextrae), lalegio Iconsolare, i bagagli legionari (impedimenta legionis I), lalegio IIconsolare, i bagagli legionari (impedimenta legionis II), a seguire i bagagli alleati (impedimenta sociorum alae sinistrae) e a chiudere l'ala sinistra sociorum.[40]

Quando vi era poi il timore di qualche attacco alla retroguardia, l'ordine rimaneva invariato ad eccezione dei soli alleatiextraordinarii, i quali erano posti in coda alla colonna. Le due legioni e le due ali marciano, inoltre, alternativamente un giorno in testa e un giorno in coda alla colonna, in modo che tutti potessero, a turno, usufruire di acqua pura e campi di foraggio ancora integri.[42]
SemprePolibio, poiFloro ed ancoraGaio Giulio Cesare, ci informano di un ordine di marcia particolare dell'esercito romano, databile per il primo allaguerra annibalica[43] e per il secondo alleguerre cimbriche,[44] per il terzo allaconquista della Gallia[45] e chiamatoagmen tripartitum oacie triplici instituita. Questo ordine prevedeva tre differenti "colonne" o "linee", ciascuna costituita rispettivamente da manipoli dihastati (1º colonna, la più esposta ad eventuali attacchi nemici),principes (2º colonna) etriarii (3º colonna), intervallati con i rispettivi bagagli (impedimenta). In caso di necessità i bagagli sfilavano sul retro della terza colonna ditriarii, mentre l'esercito romano si trovava già schierato in modo adeguato (triplex agmen).
(Polibio,Storie, VI, 40.11-14.)


Altra e fondamentale novità di questo periodo fu che il nuovo esercito, dovendo condurrecampagne militari sempre più lontane dalla città diRoma, fu costretto a trovare delle soluzioni difensive adatte al pernottamento in territori spesso ostili. Ciò indusse i Romani a creare, sembra a partire dalleguerre pirriche, un primo esempio diaccampamento militare da marcia fortificato, per proteggere le armate romane al suo interno.
(Sesto Giulio Frontino,Strategemata, IX, 1.14.)
Il primocastra romano da marcia o dacampagne militare (castra aestiva[46][47]), ce lo descrive lo storicoPolibio.[48]
Esso presentava una pianta rettangolare e una struttura interna adoperata anche nella pianificazione delle città: strade perpendicolari tra loro (chiamatecardo edecumano) che formavano un reticolato di quadrilateri.

Il vecchio schieramentofalangitico presentava alcuni punti deboli, che con la nuova formazionemanipolare i Romani cercarono di migliorare. La falange, infatti, richiedeva una notevole compattezza e terreni assai pianeggianti. Quando i Romani si trovarono, quindi, attorno alla metà delIV secolo a.C., a dovercombattere contro i Sanniti nelle regioni montuose dell'Italia meridionale, furono costretti ad adottare non solo una nuova struttura (lalegione fu divisa in 30 manipoli[49]) e nuove armi (come ilpilum e loscutum ovale[50]), ma anche una nuova tattica, certamente più elastica di quella adottata con lariforma di Servio Tullio.[51]
La vera novità della formazionemanipolare era che, non solo si dava maggior autonomia ai 30 sub-reparti (manipuli), ma che i soldati non erano più inquadrati secondo il lorocenso, al contrario in base alla loro età, esperienza e capacità di combattimento. Solo ivelites, che erano icittadini meno abbienti, continuavano a svolgere il ruolo originario di fanteria leggera,[52] davanti ai manipoli, ora formati dahastati-principes-triarii.[49][53]
Lo schieramento base di questomedio periodo repubblicano era il cosiddettoacies triplex, ovvero la disposizione degli uomini su tre linee distinte. La prima linea era composta daglihastati, la seconda daiprincipes e la terza daitriarii. La fanteria al centro era sempre coperta aifianchi da unità dicavalleria, un'avanguardia di tiratori o schermagliatori che davano inizio alla battaglia scagliando dardi o giavellotti sul nemico per poi ritirarsi al sicuro. La cavalleria si assicurava che i lati rimanessero difesi, e grazie al rapido movimento tentavano di aggirare il nemico, mentre la prima linea romana lo impegnava, per colpire alle spalle.
Gli eserciti, come abbiamo visto sopra, erano schierati in base al loro livello di preparazione (ed in parte al lorocenso): davanti a tutti c'erano ivelites, armati alla leggera, erano dotati difionde,giavellotti epiccolo scudo, ed avevano il compito di distrarre, innervosire il nemico con costanti lanci di dardi, coprendo inoltre le manovre della fanteria pesante romana alle loro spalle. Dopo aver compiuto sufficienti azioni di disturbo, ed aver dato tempo ai soldati meglio equipaggiati di loro, si ritiravano dal campo di battaglia, sfilando alle spalle deglihastati, deiprincipes e deitriarii, ultimi della formazione, i veri veterani.
(Livio,Ab Urbe condita libri, VIII, 8, 9-12.)

Appartengono a questo periodo i primiimportanti assedi ad opera dei Romani. Nel250 a.C. l'assedio di Lilibeo comportò per la prima volta l'attuazione di tutte le tecniche d'assedio apprese durante leguerre pirriche degli anni280-275 a.C., tra cuitorri d'assedio,arieti evinea.[56] Vi è da aggiungere che un primo utilizzo dimacchine da lancio da parte dell'esercito romano sembra sia stato introdotto dallaprima guerra punica, dove fu necessario affrontare iCartaginesi in lunghi assedi di loro potenti città, difese da imponenti mura e dotate di una sofisticata artiglieria.[57]

Trentacinque anni più tardi, nel214-212 a.C. i Romani dovettero affrontare uno dei più difficili assedi della loro storia:quello di Siracusa, ad opera del consoleMarco Claudio Marcello. I Romani, che avevano maturato un sufficiente bagaglio di esperienze negli assedi sia di mare che di terra, si scontrarono però con le tecniche innovative difensive adottate dal famoso matematicoArchimede.[58] Si racconta infatti che, quando:
(Plutarco,Vita di Marcello, 14.)
(Polibio,Le Storie, VIII, 5.)
Altri e memorabili assedi del periodo furono quello degli anni212-211 a.C., nel corso dellaseconda guerra punica, quandoAnnibale, se riuscì una prima volta arompere l'assedio alla città diCapua (nel 212 a.C.), laseconda volta i Romani mantennero saldo le loro posizioni in Campania. E seppure Annibale avesse minacciato di assediare la stessa Roma:
(Frontino,Strategemata, III, 18, 3.)
Nel209 a.C., nel mezzo dellaseconda guerra punica,Publio Cornelio Scipione riuscì adespugnare la cittàibero-cartaginese diCartagena (poi ribattezzataNova Carthago), dove al suo interno fu trovato un arsenale dimacchine da lancio pari a 120catapulte grandi, 281 piccole, 23baliste grandi e 52 piccole, oltre ad un notevole numero discorpioni.[59]
Ultimi e sempre più "raffinati" assedi messi in atto dai romani nel periodo in questione, furono quello del146 a.C., durante laterza guerra punica, aCartagine, doveAppiano di Alessandria ci racconta che iRomani diPublio Cornelio Scipione Emiliano, catturarono più di 2.000macchine da lancio (tra catapulte, baliste e scorpioni) nella sola capitale cartaginese.[60] Ed infine quello degli anni134-133 a.C., diNumanzia, quando il consolePublio Cornelio Scipione Emiliano, eroe dellaterza guerra punica, dopo aver saccheggiato il paese deiVaccei, cinse d'assedio la città. L'armata comandata da Scipione era integrata da un nutrito contingente di cavallerianumidica, fornita dall'alleatoMicipsa, al cui comando si trovava il giovane nipote del re,Giugurta. Per prima cosa, Scipione si adoperò per rincuorare e riorganizzare l'esercito scoraggiato dall'ostinata ed efficace resistenza della città ribelle; poi, nella certezza che la cittadella poteva essere presa solo perfame, fece costruire una circonvallazione (un muro di 10 chilometri tutto intorno) atta a isolare Numanzia e a privarla di qualsiasi aiuto esterno. Il console si adoperò poi a scoraggiare gliIberi dal portare aiuto alla città ribelle, presentandosi con l'esercito alle porte della città di Lutia e obbligandola alla sottomissione e alla consegna di ostaggi. Dopo quasi un anno di assedio, i Numantini, ormai ridotti alla fame, cercarono un abboccamento con Scipione, ma, saputo che questi non avrebbe accettato altro che una resa incondizionata, i pochi uomini in condizione di combattere preferirono gettarsi in un ultimo, disperato assalto contro le fortificazioni romane. Il fallimento della sortita spinse i superstiti, secondo la leggenda, a bruciare la città e a gettarsi fra le fiamme. I resti dell'oppidum furono rasi al suolo comeCartagine pochi anni prima.

È certo che ai tempi dellaterza guerra sannitica, se non prima, i Sanniti avevano pienamente sviluppato e organizzato i loro eserciti tribali, che non dovevano essere molto diversi dall'esercito romano, tanto che Livio non esitava a parlare di “legioni” sannite. Un esercito sannita era organizzato in coorti – secondoLivio composte da 400 uomini – e combatteva in manipoli. La cavalleria sannita, inoltre, godeva di ottima fama.
I successi iniziali dei Sanniti contro i Romani sul terreno montuoso, confermano come essi usassero un ordine di battaglia flessibile e aperto, piuttosto che schierare una falange serrata. Una tradizione, sostenuta dal frammento in greco dettoIneditum Vaticanum e daDiodoro Siculo,[61] vuole che i Sanniti usassero sia il giavellotto (pilum), sia un lungo scudo ellittico, diviso verticalmente in due da una nervatura con una borchia al centro (loscutum), e che i Romani appresero da essi l'uso di tali armi, oltre alla tatticamanipolare ed un miglior utilizzo dellacavalleria. L'impressione generale che si ricava dell'esercito sannita è quella di uomini non appesantiti da troppe armature difensive e ben equipaggiati per un'azione flessibile.
(Ineditum Vaticanum, H. Von Arnim (1892), Hermes 27: 118.)

Il rePirro utilizzava uno schieramento ellenico di tipofalangitico, assai difficile da affrontare per iRomani (iniziIII secolo a.C.). Nonostante leiniziali sconfitte subite dalla Repubblica romana, il reepirota subì anch'egli perdite considerevoli nel corso deicinque anni di guerra (dal280 al275 a.C.), tanto da indurre i contemporanei a sottolineare a quale terribile costo fossero state ottenute dal sovrano ellenico, con il famoso detto dispregiativo di "vittoria di Pirro". Un comandante abile ed esperto come Pirro, schierava la sua falange attraverso un sistema misto, comprendente unità miste dielefanti da guerra, oltre a formazioni di fanteria leggera (peltasti), unità di élite e la cavalleria, tutte a sostegno del corpo principale di fanteria. L'utilizzo di tutte queste componenti permise ai Greci dellaMagna Grecia di sconfiggere i Romani in due circostanze, mentre nella terza battaglia si ebbe un parziale successo di questi ultimi, i quali impararono dai loro stessi errori, facendone tesoro per le battaglie successive e riuscendo definitivamente abattere le falange ellenica un secolo più tardi (nel168 a.C.).[62]


A partire dallaguerra annibalica, in seguito allacocente sconfitta di Canne, subita dallearmate romane nel216 a.C., ci si rese conto che, l'esercito romano non poteva più basarsi sulla solafanteria pesante posizionata al centro dello schieramento, era necessario rafforzare i reparti dicavalleria alle sueali, per evitare di essere circondati dal nemico ai lati e subire una sconfitta tanto devastante.[63]
La riflessione maturò dopo questa grave sconfitta, nella qualeAnnibale era riuscito ad annientare un esercito romano tre volte superiore, usando in modo impeccabile la sua cavalleria. Durante la battaglia il centro cartaginese, che aveva assorbito la carica romana indietreggiando, aveva consentito che i suoi lati si allungassero. I Romani, avanzando centralmente, avevano creduto di poter sfondare facilmente la formazione avversaria. Frattanto la cavalleria punica, nettamente superiore in numero e per qualità tattiche quella romana, la annientava. E mentre la fanteria romana si incuneava pericolosamente al centro dello schieramento cartaginese, la cavalleria punica circondava la fanteria romana e la caricava da dietro. 80.000 soldati romani persero così la vita nello scontro. Si trattava della peggior sconfitta dell'interastoria romana.

Nellabattaglia di Zama,Publio Cornelio Scipione si trovò, per la prima volta dall'inizio dellaguerra annibalica, in netta superiorità numerica come forza di cavalleria, 4.000 dei quali forniti dall'alleato numida,Massinissa.[64] La battaglia ebbe inizio con una carica da parte dei Cartaginesi di ben 80elefanti da guerra, lo scopo era quello di sfondare al centro, lo schieramento romano. Per ovviare a ciò, Scipione pose itriarii come riserva tattica, nelle retrovie, pronti ad un utilizzo in qualunque zona del campo di battaglia. Lasciò invece, ivelites schierati, per evitare che Annibale si accorgesse cheprincipes edhastati erano disposti "in colonna", in modo da lasciare tra i vari manipoli dei corridoi, nei quali si sarebbe sfogata la carica degli elefanti, limitando al minimo i danni. Esaurito l'impeto della prima carica cartaginese, i legionari si trovavano a fronteggiare i veterani di Annibale, schierati dietro le prime file.Scipione diede così l'ordine di serrare i ranghi, e di predisporsi a sopportare l'urto della fanteria pesante cartaginese, mentre la cavalleria romana-numidica procedeva a sconfiggere le ali avversarie. Questa prima disposizione tattica, simile a quella successiva per coorti, mise in atto una tattica sempre più flessibile, pronta ad adeguarsi alle circostanze e contribuendo alla vittoria sul campo del "miglior" nemico di Roma, Annibale.
E seppure lacavalleria non risultò mai l'arma principale nello schieramento romano, crebbe di importanza nella tattica utilizzata durante le successivebattaglie, visto l'esito vittorioso di Zama. I cavalieri romani, spesso ausiliari alleati, reclutati presso le popolazioni locali, nelle singole campagne militari, si rivelarono di fondamentale importanza ad esempio nel corso dellaconquista della Gallia diCesare. Si racconta che durante l'assedio di Alesia, quando sembrò che le sorti della battaglia fossero ormai decise, in un pareggio tra le parti, Cesare, a sorpresa, inviò lungo un fianco dello schieramento gallico la cavalleria germanica, la quale riuscì non solo a respingere il nemico, ma a far strage degli arcieri che si erano mischiati alla cavalleria, inseguendone le retroguardie fino al campo dei Galli. L'esercito di Vercingetorige che si era precipitato fuori dalle mura diAlesia, rattristato per l'accaduto fu costretto a tornare all'interno della città, quasi senza colpo ferire.[65]

I Romani ebbero la meglio contro lafalange macedone in due differenti scontri: aCinocefale nel197 a.C. ed aPidna nel168 a.C. Nel primo scontro i Romani ottennero la vittoria grazie a migliori e più qualificateforze di cavalleria (forti dell'esperienza della precedenteguerra annibalica), le quali prima sconfissero la cavalleria nemica e poi aggredirono i fianchi ed il retro della falange nemica.
Nel secondo e decisivo scontro,quello di Pidna, iMacedoni, avendo compreso quali fossero stati i loro errori tattici nella precedente battaglia, raccolsero anch'essi un ingente corpo di cavalleria, pari in numero a quella romana (circa 4.000 armati) e fortificarono così iloro fianchi. Il fatto poi che i due schieramenti si affrontassero, almeno inizialmente, su un terreno relativamente pianeggiante, fece sì che lafalange macedone, forte di 21.000 fanti pesanti, riuscì in un primo momento a respingere con successo l'attacco dellelegioni romane, tanto da costringerle ad indietreggiare. Ciò portò, però, ad un vantaggio per i Romani, in quanto il terreno sul quale erano indietreggiati, era sconnesso ed inadatto alla formazione falangitica, che richiedeva la massima compattezza. I Macedoni, avanzando, si trovarono a perdere la loro necessaria coesione. I Romani, superato lo smarrimento iniziale, ora che il combattimento si era spostato su un terreno assai a loro più favorevole, ottennero la vittoria finale grazie alla maggiore mobilità delle legioni manipolari rispetto alla "rigidezza" della falange macedone, e grazie ad armi più adeguate (come loscudo oblungo e laspada corta,[66] importata dallaSpagna) al combattimento ravvicinato del "corpo a corpo". E così i Romani, dopo aver neutralizzato la lungapicca macedone, ebbero la meglio sulle inesistenti armi supplementari macedoni (un'armatura assai leggera ed un pugnale). Sembra, inoltre, che il comandante macedone, Perseo, vista la tragica situazione in cui versavano le sue truppe, fuggì senza provare a condurre la cavalleria alla carica, per proteggere la ritirata della sua fanteria ormai in difficoltà. La battaglia si racconta, si risolse in meno di due ore, con una sconfitta completa delle forze macedoni.
In seguito alleinvasioni dei Cimbri e dei Teutoni, dove le armate romane avevano subito numerose sconfitte, anche a causa della nuova tattica adottata dalle popolazionigermaniche delcuneus. Si trattava di una formazione molto compatta e profonda che mirava a devastare il centro dello schieramento avversario. Per questo motivo,Gaio Mario, intuì che c'era la necessità di cambiare la tattica tradizionale per poter finalmente contrastare il nemico germanico, tattica che si era rivelata già disastrosa ai tempi dellaguerra annibalica. Egli adottò così uno schieramento più compatto (che potesse fronteggiare il devastante impatto delcuneus germanico), ma allo stesso tempo più flessibile, in modo tale da poter agire autonomamente all'interno dello schieramentolegionario, e potendo così aggirare i fianchi del nemico (unico punto debole) e metterlo in gravi difficoltà.[67]
La nuova organizzazione dell'esercito romano subiva, pertanto, un cambiamento di fondamentale importanza: ilmanipolo (formato da sole duecenturie) perse ogni funzione tattica in battaglia (non invece quella amministrativa[68]) e fu sostituito, come unità di base dellalegione,[67] da 10coorti (sull'esempio di ciò che era già stato anticipato daScipione l'Africano un secolo prima), ora numerate da I a X.[69] Furono, come si è accennato prima, eliminate le divisioni precedenti traHastati,Principes eTriarii, ora tutti equipaggiati con ilpilum (arma da lancio, che sostituiva l'hasta, che fino ad allora era in dotazione aiTriarii).[69]

Gaio Giulio Cesare ci racconta l'ordine di marcia dellelegioni e delletruppe ausiliarie difanteria ecavalleria in prossimità del nemico durante laconquista della Gallia, databile al57 a.C., come segue:
(Cesare,De bello Gallico, II, 19.1-3.)
Le nuove unità militari di base delle legioni, lecoorti, venivano schierate normalmente su due linee (duplex acies), soluzione che permetteva di avere un fronte sufficientemente lungo ma anche profondo e flessibile.[70] Vi erano poi altri tipi di schieramenti praticati dallearmate romane del tardo periodo repubblicano: su una sola linea, ovviamente quando era necessario coprire un fronte molto lungo come nel caso delBellum Africum durante laguerra civile tra Cesare e Pompeo;[71] o su tre linee (triplex acies), formazione spesso utilizzata daCesare durante laconquista della Gallia, con la prima linea formata da 4 coorti, e le restanti due, formate da tre coorti ciascuna. Le coorti schierate lungo la terza linea costituivano spesso una "riserva tattica" da utilizzare inbattaglia, come avvenne controAriovisto inAlsazia.[72] E sempre Cesare ci parla di un ordine coortale su quattro linee abattaglia di Farsalo a protezione dellacavalleria di Pompeo.[73] Tale schieramento risultava così molto più compatto e "profondo" da sfondare, rispetto al precedente ordinamento manipolare (vedi sopra).
Questo genere di tattica sembra sia stata adottata inizialmente daiGermani,[74] da cui i Romani ne appresero la disposizione (dai tempi diGaio Mario eGaio Giulio Cesare[75]) e potrebbero averla perfezionata nei secoli successivi, sia durante l'occupazione romana della Germania sotto Augusto, sia durante leguerre marcomanniche di Marco Aurelio, come riferiscono alcuni autori latini: daAulo Gellio, scrittore delII secolo,[76] adAmmiano Marcellino eFlavio Vegezio Renato, scrittori delIV secolo.[77] Sembra che ilegionari si disponessero a cuneo in una formazione d'attacco compatta, larga alla base e molto stretta al vertice, ovvero formavano un triangolo (detta anche "testa di porco",caput porcinum), ponendo al vertice avanzato il propriocenturione. La funzione principale di questa formazione era dividere lo schieramento avversario in due differenti tronconi, in modo da renderlo maggiormente vulnerabile. Del resto i Romani, fin dai primordi, erano soliti tentare di sfondare il centro della formazione nemica, indebolendolo con continue cariche da parte dellafanteria pesante: una volta sfondato il fronte nemico, si procedeva a circondarlo, grazie anche dell'ausilio della cavalleria, che premeva i lati impedendone la fuga. Un utilizzo di questo tipo si ricorda nelIV secolo, quandoCostantino I la adottò contro le truppe diMassenzio nellabattaglia di Torino del312.[78]
Un altro tipo di tattica adottato in questo periodo sembra sia stato quello "a circolo" (orbis), come descritto da Cesare durante laconquista della Gallia, che sembra sia stato praticato però da piccole formazioni (in antitesi alla formazioneagmen quadratum di diverse legioni-truppe alleate).
Altro episodio dove Cesare racconta la formazione "in cerchio", che però si rivelò poco adatta, riguarda il quinto anno di campagna militare in Gallia, quando le truppe in marcia diQuinto Titurio Sabino eLucio Aurunculeio Cotta furono attaccate a sorpresa e massacrate da quelle galliche diAmbiorige. Sabino e Cotta furono uccisi, e solo pochi soldati riuscirono a raggiungere le truppe comandate da un altro legato di Cesare,Tito Labieno.[79]
I comandanti romani erano spesso in prima linea, per dare dimostrazione del proprio coraggio ed impeto ai propri soldati, ai fini del buon esito della battaglia. Ciò portava, però ed inevitabilmente, ad una loro alta mortalità a causa dell'elevato rischio a cui erano esposti. Altri ebbero il coraggio, pari alla fortuna di non aver mai subito ferite mortali, comeLucio Cornelio SillaFelix (ovveroil fortunato) e lo stessoGaio Giulio Cesare, come dimostrano alcuni brani tratti qui sotto dalDe bello Gallico:
(Cesare,De bello Gallico 2.25-26.)
Losvolgimento della battaglia vide poco dopo i Romani prendere il sopravvento, e sebbene i Nervi combattessero con coraggio e ostinazione, furono completamente massacrati. Cesare narra che al termine della battaglia dei 60.000 Nervi, ne rimasero in vita solo 500.[80]

Nel capolavoro tattico che videCesare impegnato adAlesia, nel mezzo dello scontro finale, dove iGalli premevano contro le fortificazioni sia interne che esterne, ed i Romani erano ormai prossimi al tracollo definitivo, il proconsole romano, venuto a conoscenza che malgrado avesse inviato numerose coorti in soccorso la situazione al campo settentrionale continuava ad essere assai grave, decise di recarsi personalmente con nuovi reparti legionari raccolti durante il percorso di avvicinamento. Qui non solo riuscì a ristabilire la situazione a favore dei Romani, ma con mossa inaspettata e repentina ordinò a quattro coorti e a parte della cavalleria di seguirlo: aveva in mente di aggirare le fortificazioni ed attaccare il nemico alle spalle. Frattanto Labieno, radunate dai vicini fortilizi in tutto trentanove coorti, si apprestò a muovere anch'egli contro il nemico.[81]
(Cesare,De bello Gallico, VII, 88.)
Cesare aveva vinto nuovamente. Questa volta aveva, però, sconfitto l'intera coalizione della Gallia. La sua era stata una vittoria totale contro l'impero dei Celti. Vi è da aggiungere, però, che non era solo al comandante che spettava questo duro compito di apparire spesso nelle prime linee. Tale ruolo era, almeno dai tempi delleguerre puniche, assunto daicenturioni, posizionati sulla destra dello schieramento manipolare e poi coortale.[82] Posizione certamente assai rischiosa. Non a caso spesso al termine di aspri scontri, numerosi erano i centurioni caduti al termine della battaglia.[83] Cesare racconta ad esempio che durante l'assedio di Gergovia:
(Cesare,De bello Gallico VII.47.7.)
(Cesare,De bello Gallico VII.50.3.)

Sappiamo da numerose fonti che in alcuni casi i comandanti romani utilizzavano parte del loroesercito quale "riserva tattica", da poter utilizzare poi nel corso dellabattaglia. Sembra infatti che si debba ascrivere aLucio Cornelio Silla questa importante innovazione tattica utilizzata poi nei secoli successivi. L'unità in questione, utilizzabile in caso di estrema necessità, fu creata per la prima volta nel corso dellabattaglia di Cheronea dell'86 a.C. Lo storicoGiovanni Brizzi ricorda, infatti, che l'ala sinistra dello schieramento romano, comandato daLucio Licinio Murena, fu salvato grazie all'intervento di questa "riserva" tattica comandata dai legatiQuinto Ortensio Ortalo e Galba.[84][85][86]
Un altro esempio lo apprendiamo daCesare nel corso dellaconquista della Gallia, contro i Germani di Ariovisto inAlsazia[72] o aBibracte contro gliElvezi nel58 a.C.:
(Cesare,De bello Gallico, I, 24.)
o anche in quella successiva del57 a.C. nei pressi delfiumeAxona:
(Cesare,De bello Gallico, II 8, 5-10.)
Senza dimenticare forse la più importante battaglia di Cesare,quella di Farsalo contro il rivale Pompeo, per la supremazia sulla stessaRoma.[88]
Cesare racconta le modalità di combattimento, durante labattaglia in Alsazia contro iGermani diAriovisto:
(Cesare,De bello Gallico, I, 52.3-5.)
Appartengono certamente a questo periodo i più"famosi" assedi dell'interastoria romana, per lemigliori tecniche militari adottate, con cui iRomani riuscirono ad assaltare ed occupare anche città nemiche considerate inespugnabili. Ricordiamo ad esempio l'assedio di Numanzia da parte diScipione Emiliano, diAtene per merito diLucio Cornelio Silla, o diAvarico e del più conosciuto e studiato dai moderni diAlesia, ad opera diGaio Giulio Cesare. I Romani utilizzavano tre principali metodi per impadronirsi delle città nemiche:

Se consideriamo l'assedio di Avarico, i Romani ottennero la vittoria finale a caro prezzo, dopo quasi un mese di estenuante assedio, che apparentemente non aveva portato alcun vantaggio al proconsole romano:
(Cesare,De bello Gallico, VII, 22.)
Sebbene vi fossero questi continui impedimenti per l'esercito romano, ilegionari, pur ostacolati dal freddo e dalle frequenti piogge, riuscirono a superare tutte le difficoltà ed a costruire nei primi venticinque giorni di assedio, un terrapieno largo quasi 100 metri ed alto quasi 24 metri, di fronte alle due porte della cittadella. Cesare, era così riuscito a raggiungere il livello dei contrafforti, tanto da renderli inutili per la difesa degli assediati.
Il ventisettesimo giorno dall'inizio dell'assedio di Avarico, scoppiato un grande temporale, Cesare ritenne fosse giunto il momento opportuno di attaccare, considerando sia la difficoltà dei nemici di appiccare nuovi fuochi al terrapieno sotto una pioggia battente, e sia la minor cura con cui il servizio di guardia delle mura sarebbe stato disposto rispetto ad altri momenti. I Romani, pertanto, dapprima si nascosero all'interno dellevineae, ed al segnale convenuto riuscirono ad irrompere con grande velocità sugli spalti della città. Dopo aspri combattimenti prima sulle mura e poi all'interno della città, dove iGalli si erano disposti in forma di cuneo, intenzionati a battersi fino alla morte, i soldati romani, esasperati dalle lunghe fatiche patite nel corso di quell'ultimo mese, bruciarono l'intera città e trucidarono l'intera popolazione, comprese le donne, i vecchi ed i bambini. Dei 40.000 abitanti solo 800 salvarono la vita.[93]

AdAlesia le opere messe in atto da Cesare furono mastodontiche, come mai prima di allora e dopo, nell'intera storia romana si erano mai viste. Lacittà dei Galli era su una posizione fortificata in cima ad una collina con spiccate caratteristiche difensive, circondata a valle da tre fiumi (l'Ose a nord, l'Oserain a sud ed ilBrenne ad ovest). Per tali ragioni Cesare ritenne che un attacco frontale non avrebbe potuto avere buon esito ed optò per unassedio, nella speranza di costringere i Galli alla resa perinedia. Considerato che circa ottantamila soldati si erano barricati nella città, oltre alla popolazione civile locale deiMandubi, sarebbe stata solo questione di tempo: la fame prima o poi li avrebbe condotti alla morte o costretti alla resa.
Per garantire un perfetto blocco, Cesare ordinò la costruzione di una serie di fortificazioni, chiamate "controvallazione" (interna) e "circonvallazione" (esterna), attorno ad Alesia.[90] I dettagli di quest'opera ingegneristica sono descritti da Cesare neiCommentari e confermati dagli scavi archeologici nel sito. Per prima cosa Cesare fece scavare una fossa (ad occidente della città di Alesia, tra i due fiumi Ose e Oserain) profonda venti piedi (pari a circa sei metri), con le pareti dritte in modo che il fondo fosse tanto largo quanto distavano i margini superiori. Ritirò, quindi, tutte le altre fortificazioni a quattrocento passi da quella fossa ad occidente (seicento metri circa).[94]
A questo punto, fu costruito, nel tempo record di tre settimane, la prima "circonvallazione" di quindici chilometri tutto intorno all'oppidum nemico (pari a diecimiglia romane[89]) e, all'esterno di questo, per altri quasi ventun chilometri (pari a quattordici miglia), la "controvallazione".[95]

Le opere comprendevano:
Erano necessarie considerevolicapacità ingegneristiche per realizzare una tale opera, ma non nuove per uomini come gliedili, gli ufficiali di Roma, che solo pochi anni prima, in dieci giorni, avevano costruitoun ponte attraverso il Reno con somma meraviglia dei Germani. Ed infine, per non trovarsi poi costretto ad uscire dal campo con pericolo per l'incolumità delle sue armate, Cesare ordinò di avere un deposito di foraggio e di frumento per trenta giorni.[89]

Cesare, durante laconquista della Gallia nel58 a.C., dovendosi scontrare con le armategermaniche, racconta di alcune abitudini dei guerrieri germani, abili sia con la cavalleria che utilizzavano per compiere rapide ed improvvise sortite, sia con la fanteria, forte di uno schieramento falangitico. Nel primo scontro che il proconsole romano fece con gli stessi, Cesare racconta riguardo alla loro cavalleria, che:
(Cesare,De bello Gallico, I, 48, 4-7.)
Successivamente, giunto inAlsazia, si apprestò a battersi con il grosso dell'esercito nemico e la sua possente fanteria. Cesare schierò le sue truppe in modo che le sueforze ausiliarie fossero disposte di fronte al campo piccolo e poi, via via, le seilegioni su tre schiere (triplex acies). Avanzò, quindi, verso il campo deiGermani diAriovisto e lo costrinse a disporre le sue truppe fuori dal campo. Quest'ultimo ordinò l'esercito per tribù: prima quella degliArudi, poi iMarcomanni, iTriboci, iVangioni, iNemeti, iSedusi ed infine gliSvevi. Ogni tribù, poi, fu circondata da carri e carrozze, affinché non ci fosse la possibilità di fuga per nessuno: sopra i carri c'erano le donne, che imploravano i loro uomini di non abbandonarle alla schiavitù dei Romani.[99] Cesare così racconta lo svolgimento della battaglia:
(Cesare,De bello Gallico, I, 52-53.)

L'esercito mitridatico poteva contare su una tipologia di truppe molto vasta: dallafanteria falangitica di stampoellenistico, alla cavalleria "leggera" di arcieri armeniaco-partico, a quella "pesante"catafratta, oltre ad unità dicarri falcati, sempre di tipo orientale, fino a flotte (anche dipirati) composte per lo più dapentecontere ebiremi. Roma ebbe così modo di adattare le proprie tattiche al nuovo nemico orientalie nel corso ditrent'anni di guerre.
Quando lelegioni romane si scontrarono per la prima volta con le armatepartiche nel53 a.C. aCarre nellaMesopotamia settentrionale, subendo una delle piùtremende sconfitte dell'interastoria romana, i successivi generali furono costretti a ripensare quale nuova tattica mettere in atto per difendersi da queste cariche dicavalleria "pesante" catafratta. Nelle successivecampagne militari che si susseguirono, i legionari utilizzarono una disposizione più protetta, formando una specie di "muro umano" su due linee. La prima linea s'inginocchiava ponendo loscutum ovale di fronte ed ipila sollevati, che uscivano dallo spazio tra uno scudo e l'altro con una leggera inclinazione di 30º. La seconda linea copriva la prima con gli scudi creando una tettoia, e da dietro si preparavano a scagliare ipila. Questa formazione era utile per difendersi, ma risultava lenta da applicare, praticamente immobile e debole sui fianchi e sul retro. Era una formazione difensiva da usarsi in caso di carica diretta, dato che perdeva qualunque validità tattica durante un'offensiva.
(Giuseppe Flavio,guerra giudaica, III, 5.7.104.)
Nello stabilire quale fosse il corretto ordine di marcia delle singole unità che componevano un'armata: la fanteria ausiliaria era mandata in avanscoperta; seguiva l'avanguardia composta da truppelegionarie, appoggiate da un corpo dicavalleria; dietro loro alcuni legionari muniti di attrezzi per la costruzione dell'accampamento al termine della giornata di marcia; seguivano gli ufficiali ed ilgenerale con scorta armata e guardia del corpo nel caso dell'imperatore (si trattava dellaguardia pretoriana); ancora un gruppo di legionari e cavalieri; poi muli carichi diarmi da assedio smontate, oltre a bagagli ed alimenti; seguivano altre legioni, eventuali forze mercenarie o di popoliclienti; e chiudeva la retroguardia composta da un grosso contingente di cavalleria. Questa la descrizione che faGiuseppe Flavio dell'armamento che utilizzava l'esercito romano, durante laprima guerra giudaica (66-74):
(Giuseppe Flavio,Guerra giudaica, III, 5.5.93-97.)
Questa la descrizione che fa, sempre Giuseppe Flavio, dell'ordine di marcia:
(Giuseppe Flavio,Guerra giudaica, III, 6.2.116-126.)
Altra descrizione di Giuseppe Flavio, sempre ai tempi dellaprima guerra giudaica, ricordaTito, figlio di Vespasiano, quando marciò da Cesarea Marittima a Gerusalemme perassediarla:
(Giuseppe Flavio,Guerra giudaica, V, 2, 1.47-49.)
Centocinquant'anni più tardi, al tempo diMassimino Trace (nel238),Erodiano racconta che l'Imperatore romano era deciso a marciare su Roma per reprimere la rivolta diPupieno eBalbino,[102] con un ordine di marcia a forma di grande rettangolo, ponendo il bagaglio pesante, gli approvvigionamenti ed i carri al centro della formazione, ed infine prendendo lui stesso il comando della retroguardia.[103] Su ogni fianco marciavano glisquadroni di cavalleria, truppe di Mauri armati di giavellotto e di arcieri orientali. L'imperatore condusse, inoltre, con sé anche un consistente numero diausiliarigermani, i quali furono posti all'avanguardia, primi a sopportare gli assalti di un eventuale nemico. Questi uomini estremamente selvaggi e audaci, risultavano molto abili nelle fasi iniziali della battaglia e, comunque, sacrificabili. Certamente meglio loro che le legioni di cittadini romani.[104]
Al termine della giornata era costruito unaccampamento da campagna, per poter soggiornare la notte, protetti da eventuali attacchi notturni dei nemici della zona.[105]

Questa la descrizione che faGiuseppe Flavio di un tipicoaccampamento di marcia, durante laprima guerra giudaica (66-74):
(Giuseppe Flavio,guerra giudaica, III, 5.1.76-78.)
Giuseppe Flavio aggiunge che all'interno vi sono tutta una serie di file di tende, mentre all'esterno la recinzione (vallum) assomiglia ad un muro munito di torri ad intervalli regolari. In questi intervalli vengono collocate tutta una serie di armi da lancio, comecatapulte ebaliste con relativi dardi, pronti per essere lanciati.[106]
(Giuseppe Flavio,guerra giudaica, III, 5.2.81-84.)
Una volta costruito l'accampamento, i soldati si sistemano in modo ordinato al suo interno,coorte per coorte,centuria per centuria. Vengono, quindi, avviate tutta una serie di attività con grande disciplina e in sicurezza, dai rifornimenti dilegna, di vettovaglie e d'acqua; quando ne hanno bisogno, provvedono ad inviare apposite squadre diexploratores nel territorio circostante.[107]
Nessuno può pranzare o cenare quando vuole, al contrario tutti lo fanno insieme. Sono poi gli squilli dibuccina ad impartire l'ordine di dormire o svegliarsi, i tempi dei turni di guardia, e non vi è operazione che non si conduca a termine senza un preciso comando. All'alba, tutti i soldati si presentano aicenturioni, e poi questi a loro volta vanno a salutare itribuni e insieme con costoro, tutti gli ufficiali, si recano dal comandante in capo. Quest'ultimo, come consuetudine, dà loro la parola d'ordine e tutte le altre disposizioni della giornata.[107]
Quando si deve togliere l'accampamento, lebuccine danno il segnale. Nessuno resta inoperoso, tanto che, appena udito il primo squillo, tolgono le tende e si preparano per mettersi in marcia. Ancora lebuccine danno un secondo segnale, che prevede che ciascuno carichi rapidamente i bagagli sui muli e sugli altri animali da soma. Si schierano, quindi, pronti a partire. Nel caso poi di accampamenti semi-permanenti, costruiti in legno, danno fuoco alle strutture principali, sia perché è sufficientemente facile a costruirne uno nuovo, sia per impedire che il nemico possano utilizzarlo, rifugiandosi al suo interno.[108]
Lebuccine danno un terzo squillo, per spronare quelli che per qualche ragione siano in ritardo, in modo che nessuno si attardi. Un ufficiale, poi, alla destra del comandante, per tre volte rivolge loro inlatino, la domanda se siano pronti a combattere, e quelli per tre volte rispondono con un grido assordante, dicendo di esser pronti e, come invasati da una grande esaltazione guerresca accompagnano le grida,alzando le destre.[108]

(Giuseppe Flavio,La guerra giudaica, III, 5.3.88.)
(Giuseppe Flavio,guerra giudaica, III, 5.7.105-106.)
I Romani generalmente si basavano su vari metodi in battaglia, che adeguavano in base al nemico ed al terreno dello scontro. Nel combattimento incampo aperto, lacavalleria era solitamente posizionata alle"ali". Lelegioni erano posizionate nella parte centrale dello schieramento intriplex acies (tripla linea, ed in rari casi induplex acies ovvero su una doppia linea),[109] poiché come fanteria pesante, dovevano reggere lo scontro frontale delle unità nemiche. Erano protette alle spalle dall'artiglieria e da quelletruppe ausiliarie di fanteria specializzata nel lancio di dardi, frecce, ecc. (come arcieri, frombolieri, lanciatori in genere). Questa seconda linea serviva a decimare il nemico prima ancora che potesse prendere contatto con l'armata romana (come ben illustrato nel film deIl Gladiatore). Alle spalle dell'esercito schierato, magari su un promontorio, la guardia pretoriana e l'Imperatore stesso. Era necessario vi fosse una forma disinergia tra le diverse unità da combattimento: la combinazione di legioni e truppe ausiliarie (cavalleria, fanteria leggera e truppe di tiratori), conferiva ai Romani una superiorità tattica quasi su ogni tipo di terreno e contro qualunque tipo di avversari.[110]
Questo genere di tattica sembra sia stata adottata per far fronte alla formazione acuneus delle popolazionigermaniche del nord Europa. Non sappiamo a quando si deve il suo primo impiego. Possiamo immaginare sia avvenuto durante leprime campagne in Germania sotto Augusto e Tiberio, oppure nei secoli successivi, dopo lagrande invasione della metà-fine delII secolo (al tempo degliAntonini), come ci tramandaAulo Gellio, scrittore di quest'ultimo periodo.[111] Tale formazione prevedeva una disposizione "a tenaglia", a forma di "V" ad angolo acuto, con le estremità avanzate, pronte ad avvolgere la formazione "a cuneo" che all'interno vi si infilava. Questo genere di schieramento è menzionata anche daAmmiano Marcellino durante la guerra condotta da Giuliano contro gliAlamanni, poco prima delloscontro decisivo diArgentoratae del357.[112]

Nel compiere unassedio le tecniche utilizzate non erano molto dissimili da quanto abbiamo visto nel periodo precedente (dopo lariforma di Mario). Anche in questo periodo furono utilizzatemacchine, scale, torri per la scalata o la demolizione dellemura nemiche, sia unità diartiglieria pesante comebaliste (affidate ai cosiddettiballistarii), ecc. per colpire gli assediati da lontano.
Spesso prima di cominciare un assedio, era eretto lungo l'intero percorso unAgger, ovvero un fossato ed un terrapieno a volte sormontato da una palizzata, per bloccare il nemico internamente, ed uno esternamente per difendersi da eventuali attacchi di nemici accorrenti in aiuto degli assediati. Era inoltre usata comunemente, una volta sfondata una porta della cittadella assediata, o per avvicinarsi a strutture fortificate evitando frecce e proiettili vari che lanciavano i difensori, la celebre formazione aTestuggine, così chiamata poiché i legionari posizionavano gli scudi affiancati l'uno all'altro ovunque, sia lateralmente, sia sopra la testa, creando un gruppo compatto completamente protetto. Tra i principali assedi di questo periodo ricordiamo quello diIotapata del67,[113]Gerusalemme del70[114] e diMasada del73.
Nel caso di guerriglia con popolazioni che tendevano ad evitare lo scontro diretto (come letribù spagnole oalpine dei primi anni del principato di Augusto), le cui risorse e beni risultavano non fissi, o per lo meno non concentrati in un solo punto, era preferibile l'impiego, non tanto delle legioni, quanto quello delle più agili e maggiormente adatte,unità ausiliarie.[115]
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