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Tattiche della fanteria romana

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Tattiche della fanteria romana
Ungruppo dilegionari romani in formazione serrata, da una stele diGlanum.
Descrizione generale
Attiva753 a.C. -476
NazioneRoma Antica
Tipofanteria
Guarnigione/QGaccampamento romano
PatronoMarte dio della guerra
ColoriRosso
Battaglie/guerresi veda la voceBattaglie romane
DecorazioniDona militaria
Voci su unità militari presenti su Wikipedia
V · D · M
Storia delle campagne
dell'esercito romano
Storia delle campagne in età regia (753-509 a.C.),
Storia delle campagne in età repubblicana (509-31 a.C.),
Storia delle campagne in età alto-imperiale (31 a.C.-284),
Storia delle campagne in età tardo-imperiale (284-476).

Pertattiche dellafanteria romana si intendono non solo un'analisi storica della sua evoluzione, ma anche quali manovre la fanteria mise in atto, dall'inizio della suafase regia, poirepubblicana edimperiale, fino allacaduta dell'Impero romano d'Occidente. Ciò risulta tanto più interessante se confrontato con le diverse tipologie di nemico, che l'esercito romano incontrò nei diversi secoli della sua esistenza.

Evoluzione della tattica romana nei secoli

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La tattica mutò notevolmente nei dodici secoli distoria romana, che qui sotto ci apprestiamo ad analizzare. Basta ricordare cheRoma nell'VIII secolo a.C. era uno dei tanti e piccoli villaggi che popolavano ilLatium vetus e sottoAugusto occupava ormai tutti i territori intorno albacino del Mediterraneo. È evidente che la struttura militare del suo esercito e la conseguente tattica, mutarono insieme alle conquiste che via via ne ampliarono i territori inglobati, influenzata dalle tendenze politiche, sociali ed economiche di cui la città si arricchiva, ed ai popoli che a Roma "regalavano" di volta in volta le loro conoscenze belliche.

Roma fu molto abile nell'assorbire il meglio delle differenti tattiche, degli armamenti e dell'organizzazione militare, dei suoi nemici, con i quali si scontrò nei secoli (dall'VIII secolo a.C. alV secolo d.C.). Essa si adattò in modo estremamente flessibile e rapido, grazie al forte senso di disciplina che la società romana imponeva al propriomiles ed alla ferrea volontà di cercare di perseguire ad ogni costo la vittoria completa, a volte senza mediazioni o senza farsi grossi scrupoli.

Primo periodo regio (VIII-VI secolo a.C.): duello individuale

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Lo stesso argomento in dettaglio:Età regia di Roma.

Combattimento

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Il giuramento degli Orazi (1784-1785) in un dipinto diJacques-Louis David,Museo del Louvre.

Le tecniche di questo periodo erano molto simili a quelle di altripopoli italici, in particolare aiLatini, di cuiRoma faceva parte, e non dovevano essere di sicuro migliori di quelle utilizzate nella vicinaMagna Grecia. Al contrario, si trattava di un combattimento semplice ma violento, non particolarmente ordinato, tra poche centinaia di uomini dei vicini villaggi, che poteva durare anche pochi minuti, difficilmente alcune ore.[1] Vi era poi la consuetudine di lanciare un potente grido di guerra per intimorire l'avversario, prima dello scontro, come del resto in tutto il mondo antico.[2] A ciò si aggiunge il fatto che spesso, sempre per scoraggiare il nemico, venivano battute le aste o le spade contro gli scudi generando un grande fragore.[3]

Ora sulla base dei recenti ritrovamenti archeologici si è potuto notare che il primo esercito romano, quello diepoca romulea, era costituito da fanti che avevano preso il modo di combattere e l'armamento dallaciviltà villanoviana della vicinaEtruria. I guerrieri combattevano prevalentemente a piedi con lance, giavellotti, spade (con lame normalmente in bronzo, ed in rari casi in ferro, della lunghezza variabile tra i 33 ed i 56 cm[4]), pugnali (con lame di lunghezza compresa tra i 25 ed i 41 cm[5]) ed asce, mentre solo i più ricchi potevano permettersi un'armatura composta da elmo e corazza, gli altri una piccola protezione rettangolare sul petto, davanti al cuore, delle dimensioni di circa 15 x 22 cm.[6] Gli scudi avevano dimensioni variabili (comprese tra i 50 ed i 97 cm[7]) e di forma prevalentemente rotonda (i cosiddetticlipeus, abbandonati secondoTito Livio attorno alla fine delV secolo a.C.[8]) atti ad una miglior maneggevolezza.[4]Plutarco racconta, inoltre, che una volta uniti tra loro,Romani eSabini,Romolo introdusse gli scudi di tipo sabino, abbandonando il precedente di tipoargivo e modificando le precedenti armature.[9]

Il combattimento, in verità, prevedeva, sulla base delle tradizioniomeriche, una serie di duelli tra i "campioni" dei rispettivi schieramenti, in genere tra i guerrieri più nobili, dotati di maggior coraggio e abilità (vedi ad esempio l'episodio tramandatoci degliOrazi e Curiazi[10]), equipaggiati con il miglior armamento. Ipatrizi ed i loroclienti più ricchi, combattevano in prima linea, i soli a potersi permettere armature, scudi, spade, elmi di qualità, oltre ad una cavalcatura (da cui smontavano, prima dello scontro). I più indigenti, non potendo permettersi a protezione del proprio corpo nessuna armatura completa (a volte solo una piastra di cuoio o bronzo, davanti al proprio petto), ma solo scudi in legno, venivano schierati nelle file più arretrate. I più poveri, dotati di sole armi da lancio, come giavellotti e fionde, o anche rudimentali scuri, erano invece utilizzati all'inizio dello scontro, per provocare e disturbare il nemico schierato con continui e fastidiosi lanci di proiettili da lontano, oppure all'inseguimento del nemico in fuga, dopo uno scontro vittorioso.[1]

L'esercito diRomolo, descritto daTito Livio, potrebbe essere stato, quindi, un'anticipazione di quello di epoca successiva diServio Tullio.[a 1] Secondo Livio, infatti, sarebbe statoRomolo a creare, sull'esempio dellafalange greca,[11] lalegione romana, formata da 3.000 fanti e 300 cavalieri.[12][13][14] La legione si disponeva su tre file,[8] con lacavalleria ai lati. Ogni fila di 1.000 armati era comandata da untribunus militum, mentre gli squadroni di cavalleria erano alle dipendenze deitribuni celerum.[15]

Riforma di Servio Tullio (580 a.C. circa): la falange oplitica

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Lo stesso argomento in dettaglio:Tarquini, Riforma serviana dell'esercito romano e Falange (militare).

Ordine di marcia

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Tito Livio racconta di una forma particolare di ordine di marcia dell'esercito romano in territorio nemico: si trattava del cosiddettoagmen quadratum, dove in testa ed in coda c'erano le due legioni consolari, ai lati leali deisocii, al centro i bagagli di tutte le quattro unità menzionate (ovvero gliimpedimenta dellelegio I eII oltre a quelli delle dueali). Tale ordine di marcia fu utilizzato fin dall'inizio dellaRepubblica,[16] menzionato anche durante leguerre sannitiche,[17] laguerra annibalica,[18] laguerra giugurtina,[19] e labattaglia di Carre.[20]

Schieramento e combattimento

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Dettaglio del vaso Chigi, con scontro tra fanterie oplitiche del650-640 a.C. (Museo nazionale etrusco di Villa Giulia,Roma)

Con l'occupazione diRoma da parte degliEtruschi e la successiva riforma diServio Tullio, ilnuovo esercito, di stampo quindietrusco-greco, fu reclutato tra i cittadini romani secondo il loro ceto sociale: di conseguenza, composizione, equipaggiamento e aspetto delle singole file, potevano variare molto tra le cinque differenti "classi" sociali. Le formazioni armate comprendevano sia corpi diopliti (fanteria pesante), sia di truppe leggere (velites) e dicavalleria.

«[...] daiTirreni [i Romani presero] l'arte di fare la guerra, facendo avanzare l'intero esercito in formazione di falange chiusa [...]»

(Ateneo di Naucrati,I Deipnosofisti oI dotti a banchetto ovveroI filosofi esperti dei misteri della culinaria, VI, 106.)

Gliopliti della prima fila formavano un "muro di enormi scudi rotondi" parzialmente sovrapposti, in modo che il loro fianco destro venisse protetto dallo scudo del vicino commilitone. Sostenevano un addestramento costante ed il maggior peso del combattimento, che effettuavano in modo estremamente compatto, armati di lancia e spada, difesi da scudo, elmo e corazza (o comunque con una protezione pettorale).

«Quel giorno, tra la terza ed ottava ora, l'esito del combattimento era così incerto, che il grido di guerra lanciato al primo assalto, non fu più ripetuto, né le insegne avanzarono o ripiegarono, e neppure entrambe le parti indietreggiarono per prendere una nuova rincorsa.»

(Tito Livio,Ab Urbe condita libri, VIII, 38.)

I comandanti romani erano spesso in prima linea, per dare dimostrazione del proprio coraggio ed impeto ai propri soldati, ai fini del buon esito della battaglia. Ciò portava, però ed inevitabilmente, ad una loro alta mortalità a causa dell'elevato rischio a cui erano esposti.Tito Livio racconta che lo stessoTarquinio il Superbo, nel tentativo di riottenere il potere aRoma, mosse guerra contro ildittatore romanoAulo Postumio Albo Regillense, dopo essersi portato nelle prime fila del suo schieramento:

«Spronò con furia il suo cavallo contro Postumio, che stava incitando e dando ordini ai suoi nelle prime file e, ferito ad un fianco, fu salvato dai suoi soldati.»

(Tito Livio,Ab Urbe condita libri, II, 19.)

L'obiettivo rimaneva quello di far cedere lo schieramento opposto, cercando di incunearsi dovunque l'avversario si trovasse in maggiori difficoltà, e spezzare così le file nemiche. La spinta avveniva anche grazie alla pressione delle formazioni più arretrate che si accalcavano, premendo con grande impeto e sospingendo la propria prima fila contro il "muro" umano nemico. Sembrava di assistere ad una gara di forza, dove dopo alcuni ondeggiamenti iniziali di due "muri umani" ormai a stretto contatto, una delle due parti subiva l'inevitabile sfondamento e successivo travolgimento, fino alla sconfitta finale. Da qui l'importanza che i comandanti delle retroguardie assumevano per dirigere la spinta da tergo.[21]

«Fermi ognuno al proprio posto, premendo con gli scudi, combattevano senza prendere il respiro e senza guardarsi indietro; [...] avevano come obiettivo l'estrema stanchezza o la notte.»

(Tito Livio,Ab Urbe condita libri, VIII, 38.)

Disegno su vaso di unafalange oplitica proveniente da una tomba diVulci (Etruria meridionale), databile al550 a.C., al tempo della riforma diServio Tullio.

L'avanzamento del singolo combattente, dotato di maggior ardore combattivo o forza fisica, era ritenuto assai inutile nella ferrea disciplina romana, ma soprattutto pericoloso per lo schieramento falangitico, che poteva portare alla rottura dello schieramento in piena battaglia, con conseguenze disastrose. La fuoriuscita dalle linee del proprio schieramento, era pertanto considerata una colpa assai grave, non un atto eroico, e quindi punita anche con la morte.[21] Nel340 a.C. il consoleTito Manlio Torquato punì il proprio figlio con la decapitazione, per aver disobbedito agli ordini, spingendosi con grande furore combattivo oltre le file romane e mettendo a rischio l'integrità del proprio schieramento, come ci racconta Livio:

«Dal momento che tu, Tito Manlio, senza alcun riguardo per il comando dei due consoli e per l'autorità paterna, hai combattuto contro il nemico, contrariamente alla nostra disciplina, oltre le file dello schieramento e, per quanto è dipeso da te, hai allentato la disciplina militare, che fino ad oggi è stata alla base della potenza romana, [...], costituiremo un esempio doloroso, ma salutare per l'avvenire della gioventù romana.»

(Tito Livio,Ab Urbe condita libri, VIII, 7.)

Considerato la loro esiguità numerica, si può pensare che combattessero affiancati da guerrieri con gli stessi compiti, ma con armamento e protezioni minori.[22] Lo scudo di grandi dimensioni dava la maggior protezione al corpo: poteva essere rotondo in bronzo con due maniglie (di tipoargivo) oppure rettangolare con bordi arrotondati e rinforzo verticale centrale (a modelloceltico oitalico). L'elmo di bronzo poteva avere o meno la cresta ed era inizialmente di tipo villanoviano, con la famosa cresta metallica, o ditipo Negau amorione; successivamente si usarono elmi a campana e, a seguito dei contatti con le città greche, ditipo calcidese (con paraguance e paranuca e le orecchie scoperte),corinzio (a copertura quasi totale, con paranaso ed una sola fessura centrale per gli occhi e parte della bocca) ed etrusco-corinzio (senza paranaso e con apertura leggermente più aperta. La protezione alle gambe era possibile dotandosi dischinieri di bronzo, e quindi era disponibile solo per gli opliti armati più pesantemente.

Le truppe leggere comprendevano fanti leggeri e tiratori e dovevano provocare il nemico, disturbarlo e disorganizzarlo prima dell'urto degli opliti. Ifanti leggeri erano armati di giavellotti, difesi da uno scudo rotondo, indossavano un elmo ma non usavano corazza né piastre pettorali. I tiratori potevano esserearcieri ofrombolieri e portavano al fianco una piccola spada, pugnale o coltello per la difesa personale, ma non avevano alcuna protezione. Vanno anche ricordati gliascieri, che operavano insieme agli opliti con il compito di tagliare le lance della formazione avversaria: essi usavano inizialmente un'ascia ad una mano nel periodo villanoviano, per poi passare a quelle a due mani ad un taglio o bipenni. La loro protezione era affidata ad un elmo e a qualche forma di protezione pettorale, piastre o corazze.

Lacavalleria si basava sulla mobilità e aveva compiti di avanguardia ed esplorazione, di scorta, nonché per azioni di disturbo o di inseguimento al termine dellabattaglia, o infine per spostarsi rapidamente sul campo di battaglia e prestare soccorso a reparti di fanteria in difficoltà.[23] I cavalieri usavano briglie e morsi, ma le staffe e la sella erano sconosciuti: non è quindi ipotizzabile una cavalleria "da urto". Quei cavalieri che, nelle stele funerarie appaiono armati di lancia e spada, protetti da un elmo, magari con scudo e piastra pettorale, erano molto probabilmente una sorta di fanteria oplitica mobile.

Ricostruzione di unafalangeoplitica dell'epoca dellaRoma diServio Tullio.

La "formazione a testuggine"

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Lo stesso argomento in dettaglio:Testuggine romana.
Ricostruzione dellaformazione a testuggine nel corso di unassedio.

Un primo esempio diformazione "a testuggine" (testudo) utilizzato dallafanteria romana, fu menzionato daTito Livio nel corso dell'assedio di Veio e diquello di Roma degli inizi delIV secolo.[24] In questa situazione i soldati romani serravano le file e si avvicinavano tra loro, quasi fossero delle tegole di un tetto che ripara dalla "pioggia di dardi e frecce", sovrapponendo gli scudi, tenendoli di fronte a loro ed alzati sulle loro teste. Sembrava di vedere un carro armato vivente, che avanzava sotto i colpi degli arcieri nemici, limitando al minimo le perdite. Ovviamente la testuggine era una formazione lenta, che era spesso utilizzata negliassedi, per avvicinarsi alle mura avversarie, oppure in battaglia in campo aperto, quando si era circondati da ogni lato, come accadde nellacampagna partica di Marco Antonio.[25][26]

Questo tipo di formazione era usato soprattutto in fase diassedio alle mura di una fortezza nemica.[26] Viene ricordata ancora da Livio durante leguerre sannitiche[27] o daGaio Sallustio Crispo durante laguerra giugurtina.[28] E perché fosse efficace, necessitava di grande affiatamento di reparto, coordinazione nei movimenti ed esercitazioni specifiche.

Ricostruzione dellaformazione a testuggine.

Spesso però tale formazione fu impiegata in Oriente, di fronte alla terribile cavalleria deicatafrattipartici o degli arcieri orientali, come accadde durante lecampagne di Marco Antonio:[26]

«Descriverò ora la formazione a testuggine e come si forma. I bagagli, la fanteria leggera ed i cavalieri sono collocati al centro dello schieramento. Una parte della fanteria pesante, armata con gli scudi concavi semicircolari, si dispone a forma di quadrato (agmen quadratum) ai margini dello schieramento, con gli scudi rivolti verso l'esterno a protezione della massa. Gli altri che hanno gli scudi piatti, si raccolgono nel mezzo e stringendosi alzano gli scudi in aria a difesa di tutti. Per questo motivo, in tutto lo schieramento si vedono solo gli scudi e tutti sono al riparo dalle frecce nemiche, grazie alla compattezza della formazione. [...] I Romani ricorrono a questa formazione in due casi: quando si avvicinano ad una fortezza per conquistarla [...]; o quando, circondati da ogni parte da arcieri nemici, si mettono in ginocchio in contemporanea, compresi i cavalli che sono addestrati a mettersi sulle ginocchia o a sdraiarsi a terra. così fanno credere al nemico di essere sfiniti e quando i nemici si avvicinano, si alzano all'improvviso e li annientano.»

(Cassio Dione Cocceiano,Storie, XLIX, 30.)

Prime tecniche d'assedio romano

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Lo stesso argomento in dettaglio:Assedio (storia romana) e Armi d'assedio (storia romana).

Appartengono a questo periodo i primi assedi subiti dalla città diRoma ad opera degliEtruschi diPorsenna e deiGalli diBrenno, da cui i Romani evidentemente appresero nuove tecniche per occupare le vicine città etrusche elatine. Risalirebbe, infatti, al396 a.C. ilprimo importante assedio ad opera dei Romani tramandatoci dagli antichi scrittori latini: lacaduta di Veio, dove si racconta che Camillo si diresse su Veio, fece costruire alcuni fortini ed una galleria che doveva arrivare fino alla rocca, passando sotto le mura nemiche. Gli scavatori furono divisi in sei squadre che si avvicendavano ogni sei ore. Dopo giorni e giorni in cui gli assalti romani erano stati sospesi, con sommo stupore degli etruschi, il re di Veio stava celebrando un sacrificio nel tempio di Giunone quando gli assaltatori romani, che avevano quasi terminato lo scavo e attendevano di abbattere l'ultimo diaframma, udirono il presagio dell'aruspice etrusco: la vittoria sarebbe andata a chi avesse tagliato le viscere di quella vittima. I soldati romani uscirono dal cunicolo, iniziarono l'attacco e prese le viscere le portarono al loro dittatore. Nello stesso tempo fu sferrato l'attacco generale di tutte le forze romane contro i difensori delle mura. Così, mentre tutti accorrevano sui bastioni,

(latino)
«armatos repente edidit, et pars averso in muris invadunt hostes, pars claustra portarum revellunt, pars cum ex tectis saxa tegulaeque a mulieribus ac servitiis iacerentur, inferunt ignes. Clamor omnia variis terrentium ac paventium vocibus mixto mulierorum ac puerorum ploratu complet.»
(italiano)
«Gli armati sbucarono nel tempio di Giunone che sorgeva sulla rocca di Veio: una parte aggredì i nemici che si erano riversati sulle mura, una parte tolse il serrame alle porte, una parte diede fuoco alle case dai cui tetti donne e schiavi scagliavano sassi e tegole. Ovunque risuonarono le grida miste al pianto delle donne e dei fanciulli, di chi spargeva terrore e di chi il terrore subiva.»

(Tito Livio,Ab Urbe condita libri, V, 21., Newton Compton, Roma, trad.: G.D. Mazzocato)

In una pausa dei combattimenti Camillo ordinò, per mezzo di banditori, di risparmiare chi non portava armi. Il massacro si arrestò e si scatenò il saccheggio.

Confronto tattico con formazioni nemiche del periodo

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I Celti: dal sacco di Roma del IV secolo a.C. a Cesare

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Lo stesso argomento in dettaglio:Guerre tra Celti e Romani e Sacco di Roma (IV secolo a.C.).
Brenno, capo dei Galli, eMarco Furio Camillo, dopo ilsacco di Roma.

Roma, al principio delIV secolo a.C., aveva appena sperimentato un decisivo salto di qualità dellasua storia, sia per l'importante acquisizione territoriale sia per l'esibizione di un'accresciuta disciplina e organizzazione militare, uscendo vittoriosa nel396 a.C. dalleguerre con Veio.[29] Lacaduta di Veio aveva comportato un riequilibrio degli assetti politici delle altrecapitali etrusche e delle loro tradizionali tensioni interne: l'ostilità verso Veio era malamente adombrata dalla neutralità manifestata dalle altre città delladodecapoli etrusca gravitante intorno alFanum Voltumnae: in almeno un caso, questa ostilità era apertamente sfociata nell'aperta alleanza offerta a Roma daCaere (Cerveteri).[29] Un altro effetto fu l'accresciuta consapevolezza delle potenzialità, anche militari, dellares publica.[29] A minare questo clima di fiducia e a mettere in allarme Roma fu una tribù particolarmente bellicosa:[30][31] iSenoni,[31] invasero la provincia etrusca diSiena dal nord e attaccarono la città diClusium,[32] non molto distante dalla sfera d'influenza di Roma. Gli abitanti di Chiusi, sopraffatti dalla forza dei nemici, superiori in numero e per ferocia, chiesero aiuto a Roma, che rispose all'appello. Così, quasi senza volerlo,[30] i Romani non solo si ritrovarono in rotta di collisione con i Senoni, ma ne divennero il principale obiettivo.[33]I Romani li fronteggiarono in unabattaglia campale presso il fiume Allia[30][31] variamente collocata tra il390 e il386 a.C. I Galli, guidati dal condottieroBrenno, sconfissero un'armata romana di circa 15.000 soldati[30] e incalzarono i fuggitivi fin dentro la stessa città, che fu costretta a subire una parziale occupazione e unumiliante sacco,[34][35] prima che gli occupanti fossero scacciati[31][34][36] o, secondo altre fonti, convinti ad andarsene dietro pagamento di un riscatto.[30][33]

In seguito a questi eventi i Romani potrebbero aver adottato un nuovo tipo di elmo (chiamato di Montefortino, dal nome di una necropoli vicino adAncona, che venne utilizzato fino alI secolo a.C. dall'esercito romano,[37]), unoscudo protetto da bordi in ferro[38] ed un giavellotto (pilum) tale, da conficcarsi e piegarsi negli scudi avversari, rendendoli inutilizzabili per il prosieguo della battaglia.[38]Plutarco racconta, infatti, che 13 anni dopo labattaglia del fiume Allia, in un successivo scontro con i Galli (databile al377-374 a.C.), i Romani riuscirono a battere le armate celtiche, e ne fermarono una nuova invasione:[38]

L'avvicinamento dei Galli a Roma, da un dipinto diÉvariste-Vital Luminais.
«[...]Camillo portò i suoi soldati giù nella pianura e li schierò a battaglia in gran numero con grande fiducia, e come i barbari li videro, non più timidi o pochi in numero, come invece si aspettavano. Per cominciare, ciò mandò in frantumi la fiducia dei Galli, i quali credevano di essere loro ad attaccare per primi. Poi ivelites attaccarono, costringendo i Galli ad entrare in azione, prima che avessero preso posizione con lo schieramento abituale, al contrario schierandosi per tribù, e quindi costretti a combattere a caso e nel disordine più totale. Quando infine Camillo condusse i suoi soldati all'attacco, il nemico sollevò le proprie spade in alto e si precipitò all'attacco. Ma i Romani lanciarono igiavellotti contro di loro, ricevendo i colpi [dei Galli] sulle parti dello scudo che erano protette dal ferro, che ora ricopriva gli spigoli, fatti di metallo dolce e temperato debolmente, tanto che le loro spade si piegarono in due; mentre i loro scudi furono perforati e appesantiti dai giavellotti [romani]. I Galli allora abbandonarono effettivamente le proprie armi e cercarono di strapparle al nemico, tentando di deviare i giavellotti afferrandoli con le mani. Ma i Romani, vedendoli così disarmati, misero subito mano alle spade, e ci fu una grande strage dei Galli che si trovavano in prima linea, mentre gli altri fuggirono ovunque nella pianura; le cime delle colline e dei luoghi più elevati erano stati occupati in precedenza da Camillo, e i Galli sapevano che il loro accampamento poteva essere facilmente preso, dal momento che, nella loro arroganza, avevano trascurato di fortificarlo. Questa battaglia, dicono, fu combattuta tredici anni dopo lapresa di Roma, e produsse nei Romani una sensazione di fiducia verso i Galli. Essi avevano potentemente temuto questi barbari, che li avevano conquistati in un primo momento, più che altro credevano che ciò fosse accaduto in conseguenza di una straordinaria disgrazia, piuttosto che al valore dei loro conquistatori.»

(Plutarco,Vita di Camillo, 41, 3-6.)

Oltre 150 anni più tardi (nel225 a.C.), ancora i Celtifurono affrontati e vinti dai Romani. Questo il racconto diPolibio:

«I Celti si erano preparati proteggendo le loro retroguardie, da cui si aspettavano un attacco diEmilio, provenendo iGesati dalle Alpi e dietro di loro gliInsubri; di fronte a loro in direzione opposta, pronti a respingere l'attacco delle legioni diGaio, misero iTaurisci ed iBoi sulla riva destra del Po. I loro carri stazionavano all'estremità di una delleali, mentre raccolsero il bottino su una delle colline circostanti con una forza tutta intorno a protezione. Questo ordine delle forze dei Celti, poste su due fronti, non solo si presentava con un aspetto formidabile, ma si adeguava alle esigenze della situazione. Gli Insubri ed i Boi indossavano dei pantaloni e dei lucenti mantelli, mentre i Gesati avevano evitato di indossare questi indumenti per orgoglio e fiducia in se stessi, tanto da rimanere nudi di fronte all'esercito [romano], con indosso nient'altro che le armi, pensando che così sarebbero risultati più efficienti, visto che il terreno era coperto di rovi che potevano impigliarsi nei loro vestiti e impedire l'uso delle loro armi. In un primo momento la battaglia fu limitata alla sola zona collinare, dove tutti gli eserciti si erano rivolti. Tanto grande era il numero di cavalieri da ogni parte che la lotta risultò confusa. In questa azione il console Caio cadde, combattendo con estremo coraggio, e la sua testa fu portata al capo dei Celti, ma la cavalleria romana, dopo una lotta senza sosta, alla fine prevalse sul nemico e riuscì a occupare la collina. Le fanterie [dei due schieramenti] erano ormai vicine, le une alle altre, e lo spettacolo appariva strano e meraviglioso, non solo a quelli effettivamente presenti alla battaglia, ma a tutti coloro che in seguito ebbero la rappresentazione dei fatti raccontati. In primo luogo, la battaglia si sviluppò fra tre eserciti. È evidente che l'aspetto dei movimenti delle forze schierate una contro l'altra, doveva apparire soprattutto strano e insolito. [...] i Celti, con il nemico che avanzava su di loro da entrambi i lati, erano in posizione assai pericolosa ma anche, al contrario, avevano uno schieramento più efficace, dal momento che nello stesso tempo essi combattevano sia contro i loro nemici, sia proteggevano entrambi nelle loro retrovie; vero anche che non avevano alcuna possibilità per una ritirata o qualsiasi altre prospettiva di fuga in caso di sconfitta, a causa della formazione su due fronti adottata. I Romani, tuttavia, erano stati da un lato incoraggiati, avendo stretto il nemico tra i due eserciti [consolari], ma dall'altra erano terrorizzati per la fine del loro comandante, oltreché dal terribile frastuono dei Celti, che avevano numerosi suonatori di corno e trombettieri, e contemporaneamente tutto l'esercito alzava alto il grido di guerra (barritus). C'era un tale rimbombo di suoni che sembrava che non solo le trombe ed i soldati, ma tutto il paese intorno alzasse le proprie grida. Molto terrificanti erano anche l'aspetto e i gesti dei guerrieri celti, nudi davanti ai Romani, tutti nel vigore fisico della vita, dove i loro capi apparivano riccamente ornati contorques e bracciali d'oro. La loro vista lasciò davvero sgomenti i Romani, ma al tempo stesso la prospettiva di ottenere questi oggetti come bottino, li rese due volte più forti nella lotta.»

(Polibio,Storie, II, 28-29.)

E ancora Livio e Cesare, riferendosi ai Celti, raccontano che, durante labattaglia di Sentino del295 a.C. e laconquista della Gallia del58-50 a.C., essi conoscevano già la tecnica-tattica dellatestuggine, da cui forse i Romani l'avrebbero appresa:[39]

«[...] distava otto miglia una città deiRemi di nomeBibrax. IBelgi appena giunti, cominciarono ad assaltarla con grande impeto. Per quel giorno a stento si poté resistere. Questa è la tecnica d'assalto usata in modo similare da Galli e Belgi: una volta circondate tutte le mura, con un gran numero di armati da ogni parte, cominciano a tirare pietre sul muro ed il muro viene liberato dai difensori; fatta poi la testuggine, danno fuoco alle porte e scavano il muro. E ciò facilmente gli riusciva, poiché essendo così numerosi nel tirare pietre e proiettili, nessuno poteva rimanere sulle mura.»

(Cesare,De bello Gallico II.6.1-3.)

Medio periodo repubblicano (350 a.C. circa): il manipolo

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Lo stesso argomento in dettaglio:Esercito romano della media repubblica.

Ordine di marcia

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ÈPolibio ad informarci dell'ordine di marcia "base" di un esercito romano consolare, formato quindi da duelegioni romane e due dialleati (socii).[40]In testa alla "colonna" (agmen pilatum[41]) si trovava un'avanguardia di soldati scelti tra le truppe alleate (socii delecti), poi seguiva l'ala dextra sociorum, a seguire i bagagli alleati (impedimenta sociorum alae dextrae), lalegio Iconsolare, i bagagli legionari (impedimenta legionis I), lalegio IIconsolare, i bagagli legionari (impedimenta legionis II), a seguire i bagagli alleati (impedimenta sociorum alae sinistrae) e a chiudere l'ala sinistra sociorum.[40]

Ordine di marcia di un esercito consolare descritto da Polibio, dettoAgmen pilatum

Quando vi era poi il timore di qualche attacco alla retroguardia, l'ordine rimaneva invariato ad eccezione dei soli alleatiextraordinarii, i quali erano posti in coda alla colonna. Le due legioni e le due ali marciano, inoltre, alternativamente un giorno in testa e un giorno in coda alla colonna, in modo che tutti potessero, a turno, usufruire di acqua pura e campi di foraggio ancora integri.[42]

SemprePolibio, poiFloro ed ancoraGaio Giulio Cesare, ci informano di un ordine di marcia particolare dell'esercito romano, databile per il primo allaguerra annibalica[43] e per il secondo alleguerre cimbriche,[44] per il terzo allaconquista della Gallia[45] e chiamatoagmen tripartitum oacie triplici instituita. Questo ordine prevedeva tre differenti "colonne" o "linee", ciascuna costituita rispettivamente da manipoli dihastati (1º colonna, la più esposta ad eventuali attacchi nemici),principes (2º colonna) etriarii (3º colonna), intervallati con i rispettivi bagagli (impedimenta). In caso di necessità i bagagli sfilavano sul retro della terza colonna ditriarii, mentre l'esercito romano si trovava già schierato in modo adeguato (triplex agmen).

«In un altro caso glihastati, iprincipes e itriarii formano tre colonne parallele, i bagagli di ogni singolo manipolo davanti a loro, quelli dei secondi manipoli dietro i primi manipoli, quelli del terzo manipolo dietro il secondo, e così via, con i bagagli sempre intercalati tra i corpi di truppa. Con questo ordine di marcia, quando la colonna è minacciata, possono affrontare il nemico sia a sinistra sia a destra, e appare evidente che il bagaglio può essere protetto dal nemico da qualunque parte egli appaia. Così che molto rapidamente, e con un movimento della fanteria, si forma l'ordine di battaglia (tranne forse che glihastati possono ruotare attorno agli altri), mentre animali, bagagli e loro accompagnatori, vengono a trovarsi alle spalle dalla linea di truppe e occupano la posizione ideale contro rischi di qualsiasi genere.»

(Polibio,Storie, VI, 40.11-14.)

Ordine di marcia di una legione, dettoAgmen tripartitum

Primi accampamenti da marcia

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Lo stesso argomento in dettaglio:Castrum e Guerre pirriche.
Schema di un accampamento di marcia romano delII secolo a.C., descritto daPolibio.

Altra e fondamentale novità di questo periodo fu che il nuovo esercito, dovendo condurrecampagne militari sempre più lontane dalla città diRoma, fu costretto a trovare delle soluzioni difensive adatte al pernottamento in territori spesso ostili. Ciò indusse i Romani a creare, sembra a partire dalleguerre pirriche, un primo esempio diaccampamento militare da marcia fortificato, per proteggere le armate romane al suo interno.

«Pirro re dell'Epiro, istituì per primo l'utilizzo di raccogliere l'intero esercito all'interno di una stessa struttura difensiva. I Romani, quindi, che lo avevano sconfitto aiCampi Ausini nei pressi di Malevento, una volta occupato il suo campo militare ed osservata la sua struttura, arrivarono a tracciare con gradualità quel campo che oggi a noi è noto.»

(Sesto Giulio Frontino,Strategemata, IX, 1.14.)

Il primocastra romano da marcia o dacampagne militare (castra aestiva[46][47]), ce lo descrive lo storicoPolibio.[48]

Esso presentava una pianta rettangolare e una struttura interna adoperata anche nella pianificazione delle città: strade perpendicolari tra loro (chiamatecardo edecumano) che formavano un reticolato di quadrilateri.

Schieramento base ed inizio del combattimento

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Lo stesso argomento in dettaglio:Manipolo (storia romana) e Guerre sannitiche.
Panoplia delV secolo a.C. dellalatinaLanuvio, conservata presso ilMuseo nazionale romano delle Terme di Diocleziano a Roma.

Il vecchio schieramentofalangitico presentava alcuni punti deboli, che con la nuova formazionemanipolare i Romani cercarono di migliorare. La falange, infatti, richiedeva una notevole compattezza e terreni assai pianeggianti. Quando i Romani si trovarono, quindi, attorno alla metà delIV secolo a.C., a dovercombattere contro i Sanniti nelle regioni montuose dell'Italia meridionale, furono costretti ad adottare non solo una nuova struttura (lalegione fu divisa in 30 manipoli[49]) e nuove armi (come ilpilum e loscutum ovale[50]), ma anche una nuova tattica, certamente più elastica di quella adottata con lariforma di Servio Tullio.[51]

La vera novità della formazionemanipolare era che, non solo si dava maggior autonomia ai 30 sub-reparti (manipuli), ma che i soldati non erano più inquadrati secondo il lorocenso, al contrario in base alla loro età, esperienza e capacità di combattimento. Solo ivelites, che erano icittadini meno abbienti, continuavano a svolgere il ruolo originario di fanteria leggera,[52] davanti ai manipoli, ora formati dahastati-principes-triarii.[49][53]

Lo schieramento base di questomedio periodo repubblicano era il cosiddettoacies triplex, ovvero la disposizione degli uomini su tre linee distinte. La prima linea era composta daglihastati, la seconda daiprincipes e la terza daitriarii. La fanteria al centro era sempre coperta aifianchi da unità dicavalleria, un'avanguardia di tiratori o schermagliatori che davano inizio alla battaglia scagliando dardi o giavellotti sul nemico per poi ritirarsi al sicuro. La cavalleria si assicurava che i lati rimanessero difesi, e grazie al rapido movimento tentavano di aggirare il nemico, mentre la prima linea romana lo impegnava, per colpire alle spalle.

Gli eserciti, come abbiamo visto sopra, erano schierati in base al loro livello di preparazione (ed in parte al lorocenso): davanti a tutti c'erano ivelites, armati alla leggera, erano dotati difionde,giavellotti epiccolo scudo, ed avevano il compito di distrarre, innervosire il nemico con costanti lanci di dardi, coprendo inoltre le manovre della fanteria pesante romana alle loro spalle. Dopo aver compiuto sufficienti azioni di disturbo, ed aver dato tempo ai soldati meglio equipaggiati di loro, si ritiravano dal campo di battaglia, sfilando alle spalle deglihastati, deiprincipes e deitriarii, ultimi della formazione, i veri veterani.

«Quando l'esercito aveva assunto questo schieramento, gliHastati iniziavano primi fra tutti il combattimento. Se gliHastati non erano in grado di battere il nemico, retrocedevano a passo lento e iPrincipes li accoglievano negli intervalli tra loro. [...] iTriarii si mettevano sotto i vessilli, con la gamba sinistra distesa e gli scudi appoggiati sulla spalla e le aste conficcate in terra, con la punta rivolta verso l'alto, quasi fossero una palizzata... Qualora anche iPrincipes avessero combattuto con scarso successo, si ritiravano dalla prima linea fino aiTriarii. Da qui l'espressionelatino "Res ad Triarios rediit" ("essere ridotti aiTriarii"), quando si è in difficoltà.»

(Livio,Ab Urbe condita libri, VIII, 8, 9-12.)

ITriarii, dopo aver accoltoHastati ePrincipes tra le loro file, serravano le file ed in un'unica ininterrotta schiera si gettavano sul nemico.[54]
Schieramento in battaglia dell'esercito consolare polibiano nelIII secolo a.C., con al centro lelegioni e sui fianchi leAlaeSociorum (gli alleati italici) e lacavalleria legionaria e alleata.[55]

Assedio

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Lo stesso argomento in dettaglio:Assedio (storia romana) e Armi d'assedio (storia romana).

Appartengono a questo periodo i primiimportanti assedi ad opera dei Romani. Nel250 a.C. l'assedio di Lilibeo comportò per la prima volta l'attuazione di tutte le tecniche d'assedio apprese durante leguerre pirriche degli anni280-275 a.C., tra cuitorri d'assedio,arieti evinea.[56] Vi è da aggiungere che un primo utilizzo dimacchine da lancio da parte dell'esercito romano sembra sia stato introdotto dallaprima guerra punica, dove fu necessario affrontare iCartaginesi in lunghi assedi di loro potenti città, difese da imponenti mura e dotate di una sofisticata artiglieria.[57]

Archimede potrebbe aver usato i suoispecchi in modo collettivo per riflettere la luce del sole per bruciare le navi dellaflotta romana durante l'assedio di Siracusa.

Trentacinque anni più tardi, nel214-212 a.C. i Romani dovettero affrontare uno dei più difficili assedi della loro storia:quello di Siracusa, ad opera del consoleMarco Claudio Marcello. I Romani, che avevano maturato un sufficiente bagaglio di esperienze negli assedi sia di mare che di terra, si scontrarono però con le tecniche innovative difensive adottate dal famoso matematicoArchimede.[58] Si racconta infatti che, quando:

«i Siracusani, quando videro i Romani investire la città dai due fronti, di terra e di mare, rimasero storditi e ammutolirono di timore. Pensarono che nulla avrebbe potuto contrastare l'impeto di un attacco in forze di tali proporzioni.»

(Plutarco,Vita di Marcello, 14.)

Ma Archimede preparò la difesa della città, lungo i 27 km di mura difensive, con nuovi mezzi d'artiglieria. Si trattava dibaliste,catapulte escorpioni, oltre ad altri mezzi come lamanus ferrea e glispecchi ustori, con cui mise in seria difficoltà gli attacchi romani per mare e per terra. I romani dal canto loro continuarono i loro assalti dal mare con lequinqueremi e per terra dando l'assalto con ogni mezzo a loro disposizione (dalle torri d'assedio, agli arieti, alle vinae, fino allesambuche).
«I Romani, allestiti questi mezzi, pensavano di dare l'assalto alle torri, ma Archimede, avendo preparato macchine per lanciare dardi a ogni distanza, mirando agli assalitori con le baliste e con catapulte che colpivano più lontano e sicuro, ferì molti soldati e diffuse grave scompiglio e disordine in tutto l'esercito; quando poi le macchine lanciavano troppo lontano, ricorreva ad altre meno potenti che colpissero alla distanza richiesta. [...] Quando i Romani furono entro il tiro dei dardi, Archimede architettò un'altra macchina contro i soldati imbarcati sulle navi: dalla parte interna del muro fece aprire frequenti feritoie dell'altezza di un uomo, larghe circa un palmo dalla parte esterna: presso di queste fece disporre arcieri e scorpioncini e colpendoli attraverso le feritoie metteva fuori combattimento i soldati imbarcati. [...] Quando essi tentavano di sollevare le sambuche, ricorreva a macchine che aveva fatto preparare lungo il muro e che, di solito invisibili, al momento del bisogno si legavano minacciose al di sopra del muro e sporgevano per gran tratto con le corna fuori dai merli: queste potevano sollevare pietre del peso di dieci talenti e anche blocchi di piombo. Quando le sambuche si avvicinavano, facevano girare con una corda nella direzione richiesta l'estremità della macchina e mediante una molla scagliavano una pietra: ne seguiva che non soltanto la sambuca veniva infranta ma pure la nave che la trasportava e i marinai correvano estremo pericolo.»

(Polibio,Le Storie, VIII, 5.)

Marcello decise allora di mantenere l'assedio, provando a stritolare la città per fame. L'assedio si protrasse per ben 18 mesi, un tempo tanto lungo da far esplodere notevoli contrasti in Siracusa tra il popolo, tanto che la parte filoromana architettò il tradimento, permettendo ai Romani di fare irruzione in piena notte, quando furono aperti i cancelli della zona nord della città. Siracusa cadde e fu saccheggiata, non però la vicinaisola di Ortigia, ben protetta da altre mura, che resistette ancora per poco. In quell'occasione trovò la morte anche il grande scienziato siracusanoArchimede, che fu ucciso per errore da un soldato.

Altri e memorabili assedi del periodo furono quello degli anni212-211 a.C., nel corso dellaseconda guerra punica, quandoAnnibale, se riuscì una prima volta arompere l'assedio alla città diCapua (nel 212 a.C.), laseconda volta i Romani mantennero saldo le loro posizioni in Campania. E seppure Annibale avesse minacciato di assediare la stessa Roma:

«I Romani che erano assediati da Annibale e a loro volta assediavano Capua, disposero con decreto che l'esercito mantenesse quella posizione, fin quando la città non fosse stata espugnata.»

(Frontino,Strategemata, III, 18, 3.)

E così Annibale, constatato che le difese di Roma erano assai forti e gli assedianti romani di Capua non "rompevano l'assedio", abbandonò la città campana, che cadde poco dopo in mano romana.

Nel209 a.C., nel mezzo dellaseconda guerra punica,Publio Cornelio Scipione riuscì adespugnare la cittàibero-cartaginese diCartagena (poi ribattezzataNova Carthago), dove al suo interno fu trovato un arsenale dimacchine da lancio pari a 120catapulte grandi, 281 piccole, 23baliste grandi e 52 piccole, oltre ad un notevole numero discorpioni.[59]

Ultimi e sempre più "raffinati" assedi messi in atto dai romani nel periodo in questione, furono quello del146 a.C., durante laterza guerra punica, aCartagine, doveAppiano di Alessandria ci racconta che iRomani diPublio Cornelio Scipione Emiliano, catturarono più di 2.000macchine da lancio (tra catapulte, baliste e scorpioni) nella sola capitale cartaginese.[60] Ed infine quello degli anni134-133 a.C., diNumanzia, quando il consolePublio Cornelio Scipione Emiliano, eroe dellaterza guerra punica, dopo aver saccheggiato il paese deiVaccei, cinse d'assedio la città. L'armata comandata da Scipione era integrata da un nutrito contingente di cavallerianumidica, fornita dall'alleatoMicipsa, al cui comando si trovava il giovane nipote del re,Giugurta. Per prima cosa, Scipione si adoperò per rincuorare e riorganizzare l'esercito scoraggiato dall'ostinata ed efficace resistenza della città ribelle; poi, nella certezza che la cittadella poteva essere presa solo perfame, fece costruire una circonvallazione (un muro di 10 chilometri tutto intorno) atta a isolare Numanzia e a privarla di qualsiasi aiuto esterno. Il console si adoperò poi a scoraggiare gliIberi dal portare aiuto alla città ribelle, presentandosi con l'esercito alle porte della città di Lutia e obbligandola alla sottomissione e alla consegna di ostaggi. Dopo quasi un anno di assedio, i Numantini, ormai ridotti alla fame, cercarono un abboccamento con Scipione, ma, saputo che questi non avrebbe accettato altro che una resa incondizionata, i pochi uomini in condizione di combattere preferirono gettarsi in un ultimo, disperato assalto contro le fortificazioni romane. Il fallimento della sortita spinse i superstiti, secondo la leggenda, a bruciare la città e a gettarsi fra le fiamme. I resti dell'oppidum furono rasi al suolo comeCartagine pochi anni prima.

Confronto tattico con formazioni nemiche del periodo

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Sanniti (schieramento "flessibile-manipolare")

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Lo stesso argomento in dettaglio:Guerre sannitiche e Organizzazione militare dei Sanniti.
Pittura di guerrieri sanniti da una tomba diNola delIV secolo a.C.

È certo che ai tempi dellaterza guerra sannitica, se non prima, i Sanniti avevano pienamente sviluppato e organizzato i loro eserciti tribali, che non dovevano essere molto diversi dall'esercito romano, tanto che Livio non esitava a parlare di “legioni” sannite. Un esercito sannita era organizzato in coorti – secondoLivio composte da 400 uomini – e combatteva in manipoli. La cavalleria sannita, inoltre, godeva di ottima fama.

I successi iniziali dei Sanniti contro i Romani sul terreno montuoso, confermano come essi usassero un ordine di battaglia flessibile e aperto, piuttosto che schierare una falange serrata. Una tradizione, sostenuta dal frammento in greco dettoIneditum Vaticanum e daDiodoro Siculo,[61] vuole che i Sanniti usassero sia il giavellotto (pilum), sia un lungo scudo ellittico, diviso verticalmente in due da una nervatura con una borchia al centro (loscutum), e che i Romani appresero da essi l'uso di tali armi, oltre alla tatticamanipolare ed un miglior utilizzo dellacavalleria. L'impressione generale che si ricava dell'esercito sannita è quella di uomini non appesantiti da troppe armature difensive e ben equipaggiati per un'azione flessibile.

«[...] lo scudo sannitico oblungo (scutum) non faceva parte del nostro equipaggiamento nazionale [romano], né avevamo ancora i giavellotti (pilum), ma si combatteva con scudi rotondi e lance. [...] Ma quando ci siamo trovati inguerra con i Sanniti, ci siamo armati come loro con gli scudi oblunghi e i giavellotti e copiando le armi nemiche siamo diventati padroni di tutti quelli che avevano una così alta opinione di se stessi.»

(Ineditum Vaticanum, H. Von Arnim (1892), Hermes 27: 118.)

Pirro ed i Greci dell'Italia meridionale (schieramento falangitico, "elefanti da guerra" e tecniche d'assedio)

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Lo stesso argomento in dettaglio:Guerre pirriche e Armi d'assedio (storia romana).
Ricostruzione della falange oplitica ellenica, formazione base dell'esercito diPirro.

Il rePirro utilizzava uno schieramento ellenico di tipofalangitico, assai difficile da affrontare per iRomani (iniziIII secolo a.C.). Nonostante leiniziali sconfitte subite dalla Repubblica romana, il reepirota subì anch'egli perdite considerevoli nel corso deicinque anni di guerra (dal280 al275 a.C.), tanto da indurre i contemporanei a sottolineare a quale terribile costo fossero state ottenute dal sovrano ellenico, con il famoso detto dispregiativo di "vittoria di Pirro". Un comandante abile ed esperto come Pirro, schierava la sua falange attraverso un sistema misto, comprendente unità miste dielefanti da guerra, oltre a formazioni di fanteria leggera (peltasti), unità di élite e la cavalleria, tutte a sostegno del corpo principale di fanteria. L'utilizzo di tutte queste componenti permise ai Greci dellaMagna Grecia di sconfiggere i Romani in due circostanze, mentre nella terza battaglia si ebbe un parziale successo di questi ultimi, i quali impararono dai loro stessi errori, facendone tesoro per le battaglie successive e riuscendo definitivamente abattere le falange ellenica un secolo più tardi (nel168 a.C.).[62]

Annibale e Cartagine (l'importanza della cavalleria e degli "elefanti da guerra")

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Lo stesso argomento in dettaglio:Esercito cartaginese, Guerre puniche, Battaglia di Canne, Battaglia di Zama e Tattiche della cavalleria romana.
Carica dielefanti da guerracartaginesi durante labattaglia di Zama.
Labattaglia di Zama, punto di svolta della tattica romana, al termine della devastanteguerra annibalica.

A partire dallaguerra annibalica, in seguito allacocente sconfitta di Canne, subita dallearmate romane nel216 a.C., ci si rese conto che, l'esercito romano non poteva più basarsi sulla solafanteria pesante posizionata al centro dello schieramento, era necessario rafforzare i reparti dicavalleria alle sueali, per evitare di essere circondati dal nemico ai lati e subire una sconfitta tanto devastante.[63]

La riflessione maturò dopo questa grave sconfitta, nella qualeAnnibale era riuscito ad annientare un esercito romano tre volte superiore, usando in modo impeccabile la sua cavalleria. Durante la battaglia il centro cartaginese, che aveva assorbito la carica romana indietreggiando, aveva consentito che i suoi lati si allungassero. I Romani, avanzando centralmente, avevano creduto di poter sfondare facilmente la formazione avversaria. Frattanto la cavalleria punica, nettamente superiore in numero e per qualità tattiche quella romana, la annientava. E mentre la fanteria romana si incuneava pericolosamente al centro dello schieramento cartaginese, la cavalleria punica circondava la fanteria romana e la caricava da dietro. 80.000 soldati romani persero così la vita nello scontro. Si trattava della peggior sconfitta dell'interastoria romana.

Struttura manipolare di una legione romana all'epoca delle guerre puniche secondo Polibio:
(a sinistra) formazionecoortale composta da tremanipoli ditriarii,principes ehastati di una legione di 4.200 fanti ("fronte manipolare" = 12/18 metri);
(al centro) una legione di 5.000 armati ("fronte manipolare" = 12/18 metri);
(a destra) legione di 5.000 armati durante la battaglia di Canne, con uno schieramento estremamente compatto ("fronte manipolare" = 7,2/10,8 metri).

Nellabattaglia di Zama,Publio Cornelio Scipione si trovò, per la prima volta dall'inizio dellaguerra annibalica, in netta superiorità numerica come forza di cavalleria, 4.000 dei quali forniti dall'alleato numida,Massinissa.[64] La battaglia ebbe inizio con una carica da parte dei Cartaginesi di ben 80elefanti da guerra, lo scopo era quello di sfondare al centro, lo schieramento romano. Per ovviare a ciò, Scipione pose itriarii come riserva tattica, nelle retrovie, pronti ad un utilizzo in qualunque zona del campo di battaglia. Lasciò invece, ivelites schierati, per evitare che Annibale si accorgesse cheprincipes edhastati erano disposti "in colonna", in modo da lasciare tra i vari manipoli dei corridoi, nei quali si sarebbe sfogata la carica degli elefanti, limitando al minimo i danni. Esaurito l'impeto della prima carica cartaginese, i legionari si trovavano a fronteggiare i veterani di Annibale, schierati dietro le prime file.Scipione diede così l'ordine di serrare i ranghi, e di predisporsi a sopportare l'urto della fanteria pesante cartaginese, mentre la cavalleria romana-numidica procedeva a sconfiggere le ali avversarie. Questa prima disposizione tattica, simile a quella successiva per coorti, mise in atto una tattica sempre più flessibile, pronta ad adeguarsi alle circostanze e contribuendo alla vittoria sul campo del "miglior" nemico di Roma, Annibale.

E seppure lacavalleria non risultò mai l'arma principale nello schieramento romano, crebbe di importanza nella tattica utilizzata durante le successivebattaglie, visto l'esito vittorioso di Zama. I cavalieri romani, spesso ausiliari alleati, reclutati presso le popolazioni locali, nelle singole campagne militari, si rivelarono di fondamentale importanza ad esempio nel corso dellaconquista della Gallia diCesare. Si racconta che durante l'assedio di Alesia, quando sembrò che le sorti della battaglia fossero ormai decise, in un pareggio tra le parti, Cesare, a sorpresa, inviò lungo un fianco dello schieramento gallico la cavalleria germanica, la quale riuscì non solo a respingere il nemico, ma a far strage degli arcieri che si erano mischiati alla cavalleria, inseguendone le retroguardie fino al campo dei Galli. L'esercito di Vercingetorige che si era precipitato fuori dalle mura diAlesia, rattristato per l'accaduto fu costretto a tornare all'interno della città, quasi senza colpo ferire.[65]

La falange macedone

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Lo stesso argomento in dettaglio:Esercito macedone, Guerre macedoniche, Battaglia di Cinocefale e Battaglia di Pidna.
Ricostruzione dellafalange macedone.

I Romani ebbero la meglio contro lafalange macedone in due differenti scontri: aCinocefale nel197 a.C. ed aPidna nel168 a.C. Nel primo scontro i Romani ottennero la vittoria grazie a migliori e più qualificateforze di cavalleria (forti dell'esperienza della precedenteguerra annibalica), le quali prima sconfissero la cavalleria nemica e poi aggredirono i fianchi ed il retro della falange nemica.

Nel secondo e decisivo scontro,quello di Pidna, iMacedoni, avendo compreso quali fossero stati i loro errori tattici nella precedente battaglia, raccolsero anch'essi un ingente corpo di cavalleria, pari in numero a quella romana (circa 4.000 armati) e fortificarono così iloro fianchi. Il fatto poi che i due schieramenti si affrontassero, almeno inizialmente, su un terreno relativamente pianeggiante, fece sì che lafalange macedone, forte di 21.000 fanti pesanti, riuscì in un primo momento a respingere con successo l'attacco dellelegioni romane, tanto da costringerle ad indietreggiare. Ciò portò, però, ad un vantaggio per i Romani, in quanto il terreno sul quale erano indietreggiati, era sconnesso ed inadatto alla formazione falangitica, che richiedeva la massima compattezza. I Macedoni, avanzando, si trovarono a perdere la loro necessaria coesione. I Romani, superato lo smarrimento iniziale, ora che il combattimento si era spostato su un terreno assai a loro più favorevole, ottennero la vittoria finale grazie alla maggiore mobilità delle legioni manipolari rispetto alla "rigidezza" della falange macedone, e grazie ad armi più adeguate (come loscudo oblungo e laspada corta,[66] importata dallaSpagna) al combattimento ravvicinato del "corpo a corpo". E così i Romani, dopo aver neutralizzato la lungapicca macedone, ebbero la meglio sulle inesistenti armi supplementari macedoni (un'armatura assai leggera ed un pugnale). Sembra, inoltre, che il comandante macedone, Perseo, vista la tragica situazione in cui versavano le sue truppe, fuggì senza provare a condurre la cavalleria alla carica, per proteggere la ritirata della sua fanteria ormai in difficoltà. La battaglia si racconta, si risolse in meno di due ore, con una sconfitta completa delle forze macedoni.

Tardo periodo repubblicano (107 a.C.): la coorte

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Lo stesso argomento in dettaglio:Coorte e Riforma mariana dell'esercito romano.

In seguito alleinvasioni dei Cimbri e dei Teutoni, dove le armate romane avevano subito numerose sconfitte, anche a causa della nuova tattica adottata dalle popolazionigermaniche delcuneus. Si trattava di una formazione molto compatta e profonda che mirava a devastare il centro dello schieramento avversario. Per questo motivo,Gaio Mario, intuì che c'era la necessità di cambiare la tattica tradizionale per poter finalmente contrastare il nemico germanico, tattica che si era rivelata già disastrosa ai tempi dellaguerra annibalica. Egli adottò così uno schieramento più compatto (che potesse fronteggiare il devastante impatto delcuneus germanico), ma allo stesso tempo più flessibile, in modo tale da poter agire autonomamente all'interno dello schieramentolegionario, e potendo così aggirare i fianchi del nemico (unico punto debole) e metterlo in gravi difficoltà.[67]

La nuova organizzazione dell'esercito romano subiva, pertanto, un cambiamento di fondamentale importanza: ilmanipolo (formato da sole duecenturie) perse ogni funzione tattica in battaglia (non invece quella amministrativa[68]) e fu sostituito, come unità di base dellalegione,[67] da 10coorti (sull'esempio di ciò che era già stato anticipato daScipione l'Africano un secolo prima), ora numerate da I a X.[69] Furono, come si è accennato prima, eliminate le divisioni precedenti traHastati,Principes eTriarii, ora tutti equipaggiati con ilpilum (arma da lancio, che sostituiva l'hasta, che fino ad allora era in dotazione aiTriarii).[69]

Soldati romani (hastati e/oprincipes) rappresentati sull'ara di Domizio Enobarbo, databile al113 a.C. circa.

Ordine di marcia

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Gaio Giulio Cesare ci racconta l'ordine di marcia dellelegioni e delletruppe ausiliarie difanteria ecavalleria in prossimità del nemico durante laconquista della Gallia, databile al57 a.C., come segue:

«Cesare mandata avanti la cavalleria, seguiva subito dopo con il resto delle truppe: ma il criterio e l'ordine di marcia era diverso da quello che iBelgi avevano annunciato aiNervi. Infatti poiché si avvicinava al nemico, Cesare conduceva sei legioni senza bagagli, secondo la sua consuetudine. Dopo queste aveva collocato i bagagli di tutto l'esercito. Poi c'erano le due legioni da poco arruolate, che chiudevano l'intera colonna e costituivano il presidio ai bagagli.»

(Cesare,De bello Gallico, II, 19.1-3.)

Schieramento e battaglia

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Le nuove unità militari di base delle legioni, lecoorti, venivano schierate normalmente su due linee (duplex acies), soluzione che permetteva di avere un fronte sufficientemente lungo ma anche profondo e flessibile.[70] Vi erano poi altri tipi di schieramenti praticati dallearmate romane del tardo periodo repubblicano: su una sola linea, ovviamente quando era necessario coprire un fronte molto lungo come nel caso delBellum Africum durante laguerra civile tra Cesare e Pompeo;[71] o su tre linee (triplex acies), formazione spesso utilizzata daCesare durante laconquista della Gallia, con la prima linea formata da 4 coorti, e le restanti due, formate da tre coorti ciascuna. Le coorti schierate lungo la terza linea costituivano spesso una "riserva tattica" da utilizzare inbattaglia, come avvenne controAriovisto inAlsazia.[72] E sempre Cesare ci parla di un ordine coortale su quattro linee abattaglia di Farsalo a protezione dellacavalleria di Pompeo.[73] Tale schieramento risultava così molto più compatto e "profondo" da sfondare, rispetto al precedente ordinamento manipolare (vedi sopra).

Formazione acuneus

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Lo stesso argomento in dettaglio:Guerre cimbriche e Conquista della Gallia.

Questo genere di tattica sembra sia stata adottata inizialmente daiGermani,[74] da cui i Romani ne appresero la disposizione (dai tempi diGaio Mario eGaio Giulio Cesare[75]) e potrebbero averla perfezionata nei secoli successivi, sia durante l'occupazione romana della Germania sotto Augusto, sia durante leguerre marcomanniche di Marco Aurelio, come riferiscono alcuni autori latini: daAulo Gellio, scrittore delII secolo,[76] adAmmiano Marcellino eFlavio Vegezio Renato, scrittori delIV secolo.[77] Sembra che ilegionari si disponessero a cuneo in una formazione d'attacco compatta, larga alla base e molto stretta al vertice, ovvero formavano un triangolo (detta anche "testa di porco",caput porcinum), ponendo al vertice avanzato il propriocenturione. La funzione principale di questa formazione era dividere lo schieramento avversario in due differenti tronconi, in modo da renderlo maggiormente vulnerabile. Del resto i Romani, fin dai primordi, erano soliti tentare di sfondare il centro della formazione nemica, indebolendolo con continue cariche da parte dellafanteria pesante: una volta sfondato il fronte nemico, si procedeva a circondarlo, grazie anche dell'ausilio della cavalleria, che premeva i lati impedendone la fuga. Un utilizzo di questo tipo si ricorda nelIV secolo, quandoCostantino I la adottò contro le truppe diMassenzio nellabattaglia di Torino del312.[78]

Formazione "in cerchio" (orbis)

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Lo stesso argomento in dettaglio:Conquista della Gallia.

Un altro tipo di tattica adottato in questo periodo sembra sia stato quello "a circolo" (orbis), come descritto da Cesare durante laconquista della Gallia, che sembra sia stato praticato però da piccole formazioni (in antitesi alla formazioneagmen quadratum di diverse legioni-truppe alleate).

«[Di ritorno dalla Britannia] da queste navi sbarcarono circa 300 soldati e si diressero verso il campo. I Morini, che Cesare partendo per la Britannia, aveva lasciato pacificati, attratti dalla speranza di bottino, li circondarono [...]. E poiché i nostri si disposero "in cerchio" per difendersi, rapidamente si radunarono al grido di combattimento 6.000 Morini. A questa notizia, Cesare inviò in aiuto tutta la cavalleria che aveva a disposizione. Frattanto i nostri soldati sostennero l'impeto dei [6.000] Galli e combatterono con grande valore per più di 4 ore, ricevendo poche ferite ed uccidendo molti nemici.»

(Cesare,De bello Gallico IV.37.1-3.)

Altro episodio dove Cesare racconta la formazione "in cerchio", che però si rivelò poco adatta, riguarda il quinto anno di campagna militare in Gallia, quando le truppe in marcia diQuinto Titurio Sabino eLucio Aurunculeio Cotta furono attaccate a sorpresa e massacrate da quelle galliche diAmbiorige. Sabino e Cotta furono uccisi, e solo pochi soldati riuscirono a raggiungere le truppe comandate da un altro legato di Cesare,Tito Labieno.[79]

«[...] Dal momento che, a causa della lunghezza della colonna di marcia, i legati Sabino e Cotta non potevano provvedere a tutto personalmente e decidere cosa si doveva fare in ogni punto della colonna, comandarono che si abbandonassero i bagagli e ci si disponesse "in cerchio". Questa decisione sebbene in casi come questo non sarebbe riprovevole, ebbe tuttavia delle conseguenze negative: diminuì infatti la fiducia dei nostri soldati e rese più spietati i nemici nel combattimento, poiché un tale ordine sembrava fosse stato preso per paura e disperazione.»

(Cesare,De bello Gallico V.33.3-5.)

Il ruolo del comandante nelle prime file

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I comandanti romani erano spesso in prima linea, per dare dimostrazione del proprio coraggio ed impeto ai propri soldati, ai fini del buon esito della battaglia. Ciò portava, però ed inevitabilmente, ad una loro alta mortalità a causa dell'elevato rischio a cui erano esposti. Altri ebbero il coraggio, pari alla fortuna di non aver mai subito ferite mortali, comeLucio Cornelio SillaFelix (ovveroil fortunato) e lo stessoGaio Giulio Cesare, come dimostrano alcuni brani tratti qui sotto dalDe bello Gallico:

«[Cesare] riunite le insegne della XII legione, i soldati accalcati erano d'impaccio a se stessi nel combattere, tutti i centurioni della quarta coorte erano stati uccisi ed ilsignifer era morto anch'egli, dopo aver perduto l'insegna, quasi tutti gli altri centurioni delle altre coorti erano o feriti o morti [...] mentre i nemici, pur risalendo da posizione da una posizione inferiore, non si fermavano e da entrambi i lati incalzavano i Romani [...]Cesare vide che la situazione era critica [...] tolto lo scudo ad un soldato delle ultime file [...] avanzò in prima fila e chiamati per nome i centurioni, esortati gli altri soldati, ordinò di avanzare con le insegne allargando i manipoli, affinché potessero usare le spade. Con l'arrivo di Cesare ritornata la speranza nei soldati e ripresi d'animo [...] desiderarono, davanti al proprio generale, di fare il proprio dovere con professionalità, e l'attacco nemico fu in parte respinto.»

(Cesare,De bello Gallico 2.25-26.)

Losvolgimento della battaglia vide poco dopo i Romani prendere il sopravvento, e sebbene i Nervi combattessero con coraggio e ostinazione, furono completamente massacrati. Cesare narra che al termine della battaglia dei 60.000 Nervi, ne rimasero in vita solo 500.[80]

Vercingetorige getta le armi ai piedi di Cesare e si arrende dopo l'ultima battaglia di fronte adAlesia. Lionel-Noël Royer, 1899

Nel capolavoro tattico che videCesare impegnato adAlesia, nel mezzo dello scontro finale, dove iGalli premevano contro le fortificazioni sia interne che esterne, ed i Romani erano ormai prossimi al tracollo definitivo, il proconsole romano, venuto a conoscenza che malgrado avesse inviato numerose coorti in soccorso la situazione al campo settentrionale continuava ad essere assai grave, decise di recarsi personalmente con nuovi reparti legionari raccolti durante il percorso di avvicinamento. Qui non solo riuscì a ristabilire la situazione a favore dei Romani, ma con mossa inaspettata e repentina ordinò a quattro coorti e a parte della cavalleria di seguirlo: aveva in mente di aggirare le fortificazioni ed attaccare il nemico alle spalle. Frattanto Labieno, radunate dai vicini fortilizi in tutto trentanove coorti, si apprestò a muovere anch'egli contro il nemico.[81]

«Riconosciuto Cesare per il colore del suo mantello, che portava come un'insegna durante i combattimenti... i Romani, lasciati ipilum, combattono con laspada. Velocemente appare alle spalle dei Galli la cavalleria romana, mentre altre coorti si avvicinano. I Galli volgono in fuga. La cavalleria romana rincorre i fuggiaschi e ne fa grande strage. Viene ucciso Sedullo, comandante deiLemovici; l'arverno Vercassivellauno viene catturato durante la fuga; vengono portate a Cesare settantaquattro insegne militari. Di così grande moltitudine pochi riuscirono a raggiungere il campo e salvarsi... Dalla città, avendo visto la strage e la fuga dei compagni e disperando della salvezza, ritirano l'esercito in Alesia. Giunta questa notizia, i Galli del campo esterno si danno alla fuga... Se i legionari non fossero stati sfiniti... tutte le truppe nemiche avrebbero potuto essere distrutte. Verso mezzanotte la cavalleria, mandata all'inseguimento, raggiunse la retroguardia nemica. Un grande numero di Galli fu preso ed ucciso, gli altri si disperdono in fuga verso i loro villaggi.»

(Cesare,De bello Gallico, VII, 88.)

Cesare aveva vinto nuovamente. Questa volta aveva, però, sconfitto l'intera coalizione della Gallia. La sua era stata una vittoria totale contro l'impero dei Celti. Vi è da aggiungere, però, che non era solo al comandante che spettava questo duro compito di apparire spesso nelle prime linee. Tale ruolo era, almeno dai tempi delleguerre puniche, assunto daicenturioni, posizionati sulla destra dello schieramento manipolare e poi coortale.[82] Posizione certamente assai rischiosa. Non a caso spesso al termine di aspri scontri, numerosi erano i centurioni caduti al termine della battaglia.[83] Cesare racconta ad esempio che durante l'assedio di Gergovia:

«Lucio Fabio, un centurione dell'VIII legione, che, com'era noto ai suoi soldati, aveva detto quel giorno che era attratto dallericompense promesse adAvarico, e che non avrebbe permesso a nessuno di salire sulle mura [dell'oppidum gallico] prima di lui, trovò tre soldati del suo manipolo, che lo sollevarono al punto che poté salire sul muro. Egli poi afferrandoli, uno ad uno, li tirò sulle mura [con sé].»

(Cesare,De bello Gallico VII.47.7.)

«In quello stesso momento, il centurione Lucio Fabio, e quelli che con lui erano saliti sulle mura della città, furono circondati, uccisi e gettati sotto dalle mura.»

(Cesare,De bello Gallico VII.50.3.)

Costituzione di una "riserva tattica"

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Labattaglia di Farsalo dove le truppe di "riserva" di Cesare si rivelarono determinanti ai fini della vittoria finale (48 a.C.).

Sappiamo da numerose fonti che in alcuni casi i comandanti romani utilizzavano parte del loroesercito quale "riserva tattica", da poter utilizzare poi nel corso dellabattaglia. Sembra infatti che si debba ascrivere aLucio Cornelio Silla questa importante innovazione tattica utilizzata poi nei secoli successivi. L'unità in questione, utilizzabile in caso di estrema necessità, fu creata per la prima volta nel corso dellabattaglia di Cheronea dell'86 a.C. Lo storicoGiovanni Brizzi ricorda, infatti, che l'ala sinistra dello schieramento romano, comandato daLucio Licinio Murena, fu salvato grazie all'intervento di questa "riserva" tattica comandata dai legatiQuinto Ortensio Ortalo e Galba.[84][85][86]

Un altro esempio lo apprendiamo daCesare nel corso dellaconquista della Gallia, contro i Germani di Ariovisto inAlsazia[72] o aBibracte contro gliElvezi nel58 a.C.:

«Cesare schierò a metà del colle le quattro legioni di veterani [laVII,VIII,IX eX)] in tre file[87] mentre ordinò di collocare sulla cima le due legioni appena arruolate [laXI eXII] ... insieme alle truppe ausiliarie [...] oltre a radunare i bagagli in un sol luogo, e che questo luogo fosse fortificato dai soldati schierati nella parte più alta della collina. GliElvezi che avevano seguito iromani con tutti i loro carri, radunarono in un sol luogo i bagagli, poi in file serrate, rigettata la cavalleria romana, si fecero sotto alla prima schiera dopo aver formato una falange.»

(Cesare,De bello Gallico, I, 24.)

o anche in quella successiva del57 a.C. nei pressi delfiumeAxona:

«Cesare lasciate nel campo due legioni che aveva da poco arruolate, affinché, se in qualche parte dello schieramento vi fosse stato bisogno, potessero essere impiegate come riserva, schierò in ordine davanti al campo le altre sei legioni.»

(Cesare,De bello Gallico, II 8, 5-10.)

Senza dimenticare forse la più importante battaglia di Cesare,quella di Farsalo contro il rivale Pompeo, per la supremazia sulla stessaRoma.[88]

Modalità di combattimento

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Cesare racconta le modalità di combattimento, durante labattaglia in Alsazia contro iGermani diAriovisto:

«Con tale violenza i Romani andarono all'assalto dei Germani, ma altrettanto improvvisamente e rapidamente i Germani corsero all'attacco, che non vi fu spazio [da parte dei Romani] di lanciare ipila contro il nemico. Lasciati da parte ipila si combatté, corpo a corpo, con le spade. Ma i Germani velocemente secondo il loro costume, si schierarono in falange e sostennero l'assalto delle spade. Si trovarono parecchi Romani che furono capaci di saltare sopra lefalangi e strappare con le loro mani gli scudi e colpire da sopra.»

(Cesare,De bello Gallico, I, 52.3-5.)

Assedio

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Lo stesso argomento in dettaglio:Assedio (storia romana) e Armi d'assedio (storia romana).

Appartengono certamente a questo periodo i più"famosi" assedi dell'interastoria romana, per lemigliori tecniche militari adottate, con cui iRomani riuscirono ad assaltare ed occupare anche città nemiche considerate inespugnabili. Ricordiamo ad esempio l'assedio di Numanzia da parte diScipione Emiliano, diAtene per merito diLucio Cornelio Silla, o diAvarico e del più conosciuto e studiato dai moderni diAlesia, ad opera diGaio Giulio Cesare. I Romani utilizzavano tre principali metodi per impadronirsi delle città nemiche:

  1. per fame (occorreva più tempo, ma minor perdite di vite umane da parte degli assalitori), creando tutto intorno alla città assediata una serie di fortificazioni (unacontrovallazione interna[89] e, a volte, unacirconvallazione esterna,[89] come nel caso diAlesia[90]) che impedissero al nemico di approvvigionarsi (di viveri ed anche di acqua, deviando gli stessi corsi dei fiumi) o peggio di scappare, sottraendosi all'assedio, nella speranza di condurre gli assediati alla resa. Il sito attaccato veniva poi circondato da numerose postazioni, dove la principale ospitava il quartier generale, oltre ad una serie di altri fortini collegati.[91]
  2. con un massiccio attacco frontale, impiegando una grande quantità di armati, artiglieria,rampe etorri d'assedio. L'esito finale era normalmente più veloce ma con un alto prezzo in perdite di armati da parte dell'assalitore romano. In questo caso si effettuava un'azione preparatoria all'assalto, diartiglieria, per provocare danni alle mura, produrre perdite di vite umane tra gli assediati ed indebolire il morale dei sopravvissuti. Subito dopo i legionari si avvicinavano alle mura della città informazione atestuggine, mentre arcieri e frombolieri lanciavano una "pioggia" di dardi (anche infuocati) contro gli assediati, a "copertura" dei fanti romani.Scale,torri mobili earieti si avvicinavano anch'essi, fino a quandolegioni eauxilia, raggiunta la sommità delle mura, ingaggiano una serie di duelli "corpo a corpo". Seguiva il saccheggio della città, ormai in balia dellearmate romane.[92]
  3. con un attacco improvviso ed inatteso, che non desse al nemico assediato il tempo di ragionare.
Ricostruzione dell'assedio di Avarico.

Se consideriamo l'assedio di Avarico, i Romani ottennero la vittoria finale a caro prezzo, dopo quasi un mese di estenuante assedio, che apparentemente non aveva portato alcun vantaggio al proconsole romano:

«Al grandissimo valore dei soldati romani venivano opposti espedienti di ogni genere da parte dei Galli [...] Essi, infatti, con delle corde deviavano le falci murali e dopo averle assicurate le tiravano dentro [...] toglievano la terra sotto ilterrapieno con gallerie, con grande abilità poiché nel loro paese esistevano grandi miniere di ferro [...] avevano inoltre costruito delle torri in legno a diversi piani lungo tutte le mura e le avevano coperte di pelli [...] e con frequenti sortite di giorno e di notte davano fuoco al terrapieno o assalivano ilegionari impegnati a costruire [...] le loro torri le sopraelevavano per eguagliare le torri dei Romani, tanto quanto il terrapieno era innalzato giornalmente [...] con legni induriti dal fuoco, con pece bollente o sassi pesantissimi ritardavano lo scavo delle gallerie e impedivano di avvicinarle allemura

(Cesare,De bello Gallico, VII, 22.)

Sebbene vi fossero questi continui impedimenti per l'esercito romano, ilegionari, pur ostacolati dal freddo e dalle frequenti piogge, riuscirono a superare tutte le difficoltà ed a costruire nei primi venticinque giorni di assedio, un terrapieno largo quasi 100 metri ed alto quasi 24 metri, di fronte alle due porte della cittadella. Cesare, era così riuscito a raggiungere il livello dei contrafforti, tanto da renderli inutili per la difesa degli assediati.

Il ventisettesimo giorno dall'inizio dell'assedio di Avarico, scoppiato un grande temporale, Cesare ritenne fosse giunto il momento opportuno di attaccare, considerando sia la difficoltà dei nemici di appiccare nuovi fuochi al terrapieno sotto una pioggia battente, e sia la minor cura con cui il servizio di guardia delle mura sarebbe stato disposto rispetto ad altri momenti. I Romani, pertanto, dapprima si nascosero all'interno dellevineae, ed al segnale convenuto riuscirono ad irrompere con grande velocità sugli spalti della città. Dopo aspri combattimenti prima sulle mura e poi all'interno della città, dove iGalli si erano disposti in forma di cuneo, intenzionati a battersi fino alla morte, i soldati romani, esasperati dalle lunghe fatiche patite nel corso di quell'ultimo mese, bruciarono l'intera città e trucidarono l'intera popolazione, comprese le donne, i vecchi ed i bambini. Dei 40.000 abitanti solo 800 salvarono la vita.[93]

Ricostruzione grafica delle fortificazioni di Cesare ad Alesia (52 a.C.).

AdAlesia le opere messe in atto da Cesare furono mastodontiche, come mai prima di allora e dopo, nell'intera storia romana si erano mai viste. Lacittà dei Galli era su una posizione fortificata in cima ad una collina con spiccate caratteristiche difensive, circondata a valle da tre fiumi (l'Ose a nord, l'Oserain a sud ed ilBrenne ad ovest). Per tali ragioni Cesare ritenne che un attacco frontale non avrebbe potuto avere buon esito ed optò per unassedio, nella speranza di costringere i Galli alla resa perinedia. Considerato che circa ottantamila soldati si erano barricati nella città, oltre alla popolazione civile locale deiMandubi, sarebbe stata solo questione di tempo: la fame prima o poi li avrebbe condotti alla morte o costretti alla resa.

Per garantire un perfetto blocco, Cesare ordinò la costruzione di una serie di fortificazioni, chiamate "controvallazione" (interna) e "circonvallazione" (esterna), attorno ad Alesia.[90] I dettagli di quest'opera ingegneristica sono descritti da Cesare neiCommentari e confermati dagli scavi archeologici nel sito. Per prima cosa Cesare fece scavare una fossa (ad occidente della città di Alesia, tra i due fiumi Ose e Oserain) profonda venti piedi (pari a circa sei metri), con le pareti dritte in modo che il fondo fosse tanto largo quanto distavano i margini superiori. Ritirò, quindi, tutte le altre fortificazioni a quattrocento passi da quella fossa ad occidente (seicento metri circa).[94]

A questo punto, fu costruito, nel tempo record di tre settimane, la prima "circonvallazione" di quindici chilometri tutto intorno all'oppidum nemico (pari a diecimiglia romane[89]) e, all'esterno di questo, per altri quasi ventun chilometri (pari a quattordici miglia), la "controvallazione".[95]

Le fortificazioni costruite da Cesare ad Alesia, nell'ipotesi della locazione della battaglia presso Alise-sainte-Reine (52 a.C.).

Le opere comprendevano:

  • due valli (uno esterno ed uno interno) sormontati da una palizzata, la cui altezza complessiva era di tre metri e mezzo (dodici piedi);
  • due fosse larghe quattro metri e mezzo e profonde circa uno e mezzo lungo il lato interno, dove la fossa più vicina alla fortificazione fu riempita con l'acqua dei fiumi circostanti;[94]
  • oltre i fossati si trovavano inoltre trappole e profonde buche (dal "cervus" sul fronte del vallo sotto la palizzata, a cinque ordini di "cippi", otto di "gigli" e numerosi "stimoli"[96]) per limitare le continue sortite dei Galli, che spesso attaccavano i cantieri dei Romani con grande violenza da più porte della città di Alesia;
  • quasi un migliaio di torri di guardia equidistanti a tre piani (a venticinque metri circa, l'una dall'altra), presidiate dall'artiglieria romana;[94]
  • ben ventitré fortini ("castella"), nei quali di giorno erano posti dei corpi di guardia affinché i nemici non facessero improvvise sortite (probabilmente occupati ciascuno da unacoortelegionaria), di notte erano tenuti da sentinelle e da solidi presidi;[89]
  • quattro grandi campi per le legioni (due per ciascuncastrum) e quattro campi per la cavalleria, legionaria, ausiliaria egermanica.[97]

Erano necessarie considerevolicapacità ingegneristiche per realizzare una tale opera, ma non nuove per uomini come gliedili, gli ufficiali di Roma, che solo pochi anni prima, in dieci giorni, avevano costruitoun ponte attraverso il Reno con somma meraviglia dei Germani. Ed infine, per non trovarsi poi costretto ad uscire dal campo con pericolo per l'incolumità delle sue armate, Cesare ordinò di avere un deposito di foraggio e di frumento per trenta giorni.[89]

Confronto tattico con formazioni nemiche del periodo

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I Germani (tra cavalleria "mista" e schieramento falangitico)

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Lo stesso argomento in dettaglio:Organizzazione militare dei Germani e Guerre romano-germaniche.
Assalto deiGermani alle legioni romane.

Cesare, durante laconquista della Gallia nel58 a.C., dovendosi scontrare con le armategermaniche, racconta di alcune abitudini dei guerrieri germani, abili sia con la cavalleria che utilizzavano per compiere rapide ed improvvise sortite, sia con la fanteria, forte di uno schieramento falangitico. Nel primo scontro che il proconsole romano fece con gli stessi, Cesare racconta riguardo alla loro cavalleria, che:

«I cavalieri avevano scelto i fanti da ogni reparto uno ad uno, per la propria personale difesa. Partecipavano alle battaglie in loro compagnia. I cavalieri si ritiravano presso di loro e se il combattimento diventava più difficile andavano insieme all'assalto. Se qualcuno era ferito in modo grave, ed era caduto da cavallo, lo circondavano per difenderlo. E se dovevano avanzare o ritirarsi rapidamente, tanto erano esercitati, che risultavano tanto veloci sostenendosi alle criniere dei cavalli, eguagliandone la corsa.[98]»

(Cesare,De bello Gallico, I, 48, 4-7.)

Successivamente, giunto inAlsazia, si apprestò a battersi con il grosso dell'esercito nemico e la sua possente fanteria. Cesare schierò le sue truppe in modo che le sueforze ausiliarie fossero disposte di fronte al campo piccolo e poi, via via, le seilegioni su tre schiere (triplex acies). Avanzò, quindi, verso il campo deiGermani diAriovisto e lo costrinse a disporre le sue truppe fuori dal campo. Quest'ultimo ordinò l'esercito per tribù: prima quella degliArudi, poi iMarcomanni, iTriboci, iVangioni, iNemeti, iSedusi ed infine gliSvevi. Ogni tribù, poi, fu circondata da carri e carrozze, affinché non ci fosse la possibilità di fuga per nessuno: sopra i carri c'erano le donne, che imploravano i loro uomini di non abbandonarle alla schiavitù dei Romani.[99] Cesare così racconta lo svolgimento della battaglia:

«Cesare mise ilegati ed ilquestore a capo ciascuno di unalegione, egli in persona diede inizio al combattimento dall'ala destra, poiché aveva notato che quella era la parte dei nemici più debole. I nostri andarono all'attacco con tanta violenza… che non ci fu neppure il tempo per lanciare igiavellotti contro i Germani. Ed i Germani con rapidità formarono unafalange e sostennero l'assalto dellespade romane, e molti dei nostri riuscirono a saltare sopra la falange ed a strappare loro gli scudi ed a colpire dall'alto. Una volta respinta l'ala sinistra nemica e messa in fuga, all'ala destra i nemici in grande numero esercitavano una forte pressione sulla nostra schiera. Essendosi accorto di ciò, il giovanePublio Licinio Crasso [figlio del triumviro]che comandava lacavalleria, poiché era meno impegnato [...] mandò ai nostri in difficoltà la terza schiera. Così fu ristabilita la situazione e tutti i nemici furono messi in fuga e non smisero di scappare prima di aver raggiunto il fiumeReno distante dal luogo della battaglia circa 5.000 passi (7,5 km).[100]»

(Cesare,De bello Gallico, I, 52-53.)

Gli Orientali: dalle truppe mitridatiche ai Parti (tra cavalleria catafratta ed arcieri)

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Lo stesso argomento in dettaglio:Esercito mitridatico, Esercito partico, Guerre mitridatiche e Guerre romano-partiche.
Un cavaliere leggero dei Parti, armato con arco e frecce.
Un cavaliere "pesante" deiParti, detto anchecatafratto.

L'esercito mitridatico poteva contare su una tipologia di truppe molto vasta: dallafanteria falangitica di stampoellenistico, alla cavalleria "leggera" di arcieri armeniaco-partico, a quella "pesante"catafratta, oltre ad unità dicarri falcati, sempre di tipo orientale, fino a flotte (anche dipirati) composte per lo più dapentecontere ebiremi. Roma ebbe così modo di adattare le proprie tattiche al nuovo nemico orientalie nel corso ditrent'anni di guerre.

Quando lelegioni romane si scontrarono per la prima volta con le armatepartiche nel53 a.C. aCarre nellaMesopotamia settentrionale, subendo una delle piùtremende sconfitte dell'interastoria romana, i successivi generali furono costretti a ripensare quale nuova tattica mettere in atto per difendersi da queste cariche dicavalleria "pesante" catafratta. Nelle successivecampagne militari che si susseguirono, i legionari utilizzarono una disposizione più protetta, formando una specie di "muro umano" su due linee. La prima linea s'inginocchiava ponendo loscutum ovale di fronte ed ipila sollevati, che uscivano dallo spazio tra uno scudo e l'altro con una leggera inclinazione di 30º. La seconda linea copriva la prima con gli scudi creando una tettoia, e da dietro si preparavano a scagliare ipila. Questa formazione era utile per difendersi, ma risultava lenta da applicare, praticamente immobile e debole sui fianchi e sul retro. Era una formazione difensiva da usarsi in caso di carica diretta, dato che perdeva qualunque validità tattica durante un'offensiva.

Alto periodo imperiale: legioni eauxilia (30 a.C. - 284 d.C.)

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Lo stesso argomento in dettaglio:Riforma augustea dell'esercito romano.
«Tanto grande ed assoluta è la loro ubbidienza ai comandanti, da costituire un vanto in tempo di pace; in battaglia, da rendere l'intero esercito compatto, quasi fosse un blocco unico.»

(Giuseppe Flavio,guerra giudaica, III, 5.7.104.)

Armamento ed ordine di marcia

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Nello stabilire quale fosse il corretto ordine di marcia delle singole unità che componevano un'armata: la fanteria ausiliaria era mandata in avanscoperta; seguiva l'avanguardia composta da truppelegionarie, appoggiate da un corpo dicavalleria; dietro loro alcuni legionari muniti di attrezzi per la costruzione dell'accampamento al termine della giornata di marcia; seguivano gli ufficiali ed ilgenerale con scorta armata e guardia del corpo nel caso dell'imperatore (si trattava dellaguardia pretoriana); ancora un gruppo di legionari e cavalieri; poi muli carichi diarmi da assedio smontate, oltre a bagagli ed alimenti; seguivano altre legioni, eventuali forze mercenarie o di popoliclienti; e chiudeva la retroguardia composta da un grosso contingente di cavalleria. Questa la descrizione che faGiuseppe Flavio dell'armamento che utilizzava l'esercito romano, durante laprima guerra giudaica (66-74):

«Si mettono marcia tutti in silenzio e ordinatamente, restando ciascuno al proprio posto come fossero in battaglia. I fanti indossano corazze (lorica) ed elmi (cassis ogalea), una spada appesa su ciascun fianco, dove quella di sinistra è più lunga (gladius) di quella di destra (pugio), quest'ultima non più lunga di un palmo. I soldati "scelti", che fanno da scorta al comandante, portano una lancia (hasta) e uno scudo rotondo (parma); il resto deilegionari un giavellotto (pilum) e uno scudo oblungo (scutum), oltre ad una serie di attrezzi come, una sega, un cesto, una piccozza (dolabra), una scure, una cinghia, un trincetto, una catena e cibo per tre giorni; tanto che i fanti sono carichi come bestie da soma (i muli diMario[101]).
Icavalieri portano una grande [e più lunga] spada sul fianco destro (spatha), impugnano una lunga lancia (lancea), uno scudo viene quindi posto obliquamente sul fianco del cavallo, in una faretra sono messi anche tre o più dardi dalla punta larga e grande non meno di quella delle lance; l'elmo e la corazza sono simili a quelli dellafanteria. L'armamento dei cavalieri scelti, quelli che fanno da scorta al comandante, non differiscono in nulla a quello delleali di cavalleria. A sorte, infine, si stabilisce quale delle legioni debba iniziare la colonna di marcia.»

(Giuseppe Flavio,Guerra giudaica, III, 5.5.93-97.)

Questa la descrizione che fa, sempre Giuseppe Flavio, dell'ordine di marcia:

«Vespasiano, muovendosi per invadere la Galilea, fece uscire da Tolemaide l'esercito disponendolo nell'ordine di marcia consueto ai Romani. Comandò, quindi, che in testa allo schieramento avanzassero letruppe ausiliarie armate alla leggera e gli arcieri (sagittarii), pronti a respingere improvvisi attacchi nemici ed esplorare (exploratores) i boschi adatti alle imboscate. Insieme a loro procedeva anche un contingente armato "pesantemente", inparte a piedi e inparte a cavallo. Dietro a questi erano disposti dieci uomini per ognicenturia, che portavano il proprio bagaglio personale e gli attrezzi per misurare l'accampamento (mensores), poi subito dopo igenieri dellestrade, sia rendere diritti i percorsi, sia per livellare il terreno, sia per abbattere gli alberi lungo il cammino, affinché l'esercito non avesse una marcia difficile. Dietro a questi mise i bagagli suoi e degli ufficiali (impedimenta), proteggendoli con un numeroso reparto dicavalleria. Dietro cavalcava lui stesso (Vespasiano), circondato da fanti e cavalieri scelti (speculatores) e di lancieri (equites cataphractarii elanciarii). Veniva, quindi, lacavalleria legionaria, formata da 120 cavalieri per ciascunalegione. Seguivano i muli che trainavano leelepoli e le altremacchine da guerra. Dietro a questi i legati (legati legionis) e i prefetti delle coorti (praefecti cohortis) con i tribuni (tribuni militum), scortati da soldati scelti (speculatores); poi leinsegne (signa) che circondano l'aquila, che era portata in testa ad ogni legione romana. L'aquila è infatti la regina e il più forte di tutti gli uccelli e rappresenta, per i Romani, il simbolo delloro impero oltre ad essere auspicio divittoria contro qualunque nemico. Dietro alle sacre insegne c'erano i trombettieri (tubicines,cornicines ebucinatores) e quindi il grosso dellafanteria legionaria disposta lungo sei file. E sempre secondo consuetudine, li accompagnava uncenturione per fare in modo che marciassero in buon ordine nei ranghi. Dietro alla fanteria legionaria venivano i servi di ciascuna legione, i quali portavano i bagagli dei soldati sui muli e sulle bestie da soma (impedimenta); subito dopo le legioni, c'erano letruppe alleate, protette da una retroguardia composta da fanti leggeri e pesanti e da numeroseali di cavalleria (auxilia).»

(Giuseppe Flavio,Guerra giudaica, III, 6.2.116-126.)

Altra descrizione di Giuseppe Flavio, sempre ai tempi dellaprima guerra giudaica, ricordaTito, figlio di Vespasiano, quando marciò da Cesarea Marittima a Gerusalemme perassediarla:

«La marcia di Tito in territorio nemico iniziava con glialleati regi e tutte leforze ausiliarie, dietro le quali si trovava ilgenio per la costruzione distrade e la misurazione degliaccampamenti. Seguivano poi le salmerie dei comandanti con la dovuta scorta, mentre dietro a questa procedeva Tito con i fanti scelti, i lancieri e leturmae dellacavalleria legionaria. Dietro si trovavano lemacchine da guerra, poi itribuni, i prefetti di coorte insieme ai reparti scelti, quindi intorno all'aquila leinsegne precedute dai rispettivitrombettieri. Seguiva lafanteria legionaria, che marciava su sei file, seguita da salmerie, servi di ogni legione. Dietro a tutti, i mercenari e la retroguardia di scorta ad essi.»

(Giuseppe Flavio,Guerra giudaica, V, 2, 1.47-49.)

Centocinquant'anni più tardi, al tempo diMassimino Trace (nel238),Erodiano racconta che l'Imperatore romano era deciso a marciare su Roma per reprimere la rivolta diPupieno eBalbino,[102] con un ordine di marcia a forma di grande rettangolo, ponendo il bagaglio pesante, gli approvvigionamenti ed i carri al centro della formazione, ed infine prendendo lui stesso il comando della retroguardia.[103] Su ogni fianco marciavano glisquadroni di cavalleria, truppe di Mauri armati di giavellotto e di arcieri orientali. L'imperatore condusse, inoltre, con sé anche un consistente numero diausiliarigermani, i quali furono posti all'avanguardia, primi a sopportare gli assalti di un eventuale nemico. Questi uomini estremamente selvaggi e audaci, risultavano molto abili nelle fasi iniziali della battaglia e, comunque, sacrificabili. Certamente meglio loro che le legioni di cittadini romani.[104]

Al termine della giornata era costruito unaccampamento da campagna, per poter soggiornare la notte, protetti da eventuali attacchi notturni dei nemici della zona.[105]

Accampamento "da campagna"

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Lo stesso argomento in dettaglio:Castrum.
Tipicocastrum romano da campagna militare: 1: Principia; 2: Via Praetoria; 3: Via Principalis; 4: Porta Principalis Dextra; 5: Porta Praetoria (porta principle); 6: Porta Principalis Sinistra; 7: Porta Decumana.

Questa la descrizione che faGiuseppe Flavio di un tipicoaccampamento di marcia, durante laprima guerra giudaica (66-74):

«I nemici non possono coglierli di sorpresa. [I Romani], infatti, quando entrano in territorio nemico non vengono a battaglia prima di aver costruito un accampamento fortificato. L'accampamento non lo costruiscono dove capita, né su terreno non pianeggiante, né tutti vi lavorano, né senza un'organizzazione prestabilita; se il terreno è disuguale viene livellato. L'accampamento viene poi costruito a forma di quadrato. L'esercito ha al seguito una grande quantità di fabbri e arnesi per la sua costruzione.»

(Giuseppe Flavio,guerra giudaica, III, 5.1.76-78.)

Giuseppe Flavio aggiunge che all'interno vi sono tutta una serie di file di tende, mentre all'esterno la recinzione (vallum) assomiglia ad un muro munito di torri ad intervalli regolari. In questi intervalli vengono collocate tutta una serie di armi da lancio, comecatapulte ebaliste con relativi dardi, pronti per essere lanciati.[106]

«Nelle fortificazioni si aprono quattro porte, una su ciascun lato, comode per farvi transitare sia animali da tiro, sia per l'utilizzarle in sortite esterne da parte dei soldati, in caso di emergenza, essendo le stesse molto ampie. L'accampamento, quindi, è intersecato al centro da strade che s'incrociano ad angolo retto (via Praetoria evia Principalis). Nel mezzo vengono poste le tende degli ufficiali (quaestorium) e quella del comandante (praetorium), che assomiglia a un tempio. Una volta costruito, appare come una città con la sua piazza (forum), le botteghe degli artigiani e i seggi destinati agli ufficiali dei vari gradi (tribunal), qualora debbano giudicare in occasione di qualche controversia. Le fortificazioni esterne e tutto ciò che racchiudono vengono costruite molto rapidamente, tanto numerosi ed esperti sono quelli che vi lavorano. Se è necessario, all'esterno si scava anche unfossato profondo quattrocubiti (pari a quasi 1,8metri) e largo altrettanto.»

(Giuseppe Flavio,guerra giudaica, III, 5.2.81-84.)

Una volta costruito l'accampamento, i soldati si sistemano in modo ordinato al suo interno,coorte per coorte,centuria per centuria. Vengono, quindi, avviate tutta una serie di attività con grande disciplina e in sicurezza, dai rifornimenti dilegna, di vettovaglie e d'acqua; quando ne hanno bisogno, provvedono ad inviare apposite squadre diexploratores nel territorio circostante.[107]

Nessuno può pranzare o cenare quando vuole, al contrario tutti lo fanno insieme. Sono poi gli squilli dibuccina ad impartire l'ordine di dormire o svegliarsi, i tempi dei turni di guardia, e non vi è operazione che non si conduca a termine senza un preciso comando. All'alba, tutti i soldati si presentano aicenturioni, e poi questi a loro volta vanno a salutare itribuni e insieme con costoro, tutti gli ufficiali, si recano dal comandante in capo. Quest'ultimo, come consuetudine, dà loro la parola d'ordine e tutte le altre disposizioni della giornata.[107]

Quando si deve togliere l'accampamento, lebuccine danno il segnale. Nessuno resta inoperoso, tanto che, appena udito il primo squillo, tolgono le tende e si preparano per mettersi in marcia. Ancora lebuccine danno un secondo segnale, che prevede che ciascuno carichi rapidamente i bagagli sui muli e sugli altri animali da soma. Si schierano, quindi, pronti a partire. Nel caso poi di accampamenti semi-permanenti, costruiti in legno, danno fuoco alle strutture principali, sia perché è sufficientemente facile a costruirne uno nuovo, sia per impedire che il nemico possano utilizzarlo, rifugiandosi al suo interno.[108]

Lebuccine danno un terzo squillo, per spronare quelli che per qualche ragione siano in ritardo, in modo che nessuno si attardi. Un ufficiale, poi, alla destra del comandante, per tre volte rivolge loro inlatino, la domanda se siano pronti a combattere, e quelli per tre volte rispondono con un grido assordante, dicendo di esser pronti e, come invasati da una grande esaltazione guerresca accompagnano le grida,alzando le destre.[108]

Schieramento e combattimento

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L'esercito romano schierato a battaglia.
«[I Romani] si comportano con uguale disciplina anche in battaglia [oltre a costruire l'accampamento], eseguono molto rapidamente le manovre nella dovuta direzione, e in schiera compatta avanzano o indietreggiano al comando.»

(Giuseppe Flavio,La guerra giudaica, III, 5.3.88.)

«Tanto sono compatte le loro schiere, agili nelle manovre, le orecchie tese ai comandi, gli occhi ai segnali, le mani all'azione. [I Romani] sono sempre rapidi nell'agire, lenti nel sentire qualche colpo infertogli, e non vi fu situazione in cui essi dovettero essere sconfitti, non alla superiorità numerica, non a stratagemmi o a difficoltà di terreno, e neppure alla sfortuna. Per loro, infatti, essere i più forti è cosa più importante dell'averefortuna

(Giuseppe Flavio,guerra giudaica, III, 5.7.105-106.)

I Romani generalmente si basavano su vari metodi in battaglia, che adeguavano in base al nemico ed al terreno dello scontro. Nel combattimento incampo aperto, lacavalleria era solitamente posizionata alle"ali". Lelegioni erano posizionate nella parte centrale dello schieramento intriplex acies (tripla linea, ed in rari casi induplex acies ovvero su una doppia linea),[109] poiché come fanteria pesante, dovevano reggere lo scontro frontale delle unità nemiche. Erano protette alle spalle dall'artiglieria e da quelletruppe ausiliarie di fanteria specializzata nel lancio di dardi, frecce, ecc. (come arcieri, frombolieri, lanciatori in genere). Questa seconda linea serviva a decimare il nemico prima ancora che potesse prendere contatto con l'armata romana (come ben illustrato nel film deIl Gladiatore). Alle spalle dell'esercito schierato, magari su un promontorio, la guardia pretoriana e l'Imperatore stesso. Era necessario vi fosse una forma disinergia tra le diverse unità da combattimento: la combinazione di legioni e truppe ausiliarie (cavalleria, fanteria leggera e truppe di tiratori), conferiva ai Romani una superiorità tattica quasi su ogni tipo di terreno e contro qualunque tipo di avversari.[110]

Formazione aforfex

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Lo stesso argomento in dettaglio:Occupazione romana della Germania sotto Augusto, Spedizione germanica di Germanico e Guerre marcomanniche.

Questo genere di tattica sembra sia stata adottata per far fronte alla formazione acuneus delle popolazionigermaniche del nord Europa. Non sappiamo a quando si deve il suo primo impiego. Possiamo immaginare sia avvenuto durante leprime campagne in Germania sotto Augusto e Tiberio, oppure nei secoli successivi, dopo lagrande invasione della metà-fine delII secolo (al tempo degliAntonini), come ci tramandaAulo Gellio, scrittore di quest'ultimo periodo.[111] Tale formazione prevedeva una disposizione "a tenaglia", a forma di "V" ad angolo acuto, con le estremità avanzate, pronte ad avvolgere la formazione "a cuneo" che all'interno vi si infilava. Questo genere di schieramento è menzionata anche daAmmiano Marcellino durante la guerra condotta da Giuliano contro gliAlamanni, poco prima delloscontro decisivo diArgentoratae del357.[112]

Assedio

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Lo stesso argomento in dettaglio:Assedio (storia romana) e Armi d'assedio (storia romana).
Ladistruzione del Tempio di Gerusalemme, da un dipinto diFrancesco Hayez conservato a Venezia.

Nel compiere unassedio le tecniche utilizzate non erano molto dissimili da quanto abbiamo visto nel periodo precedente (dopo lariforma di Mario). Anche in questo periodo furono utilizzatemacchine, scale, torri per la scalata o la demolizione dellemura nemiche, sia unità diartiglieria pesante comebaliste (affidate ai cosiddettiballistarii), ecc. per colpire gli assediati da lontano.

Spesso prima di cominciare un assedio, era eretto lungo l'intero percorso unAgger, ovvero un fossato ed un terrapieno a volte sormontato da una palizzata, per bloccare il nemico internamente, ed uno esternamente per difendersi da eventuali attacchi di nemici accorrenti in aiuto degli assediati. Era inoltre usata comunemente, una volta sfondata una porta della cittadella assediata, o per avvicinarsi a strutture fortificate evitando frecce e proiettili vari che lanciavano i difensori, la celebre formazione aTestuggine, così chiamata poiché i legionari posizionavano gli scudi affiancati l'uno all'altro ovunque, sia lateralmente, sia sopra la testa, creando un gruppo compatto completamente protetto. Tra i principali assedi di questo periodo ricordiamo quello diIotapata del67,[113]Gerusalemme del70[114] e diMasada del73.

Guerriglia

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Lo stesso argomento in dettaglio:Guerre cantabriche e Conquista di Rezia ed arco alpino sotto Augusto.

Nel caso di guerriglia con popolazioni che tendevano ad evitare lo scontro diretto (come letribù spagnole oalpine dei primi anni del principato di Augusto), le cui risorse e beni risultavano non fissi, o per lo meno non concentrati in un solo punto, era preferibile l'impiego, non tanto delle legioni, quanto quello delle più agili e maggiormente adatte,unità ausiliarie.[115]

Note

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Annotazioni

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  1. ^L'Encyclopedia Britannica,undicesima edizione (1911), definisce questi numeri "evidentemente artificiosi e inventati."

Fonti

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  2. ^Tito Livio,Ab Urbe condita, I, 11; 25; 29; 39.
  3. ^Polibio,Storie, IV, 9; XV, 12.
  4. ^abConnolly 1998, p. 91.
  5. ^Connolly 1998, p. 92.
  6. ^Connolly 1998, p. 93.
  7. ^Connolly 1998, p. 94.
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  10. ^Tito Livio,Ab Urbe condita libri, I, 24-26.
  11. ^Livio,Ab Urbe condita libri, VIII, 8, 3.
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  16. ^Tito Livio,Ab Urbe condita libri, II, 6.
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  18. ^Tito Livio,Ab Urbe condita libri, XXI, 5; 32 e 57.
  19. ^Gaio Sallustio Crispo,Bellum Iugurthinum, 46.
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  21. ^abCascarino 2007, p. 66.
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  24. ^Tito Livio,Ab Urbe condita libri, V, 5 e 43.
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  76. ^Aulo Gellio,Noctes Atticae, III, 7;X, 9.
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  78. ^Panegyrici latini XII(IX).5–6; IV(X).21–24.
  79. ^Cesare,De bello Gallico V.37.
  80. ^Cesare,De bello Gallico 2.28.
  81. ^Cesare,De bello Gallico, VII, 87.
  82. ^Polibio,Storie, VI, 24.
  83. ^Cesare,De bello Gallico II.25.
  84. ^Giovanni Brizzi,Storia di Roma. 1. Dalle origini ad Azio, p. 325.
  85. ^Plutarco,Vita di Silla, 18, 4.
  86. ^Appiano,Guerre mitridatiche, 42.
  87. ^Questa formazione era nota cometriplex acies, ed era la preferita di Cesare (Cowan, Ross,Roman Battle Tactics 109 BC - 313 AD, Osprey, 2007,ISBN 978-1-84603-184-7, p. 25).
  88. ^Cesare,De bello Civilis, III 94.
  89. ^abcdeCesare,De bello Gallico, VII, 69.
  90. ^abNapoleone III, Histoire de Jules César, Parigi 1865-1866.
  91. ^Giuseppe Flavio,La guerra giudaica, III, 7, 4 (146).
  92. ^Yann Le Bohec,L'esercito romano da Augusto alla fine del III secolo, Roma 2008, pp. 181-183.
  93. ^Cesare,De bello Gallico, VII, 27-28.
  94. ^abcCesare,De bello Gallico, VII, 72.
  95. ^Cesare,De bello Gallico, VII, 74.
  96. ^Cesare (De bello Gallico, VII, 73) descrive così i trabocchetti elaborati lungo le fortificazioni:
    • i "cippi" erano tronchi d'albero o rami assai robusti, con la cima scortecciata ed aguzzata, piantati nel terreno per cinque piedi e saldamente legati al fondo per evitare che potessero essere sradicati;
    • i "gigli" erano dei grossi pali, quanto una coscia umana, appuntiti e bruciati all'estremità, piantati nel terreno per tre piedi e sporgenti solo per quattro dita;
    • gli "stimoli", erano dei pioli muniti di uncini di ferro conficcati nel terreno, disseminati dappertutto ed a breve intervallo tra loro.
  97. ^Connolly 1976, pp. 32-33.
  98. ^Da questa unità speciale è possibile che sia nata l'idea della cosiddettecohors equitatae dell'esercito romano. A tal proposito si veda:Truppe ausiliarie dell'esercito romano.
  99. ^Cesare riferisce (De bello Gallico, I, 51) che il suo esercito era inferiore in numero, a quello dei Germani di Ariovisto.
  100. ^Alcuni storici moderni ritengono che il fiume in questione non fosse il Reno, ma l'Ill, fiume “parallelo” ed affluente del grande fiume, confuso da Cesare con il Reno a causa delle sue scarse nozioni geografiche. Cfr. Camille Jullian,Histoire de la Gaule, III, Parigi 1908, p. 231.
  101. ^Sesto Giulio Frontino,Strategemata, IV, 1.7.
  102. ^Erodiano,Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 1.1.
  103. ^Erodiano,Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 1.2.
  104. ^Erodiano,Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 1.3.
  105. ^Un articolo sulla costruzione del campo mobile a cura del dott. G. Cascarino, suromanhideout.com.URL consultato il 20 maggio 2008.
  106. ^Giuseppe Flavio,La guerra giudaica, III, 5.2.
  107. ^abGiuseppe Flavio,La guerra giudaica, III, 5.3.
  108. ^abGiuseppe Flavio,La guerra giudaica, III, 5.4.
  109. ^Keppie, p. 173.
  110. ^Luttwak, p. 63.
  111. ^Aulo Gellio,Noctes Atticae, X, 9.
  112. ^Ammiano Marcellino,Storie, XVI, 11.3.
  113. ^Giuseppe Flavio,La guerra giudaica, III, 7-8.
  114. ^Giuseppe Flavio,La guerra giudaica, V-VI.
  115. ^Luttwak, p. 67.

Bibliografia

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Fonti antiche
Fonti storiografiche moderne

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Collegamenti esterni

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V · D · M
Esercito romano
In generale
Esercito romanofanteria ·cavalleria ·marina militare ·genio militare
Unità base
repubblicanelegione ecavalleria legionaria ·flotta ·truppe alleate (socii eextraordinarii) ·genio militare
alto imperialilegione (compresacavalleria) ·truppe ausiliarie difanteria (cohors peditata),cavalleria (ala) e miste (coorte equitata) ·vexillationes ·flotta militare (classiarii) ·genio militare ·guardia pretoriana ·coorti urbane ·coorti dei vigili ·equites singulares
tardo imperialischolae palatinae ·limitanei ·comitatensi ·pseudocomitatensi ·truppe alleate (foederati)
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crisi del III secoloImperatore ·legatus Augusti pro praetore ·praefectus legionis ·protector ·tribuno ·centurione ·legionario ·ausiliario (fante ecavaliere) ·veterano
tardo imperialeImperatore ·magister militum ·comes ·protector ·dux ·prefetti vari ·tribuno ·centurione ·legionario ·ausiliario (fante ecavaliere) ·veterano
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generaledimensione dell'esercito romano ·dislocazione legionaria ·lista di legioni romane ·lista delle truppe ausiliarie
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in battaglia e
in marcia
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durante l'assediomacchine d'assedio ·artiglieria
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militari
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Varie
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Storia etrionfiCampagne militari ·battaglie ·assedi ·fasti triumphales ·cognomina ex virtute ·ovatio
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