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Durante laprima guerra mondiale, Pertini combatté sulfronte dell'Isonzo e, per diversi meriti sul campo, fu proposto per lamedaglia d'argento al valor militare nel 1917, ma essendo stato segnalato come simpatizzante socialista su posizioni neutrali, l'onorificenza gli fu conferita solo nel 1985. Nel primo dopoguerra aderì alPartito Socialista Unitario diFilippo Turati e si distinse per la sua energica opposizione alfascismo. Perseguitato per il suo impegno politico contro la dittatura diMussolini, nel 1925 fu condannato a otto mesi di carcere per aver redatto un opuscolo antifascista. Fu nuovamente condannato nel 1927 per aver favorito l'espatrio diFilippo Turati inFrancia, dove lo seguì inesilio per evitare l'assegnazione per cinque anni al confino. Continuò la sua attività antifascista anche all'estero e per questo, dopo essere rientrato sotto falso nome in Italia nel 1929, fu arrestato e condannato dalTribunale speciale per la difesa dello Stato prima allareclusione e successivamente alconfino.
Nell'Italia repubblicana fu eletto deputato all'Assemblea Costituente per i socialisti, quindisenatore nellaprima legislatura edeputato in quelle successive, sempre rieletto dal 1953 al 1976. Ricoprì per due legislature consecutive, dal 1968 al 1976, la carica dipresidente della Camera dei deputati, infinefu elettopresidente della Repubblica Italiana l'8 luglio 1978. Andando spesso oltre il "basso profilo" tipico del ruolo istituzionale ricoperto, il suo mandato presidenziale fu caratterizzato da una forte impronta personale che gli valse una notevole popolarità, tanto da essere ricordato come il "presidente più amato dagli italiani" o il "presidente degli italiani",[4][5][6] avendo ricevuto infatti l'82,3% dei voti, il più alto tra tutte le elezioni presidenziali della storia repubblicana.
Esponentedemocratico eriformista del socialismo italiano, durante la sua carriera si prodigò per la crescita del PSI e per l'unità dei socialisti italiani, opponendosi strenuamente allascissione del 1947 e sostenendo la riunificazione delle sinistre. In qualità di presidente della Repubblica nel 1979 conferì, per la prima volta dal 1945, il mandato di formare il nuovo governo a un esponente laico, il repubblicanoUgo La Malfa, incaricando quindi, con successo, nel 1981, il segretario delPRI Giovanni Spadolini (primo non democristiano ad assumere la guida del governo dal 1945), e nel 1983 il segretario del PSIBettino Craxi (primo uomo politico socialista a essere nominato presidente del Consiglio nella storia d'Italia).
Durante e dopo il periodo presidenziale non rinnovò la tessera delPSI, al fine di presentarsi al di sopra delle parti, pur senza rinnegare il suo essere socialista. Del resto, lasciato il Quirinale al termine del suo mandato presidenziale e rientrato in Parlamento comesenatore a vita di diritto, si iscrisse al grupposenatoriale del Partito Socialista Italiano. Fu sposato dal 1946 alla sua morte conCarla Voltolina, anch'essapartigiana eantifascista.
Alessandro Giuseppe Antonio Pertini, detto Sandro, nacque aStella[7] alle ore 17:45 di venerdì 25 settembre 1896[3] da una famiglia benestante: il padre, Alberto Gianandrea (1853-1908), era proprietario terriero; Pertini era il quarto di cinque fratelli: il primogenito, Giuseppe Luigi Pietro, detto "Gigi" (1882-1975[8]), pittore; Maria Adelaide Antonietta, detta "Marion" (1898-1981[9]), che sposò il diplomatico italiano Aldo Tonna (1908-2005[10]); Giuseppe Luigi, detto "Pippo" (1890-1930[11]), ufficiale di carriera; ed Eugenio Carlo, detto "Genio" (1894-1945[12]), il quale, durante laseconda guerra mondiale, fu deportato nelcampo di concentramento di Flossenbürg, dove morì.
Sandro, in piedi, con la madre, il padre, la sorella Marion e il fratello Eugenio
Sandro Pertini era molto legato alla madre Maria Giovanna Adelaide Muzio (1854-1945). Compì i primi studi presso il collegio dei salesiani "Don Bosco" diVarazze, poi al Liceo Ginnasio "Gabriello Chiabrera" diSavona, dove ebbe come professore di filosofiaAdelchi Baratono, socialista riformista e collaboratore diCritica Sociale diFilippo Turati, che contribuì ad avvicinarlo agli ambienti delmovimento operaio ligure.[13] Del professor Baratono Pertini conserverà un insegnamento al quale rimarrà fedele:
«Se non vuoi mai smarrire la strada giusta resta sempre a fianco della classe lavoratrice nei giorni di sole e nei giorni di tempesta.»
(Discorso del Presidente Pertini ai lavoratori dell'Italsider. Savona, 20 gennaio 1979[14][15])
Scoppiata laGrande Guerra, nel novembre 1915 fu chiamato alle armi e assegnato alla 1ª Compagnia Automobilisti del 25º reggimento di artiglieria da campagna di stanza aTorino, dove giunse il 2 dicembre.
Seppur in possesso della licenza ginnasiale, prestò inizialmente servizio come soldato semplice, essendosi rifiutato, come molti altri socialistineutralisti del periodo, di fare il corso per ufficiali. Il 7 aprile 1917, tuttavia, venne inviato sul fronte dell'Isonzo e, a seguito di una direttiva del generaleCadorna che obbligava i possessori di titolo di studio a prestare servizio come ufficiali, frequentò il corso a Peri diDolcè.[16]
Venne dunque inviato a combattere in prima linea comesottotenente di complemento, distinguendosi per alcuni atti di eroismo: per aver guidato, nell'agosto del 1917, un assalto al monte Jelenik durante labattaglia della Bainsizza fu proposto dal suo comandante per lamedaglia d'argento al valor militare. Molti anni dopo, quando Pertini divenne presidente, il capo di stato maggiore, l'ammiraglioGiovanni Torrisi, ritrovò il fascicolo e pensò di consegnargli la decorazione, ma Pertini - che era stato contrario alla guerra - si sottrasse all'onorificenza, pur ricordando l'azione bellica come "una cosa esaltante".[17]
Nell'ottobre 1917 partecipò allarotta di Caporetto, di cui avrebbe sempre serbato un ricordo vivissimo. Dopo aver trascorso l'ultimo anno del conflitto nel settore delPasubio, durante il quale venne anche nominato tenente, il 4 novembre 1918 fece ingresso aTrento alla testa del suo plotone di mitraglieri. Durante il conflitto fu colpito dal gas tossicofosgene e venne salvato dal suo attendente che lo trasportò di peso, agonizzante, all'ospedale da campo ma dovette minacciare con la pistola i medici che non volevano curarlo dandolo per spacciato.[18] Dopo aver prestato servizio ancora per qualche mese inDalmazia, Pertini fu congedato nel marzo 1920.
Nel settembre 1919 aveva intanto conseguito la maturità classica, come privatista, presso ilLiceo "Gian Domenico Cassini" di Sanremo.
Dopo aver sostenuto dodici esami alla facoltà digiurisprudenza dell'Università di Genova, nel marzo 1923, ventiseienne, si iscrisse alla stessa facoltà nell'ateneo diModena: qui sostenne in tre mesi i rimanenti sei esami.
Si laureò il 12 luglio 1923, con punteggio 105/110, con la tesiL'industria siderurgica in Italia.[19]
Si trasferì in seguito aFirenze, ospite del fratello Luigi Giuseppe, e si iscrisse all'Istituto di Scienze sociali "Cesare Alfieri", conseguendo il 2 dicembre 1924 la seconda[20] laurea, inscienze politiche, con una tesi dal titoloLa cooperazione[21] e la votazione finale di 84/110.
Secondo quanto riportato in diverse sue biografie (quella pubblicata nel sito web dell'Associazione Sandro Pertini,[22] quella pubblicata nel sito web della Fondazione Pertini[23] e quella pubblicata nel sito web del Circolo Sandro Pertini di Genova)[24] egli, già nel 1918, al termine delprimo conflitto mondiale, si sarebbe iscritto alPartito Socialista Italiano presso la federazione diSavona. Inoltre (sempre secondo quanto riportato nei siti web della Fondazione Pertini e del Circolo Pertini di Genova), nel 1919 sarebbe stato eletto consigliere comunale aStella nella lista socialista. Avrebbe poi partecipato, nel 1921, in qualità di delegato della federazione savonese, alXVII congresso del PSI aLivorno, nel corso del quale si verificò lascissione comunista, e, quindi, il 1º ottobre 1922, dopo l'espulsione dell'ala riformista dal PSI, sarebbe stato uno dei promotori della costituzione delPartito Socialista Unitario, assieme aFilippo Turati,Giacomo Matteotti eClaudio Treves.
I registri dei verbali del Consiglio Comunale di Stella testimoniano però che Pertini venne eletto consigliere comunale di quella località il 24 ottobre 1920, facendo egli parte di una lista composta da esponenti dell'Unione Liberale Ligure, dell'Associazione Liberale Democratica, del Partito dei Combattenti e del Partito Popolare Italiano. Come testimoniato ancora da quei documenti, egli rimase in carica fino alla primavera del 1922, epoca in cui rassegnò le dimissioni.[25] In base a ciò, si deve quindi escludere che egli possa aver partecipato come delegato socialista di Savona al XVII Congresso del PSI di Livorno.[26]
Pertini nella cerimonia d'inaugurazione della bandiera degli ex combattenti aStella nel 1921
Sempre nel 1920 Pertini aveva fondato a Stella la locale sezione dell'Associazione Nazionale Combattenti, divenendone il primo presidente: un incarico che avrebbe ricoperto fino al maggio del 1922, succedendogli poi suo fratello Pippo.[27]
Tra il 1923 e il 1924, entrato in contatto aFirenze con gli ambienti dell'interventismo democratico e socialista vicini aGaetano Salvemini, aifratelli Rosselli e aErnesto Rossi, avrebbe preso parte, in quel periodo, alle iniziative del movimento di opposizione al fascismo "Italia Libera", al quale si sarebbe iscritto il 9 agosto 1924 presso la sezione di Savona, salvo poi iscriversi, appena 9 giorni dopo, il 18 agosto 1924, alPartito Socialista Unitario, presso la federazione di Savona, sull'onda dell'emozione e dello sdegno per il ritrovamento, due giorni prima, del cadavere diGiacomo Matteotti, che di quel partito era il Segretario.
Il CESP - Centro Espositivo "Sandro Pertini" di Firenze riporta, tra i vari documenti pubblicati nel proprio sito web,[28] il testo della lettera, evidentemente retrodatata al mese di giugno 1924 (non è indicato il giorno), che Pertini inviò da Firenze all'avv. Diana Crispi, Segretario della Sezione Unitaria di Savona:
Pertini studente universitario alla facoltà di giurisprudenza diModena nel 1922
«Mio ottimo amico. Ho la mano che mi trema, non so se per il grande dolore o per la troppa ira che oggi l'animo mio racchiude. Non posso più rimanere fuori dal vostro partito, sarebbe vigliaccheria. Pertanto, pronto ad ogni sacrificio, anche a quello della mia stessa vita, con ferma fede, alimentata oggi dal sangue del grande Martire dell'idea socialista, umilmente ti chiedo di farmi accogliere nelle vostre file. Questo ti chiedo dalla terra che diede al delitto il sicarioDumini, per la seconda volta indegna patria di Dante, che, se tra noi tornasse, nuovamente se n'andrebbe fuggiasco, ma volontario, non più per le contrade d'Italia, trasformate oggi in "bolgie caine", bensì oltre i confini, dopo averne ancora una volta ripetuto agli uomini con più disgusto e più amarezza, l'accorata invettiva: «ahi! serva Italia di dolore ostello nave senza nocchiero in gran tempesta non donna di provincia ma bordello». Ti chiedo ancora di volermi rilasciare la Tessera con la sacra data della scomparsa del povero Matteotti [10 giugno 1924 –N.d.E.]: questo potrai facilmente concedermi tu, che sai come da lungo tempo il mio animo nel suo segreto gelosamente custodisca, come purissima religione, la idea socialista. La sacra data suonerà sempre per me ammonimento e comando. E valga il presente dolore a purificare i nostri animi rendendoli maggiormente degni del domani, e la giusta ira a rafforzare la nostra fede, rendendoci maggiormente pronti per la lotta non lontana. Raccogliamoci nella memoria del grande Martire attendendo la nostra ora. Solo così vano non sarà tanto sacrificio. Ti stringo caramente la mano.
tuo Sandro Pertini»
Comunque siano andate le cose, è certo che a partire dall'estate del 1924 Pertini fu iscritto al Partito Socialista Unitario diFilippo Turati, di ispirazioneriformista.
Ostile al regimefascista fin dall'inizio, per la sua attività politica fu bersaglio di aggressionisquadriste: il suo studio di avvocato a Savona fu devastato più volte,[29] mentre in un'altra occasione fu picchiato perché indossava una cravatta rossa, oppure ancora per aver deposto una corona di alloro dedicata alla memoria diGiacomo Matteotti.[30]
Il 22 maggio 1925, Pertini venne arrestato per aver distribuito un opuscolo clandestino, stampato a sue spese, dal titoloSotto il barbaro dominio fascista,[16][31] in cui denunciava le responsabilità della monarchia verso l'instaurazione del regime fascista, le illegalità e le violenze del fascismo stesso, nonché la sfiducia nell'operato delSenato del Regno, composto in maggioranza da filofascisti, chiamato a giudicare in Alta Corte di Giustizia l'eventuale complicità del generaleEmilio De Bono riguardo all'omicidio di Giacomo Matteotti.
In seguito a questo, fu aperto a suo nome un fascicolo alcasellario politico centrale[32] e venne accusato di «istigazione all'odio tra le classi sociali» secondo l'articolo 120 delCodice Zanardelli, oltre che dei reati di stampa clandestina, oltraggio al Senato e lesa prerogativa della irresponsabilità del re per gli atti di governo.
Nell'interrogatorio dopo l'arresto, in quello condotto dal procuratore del Re e all'udienza pubblica davanti al Tribunale di Savona, Pertini rivendicò il proprio operato assumendosi ogni responsabilità e dicendosi disposto a proseguire nella lotta contro ilfascismo e per ilsocialismo e la libertà, qualunque fosse la condanna.[33]
Il 3 giugno 1925 fu condannato a otto mesi di reclusione e al pagamento di una multa per i reati di stampa clandestina, oltraggio alSenato e lesa prerogativa regia, ma fu assolto per l'accusa di istigazione all'odio di classe. La condanna non attenuò la sua attività, che riprese appena liberato.
Nel novembre 1926, dopo il fallito attentato diAnteo Zamboni aMussolini, come altri antifascisti in tuttaItalia, fu oggetto di nuove violenze da parte dei fascisti (il 31 ottobre 1926, dopo un comizio, durante un'aggressione di squadristi gli era stato spezzato il braccio destro[24]) e si trovò costretto ad abbandonareSavona per riparare aMilano. Il 4 dicembre 1926, in applicazione delle cosiddetteleggi eccezionali "fascistissime", Pertini, definito «un avversario irriducibile dell'attuale Regime», venne assegnato dalla Commissione provinciale di Genova alconfino di polizia per cinque anni, il massimo della pena previsto dalla legge.[34][35]
Pertini lavatore di taxi aParigi nel dicembre 1926
Per sfuggire alla cattura, nell'autunno del 1926, espatriò clandestinamente in Francia assieme aFilippo Turati, con un'operazione organizzata daCarlo Rosselli eFerruccio Parri, con l'aiuto, tra gli altri, diCamillo eAdriano Olivetti.[36][37] La fuga avvenne con una traversata su un motoscafo guidato daItalo Oxilia[38][39] partito daSavona la sera dell'11 dicembre, e giunto nel porto diCalvi, inCorsica, la mattina successiva. Così Pertini ha raccontato l'avventuroso episodio:[24]
«Dopo le leggi eccezionali l'Italia era diventata un gigantesco carcere e noi dovevamo fare in modo cheFilippo Turati, che consideravamo la persona più autorevole dell'antifascismo, potesse recarsi all'estero e da lì condurre la lotta, accusando davanti al mondo intero la dittatura fascista.[…] Fui io a consigliare la fuga per mare con un motoscafo che sarebbe partito dalla miaSavona.Rosselli eParri temevano che il litorale ligure fosse troppo sorvegliato. Ma io decisi di andare a Savona, in bocca ai miei nemici, e lì incontrai due esperti marinai, Dabove e Oxilia, ai quali va la mia gratitudine: essi mi confermarono che era possibile raggiungere la Corsica con un motoscafo capace di tenere l'alto mare.
L'8 dicembre, eludendo ogni vigilanza, si riesce a condurre Turati nella mia città. Turati rimase nascosto con me aQuiliano, vicino a Savona, in casa di un mio caro amico,Italo Oxilia. Dormivamo nella stessa stanza, Turati soffriva d'insonnia e passava le ore discorrendo con me della triste situazione creata dalfascismo e della necessità della sua partenza, ma anche dello strazio che questa partenza rappresentava per il suo animo.[…] Il Governo e i socialisti francesi ci diedero subito la loro solidarietà e il benvenuto. Molti giornalisti arrivarono aCalvi daBastia e pubblicarono imprudentemente la notizia che Turati era arrivato in Francia con Carlo Rosselli e Ferruccio Parri. Pernottammo a Calvi, Turati voleva indurre Rosselli a restare con noi, a non far ritorno in Italia, ma vane furono le nostre insistenze. Così la mattina dopo il motoscafo ripartiva con Oxilia, Da Bove, Boyancè e il giovane meccanico del motoscafo Ameglio. Con essi erano anche Parri e Rosselli. L'addio fu straziante. Ci abbracciammo senza pronunciare parola cercando di trattenere la profonda commozione.Rosselli toglie il tricolore che avevamo issato a bordo, e lo agita. È l'estremo saluto della Patria per Turati ed anche per me. Turati con gli occhi pieni di lacrime mi disse: "Io sono vecchio, non tornerò più vivo in Italia". Rimanemmo sul molo finché potemmo vedere i nostri compagni. La mattina dopo ci imbarcammo sul traghetto perNizza e di lì proseguimmo perParigi dove trovammoNenni,Modigliani, Treves e tanti altri. Turati mi offrì la sua assistenza economica, ma io rifiutai e decisi di guadagnarmi da vivere facendo i lavori più umili.»
Ferruccio Parri e Carlo Rosselli[40] vennero arrestati al loro rientro in Italia dalla Corsica, mentre attraccavano al pontile Walton diMarina di Carrara: invano cercarono di far credere che stavano rientrando da una gita turistica. Ma le indagini dell'OVRA e della polizia portarono anche all'arresto degli altri complici.
Il Tribunale di Savona condannò a dieci mesi di reclusionere Ferruccio Parri, Carlo Rosselli, Dabove e Boyancè, una sentenza mite, rispetto alle previsioni.[41]
Pertini e Turati furono condannati in contumacia anch'essi a dieci mesi di arresto ciascuno.[42]
Dopo aver passato alcuni mesi aParigi, si stabilì definitivamente aNizza nel febbraio 1927, mantenendosi con lavori diversi (manovale, muratore, imbianchino e persino la comparsa cinematografica[43]).
Pertini in esilio aNizza, con i compagni di lavoro
Nell'aprile del 1928 impiantò, in un villino preso in affitto aÈze, vicino a Nizza, una stazione radio clandestina allo scopo di mantenersi in corrispondenza con i compagni in Italia, per potere comunicare e ricevere notizie; ottenne i fondi dalla vendita di una sua masseria in Italia. Scoperto dalla polizia francese, subì un procedimento penale e fu condannato a un mese di reclusione, pena poi sospesa con la condizionale, dietro il pagamento di un'ammenda.[45]
Il suo esilio francese terminò nella primavera del 1929, quando il 22 marzo partì da Nizza e, dopo essere passato per Parigi, dove si incontrò con i massimi dirigenti della Concentrazione antifascista, e perGinevra, dove si recò presso l'abitazione dell'esponente repubblicanoGiuseppe Chiostergi e frequentò anche l'anarchicoCamillo Berneri, munito di passaporto falso recante la sua fotografia e intestato al nome del cittadino svizzero Luigi Roncaglia, fattogli avere daRandolfo Pacciardi, varcò la frontiera dalla stazione diChiasso nel pomeriggio del 26 marzo 1929, e rientrò in Italia.
Lo storico della massoneriaAldo Alessandro Mola afferma che durante l'esilio in Francia Pertini ebbe rapporti con l'obbedienzamassonica delGrande Oriente d'Italia in esilio,[46] ma la notizia di una sua eventuale affiliazione non trova riscontro nella documentazione archivistica concernente la permanenza di Pertini in Francia, né nella pubblicistica coeva, né, infine, nella letteratura storica sull'esilio francese del futuro presidente della Repubblica.
Non si conosce molto dei fratelli di Pertini, tuttavia su due di essi, Giuseppe ed Eugenio, la cui vicenda si sviluppa appunto tra gli anni dell'antifascismo e dellaResistenza, Sandro Pertini gettò una luce in una famosa intervista concessa adOriana Fallaci nel 1973.[47]Giuseppe Pertini, dettoPippo, fratello maggiore di Sandro, fu ufficiale di carriera durante laprima guerra mondiale. Nel 1923 si iscrisse alPartito Fascista; tra i due fratelli si produsse così una frattura che si ricompose parzialmente solo nel 1925, dopo il primo arresto di Sandro. Dopo il secondo arresto, nel 1926, Giuseppe abbandonò ilfascismo. Di lì a poco sarebbe morto, di infarto, a 40 anni:"di crepacuore" dirà in seguito Pertini.[48]
Eugenio PertiniEugenio Pertini, quasi coetaneo di Sandro, era sempre stato molto legato a lui. Ancora giovane emigrò in America per lavoro, per tornare durante il periodo di prigionia del fratello. Un giorno del 1944 gli giunse la notizia (falsa) che Sandro era stato fucilato aForte Boccea.[49] In seguito a ciò Eugenio si iscrisse alPartito Comunista ed entrò nella Resistenza; arrestato mentre attaccava dei manifesti contro i nazisti fu portato prima nelcampo di transito di Bolzano e quindi aFlossenbürg, dove morì, fucilato, il 20 aprile del 1945.[50]
Lo scopo del suo rientro in Italia era quello di riorganizzare le file del partito socialista e stabilire contatti con gli altri partiti antifascisti, tra cui i democratici di "Nuova Libertà".
Si recò in seguito aMilano per progettare un attentato alla vita di Mussolini, e incontrò a questo scopo l'ingegnerVincenzo Calace che, come dichiarò in seguito, «gli confidò di essere in grado di costruire bombe a orologeria ad alto potenziale». Il progetto prevedeva di servirsi delle fognature sottoPalazzo Venezia,[52] ma fu scartato poiché attraverso amici diErnesto Rossi si scoprì che erano sorvegliate e protette da allarmi. Pertini tentò comunque di proseguire nel suo intento: incontrò a Roma il socialista Giuseppe Bruno per raccogliere informazioni e, una volta rientrato a Milano, fissò un incontro con Rossi.[53] Il 14 aprile 1929 andò aPisa per incontrarlo, ma in corso Vittorio Emanuele (poi corso Italia) fu riconosciuto per caso da un esponente fascista diSavona, tale avvocato Icardio Saroldi,[54] che diede l'allarme a un piccolo gruppo dicamicie nere, i quali provvidero ad arrestarlo.[45][55][56][57]
Pertini ha così ricordato una delle sue giornate di carcere all'ergastolo di Santo Stefano
Targa dedicata al Presidente Pertini sull'isola di Santo Stefano «La sveglia suona: è l'alba. Dal mare giunge un canto d'amore, da lontano il suono delle campane diVentotene. Guardo il cielo, azzurro come non mai, senza una nuvola, e d'improvviso un soffio di vento mi investe, denso di profumo dei fiori sbocciati durante la notte. È l'inizio della primavera. Quei suoni, e il profumo del vento, e il cielo terso, mi danno un senso di vertigine. Ricado sul mio giaciglio. Acuto, doloroso, mi batte nelle vene il rimpianto della mia giovinezza che giorno per giorno, tra queste mura, si spegne. La volontà lotta contro il doloroso smarrimento. È un attimo: mi rialzo, mi getto l'acqua gelida in viso. Lo smarrimento è vinto, la solita vita riprende: rifare il letto, pulire la cella, far ginnastica, leggere, studiare...».[58][59]Il carcere di Santo Stefano in una foto del 2005
Il 30 novembre 1929 fu condannato dalTribunale Speciale per la difesa dello Stato a dieci anni e nove mesi di reclusione e a tre anni di vigilanza speciale, per aver «svolto all'estero attività tali da recare nocumento agl'interessi nazionali», nonché per «contraffazione di passaporto straniero».[44] Durante il processo Pertini rifiutò di difendersi, non riconoscendo l'autorità di quel tribunale e considerandolo solo un'espressione di partito, esortando invece la corte a passare direttamente alla condanna già stabilita. Durante la pronuncia della sentenza si alzò gridando: «Abbasso il fascismo! Viva il socialismo!»[24][60]
Fu internato nelcarcere dell'isola di Santo Stefano,[61] ma dopo poco più di un anno, il 10 dicembre 1930, fu trasferito, a causa delle precarie condizioni di salute, alla casa penale diTuri. A causare il trasferimento non fu estranea una campagna di proteste e denunce all'estero, in particolare in Francia, dopo che alcune notizie sulla sua salute erano trapelate all'esterno, grazie ad alcuni compagni di carcere comunisti.[62]
A Turi, unico socialista recluso, condivise la cella conAthos Lisa eGiovanni Lai. Conobbe inoltreAntonio Gramsci, al quale fu stretto da grande amicizia e ammirazione intellettuale e dalla condivisione delle sofferenze della reclusione: ne divenne confidente, amico e sostenitore. Pertini stesso fu anche autore di diverse proteste e lettere finalizzate ad alleviare le condizioni carcerarie a cui era sottoposto Gramsci.[24]
Nel novembre del 1931 fu trasferito presso il sanatorio giudiziario diPianosa ma, nonostante il trasferimento, le sue condizioni di salute non migliorarono ancora, al punto che la madre, spinta da amici e conoscenti che le descrissero il figlio in gravi condizioni di salute, presentò domanda di grazia alle autorità. Pertini, non riconoscendo l'autorità fascista e quindi il tribunale che lo aveva condannato, si dissociò pubblicamente dalla domanda di grazia con parole molto dure, sia per la madre sia per il presidente del Tribunale Speciale.[24][63]
«Perché mamma, perché? Qui nella mia cella di nascosto, ho pianto lacrime di amarezza e di vergogna - quale smarrimento ti ha sorpresa, perché tu abbia potuto compiere un simile atto di debolezza? E mi sento umiliato al pensiero che tu, sia pure per un solo istante, abbia potuto supporre che io potessi abiurare la mia fede politica pur di riacquistare la libertà. Tu che mi hai sempre compreso che tanto andavi orgogliosa di me, hai potuto pensare questo? Ma, dunque, ti sei improvvisamente così allontanata da me, da non intendere più l'amore, che io sento per la mia idea?[64]»
Nel carcere di Pianosa le vessazioni dei secondini a danno dei detenuti, avallate dal rude direttore Edoardo Caddeo, erano pratica normale. Pertini (definito dal direttore «un sovversivo esaltato che va attentamente sorvegliato») non mancò di ribellarsi e protestare, col risultato di subire ritorsioni ancora più dure. In particolare un grave scontro tra lui e l'agente di custodia Antonio Cuttano, verificatosi la mattina del 1º ottobre 1932, gli costò un rinvio a giudizio dinnanzi alla pretura di Portoferraio, che il 9 novembre 1933 lo condannò alla pena di 9 mesi e 24 giorni di reclusione per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, oltre al pagamento delle spese processuali. La pena venne quindi confermata in secondo grado dal Tribunale di appello di Livorno il 16 febbraio 1934, e infine, in via definitiva, dalla seconda sezione penale della Corte di Cassazione il 30 gennaio 1935.
Nel corso della sua permanenza in carcere, Pertini intrattenne inoltre una fitta corrispondenza epistolare con la sua fidanzata dell'epoca Matilde Ferrari, oltreché con la madre Maria Muzio e il suo avvocato di fiducia Gerolamo Isetta.
Il 10 settembre 1935, dopo sei anni e mezzo di prigione, venne trasferito aPonza come confinato politico[65] e il 20 settembre 1940, pur avendo ormai scontato la sua condanna, giudicato «elemento pericolosissimo per l'ordine nazionale», venne riassegnato al confino per altri cinque anni da trascorrere aVentotene[66] dove incontrò, tra gli altri,Altiero Spinelli,Umberto Terracini,Pietro Secchia,Ernesto Rossi,Luigi Longo,Mauro Scoccimarro,Camilla Ravera eRiccardo Bauer. Dalle memorie di Pertini sappiamo che circa l'80% dei confinati assieme a lui a Ventotene erano comunisti, altri appartenevano a Giustizia e Libertà o erano anarchici, in particolare livornesi[67]. Durante il periodo del confino subì un altro processo per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, ma, per la prima volta da quando il fascismo era andato al potere, fu assolto dal Tribunale di Napoli, presieduto dal giudice Giuseppe Ricciulli, il 17 giugno 1937, perché il fatto non sussisteva, oltre che da altre imputazioni minori per insufficienza di prove. L'11 settembre 1941, dietro sua richiesta, fu condotto aSavona, presso le locali carceri giudiziarie, per poter riabbracciare l'anziana madre.
A Ventotene Pertini si interessò inoltre alle condizioni di salute di alcuni compagni di confino. Il 3 maggio 1942, ad esempio, inoltrò un esposto all'Ufficio confino politico del Ministero dell'interno per lamentarsi della scarsa assistenza sanitaria prestata dalle autorità a Ernesto Bicutri,[68][69] affetto da una grave forma di tubercolosi, di cui chiese inutilmente il trasferimento presso un sanatorio.
Pertini si adoperò quindi per ottenere in breve tempo anche la loro liberazione, prima inviando dall'isola, assieme agli altri membri del Comitato dei confinati (tra i qualiAltiero Spinelli,Pietro Secchia,Mauro Scoccimarro) un telegramma aBadoglio,[72][73] poi, una volta a Roma, assieme aBruno Buozzi, assillando le autorità governative:
«Un giorno il direttore [del confino di Ventotene, il commissario Marcello Guida, che diventò poi Questore di Milano e che Pertini, divenuto presidente della Camera, nel 1970 si rifiuterà di incontrare -N.d.E.] mi mandò a chiamare: «Ho una bella notizia per voi. È arrivato un telegramma che dispone per la vostra liberazione». «Grazie», dissi, «però non me ne vado finché qui resta uno solo di noi». MaCamilla Ravera, che diede sempre prova di una straordinaria forza morale,Terracini e altri mi convinsero che dovevo partire, per andare a perorare la causa dei detenuti, e così non diedi pace aSenise,Capo della Polizia, e aRicci, che era agliInterni.
Li andavo a trovare ogni giorno con Bruno Buozzi. Erano restii, avevano nei confronti dei comunisti paura e odio. Minacciammo uno sciopero generale, e l'argomento li convinse.»
«Quando arrivò l'ultimo [confinato -N.d.E.] diVentotene, potei andare a trovare mia madre. Era molto vecchia e mi attendeva. Stava sempre seduta su un muretto che circondava la nostra casa. «Che cosa fa, signora?» le domandavano. «Aspetto Sandro», rispondeva.[74]»
«Mi fermai a casa sua tre giorni e poi tornai a Roma. Fu quella l’ultima volta che la vidi.[75]»
[76] Poi ritornò subito aRoma, per contribuire alla ricostruzione del partito socialista e riprendere la lotta antifascista; il 23 agosto partecipò infatti alla fondazione delPartito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP), nato dall'unione del PSI con ilMUP, conPietro Nenni come segretario.[77]
Il 15 ottobre 1943, al termine di una riunione del direttivo del PSIUP inVia Nazionale, Pertini venne catturato assieme aGiuseppe Saragat e ad altri dirigenti socialisti da esponenti della famigerata "banda Bernasconi". Lo stesso Pertini rievocherà l'episodio all'Assemblea Costituente, nella seduta del 22 luglio 1946, in occasione della discussione di una sua interrogazione parlamentare sulle modalità di applicazione dell'amnistia Togliatti:[80]
«Onorevole Presidente di questa Assemblea, il nome di Bernasconi deve ricordarci qualche cosa: il nostro arresto e la nostra consegna ai tedeschi, e se non siamo stati fucilati non è stato per volontà del Bernasconi, ma per intervento dei patrioti di Roma, che ci fecero evadere daRegina Coeli. Tutti sanno come ha operato questa banda aRoma, poi aFirenze e quindi aMilano. Io sono stato, durante il periodo cospirativo e durante l’insurrezione, a Firenze. Questa banda consumava i suoi reati e le sue sevizie aVilla Triste. Basta andare a Firenze e pronunciare questo nome per vedere il volto di centinaia di donne, spose, madri, coprirsi di orrore. Ebbene, in virtù dell’amnistia sono usciti una parte dei complici dellabanda Koch ed oggi sono in piena libertà.»
Pertini e Saragat furono rinchiusi nel carcere romano diRegina Coeli e condannati a morte per la loro attività partigiana; Pertini in carcere sorprese gli altri detenuti politici per la serenità e l'autorevolezza dimostrate, pur in simili difficili condizioni.
«volle subito il vestito da galeotto, lo pretese. I secondini di Regina Coeli avevano di fronte a lui un complesso di inferiorità, perché conosceva il regolamento meglio di loro. Diffondeva attorno a sé una serenità che sosteneva i prigionieri in attesa di fucilazione, perché anche in carcere si comportava come se fosse stato a casa sua. Voleva che gli abiti fossero stirati bene: metteva i pantaloni da galeotto sotto il materasso in modo che al mattino la piega fosse perfetta. Aveva l’eleganza del duca di Edimburgo.»
In carcere Saragat e Pertini incontrarono altri due eroi della resistenza:Leone Ginzburg, torturato e morto di infarto in carcere in conseguenza delle torture subite la mattina del 5 febbraio 1944, edon Giuseppe Morosini, torturato e poi fucilato il 3 aprile 1944 aForte Bravetta.
Pertini incrociò Ginzburg mentre lo riportavano in cella dopo un feroce pestaggio, e in quell'occasione quegli trovò la forza di sussurrargli:
«Guai se alla fine della guerra dovessimo incolpare tutto il popolo tedesco per la malvagità di pochi.»
Anche don Morosini fu visto da Pertini dopo un interrogatorio delleSS. Il futuro presidente della Repubblica ne lasciò la seguente testimonianza:
«Detenuto a Regina Coeli sotto i tedeschi, incontrai un mattino don Giuseppe Morosini: usciva da un interrogatorio delleSS, il volto tumefatto grondava sangue, comeCristo dopo la flagellazione. Con le lacrime agli occhi gli espressi la mia solidarietà: egli si sforzò di sorridermi e le labbra gli sanguinarono.
Nei suoi occhi brillava una luce viva. La luce della sua fede.Benedisse il plotone di esecuzione dicendo ad alta voce: "Dio, perdona loro: non sanno quello che fanno", come Cristo sul Golgota. Il ricordo di questo nobilissimo martire vive e vivrà sempre nell'animo mio.»
(Roma, 30 giugno 1969)
La sentenza di morte contro Pertini e Saragat non venne tuttavia eseguita, grazie a un'audace azione dei partigiani delleBrigate Matteotti, che il 24 gennaio 1944 permise la loro fuga dal carcere.
Con l'aiuto di diversi partigiani socialisti, il giovane avvocato Filippo Lupis, Peppino Sapiengo, Vito Maiorca, Luciano Ficca[83] e, dall'interno della prigione, Ugo Gala, capoguardia,Alfredo Monaco, medico del carcere, e sua moglieMarcella Ficca,[84] si riuscì per prima cosa a far passare l'incartamento processuale contro Saragat e Pertini dalla giustizia militare tedesca a quella italiana e, quindi, a far trasferire i detenuti dal 3º "braccio" tedesco del carcere al 6º "braccio" italiano.
Dirà Giuseppe Saragat:
«Si rifletta che da quel braccio si usciva in un modo solo: per andare di fronte al plotone di esecuzione. Qualche volta si poteva uscire già morti per le percosse subite dagli aguzzini durante gli interrogatori. Se Pertini e io ne siamo usciti miracolosamente in un terzo modo – e fu caso unico – è faccenda che non riguarda né Pertini né me, ma un gruppo di valorosi partigiani che rischiarono la loro vita per salvare la nostra.[85]»
Vennero poi realizzati e recapitati a Regina Coeli dei falsi ordini di scarcerazione per la liberazione dei due leader socialisti e dei loro coimputati; ciò non era però ancora sufficiente, poiché la prassi richiedeva che il rilascio venisse anche autorizzato telefonicamente dalla questura. Si tentò vanamente di usare le linee ordinarie, che erano però costantemente guaste o occupate; la soluzione venne da Vito Maiorca, tenente dellaPolizia dell'Africa Italiana, che permise aMarcella Ficca e all'avvocato Lupis di accedere al centralino telefonico della stazione di polizia di Trastevere. Lupis da lì chiamò Regina Coeli spacciandosi per un delegato della questura e ordinò perentoriamente di "mettere subito alla porta" i detenuti. I due membri dell'esecutivo del PSIUP furono dunque scarcerati insieme a Luigi Andreoni, Torquato Lunedei, Ulisse Ducci, Luigi Allori e Carlo Bracco[86].
Pertini stesso narrò in seguito questi fatti nelle sue memorie[87] e in un'intervista concessa adOriana Fallaci nel 1973[47].
La complessa preparazione dell'operazione segreta fu descritta su un numero dell'Avanti! edito a Roma dopo la liberazione della città il 4 giugno 1944[88]; il quotidiano socialista descrisse nei particolari la «evasione da "Regina Coeli di Alessandro Pertini e Giuseppe Saragat (membri dell'Esecutivo del Partito Socialista) e di cinque altri compagni. Dalla metà di ottobre 1943, da quando i nostri compagni erano stati catturati dai segugi di Bernasconi (a cui in quell'occasione per puro caso era sfuggitoPietro Nenni), essi giacevano a "Regina Coeli"». Quindi, secondo l'Avanti!, i protagonisti della fuga dal carcere furono sette e tutti appartenenti al Partito Socialista.
Sicuramente conosciuto come militante socialista era Ulisse Ducci, un antifascista di lungo corso, nominato daBruno Buozzi fiduciario sindacale per la provincia di Piombino, nel corso di un incontro all'albergo "Moderno" di Roma nel periodo dei "quarantacinque giorni" delprimo Governo Badoglio. Tornato a Piombino, Ducci partecipò alla battaglia che i militari italiani e la popolazione civile ingaggiarono il 10 settembre 1943 contro l'occupazione tedesca della città. Fuggito poi a Roma nell'ottobre del 1943, redasse una relazione sulla battaglia di Piombino che voleva consegnare a Pertini e Buozzi. Il manoscritto fu ritrovato dalla polizia nazifascista, dopo che una spia non solo era riuscita a individuare Ducci ma, attraverso di lui, a giungere all'arresto di Pertini, Saragat e altri[89].
Ducci nascondeva però un trascorso da collaboratore dell'OVRA[90]. Interrogato dai militari fascisti, Ducci non solo confessò il motivo della sua venuta a Roma, ma in cambio di una ricompensa monetaria, poi regolarmente versata alla moglie, si disse disponibile ad aiutare la polizia «nella ricerca di Nenni e di Buozzi»[91].
Secondo lo storico Gabriele Mammarella,[92] «allo stato attuale delle ricerche non è dato sapere quanto effettivamente questa offerta di collaborazione di Ducci si sia concretizzata. Nondimeno, data l'evoluzione dei fatti, è estremamente improbabile che abbia avuto seguito. In compenso, messo a disposizione della polizia nazista, Ducci collaborò anche con la Gestapo, non lesinando di rivelare i retroscena dei colloqui avuti con Buozzi nell'agosto precedente»[93].
Di Luigi Andreoni l'Avanti![88] riferisce che il suo nome risultava assieme a quelli di Pertini e Saragat come cointestatario del fascicolo processuale presso il Tribunale militare italiano che Massimo Severo Giannini e Giuliano Vassalli provvedettero a visionare[94], il che fa propendere per un suo ruolo nell'organizzazione clandestina del PSIUP, forse anche per una sua possibile parentela con il vice-segretario del partito,Carlo Andreoni.
Quanto a Carlo Bracco, questi il 26 luglio 1943, all'indomani dellacaduta del fascismo, si era impadronito di un piccolo carro armato che il Governo Badoglio aveva messo davanti al carcere romano di Regina Coeli e con esso era entrato nell'interno del carcere liberando una buona parte dei detenuti politici.[86] Secondo quanto riferito dall'Avanti![88], dopo la loro scarcerazione, «Pertini, Saragat e Bracco riprendevano immediatamente il loro posto di combattimento affrontando di nuovo senza tregua i pericoli della cospirazione e della Resistenza».
Quanto a Torquato Lunedei, l'Avanti![88] dichiarò che egli fu «arrestato perché scambiato per Nenni e unito poi al processo degli altri come socialista», il che lascerebbe pensare che, pur trattandosi di un antifascista, egli non appartenesse al PSIUP.
Nella sua intervista alla Fallaci, Pertini parla solo di sei "scarcerati" e definisce gli altri quattro antifascisti (oltre a sé stesso e a Saragat) come "quattro ufficiali badogliani", aggiungendo che dovette impuntarsi per farli uscire insieme a lui e Saragat e che quando Nenni lo seppe avrebbe sbottato: «Ma fate uscire Peppino! Sandro il carcere lo conosce, c'è abituato»[47].
L'evasione dal carcere dei sette antifascisti salvò con tutta probabilità la loro vita: non v'è dubbio infatti che, se ancora detenuti alla data del 24 marzo 1944, i loro nominativi sarebbero stati inclusi nell'elenco deiTodeskandidaten (condannati a morte o colpevoli di reati passibili di condanna a morte) da fucilare per rappresaglia alleFosse Ardeatine.
In una lettera del 2 marzo 1944 indirizzata al centro dirigente delPCI diMilano[95],Giorgio Amendola riferì che i rapporti dei socialisti con il PCI in quella fase non erano buoni. Amendola scrisse che ilpatto di unità d'azione tra i due partiti era allora «del tutto inoperante». Tra le varie condotte che i socialisti rimproveravano ai comunisti, il dirigente comunista elencò: «quando incontriamo tra i socialisti resistenze all'azione non sappiamo transigere e temporeggiare e procediamo per conto nostro». Secondo Amendola le rimostranze dei socialisti «non sono valide e non rispondono a realtà». Scrisse inoltre che Sandro Pertini, responsabile militare del PSIUP, «mordeva il freno» e, «geloso delle prove crescenti di capacità e di audacia date dai GAP, chiese che si concordasse un'azione armata unitaria».
In base all'accordo tra Pertini e Amendola fu dunque previsto che il corteo fascista sarebbe stato attaccato in due punti diversi dai GAP e da una squadra delleBrigate Matteotti socialiste. Secondo Amendola[96], il percorso del corteo fu diviso in due settori, assegnando ai socialisti quello iniziale (da piazza Cavour avia del Corso) e ai GAP quello finale. Al contrario, secondoFranco Calamandrei[97] eCarla Capponi,[98] sarebbero stati i GAP a colpire in piazza Cavour, con un ordigno esplosivo uguale a quello poi usato invia Rasella che, trasportato in una carrozzina per bambini da Carla Capponi, sarebbe stato fatto esplodere tra i fascisti all'uscita dal teatro. L'azione fu poi cancellata quando giunse la notizia che il generale tedescoKurt Mälzer, comandante militare della piazza di Roma, prevedendo la possibilità di un attentato analogo a quello messo in atto dai GAP in via Tomacelli il 10 marzo, aveva annullato il corteo fascista, disponendo che tutte le celebrazioni si tenessero al chiuso nell'ex ministero delle Corporazioni.
Dopo che si seppe dai giornali che i fascisti il 23 marzo non avrebbero sfilato,[99] i GAP decisero di colpire in quel giorno un reparto tedesco, l'11ª Compagnia del III Battaglione delPolizeiregiment "Bozen", composto da 156 uomini tra ufficiali, sottufficiali e truppa, che, quasi quotidianamente, intorno alle due del pomeriggio attraversava in colonna il centro della Capitale, di ritorno dall'addestramento al poligono di tiro diTor di Quinto, diretta alPalazzo del Viminale (già sede delMinistero dell'interno) dove era acquartierato.
Il "Bozen" era formato da altoatesini arruolati nella polizia dopo che, nell'ottobre 1943, laprovincia di Bolzano era stata occupata dai tedeschi e inserita nella cosiddettaZona d'operazioni delle Prealpi, sulla quale la sovranità della RSI era nominale. Il "Bozen" rappresentava per i gappisti un bersaglio relativamente facile[100] ed era già stato individuato come destinatario di un possibile attentato.
Pertanto, il 23 marzo ebbe luogo, per opera di partigianigappisti, l'attentato di via Rasella contro una compagnia di militari tedeschi delPolizeiregiment "Bozen", che causò trentatré caduti. Il giorno successivo i tedeschi eseguirono per rappresaglia l'eccidio delle Fosse Ardeatine, uccidendo 335 uomini tra prigionieri politici, ebrei e persone rastrellate a caso nei dintorni di via Rasella.
Amendola[101] affermò, come diversi altri protagonisti della vicenda, che l'attentato di via Rasella fosse stato solo un'«azione di riserva», decisa a seguito dell'impossibilità di colpire il corteo fascista il 23 marzo. Tuttavia, dal diario di Calamandrei emerge che in realtà l'attacco al "Bozen" fu pianificato in maniera completamente autonoma, risultando eseguito il giorno dell'anniversario dei Fasci del tutto casualmente.[102] Secondo Mario Fiorentini.[103] tre gappisti si erano appostati a via Rasella per colpire il "Bozen" già in «un pomeriggio della seconda settimana di marzo», ma avevano dovuto rinunciare all'attacco a causa della mancata apparizione della colonna in quel giorno e nei successivi.
Diversamente dall'attacco programmato contro il corteo fascista, nessun altro membro della giunta militare del CLN fu preventivamente informato del progetto dell'attacco al "Bozen", tantomeno Pertini. In seguito Amendola attribuì la mancata comunicazione del piano alla consuetudine e a «ragioni di sicurezza cospirativa».[104]Alberto ed Elisa Benzoni ritengono invece che il piano, per i rischi di rappresaglia che comportava, «non poteva assolutamente essere comunicato agli altri perché non poteva in alcun modo essere da loro condiviso».[105]
Ad attentato realizzato, Amendola scrisse che Pertini era «furioso», ma solo «per non essere stato messo al corrente del progetto dell'azione di riserva».[106]
Nel pomeriggio del 26 marzo si riunì la giunta militare del CLN, nel bel mezzo della crisi che da febbraio attraversava l'organismo politico e che, proprio la mattina del 24 marzo, aveva spinto il suo presidenteIvanoe Bonomi a rassegnare le dimissioni, sospettando che le sinistre stessero preparando un governo rivoluzionario.[107] Secondo le memorie diGiorgio Amendola, durante la riunione egli chiese che fosse emanato un comunicato che, oltre a condannare l'eccidio delle Fosse Ardeatine, rivendicasse l'azione partigiana in Via Rasella. Quest'ultima proposta trovò l'opposizione del delegato dellaDemocrazia Cristiana,Giuseppe Spataro, il quale contestò l'opportunità dell'attentato e, al contrario, chiese un comunicato di dissociazione, proponendo inoltre che ogni futura azione fosse preventivamente approvata dalla giunta. Nell'«aspra discussione» che ne scaturì, Amendola replicò che, nel caso in cui la proposta democristiana fosse stata approvata, i comunisti sarebbero stati «costretti a prendere la [loro] libertà d'azione, anche a costo di uscire dal CLN». Poiché le deliberazioni venivano prese solo all'unanimità, nessuna delle due mozioni fu approvata, cosicché Amendola dichiarò «con una certa indignazione» che i comunisti si sarebbero autonomamente assunti – «con fierezza» – la responsabilità dell'attentato. La rivendicazione del PCI avvenne sul'Unità clandestina del 30 marzo tramite un comunicato dei GAP scritto daMario Alicata (datato 26 marzo), in cui tra l'altro si affermava che, in risposta al «comunicato bugiardo ed intimidatorio del comando tedesco», le azioni gappiste a Roma non sarebbero cessate «fino alla totale evacuazione della capitale da parte dei tedeschi».[108]
Su sollecitazione del segretario socialistaPietro Nenni, il 31 marzo Bonomi accettò di scrivere a nome del CLN «una nota di indignazione e di protesta» verso la strage delle Fosse Ardeatine. Il comunicato fu il risultato di un compromesso trovato dopo una serie di riunioni, discussioni e proposte di mediazioni, delle quali in mancanza di documentazione non è mai stato possibile ricostruire l'andamento. Sebbene comparve sulla stampa clandestina a metà aprile, per nascondere l'esitazione e il dissenso interni era retrodatato al 28 marzo.[109] Definito l'attentato «un atto di guerra di patrioti italiani», il comunicato del CLN vedeva nell'eccidio «l'estrema reazione della belva ferita che si sente vicina a cadere», alla quale le «forze armate di tutti i popoli liberi», ossia gli eserciti alleati avanzanti, avrebbero presto inferto «l'ultimo colpo», senza alcun riferimento alla prosecuzione delle azioni partigiane invocata dal comunicato comunista.
Vari ex partigiani socialisti, tra cuiMatteo Matteotti eLeo Solari, neglianni novanta hanno sostenuto che all'epoca Pertini, in due riunioni con alti dirigenti del suo partito alla fine di marzo e alla fine di aprile 1944 (poco prima della sua partenza per il nord), avrebbe duramente criticato l'azione come espressione di avventurismo irresponsabile. In particolare, Matteotti (all'epoca segretario della Federazione Giovanile Socialista e membro di una formazione armata socialista comandata daEugenio Colorni) ha dichiarato che Pertini era contrario ad attaccare un reparto militare tedesco, temendo «che ci fossero delle rappresaglie sproporzionate rispetto all'efficacia dell'azione», ed era favorevole a organizzare una manifestazione di protesta davanti alla sede deIl Messaggero per il rispetto dellacittà aperta, in modo che «il coraggio della gente si potesse manifestare con una chiara protesta contro le truppe occupanti, ma con l'intento di non arrivare ad uno scontro armato».[110][111] Tali testimonianze sembrano trovare riscontro nella lettera della direzione romana del PCI datata 30 marzo 1944, nella quale è scritto (secondoAlberto ed Elisa Benzoni[112] riferendosi «con ogni probabilità» a Pertini) che il delegato socialista aveva «assunto un atteggiamento inqualificabile di protesta e disapprovazione».
Nelle sue dichiarazioni pubbliche Pertini si attenne alla posizione ufficiale assunta dal CLN (peraltro su proposta del Segretario del suo partito), preoccupato «dall'esigenza di difendere l'unità antifascista in una vicenda marcata dall'ombra terribile delle Ardeatine»[113].
Nel 1948 nel corso del processo contro il colonnello delleSSHerbert Kappler per lastrage delle Fosse Ardeatine, Amendola, Pertini e l'azionistaRiccardo Bauer, in qualità di allora responsabili militari rispettivamente del PCI, del PSIUP e del Partito d'Azione, dichiararono che l'attentato di via Rasella era stato conforme alle «direttive di carattere generale» della giunta militare.[114]
Nuovamente, nel 1983, mentre ricopriva la carica di presidente della Repubblica, Pertini dichiarò: «Le azioni contro i tedeschi erano coperte dal segreto cospirativo. L'azione di via Rasella fu fatta dai Gap comunisti. Naturalmente io non ne ero al corrente. L'ho però totalmente approvata quando ne venni a conoscenza. Il nemico doveva essere colpito dovunque si trovava. Questa era la legge della guerra partigiana. Perciò fui d'accordo,a posteriori, con la decisione che era partita daGiorgio Amendola».[115]
Paradossalmente, proprio le dichiarazioni pubbliche di Pertini sulla legittimità dell'attentato, sulla cui opportunità pure nutriva personalmente dubbi e remore, gli valsero l'infondata attribuzione di un suo coinvolgimento nella decisione dell'azione gappista.
Nel 1949 alcuni familiari di vittime dell'eccidio delle Fosse Ardeatine intentarono una causa civile per danni contro gli esecutori dell'attentato di via RasellaRosario Bentivegna, Franco Calamandrei,Carlo Salinari, Carla Capponi, e contro Giorgio Amendola, Sandro Pertini e Riccardo Bauer, considerati, in quanto responsabili militari, rispettivamente, del Partito Comunista Italiano, del PSIUP e del Partito d'Azione, ispiratori e organizzatori dell'attentato.[116] Il Tribunale di Roma, con sentenza in data 26 maggio-9 giugno 1950, respinse la richiesta di risarcimento e riconobbe che l'attentato «fu un legittimo atto di guerra», per cui «né gli esecutori né gli organizzatori possono rispondere civilmente dell'eccidio disposto a titolo di rappresaglia dal comando germanico».[117]
Con sentenza in data 5 maggio 1954, la Corte d'Appello civile di Roma confermò la sentenza di primo grado.[118]
Con sentenza emanata in data 11 maggio 1957 e pubblicata il successivo 2 agosto, laCorte di cassazione ribadì il carattere di legittima azione di guerra dell'attentato, disattendendo la tesi dei ricorrenti secondo i quali non avrebbe potuto trattarsi di atto di guerra in quanto all'epoca Roma eracittà aperta.[119]
L'affermazione circa una corresponsabilità di Pertini nella decisione di realizzare l'attentato gli è stata poi ricorrentemente rivolta in maniera polemica dai suoi avversari politici: nel 1982, in seguito alla consegna di due medaglie al valor militare a Rosario Bentivegna (una d'argento e una di bronzo, conferitegli nel 1950), la stampa di destra accusò Pertini di aver ordinato l'attentato[120] (riprendendo tale versione da un libro diAttilio Tamaro del 1950).
Durante un dibattito parlamentare sul processo penale agli ex gappisti nel 1997, anche il ministro della GiustiziaGiovanni Maria Flick delgoverno Prodi dichiarò, erroneamente: «L'azione di via Rasella fu decisa dal Comando dei gruppi di azione patriottica di Roma, che aveva come dirigenti persone della statura di Sandro Pertini e di Giorgio Amendola, tra i padri della patria».[121]
Assieme aUgo La Malfa (allora esponente del Partito d'Azione) Pertini fu uno strenuo oppositore dellasvolta di Salerno rispetto alla pregiudiziale repubblicana.[122]
Poco prima della cattura di Bruno Buozzi (avvenuta il 13 aprile 1944), il comunistaGiorgio Amendola registrò quello che risulta essere l'ultimo parere politico espresso dal vecchio riformista prima della sua morte. Erano i primi di aprile. Amendola e Pertini si incontrarono in Via Po. La discussione si fece subito accesa. Sintetizzando la posizione prevalente nel Partito socialista, Pertini dichiarò la sua netta contrarietà alle nuove posizioni espresse dai comunisti in seguito alla "svolta di Salerno".
«Mentre urlavamo si avvicinò Buozzi, proveniente da piazza Quadrata [attuale piazza Buenos Aires -N.d.E.]. "Ma siete pazzi – ci investì – gridate come ossessi, vi si sente da piazza Quadrata". Informato dell'oggetto della discussione, disse che l'iniziativa di Togliatti gli era sembrata saggia e che egli si augurava che si concludesse in modo positivo. "Vedi – esclamò Sandro – solo i riformisti vi danno ragione", e si allontanò senza salutare.»
Quella di Pertini era peraltro la posizione, sia pure con diverse sfumature, di tutto il gruppo dirigente del PSIUP, ignaro delle decisioni assunte nellaconferenza di Teheran (28 novembre - 1º dicembre 1943), nella quale i "tre grandi" iniziarono a prefigurare la divisione delle sfere d'influenza delle tre grandi potenze in Europa,[124] e quindi convinto della possibilità di un'evoluzione in senso socialista della lotta di Liberazione e del nuovo assetto istituzionale dell'Italia.
Nel maggio del 1944, Pertini si diresse aMilano conGuido Mazzali per partecipare attivamente alla Resistenza come membro della giunta militare centrale delCLNAI e con l'intento politico di riorganizzare il partito socialista e la propaganda clandestina nelle regioni settentrionali.[24]
Nel luglio del 1944, dopo laliberazione di Roma, venne richiamato daNenni nella capitale. Gli ordini erano di mettersi in contatto, aGenova, con il monarchicoEdgardo Sogno che lo avrebbe messo in contatto con gli alleati per farlo rientrare a Roma con un volo dallaCorsica. La situazione tuttavia si complicò: arrivato aGenova non trovò l'imbarcazione per raggiungere la Corsica, quindi cercò di attivarsi con Sogno per una soluzione alternativa.[125]
Firenze, via Ghibellina 109, la casa in cui fu nascosto Sandro Pertini
Pertini, che aveva dei contatti con i partigiani diLa Spezia, partì per la città ligure con l'intento di trovare lì il mezzo adatto al viaggio. E così fu, ma occorreva aspettare qualche giorno.
Tornò a Genova, ma venne a sapere che Sogno aveva già trovato un motoscafo ed era partito con altre persone per la Corsica lasciandolo al suo destino. Pertini si trovò quindi abbandonato, in territorio occupato, con una condanna a morte pendente e, nella suaLiguria, facilmente riconoscibile, con l'ordine di rientrare a Roma.
Firenze, via Ghibellina 109. La targa ricorda che nella casa fu nascosto Sandro Pertini
Decise di riparare nuovamente a La Spezia per cercare comunque di raggiungere la capitale: riuscì ad ottenere, da un industriale che riforniva i tedeschi, un lasciapassare per raggiungerePrato, dopodiché da solo raggiunseFirenze a piedi.[125]
AFirenze si mise in contatto con il professoreGaetano Pieraccini, nel suo studio di via Cavour, grazie al quale riuscì a trovare rifugio in via Ghibellina 109, presso la famiglia Bartoletti.
L'11 agosto prese parte agli scontri per la liberazione della città, organizzando l'azione del partito socialista e la stampa delle prime copie del giornale socialistaAvanti!:
«Mi rivedo così tra il luglio e l'agosto1944 alla vigilia dell'insurrezione, inFirenze, dove il mio destino mi aveva portato... Lo stato di emergenza dichiarato dai tedeschi, disumano ed implacabile, durava ormai da più di una settimana. Le rappresaglie naziste si succedevano alle rappresaglie, le fucilazioni alle fucilazioni, la vita diventava ogni giorno più dura e più difficile; le speranze si spegnevano nei nostri cuori; molti di noi si sentivano già nell'ombra della morte. Quel martirio sembrava non avere più fine, quando improvvisamente all'alba dell'undici agosto, la "Martinella" - il vecchio campanone diPalazzo Vecchio - suonò a distesa; risposero festose tutte le campane di Firenze. Era il segnale della riscossa. Scendemmo, allora, tutti i piazza; i fratelli nostri d'oltreArno passarono sulla destra, i partigiani scesero dalle colline, la libertà finalmente splendeva nel cielo di Firenze. Ci mettemmo subito al lavoro; tutti i compagni si prodigavano in modo commovente. Il nostro fu il primo Partito a pubblicare un manifesto rivolto alla cittadinanza e pensammo di fare uscire immediatamente l'Avanti! sotto la direzione del compagno Albertoni... Nel pomeriggio dell'undici agosto noi tutti uscimmo dalla sede del Partito di via San Gallo con pacchi diAvanti! ancora freschi di inchiostro e ci trasformammo in strilloni. L'Avanti! andò a ruba. Ricordo un vecchio operaio. Mi venne incontro con le braccia tese chiedendomi con voce tremante unAvanti!. Il suo volto, splendente di una luce che si irradiava dal suo animo, sembrava improvvisamente ringiovanire. Preso l'Avanti! se lo portò alla bocca, baciò la testata piangendo come un fanciullo. Sembrava un figlio che dopo anni di forzata lontananza ritrova la madre.[126]»
Arrivato a Roma capì presto che la sua presenza era inutile e manifestò l'intenzione di tornare al nord, dove era il segretario del Partito Socialista per tutta l'Italia occupata e faceva parte delComitato di Liberazione Nazionale per l'Alta Italia - CLNAI in rappresentanza del partito.[127]
Il falso documento di identità intestato a Nicola Durano diSiracusa utilizzato da Pertini durante laResistenza
Gli furono forniti dei documenti falsi, una patente di guida a nome di Nicola Durano, e con un volo aereo venne trasferito daNapoli aLione, poi aDigione e, una volta arrivato aChamonix, entrò in contatto con laResistenza francese. Il percorso di rientro fu previsto attraverso ilMonte Bianco e fu condotto sulCol du Midi assieme a Cerilo Spinelli, il fratello diAltiero, con una teleferica portamerci, per poi intraprendere l'attraversamento dellaMer de Glace e prendere contatto con i partigianivaldostani, grazie all'aiuto del campione francese di sciÉmile Allais. Arrivò adAosta e poi aIvrea, evitando pattuglie e posti di blocco dei tedeschi, fino aTorino e quindi aMilano.[128]
Il 29 marzo del 1945 costituì, conLeo Valiani per ilPartito d'Azione edEmilio Sereni per ilPCI (supplente diLuigi Longo), un comitato militare insurrezionale in seno al CLNAI con lo scopo di preparare l'insurrezione diMilano e l'occupazione della città. Il 25 aprile 1945 fu lo stesso Pertini a proclamare alla radio[129] lo sciopero generale insurrezionale della città:
«Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l'occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire.»
Milano 25 aprile 1945 - proclamazione dello sciopero generale contro i nazi-fascisti
Alle 8 del mattino del 25 aprile, il Comitato di Liberazione Nazionale dell'Alta Italia si riunì presso il collegio dei Salesiani in via Copernico aMilano. L'esecutivo, presieduto daLuigi Longo,Emilio Sereni, Sandro Pertini eLeo Valiani (presenti tra gli altri ancheRodolfo Morandi – che venne designato presidente del CLNAI –,Giustino Arpesani eAchille Marazza), proclamò ufficialmente l'insurrezione, la presa di tutti i poteri da parte del CLNAI e la condanna a morte per tutti i gerarchi fascisti[130] (tra cui ovviamenteMussolini, che sarebbe stato catturato e fucilato tre giorni dopo). Il decreto, trasmesso via radio, recitava:
«I membri del governo fascista e i gerarchi del fascismo colpevoli di aver soppresso le garanzie costituzionali e di aver distrutto le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesso e tradito le sorti del Paese e di averlo condotto all'attuale catastrofe, sono puniti con la pena di morte e nei casi meno gravi con l'ergastolo.»
(Decreto del CLNAI, 25 aprile 1945)
Tale risoluzione era però in conflitto con l'articolo 29 dell'armistizio lungo, secondo il quale Mussolini avrebbe dovuto essere consegnato agliAlleati:
«Benito Mussolini, i suoi principali associati fascisti e tutte le persone sospette di aver commesso delitti di guerra o reati analoghi, i cui nomi si trovino sugli elenchi che verranno comunicati dalle Nazioni Unite e che ora o in avvenire si trovino in territorio controllato dal Comando militare alleato o dal Governo italiano, saranno immediatamente arrestati e consegnati alle Forze delle Nazioni Unite. Tutti gli ordini impartiti dalle Nazioni Unite a questo riguardo verranno osservati.[131]»
Quello stesso giorno, presso l'arcivescovado di Milano, ci fu comunque un tentativo di mediazione richiesto da Mussolini e favorito dal cardinaleIldefonso Schuster. DonGiuseppe Bicchierai, segretario dell'arcivescovo, s'incaricò di contattare il CLNAI; alla riunione con Mussolini (con lui, tra gli altri,Rodolfo Graziani eCarlo Tiengo), nel primo pomeriggio, parteciparono inizialmenteRaffaele Cadorna (comandante delCorpo volontari della libertà),Riccardo Lombardi delPartito d'Azione,Giustino Arpesani delPartito Liberale eAchille Marazza dellaDemocrazia Cristiana. Pertini non fu rintracciato in quanto era impegnato in un comizio nella fabbrica insorta dellaBorletti.[132][133] Nel colloquio cominciò a palesarsi la possibilità di un accordo: il CLNAI avrebbe accettato la resa, garantendo la vita ai fascisti, considerando Mussolini prigioniero di guerra e quindi consegnandolo agliAlleati.[134] A un certo punto però giunse la notizia che i tedeschi avevano già avviato trattative con gli alleati anglo-americani: Mussolini adirato disse di essere stato tradito dai tedeschi e abbandonò la riunione, con la promessa di comunicare entro un'ora le sue intenzioni.[135][136]
In quegli istanti giunsero alla spicciolata Sandro Pertini,Leo Valiani edEmilio Sereni, del comitato militare insurrezionale del CLNAI. Pertini incrociò sulle scale, per la prima e unica volta, Mussolini che scendeva; secondo alcune versioni l'esponente socialista era armato di pistola, cosa smentita poi in più di un'intervista (aGianni Bisiach nel 1977 e aEnzo Biagi nel 1983).[137] L'equivoco nacque dal fatto che scrisse sull'Avanti!: «lui (Mussolini - N.d.E.) scendeva le scale, io le salivo. Era emaciato, la faccia livida, distrutto».[138] Anni dopo, sulle colonne dello stesso giornale, dichiarò: «Se lo avessi riconosciuto lo avrei abbattuto lì, a colpi di rivoltella».[133] Le versioni raccontate da Pertini nelle interviste, invece, non lasciano spazio a dubbi:
«No, questa no, è una sciocchezza, che non ho fatto, né potevo fare (...) Mentre salivo lo scalone ho visto scendere un gruppo di persone. Mi giro, e ho riconosciuto Mussolini. (...) Vedo scendere un gruppo di persone e riconosco Mussolini. (...) Mussolini veniva giù... torvo in volto, il volto disfatto, molto accigliato, irritato anzi.»
«Mentre parlavo agli operai, arrivò un compagno tutto trafelato che mi disse: "C'è Mussolini che si sta incontrando all'arcivescovado conLombardi,Cadorna e gli altri". Io rimasi sorpreso, dopo pochi minuti arrivai all'Arcivescovado. Salendo il grande scalone (non è vero che avessi la rivoltella in mano, storie romanzate), vedo un gruppo che scende vestito con l'orbace e tra questi c'era Mussolini. Era molto emaciato, pallido, irriconoscibile, non era più il baldanzoso delle fotografie.»
Giunto nella sala dell'arcivescovado, si ebbe tra Pertini (appoggiato da Sereni) e gli altri un veemente scambio di battute: Pertini chiese alla delegazione perché non avessero arrestato subito Mussolini[135]; richiese inoltre che Mussolini, una volta arresosi al CLNAI, fosse consegnato a un Tribunale del popolo e non agli Alleati.[134]Carlo Tiengo, che era rimasto in arcivescovado, a questo punto telefonò a Mussolini comunicandogli le intenzioni dei due delegati del PSIUP e del PCI; ottenuta la risposta comunicò ai delegati e all'arcivescovo il rifiuto di Mussolini ad arrendersi.[134] La sera stessa il capo fascista partì verso ilLago di Como.
Pertini associò sempre in massima parte a quel suo intervento all'arcivescovado la causa del fallimento della trattativa e la conseguente morte del duce. In particolare, nel 1965 scrisse:
«Da tutto questo appare chiaro che il mio intervento presso il cardinale (intervento appoggiato solo dal compagno Emilio Sereni, ma con molta energia) spinse Mussolini a non arrendersi. E soprattutto appare chiaro che se la sera del 25 aprile il compagno Sereni ed io non fossimo andati all'arcivescovado e se quindi Mussolini si fosse arreso al CLNAI sarebbe stato consegnato al colonnello ingleseMax Salvadori,[141] il che voleva dire consegnarlo di fatto agli Alleati (ed oggi sarebbe qui, a Montecitorio...).[142]»
26 aprile 1945. Pertini tiene un affollato comizio nellaMilano appena liberata.
Tuttavia, secondo altre fonti, tale evento non avrebbe avuto un'influenza decisiva su una decisione (quella della partenza), di fatto già stabilita da Mussolini.[143]
Il giorno dopo Pertini tenne un affollato comizio inPiazza Duomo.
Poco dopo, a Radio Milano Libera, annunciò la vittoria dell'insurrezione e l'imminente fine della guerra.
Il 27 aprile, fortemente convinto della necessità di condannare a morte il capo del fascismo, arrestato aDongo il giorno precedente, disse alla radio:
«Mussolini, mentre giallo di livore e di paura tentava di varcare la frontiera svizzera, è stato arrestato. Egli dovrà essere consegnato ad un tribunale del popolo, perché lo giudichi per direttissima. E per tutte le vittime del fascismo e per il popolo italiano dal fascismo gettato in tanta rovina egli dovrà essere e sarà giustiziato. Questo noi vogliamo, nonostante che pensiamo che per quest'uomo il plotone di esecuzione sia troppo onore. Egli meriterebbe di essere ucciso come un cane tignoso. Questo è il disastroso risultato di vent'anni di dominazione fascista. Lo ricordiamo soprattutto a coloro che al fascismo ed al suo capo hanno sino ad ieri applaudito, pronti oggi a mettersi sotto una delle insegne politiche trionfanti per rifarsi una verginità cento volte perduta e per realizzare quelle ambizioni che non sono riusciti a realizzare sotto il fascismo.[144]»
Il 28 aprile Mussolini fu fucilato e il giorno dopo il suo cadavere, insieme a quello della sua compagnaClaretta Petacci e a quelli di altri gerarchi del regime sconfitto, fu esposto all'odio della folla aPiazzale Loreto. Pertini commentò: «L'insurrezione si è disonorata».[145]
In seguito, riguardo alle vicende finali della vita del dittatore, scrisse sulle colonne dell'Avanti!:
«Mussolini si comportò come un vigliacco, senza un gesto, senza una parola di fierezza. Presentendo l'insurrezione si era rivolto al cardinale arcivescovo di Milano chiedendo di potersi ritirare inValtellina con tremila dei suoi. Ai partigiani che lo arrestarono offrì un impero, che non aveva. Ancora all'ultimo momento piativa di aver salva la vita per parlare alla radio e denunciareHitler che, a suo parere, lo aveva tradito nove volte.[138]»
In ottemperanza al decreto del CLN, ordinò inoltre al partigianoCorrado Bonfantini, comandante dellaBrigata Matteotti, la fucilazione del marescialloRodolfo Graziani. Il 28 aprile Bonfantini arrestò il generale fascista e si adoperò invece per salvargli la vita; il giorno dopo Graziani si consegnò agli Alleati.[146]
Partigiani sfilano per le strade di Milano
Gli ultimi scontri nella città si sarebbero conclusi solo il 30 aprile.[147] Per le sue attività durante la Resistenza, e in particolare per la sua partecipazione alla difesa di Roma e alle insurrezioni diFirenze e di Milano, Pertini verrà insignito dellamedaglia d'oro al valor militare.
Secondo Pertini, le emozioni provate durante la Liberazione di Milano furono un'esperienza che confermarono la sua idea della «capacità del popolo italiano di compiere le più grandi cose qualora fosse animato dal soffio della libertà e del socialismo»[138]. Tuttavia, come spesso egli ricordava malinconicamente, mentre il 26 aprile partecipava alla festa per l'avvenuta liberazione, suo fratello minore Eugenio veniva assassinato nelcampo di concentramento di Flossenbürg.[148]
Il partigianoGiuseppe Marozin, detto "Vero", imputato del duplice omicidio degli attori fascistiOsvaldo Valenti eLuisa Ferida, avvenuta il 30 aprile in via Poliziano a Milano, si è difeso scrivendo nelle sue memorie che sarebbe stato Pertini ad ordinare la fucilazione dei due famosi attori cinematografici.[149] I due avevano aderito allaRepubblica Sociale Italiana; Valenti era un ufficiale della famigerataXª Flottiglia MAS, ed entrambi erano accusati di aver partecipato alle azioni del gruppo di torturatori conosciuto come "Banda Koch".[150][151][152] Non ci sono tuttavia altre fonti che confermino il coinvolgimento di Pertini nella decisione di uccidere i due attori, inoltre manca un ordine scritto (riscontrato invece nel caso dell'uccisione di Mussolini, seppur emesso a esecuzione avvenuta).
Il 2 agosto del 1945 Pertini divenne segretario delPSIUP, a seguito della dimissioni dalla carica diPietro Nenni, divenuto vicepresidente del Consiglio dei ministri nelgoverno Parri. Mantenne l'incarico fino al 18 dicembre dello stesso anno, quando fu sostituito daRodolfo Morandi.
Al XXIV congresso socialista, il primo del PSIUP e del dopoguerra, che si svolse al teatro comunale diFirenze, tra l'11 e il 17 aprile del 1946, Pertini si trovò a presentare una mozione assieme aIgnazio Silone in difesa dell'autonomia e dell'indipendenza del partito dai comunisti.
La contrapposizione fu con la maggioranza del PSIUP che faceva capo aBasso eMorandi con la copertura diNenni, i quali, pur accantonata la prospettiva della "fusione" del PSIUP con il PCI (per sanare la divisione del movimento operaio determinata dalla "scissione di Livorno"),[153] sostenevano la necessità dell'azione comune di socialisti e comunisti in vista dell'instaurazione di una società socialista in Italia.
La mozione di Pertini e Silone trovò l'adesione anche dei giovani raccolti attorno alla rivistaIniziativa socialista, che contestavano i governi ciellenisti e sognavano una rivoluzione libertaria e nonleninista.[154]
Il confronto, anzi lo scontro congressuale, non fu più sul tema dell'attualità o meno della fusione, ma sul modello di socialismo. Saragat, nel suo intervento, richiamò il fatto che «lo sviluppo di un socialismo autocratico e autoritario (era) uno dei problemi attuali» e gli contrapponeva il suo socialismo democratico. Basso parlò di un profondo dissenso «tra lo spirito classista e lo spirito liberalsocialista».
Alla fine il congresso diede un esito clamoroso. Le mozioni di Pertini, Silone e diCritica sociale raggiunsero il 51 per cento, quella cosiddetta di Base, cioè di Basso e Morandi, solo il 49. La Direzione venne composta per metà da membri della mozione di Base e per metà da esponenti delle altre due. Nenni, ex segretario, fu eletto alla presidenza del PSIUP e segretario del partito venne elettoIvan Matteo Lombardo, un esponente abbastanza conosciuto (ma non certo un leader), e non Pertini, come ci si attendeva.
Pochi giorni dopo la conclusione della battaglia referendaria per l'instaurazione della Repubblica (2 giugno 1946), l'8 dello stesso mese Pertini sposò la giornalista estaffetta partigianaCarla Voltolina, conosciuta pochi mesi prima aTorino, dopo il suo attraversamento del massiccio delMonte Bianco per rientrare aMilano.
Dall'agosto 1946 al gennaio 1947 e dal maggio 1949 all'agosto 1951[155] fu direttore del quotidiano socialistaAvanti!. Dall'aprile del 1947 al giugno del 1968 fu anche direttore del quotidiano genoveseIl Lavoro.
In una pagina del sito web della Fondazione "Sandro Pertini" è ricordato che, all'Avanti!, «il Direttore Sandro Pertini, negli anni che vanno dal 1952 al 1954, dormiva nella segreteria di redazione che era stata trasformata in camera, dove aveva una rete metallica con quattro piedi di ferro aggiunti per alzarla, un materasso fatto di ritagli di stoffa e un lavabo in ferro battuto con una caraffa.»[156]
Tuttavia, in nessuna fonte storica e documentale di provata attendibilità sulla vita del leader socialista ligure è rimasta traccia di tale direzione dell'Avanti dal 1952 al 1954, oltre alle due, assolutamente certe, dall'agosto 1946 al gennaio 1947, e dal maggio 1949 all'agosto 1951.
Al contrario, inAvanti! Un giornale, un'epoca diUgo Intini,[155] ex-direttore del quotidiano socialista, risulta che il direttore dell'Avanti nel periodo 1952-1954 sia stato l'on.Tullio Vecchietti.
L'episodio riferito nel sito web della Fondazione "Sandro Pertini" è probabilmente riconducibile al periodo agosto 1946-gennaio 1947, quando, a causa delle distruzioni belliche, era difficile trovare a Roma un alloggio in centro a prezzi abbordabili.
In tal senso, durante i lavori dell'Assemblea, intervenne il 22 luglio 1946 con un'interrogazione parlamentare nei confronti delministro di Grazia e GiustiziaFausto Gullo (comunista), che verteva sulle motivazioni dell'interpretazione largheggiante del provvedimento diamnistia, sull'inadempimento delgoverno De Gasperi nell'applicare il decreto di reintegro dei lavoratori antifascisti allontanati dal lavoro per motivi politici durante il regime, sull'emanazione di provvedimenti atti a difendere la Repubblica contro i suoi nemici.[160][161] Il suo intervento si concluse con alcune parole molto dure nei confronti del provvedimento e della sua applicazione da parte della magistratura e del governo:
«Ricordiamo che l'epurazione è mancata: si disse che si doveva colpire in alto e non in basso, ma praticamente non si è colpito né in alto né in basso. Vediamo ora lo spettacolo di questa amnistia che raggiunge lo scopo contrario a quello per cui era stata emanata: pensiamo, quindi, che verrà un giorno in cui dovremo vergognarci di aver combattuto contro ilfascismo e costituirà colpa essere stati in carcere e alconfino per questo.[160]»
Il leadercomunistaTogliatti si sentì in dovere di intervenire subito dopo Pertini per difendere la bontà del provvedimento da lui varato quand'era stato Ministro di Grazia e Giustizia nel precedentegoverno Parri. Pur dichiarando di associarsi allo sdegno di Pertini per come l'amnistia era stata applicata in taluni casi, ricordò che il provvedimento di clemenza era stato approvato da tutti i partiti e minimizzò il numero delle scarcerazioni a fronte delle procedure pendenti.[162]
L'azione politica di Pertini in quel periodo mirava anche al raggiungimento delle riforme sociali necessarie al recupero del paese, devastato sia dall'esperienza fascista, sia dalle tragedie della guerra, ma soprattutto al tentativo di eliminare radicalmente qualsiasi possibile rigurgito del regime mussoliniano.
Impegno per evitare la "scissione di palazzo Barberini"
Il congresso, voluto fortemente daNenni per analizzare la situazione di attrito tra le componenti di maggioranza e minoranza con l'obiettivo di riunire le diverse posizioni, fallì il suo scopo primario, nonostante gli sforzi di mediazione di Pertini.Per giorni egli si pose al centro delle dispute nel tentativo di mediare tra le due correnti, ma, nonostante i suoi sforzi, «la forza delle cose», come la definì Nenni, portò alla scissione socialdemocratica, meglio nota come "scissione di palazzo Barberini", da cui nacque ilPartito Socialista dei Lavoratori Italiani - PSLI (poi dal 1951 PSDI).
«Pertini non si rassegnò e decise di gettarsi a capofitto, com'era nella sua indole, nella baraonda congressuale recandosi personalmente aPalazzo Barberini[163] per un disperato estremo tentativo. Quando arrivò venne accolto da un grido di vittoria, "Sandro, Sandro", coi delegati scissionisti tutti in piedi, convinti che anche Pertini si fosse unito a loro. Ma quando egli volle manifestare il suo proposito unitario, Saragat gli rispose ringraziandolo, ma dichiarando che ormai la scissione era stata consumata»[164].
Sempre attento a contrastare ogni possibile "colpo di spugna" sul recente passato del regime fascista e la rinascita, sotto diverse forme, delle concezioni autoritarie mussoliniane, Pertini fu uno dei protagonisti della polemica politica sul cosiddetto "caso Basile".Carlo Emanuele Basile era stato Capo della Provincia diGenova sotto laRepubblica Sociale Italiana dal 28 ottobre 1943 al 26 giugno 1944. Nel capoluogo ligure erano presenti importanti realtà industriali (Ansaldo,Siac,Cantieri Navali,San Giorgio,Piaggio) i cui operai si impegnarono in una serie di scioperi e sabotaggi per bloccare la produzione di materiale bellico e impedire il trasferimento degli impianti in Germania.
Poiché gli scioperi si susseguivano, il 1º marzo Basile ordinò l'affissione di un manifesto in cui minacciava, in caso di nuovo sciopero, la deportazione di un certo numero di operai, estratti a sorte, nei campi di concentramento "dell'estremo Nord"[165].
Il 16 giugno, dopo ulteriori scioperi e la serrata delle fabbriche disposta da Basile, i militari tedeschi irruppero in quattro fabbriche genovesi (la Siac, i Cantieri Navali, la San Giorgio e la Piaggio) prelevando quasi 1500 operai, che furono deportati in Germania e destinati a lavorare nelle fabbriche tedesche.[166]
Due giorni dopo, il 18 giugno, uscirono sulla stampa cittadina due comunicati, uno del comando tedesco, l'altro di Basile che non voleva perdere l'occasione di rivendicare i suoi "meriti": «Vi avevo messo sull'avvertita… Non avete voluto ascoltarmi… Oggi più di uno di voi si pente amarissimamente di essersi lasciato sedurre ed illudere… Intanto quei pendagli da forca che si gabellano per comunisti, si appostano all'angolo dei carruggi o all'uscita di un rifugio al cessato allarme, per colpire alla schiena uno dei nostri, borghese o militare… Meditate bene quanto sto per dire: la pazienza ha un limite…».[167]
Rimosso dall'incarico, Basile fu poi nominato Sottosegretario per l'Esercito dal 26 giugno 1944 a fine guerra, quando fu catturato dai partigiani aSesto San Giovanni mentre cercava di raggiungereMussolini aMilano, trasportando con sé una valigia contenente trenta milioni in valuta estera e oro provenienti dalla segreteria particolare del duce, che dovevano servire a favorire l'eventuale fuga di Mussolini e di altri gerarchi fascisti all'estero[168]. Alla radio fu data notizia della sua cattura e fucilazione[169], ma, processato dai "tribunali del popolo" e portato per due volte di fronte al plotone di esecuzione, alla fine fu risparmiato in quanto (secondo la testimonianza resa in processo da chi lo fece prigioniero) si credeva potesse fare importanti rivelazioni.[170] L'ordine di fucilarlo immediatamente era stato dato da Pertini, quale membro dell'esecutivo delComitato di Liberazione per l'Alta Italia, ma l'ordine fu disatteso.[171]
Basile venne poi prelevato daglialleati, tratto in carcere e posto sotto processo per il reato di collaborazione con il tedesco invasore, in particolare per aver prestato «aiuto ed assistenza come capo della provincia di Genova prima e come sottosegretario alla Guerra poi».[172] Nei capi d'imputazione veniva contestato soprattutto il suo operato a Genova, città in cui si era reso responsabile della deportazione di circa 1400 operai in Germania, come provato, tra l'altro, dai diversi manifesti in cui egli minacciava l'adozione di duri provvedimenti nei confronti degli operai in caso di sciopero. Inoltre Basile era accusato della morte di undici detenuti politici nel carcere di Marassi, che erano stati condannati a morte e fucilati al Forte San Martino con sentenze del Tribunale Militare Speciale di Genova, da lui convocato tre volte per rappresaglia ad altrettanti attentati compiuti daigappisti.
L'iter del processo fu molto tortuoso e condizionato dalla promulgazione dell'amnistia Togliatti:[173][174][175] inizialmente, nel1945, Basile fu condannato a 20 anni dallaCorte di Assise straordinaria diMilano, ma la sentenza fu annullata dallaCorte di cassazione. L'anno successivo la Corte diPavia lo condannò a morte, ma anche questa volta la sentenza fu annullata dalla Cassazione. Il processo andò quindi allaCorte di Assise speciale diVenezia, da cui fu trasferito, perlegitima suspicione, a quella diNapoli, che il 29 agosto1947, su proposta del Procuratore Generale dott. Siravo, assolse Basile in quanto il reato di collaborazionismo a lui contestato si era estinto per amnistia e ne ordinò la scarcerazione.[176]
L'assoluzione determinò grandi proteste soprattutto a Genova, dove fu proclamato lo sciopero generale dalle 10 alle 24[177] e nella provincia di Milano.[178] LaCGIL, con un comunicato, approvò le manifestazioni di protesta.[179]
Il 19 novembre 1947 fu presentata un'interrogazione parlamentare al Ministro della Giustizia dai socialistiGaetano Barbareschi,Vannuccio Faralli e Sandro Pertini nella quale si chiedeva quali provvedimenti si intendessero adottare contro il Procuratore Generale di Napoli Siravo, il quale, a detta dei tre esponenti socialisti, nella requisitoria del processo Basile aveva dichiarato che le leggi eccezionali contro i fascisti erano una "mostruosità" e aveva sostenuto che la magistratura del nord, nel giudicare i fascisti, aveva compiuto non opera di giustizia ma di vendetta, in quanto aveva subito interferenze estranee. Il Ministro di giustiziaGiuseppe Grassi (liberale) rispose che Siravo era un ottimo magistrato e che nel verbale della requisitoria non vi era alcun riferimento alle affermazioni attribuitegli sulle leggi contro i fascisti. Invece riguardo ai processi svoltisi al nord, il ministro rispose che Siravo faceva riferimento agli episodi di violenza che accaddero tra il pubblico e che quindi egli aveva solo fatto un apprezzamento sul clima nel quale si svolsero tali processi. Allora Faralli gridò più volte che Siravo era un fascista perché aveva fatto assolvere Basile, ma il deputatodemocristianoGiovanni Leone, avvocato napoletano, rispose che Siravo era il più indipendente magistrato di Napoli. Pertini riprese la parola ribadendo che Basile era stato un collaborazionista, che aveva fatto eseguire rastrellamenti di operai a Genova e che era stato uno strumento cosciente nelle mani dei nazisti; espresse quindi la sua preoccupazione per le decisioni prese dalla magistratura e proseguì affermando che ciò che meritava Basile era il plotone di esecuzione e che il problema non sarebbe esistito se i suoi compagni partigiani avessero eseguito il suo ordine di fucilarlo subito, invece di farlo cadere in mano agli alleati. Pertini riferì altre frasi, riportate dalla stampa, che sarebbero state pronunciate nella requisitoria dal PG Siravo (Basile «non era collaborazionista e se lo fosse stato, forse avrebbe avuto ragione, se si pensi come i liberatori sono stati ingrati verso il popolo italiano», «Basile, oggi imputato, potrebbe domani essere portato sugli scudi!»), corroborate da quanti, avvocati e parti civili presenti in aula, egli aveva personalmente intervistato. Il deputato napoletanodemocratico nazionaleAmerigo Crispo rispose che nessuna delle frasi citate si trovava in quella forma nel testo stenografato della requisitoria.[180]
Nell'occasione Pertini dichiarò:
«Ora, io non nego che il giudice possa anche interessarsi di politica, ma deve interessarsene quando non esercita il magistero della giustizia. Quando esercita la sua funzione di giudice, egli deve dimenticarsi di essere un uomo politico![181]»
Nonostante fosse fautore dell'unità del movimento dei lavoratori e dell'"unità d'azione" con ilPartito Comunista Italiano, Pertini era anche un fervido sostenitore dell'autonomia socialista nei confronti del PCI. In tal senso si oppose, in seno alPartito Socialista Italiano (tornato alla sua storica denominazione dopo la scissione di Palazzo Barberini), alla presentazione di liste unitarie con il PCI nelFronte Democratico Popolare per leelezioni del 1948. Al XXVI Congresso di Roma del 19-22 gennaio 1948 la sua mozione contraria al Fronte fu tuttavia minoritaria: prevalse la linea di Nenni e Pertini si adeguò alla decisione della maggioranza.[16]
Pertini rientrò nella direzione nazionale del partito con il XXVIII Congresso diFirenze del maggio 1949, divenendo anche, a partire dal 1955, di nuovo vicesegretario. Sarebbe rimasto nella direzione fino al 1957, quando, al XXXII Congresso diVenezia, anche in seguito allainvasione sovietica dell'Ungheria, con la sua opposizione, venne interrotta la collaborazione con il PCI.[182]
Voto contro la NATO, commemorazione di Stalin e giudizio sulla Rivoluzione ungherese del 1956
Il 27 marzo 1949, durante la 583ª seduta del Senato, Pertini dichiarò il voto contrario del suo partito all'adesione dell'Italia alPatto Atlantico, perché inteso come uno strumento di guerra e in funzione antisovietica nell'intento di dividere l'Europa e di scavare un solco sempre più profondo per separare il continente europeo, e sottolineò come il Patto Atlantico avrebbe influenzato la politica interna italiana, con conseguenze negative per la classe operaia.In quella seduta difese anche la pregiudiziale pacifista del gruppo socialista, esprimendo la solidarietà nei confronti dei compagni comunisti – veri obiettivi, a suo dire, del Patto Atlantico –, concludendo con le seguenti parole:
«Oggi noi abbiamo sentito gridare "Viva l'Italia" quando voi avete posto il problema dell'indipendenza della Patria. Ma non so quanti di coloro che oggi hanno alzato questo grido, sarebbero pronti domani veramente ad impugnare le armi per difendere la Patria. Molti di costoro non le hanno sapute impugnare contro i nazisti. Le hanno impugnate invece contadini e operai, i quali si sono fatti ammazzare per la indipendenza della Patria![183]»
Nel 1953, alla morte diStalin, il suo intervento, in qualità di presidente del gruppo senatoriale socialista, celebrò il capo dell'URSS:
«Il compagno Stalin ha terminato bene la sua giornata, anche se troppo presto per noi e per le sorti del mondo. L'ultima sua parola è stata di pace. [...] Si resta stupiti per la grandezza di questa figura che la morte pone nella sua giusta luce. Uomini di ogni credo, amici e avversari, debbono oggi riconoscere l'immensa statura di Giuseppe Stalin. Egli è un gigante della storia e la sua memoria non conoscerà tramonto.[184]»
Per questo elogio, avvenuto prima della divulgazione delrapporto Kruscev con cui furono denunciati i crimini di Stalin, Pertini venne molto criticato, ad esempio daIndro Montanelli e daMarcello Veneziani; in un articolo della Fondazione Pertini si precisa che «egli nel1953 ricordava lo Stalin difensore diStalingrado e co-liberatore dell'Europa dalla barbarie nazista; lo Stalin al quale strinsero la manoWinston Churchill eFranklin Roosevelt» e che «Sandro Pertini ha lottato contro ogni forma di totalitarismo per la realizzazione piena di sistemi democratici fondati sulla libertà e sulla giustizia sociale» con «molte prese di posizione che Sandro Pertini assunse di petto, come era solito fare, anche contro il regime sovietico».[185]
Nel novembre 1956 Pertini fu tra quei socialisti italiani che giudicarono molto duramente la Rivoluzione ungherese, vista come una palese reazione e un tentativo controrivoluzionario di ritorno al passato presocialista, in chiaro contrasto con le corrispondenze del giornale del partito, il cui inviato a Budapest Luigi Fossati, rendeva equilibrate eppur preoccupate descrizioni di quei drammatici giorni. Prima ancora del secondo e decisivo intervento sovietico del 4 novembre 1956 egli così scrisse in un articolo ripreso dal'Unità, quotidiano del PCI, il 3 novembre:
«Ma al di sopra di queste responsabilità della nostra critica, ecco avanzare in Ungheria lo spettro della reazione. Forze politiche si vanno ricostituendo sotto l'egida del clericalismo conservatore con l'intento di tornare al passato, annullando ogni riforma. Non si vuole, dunque, avviare il socialismo sulla strada della democrazia e delle libertà [...] ma si vuole farlo crollare nell'abisso della reazione spietata. Così i corrispondenti da Budapest ci fanno sapere che la caccia all'uomo è in corso e che i comunisti sono torturati, trucidati, impiccati. Se tacessimo, considerando questa bestiale reazione una logica conseguenza delle responsabilità dei dirigenti comunisti da noi tempestivamente denunciate, cesseremmo di essere socialisti, e diverremmo, sia pure inconsapevolmente, complici della reazione che in Ungheria tenta di riaffermare il suo antico potere. Perciò noi oggi siamo spiritualmente al fianco dei compagni comunisti ungheresi vittime della bestiale reazione».[186]
Sempre nel 1953, fu tra i più strenui oppositori della cosiddetta "legge truffa",[187] pronunciando un duro intervento in Senato contro l'approvazione del provvedimento nella seduta del 10 marzo.
Fu successivamente eletto nella lista del PSI allaCamera dei deputati nel 1953, e poi ancora nel 1958, 1963, 1968, 1972 e nel 1976, nel collegioGenova-Imperia-La Spezia-Savona, per divenire presidente prima della commissione parlamentare per gli Affari interni e poi di quella degli Affari costituzionali, e nel 1963 vicepresidente della Camera.
Processo contro gli assassini mafiosi del sindacalista socialista Salvatore Carnevale
Negli anni cinquanta, Pertini, assieme agli avvocatisocialisti Nino Taormina e Nino Sorgi (che molte volte difese il quotidianoL'Ora da querele di politici collusi con lamafia), rappresentò la parte civileFrancesca Serio, madre delsindacalista socialistaSalvatore Carnevale, assassinato dalla mafia il 16 maggio 1955 aSciara, perché impegnato nelle lotte contadine contro il latifondismo e per la redistribuzione delle terre.[188]
La madre di Salvatore fu la prima donna nella Sicilia degli anni 1950, con il supporto delPSI nazionale e di una grande campagna di stampa del quotidiano socialistaAvanti!, a rompere l'omertà mafiosa, denunciando formalmente alprocuratore della Repubblica diPalermo gli assassini del figlio, con nomi e cognomi: quattro mafiosi di Sciara dipendenti della principessaNotarbartolo, la proprietaria del feudo dal quale Carnevale era riuscito a far scorporare una piccola porzione di terre incolte da far assegnare ai contadini in base alla legge: l'amministratore del feudo Giorgio Panzeca, il magazziniere Antonio Mangiafridda, il sorvegliante Luigi Tardibuono e il campiere Giovanni Di Bella.
Le indagini sull'omicidio e sui quattro nominativi denunciati dalla madre di Carnevale furono svolte dal procuratore della Repubblica di PalermoPietro Scaglione (poi caduto anch'egli vittima della mafia): i quattro accusati furono fermati e tradotti in carcere poiché glialibi non ressero alle verifiche e un testimone si lasciò scappare di aver visto Tardibuono sul luogo del delitto. Sulla base di queste indagini, si aprì un lungo iter giudiziario tra assoluzioni e condanne in vari tribunali italiani, in quanto i difensori degliimputati, asserendo il grande clamore mediatico esistente sul caso a Palermo, sede naturale del processo, ottennero che lo stesso venisse trasferito, perlegitima suspicione, allaCorte d'assise presso il Tribunale diSanta Maria Capua Vetere. Qui il processo di primo grado iniziò il 18 marzo 1960 e si concluse il 21 dicembre 1961 con la condanna all'ergastolo di tutti e quattro gli imputati, accogliendo la ricostruzione del delitto fatta da Scaglione, Pertini, Sorgi e Taormina.[189]
Francesca, che si era costituita parte civile con i suoi avvocati Pertini, Sorgi e Taormina e aveva assistito a tutte le udienze del processo come muta accusatrice degli assassini del figlio, si dichiarò soddisfatta della sentenza, poiché giustizia era stata fatta non solo per il figlio ma per tutti i caduti sotto i colpi della mafia. Ma al processo d'Appello, svoltosi aNapoli dal 21 febbraio al 14 marzo 1963, e in quello diCassazione, la sentenza fu ribaltata, assolvendo tutti gli imputati per insufficienza di prove.
Francesca dichiarò che quella sentenza uccise il figlio una seconda volta.[190]
Protesta contro il congresso neo-fascista a Genova
Pertini fu tra i politici che protestarono pubblicamente riguardo alla possibilità che si tenesse nella città diGenova, nella suaLiguria, il congresso delMovimento Sociale Italiano, con un celebre comizio tenuto nel capoluogo genovese in Piazza della Vittoria il 28 giugno 1960:[191]
«Dinanzi a queste provocazioni, dinanzi a queste discriminazioni, la folla non poteva che scendere in piazza, unita nella protesta, né potevamo noi non unirci ad essa per dire no come una volta al fascismo e difendere la memoria dei nostri morti, riaffermando i valori della Resistenza.
Questi valori, che resteranno finché durerà in Italia una Repubblica democratica sono: la libertà, esigenza inalienabile dello spirito umano, senza distinzione di partito, di provenienza, di fede. Poi la giustizia sociale, che completa e rafforza la libertà, l'amore di Patria, che non conosce le follie imperialistiche e le aberrazioni nazionalistiche, quell'amore di Patria che ispira la solidarietà per le Patrie altrui.»
Tre giorni dopo, denunciò alla Camera i soprusi delle forze dell'ordine nei confronti dei manifestanti, sia nel capoluogo ligure, sia in altre città d'Italia.
Il diffondersi della protesta portò pochi giorni dopo ai tragici fatti dellastrage di Reggio Emilia.
In seguito Pertini scrisse nella presentazione di un libro:[192]
«ÈGenova che ha riaffermato come i valori dellaResistenza costituiscano un patrimonio sacro, inalienabile della Nazione intera e che chiunque osasse calpestarli si troverebbe contro tutti gli uomini liberi, pronti a ristabilire l'antica unità al di sopra di ogni differenza ideologica e di ogni contrasto politico.»
Come esempio del suo attaccamento ai valori dellaResistenza e dell'antifascismo, va ricordato un episodio avvenuto poco dopo lastrage di Piazza Fontana del 12 dicembre1969, quando Pertini, divenuto nel frattempopresidente della Camera dei deputati, si recò aMilano in visita ufficiale e si rifiutò di incontrare l'alloraquestore del capoluogo lombardoMarcello Guida, che egli ben conosceva essendo stato questi, durante il regime fascista, direttore delconfino diVentotene in cui Pertini aveva trascorso parte dei suoi periodi di detenzione sotto il fascismo; fu un gesto che ruppe il protocollo e che ebbe un forte rilievo mediatico. Pochi anni dopo, lo stesso Pertini, intervistato daOriana Fallaci, aggiunse che a determinare quel gesto non fu estraneo il fatto che su Guida «gravava l'ombra della morte» dell'anarchicoGiuseppe Pinelli, avvenuta appunto quando Guida era questore di Milano.[193]
Politicamente fu tra coloro che non sostennero ilcentro-sinistra perché attraverso quell'accordo si sarebbero discriminati icomunisti, mettendo fine alla collaborazione tra i due principali partiti della sinistra. Infatti, dopo la nascita della Repubblica, lavorò sempre per unire le sinistre, cioè socialisti, socialdemocratici, repubblicani e comunisti, in un solo partito.
In questa chiave dell'unità fra i partiti della sinistra ricostruì (retrospettivamente, in una celebre intervista aGianni Bisiach) le vicende del negoziato all'Arcivescovado di Milano che ilCLNAI aveva tenuto con il cardinaleSchuster per la resa diMussolini, prima del 25 aprile 1945: a suo dire egli si oppose al negoziato con l'argomento formale che il PCI diLongo non era stato invitato ai colloqui.
Pertini, peraltro, non costituì mai nelPSI una propria corrente e vantava rapporti travagliati (quando non pessimi) con quasi tutti gli esponenti socialisti (disse di lui il compagno di partitoRiccardo Lombardi: «cuore di leone, cervello di gallina».
Dal 1963 al 1968, durante laIV legislatura, svolse il mandato di vicepresidente della Camera.
NellaV eVI legislatura, ricoprì l'incarico di presidente della Camera dei deputati, risultando il primo uomo politico non democristiano e di sinistra a ricoprire tale incarico.
Nel 1968, da poco eletto presidente della Camera, polemizzò con l'ambasciatore dell'URSS in Italia per l'invasione sovietica inCecoslovacchia: «Sapesse che diverbio ho avuto con l'ambasciatore sovietico pei fatti di Praga! Voi ristabilite l'ordine coi carri armati, gli ho detto, proprio alla maniera dei fascisti che lo ristabilivano con le baionette. Voi volete l'ordine che c'è nelle galere, nei cimiteri! Ci siamo lasciati male. Così male che non è più venuto da me e io non sono più andato da lui».[194]
Durante l'elezione del Capo dello Stato del1971, che si protraeva per molti scrutini senza alcun esito, da presidente del Parlamento in seduta comune vietò il controllo del voto imposto dai notabilidemocristiani, che pretendevano che i singoli parlamentari DC mostrassero la scheda bianca prima del suo deposito nell'urna: l'iniziativa, a salvaguardia della segretezza del voto, nell'immediato determinò una sollecitazione decisiva per lo scioglimento dei nodi politici che produssero l'elezione diGiovanni Leone, ma a lungo termine gli guadagnò la stima dell'opinione pubblica come presidente d'Assemblea che svolgeva il suo compito in modo non notarile.
Il 10 marzo 1974, laDomenica del Corriere pubblicò un'intervista concessa da Pertini aNantas Salvalaggio. In risposta a chi lo accusava di essere un po' squilibrato, Pertini rispondeva:
«Non mi meraviglia niente. So che il mio modo di fare può essere irritante. Per esempio, poco tempo fa mi sono rifiutato di firmare il decreto di aumento di indennità ai deputati. Ma come, dico io, in un momento grave come questo, quando il padre di famiglia torna a casa con la paga decurtata dall'inflazione... voi date quest'esempio d'insensibilità? Io deploro l'iniziativa, ho detto. Ma ho subito aggiunto che, entro un'ora, potevano eleggere un altro presidente della Camera. Siete seicentoquaranta. Ne trovate subito seicentocinquanta che accettano di venire al mio posto. Ma io, con queste mani, non firmo.[195]»
Nel corso del suo mandato di presidente della Camera vennero votati dall'aula di Montecitorio numerosi importanti provvedimenti: oltre allo Statuto dei Lavoratori e alla legge sul divorzio, varati entrambi nel 1970, il 18 febbraio 1971 vi fu l'approvazione dei nuovi Regolamenti parlamentari, di cui era stato uno dei principali promotori.
Nella primavera del 1978, durante ilsequestro Moro, Pertini, a differenza della maggioranza del Partito socialista che, a cominciare dal segretarioBettino Craxi, mise in campo proposte per una "soluzione umanitaria" per ottenere la liberazione delleader democristiano, fu un sostenitore intransigente della cosiddetta «linea della fermezza» nei confronti dei sequestratori di Moro, ovvero fu per il rifiuto totale di qualsiasi ipotesi di trattativa con leBrigate Rosse. SecondoAntonio Mennini eFrancesco Cossiga, nei giorni in cui circolarono lelettere di Aldo Moro, che avevano lo scopo di aprire una trattativa, Pertini avrebbe commentato dicendo: "si vede che Moro non ha mai fatto la resistenza".[196][197]
Le votazioni per l'elezione del settimopresidente della Repubblica iniziarono il 29 giugno 1978 a seguito delle dimissioni del presidente in carica, il democristianoGiovanni Leone, annunciate agli italiani il 15 giugno attraverso un messaggio televisivo.
Nei primi tre scrutini laDC optò per la candidatura diGuido Gonella e ilPCI votò in modo pressoché unanime il proprio candidato,Giorgio Amendola, mentre l'ala parlamentare socialista concentrò i propri voti suPietro Nenni. Fino al 13º scrutinio il PCI mantenne la candidatura di Amendola senza trovare consensi; a partire dal quarto scrutinio, democristiani, socialisti, socialdemocratici e repubblicani decisero di astenersi.[199]
Il 2 luglio il segretario delPSIBettino Craxi propose la candidatura ufficiale di Pertini per la più alta carica dello Stato,[200] in quanto:
«[...] figura eminente della democrazia repubblicana, la cui vita politica si è sempre identificata con lotte per la libertà e per la emancipazione sociale delle classi lavoratrici del Paese.»
Pertini, dal canto suo, non intendendo essere il candidato delle sole forze di sinistra, inviò una lettera a Craxi[200] con la quale sottolineava che la sua candidatura doveva essere intesa come
«[...] espressione di tutto l'arco costituzionale che rappresenta il Paese.»
La proposta del segretario socialista era chiara ed era rivolta in primo luogo alla DC, in quanto: «Dopo Leone, la DC deve passare la mano almeno per i sette anni di presidenza e noi poniamo la candidatura di un socialista al Quirinale».[200]I democristiani risposero di indicare un nome del partito di maggioranza relativa.
Solo dopo quindici scrutini andati a vuoto, di cui dodici con la maggioranza dei parlamentari che si astennero o votarono scheda bianca, la pressione dell'opinione pubblica spinse il segretario della DCBenigno Zaccagnini ad accettare la candidatura di Pertini.[200] Sul suo nome si accodarono anche gli altri partiti del cosiddetto "fronte costituzionale" (PCI-PSDI-PRI e PLI) e Pertini risultò eletto l'8 luglio 1978, al 16º scrutinio, con 832 voti su 995, corrispondenti all'82,3%, la più larga maggioranza dellastoria repubblicana.
Il giorno prima, venerdì 7 luglio, Pertini aveva acquistato un biglietto aereo per recarsi in Francia, dove si trovava la moglie, con la quale intendeva trascorrere il fine settimana in quanto riteneva che la questione dell'elezione presidenziale non lo riguardasse più.[200]
Sottolineò quindi la necessità di porre fine alle violenze delterrorismo ricordando, tra l'altro, la tragica scomparsa diAldo Moro.
Nel suo primo discorso da Presidente della Repubblica Pertini volle ricordare anche il valore del lavoro. "Bisogna sia assicurato il lavoro ad ogni cittadino. La disoccupazione - disse Pertini in quella occasione - è un male tremendo che porta anche alla disperazione. Questo, chi vi parla, può dire per personale esperienza acquisita quando in esilio ha dovuto fare l'operaio per vivere onestamente. La disoccupazione giovanile deve soprattutto preoccuparci, se non vogliamo che migliaia di giovani, privi di lavoro, diventino degli emarginati nella società, vadano alla deriva e, disperati, si facciano strumenti dei violenti o diventino succubi di corruttori senza scrupoli".
La sua elezione apparve subito un importante segno di cambiamento nella scena politica italiana, grazie al carisma e alla fiducia che esprimeva la sua figura di eroico combattente antifascista e padre fondatore della Repubblica, in un Paese ancora scosso dalla vicenda delsequestro Moro.
Incarichi di governo a esponenti non democristiani
Pertini fu il primo presidente della Repubblica a conferire l'incarico di formare il governo a una personalità non democristiana (l'unico governo post-fascista guidato da un non democristiano, ilgoverno Parri, era stato insediato ancora sotto la monarchia, dalluogotenente generale del regnoUmberto II di Savoia).
Nel 1979 diede l'incarico di formare il governo al segretario delPSIBettino Craxi; l'operazione non ebbe successo ma suscitò grande scalpore negli ambienti politicie preparò il terreno per il primo governo a guida non democristiana della Repubblica.
Nel 1983 diede nuovamente l'incarico di formare ilgoverno a Craxi, che stavolta vi riuscì. Il 4 agosto 1983 il primo governo a guida socialista si presentava al Quirinale per il giuramento. Per due anni, e per la prima volta nella storia d'Italia, furonosocialisti sia ilpresidente della Repubblica sia ilpresidente del Consiglio dei ministri.
Pertini ebbe tuttavia conCraxi rapporti altalenanti, dovuti essenzialmente alla diversa formazione e temperamento.Antonio Ghirelli, allora portavoce del Quirinale, riportò che Pertini, il giorno in cui doveva conferire a Craxi l'incarico di presidente del Consiglio, notò che il segretario socialista si era presentato al Colle indossando deijeans e gli intimò di ritornare con un abbigliamento più adeguato.[202]
Pertini spesso non condivise gli atteggiamenti craxiani, come nel caso del XLIII Congresso del PSI aVerona, il 15 maggio 1984, in cui Craxi venne rieletto segretario per acclamazione, anziché con la consueta votazione per alzata di delega. I rapporti tra i due politici comunque si mantennero sempre su un piano di cordialità e rispetto, nonostante le frequenti diversità di opinioni.
Con queste nomine i senatori a vita diventarono complessivamente sette. Secondo l'interpretazione di Pertini, infatti, l'art. 59 della Costituzione non intenderebbe limitare a cinque il numero di senatori a vita che possono sedere in Parlamento, ma permettere aogni presidente della Repubblica di nominarne fino a cinque. Tale scelta non fu contestata (forse per la qualità dei senatori a vita nominati o per la popolarità di cui Pertini godeva) e il suo successoreCossiga seguì la stessa interpretazione.[203]
Il 29 giugno 1985, pochi giorni prima della scadenza naturale del suo mandato, si dimise dalla carica per permettere l'immediato insediamento diFrancesco Cossiga, appena eletto suo successore; Cossiga gli subentrò comepresidente supplente ed entrò formalmente in carica dal 3 luglio dopo il giuramento.
Al termine del mandato presidenziale divenne, come previsto dalla Costituzione,senatore a vita di diritto, e si iscrisse al Gruppo del PSI alSenato.[204]
Come senatore a vita Pertini non svolse attività politica né votò la fiducia a un presidente del Consiglio da lui precedentemente incaricato. L'unico incarico ufficiale che intraprese dopo la presidenza della Repubblica fu la presidenza della Fondazione di Studi Storici "Filippo Turati", costituitasi aFirenze nel1985 con l'obiettivo di conservare il patrimonio documentario del socialismo italiano. Conserverà questo incarico fino alla sua morte. Nel 1995 la Fondazione Turati ha dato vita all'Associazione Nazionale "Sandro Pertini" al fine di conservare e valorizzare l'archivio e la biblioteca personale del Presidente.[205]
Durante e dopo il periodo presidenziale non rinnovò la tessera delPartito Socialista, al fine di presentarsi al di sopra delle parti, pur senza rinnegare il suo essere socialista; del resto, anche durante il mandato aveva difeso la bandiera del socialismo italiano, intervenendo con un commento autorizzato nella cosiddetta "lite delle comari" delgoverno Spadolini.
Indipendente dal ruolo istituzionale che aveva ricoperto e legato piuttosto a un senso di reciproca lealtà democratica appare invece l'episodio che lo vide, nel 1988, visitare la camera ardente del leader delMovimento Sociale ItalianoGiorgio Almirante.[206]
Il 23 marzo 1987 fu colto da un malore durante i funerali del generaleLicio Giorgieri, che era stato assassinato dalleBrigate Rosse, e fu ricoverato alPoliclinico Umberto I; in quella occasione ricevette anche la visita delpapa Giovanni Paolo II, al quale era legato da una storica amicizia,[207] ma il pontefice poté solo vederlo di sfuggita, poiché gli fu impedito dai medici, in quanto Pertini risultava sedato e non ancora fuori pericolo.[208]
Sandro Pertini si spense la sera del 24 febbraio 1990, all'età di 93 anni,[209] per una complicazione in seguito a una caduta di pochi giorni prima, nel suo appartamento privato di Roma, una mansarda affacciata sullaFontana di Trevi.[210][211] Per suo espresso desiderio, non vi furono esequie pubbliche e l'unico esponente delle istituzioni ammesso al suo capezzale fu il presidente della Repubblica in caricaFrancesco Cossiga. La salma fu cremata alcimitero di Prima Porta e le ceneri tumulate nella tomba di famiglia, presso il camposanto del suo paese natale,Stella San Giovanni.
Pertini, nonostante si fosse sempre dichiaratoateo, nel suo studio al Quirinale teneva sempre un crocifisso e sosteneva di ammirare la figura diGesù come uomo che sostenne le sue idee a costo della morte.[212] Nel 2007 il fotografo della Santa SedeArturo Mari avvalorò in un proprio libro la tesi secondo la quale Pertini avrebbe voluto convertirsi in punto di morte ed avrebbe chiamato a sé il papa, al quale sarebbe stato però impedito di incontrarlo per il rifiuto opposto dalla moglieCarla Voltolina.[213] L'ipotesi di una conversione di Pertini, come quella di un mancato incontro in punto di morte con Giovanni Paolo II, era già stata riferita nel 1990 dal quotidiano "Il Secolo XIX", andando subito incontro alla pronta smentita dalla vedova;[214] dinnanzi all'ulteriore divulgazione di tale teoria, la Fondazione Sandro Pertini ne ribadì l'infondatezza, smentendo sia il fatto che papa Wojtyla si fosse mai recato al capezzale dell'ex presidente negli ultimi momenti della sua vita (durante i quali, peraltro, Pertini non fu sicuramente mai ricoverato in ospedale), sia che Carla Voltolina si fosse mai opposta ai contatti tra di loro. Fu anche precisato come la circostanza della mancata visita del pontefice a Pertini degente in ospedale risalisse in realtà al già citato caso del 1987, dovuto unicamente a ragioni cliniche.[215]
Nel 1978, al momento dell'elezione come presidente della Repubblica, Sandro Pertini e la moglieCarla Voltolina non si trasferirono alPalazzo del Quirinale, bensì in un appartamento mansardato situato nell'ottocentescoPalazzo Castellani, ubicato al quarto piano del civico 86 di Piazza della Fontana di Trevi. L'immobile era proprietà del Comune di Roma e fu concesso alla coppia con un regolare contratto di locazione. All'epoca il sindaco di Roma eraGiulio Carlo Argan.[216][217]
L'appartamento in Piazza Fontana di Trevi, dove Pertini morì nel 1990 e dove la moglie Carla continuò a risiedere fino alla morte, sopraggiunta nel 2005, funse poi da sede dellaFondazione Pertini e non fu più affittato sino al 18 aprile 2011, quandoUmberto Voltolina, cognato di Pertini, restituì la casa aRoma Capitale.[218][219] Nel 2025 il Comune di Roma, dopo venti anni di abbandono e inutilizzo, ha deciso di aprire la casa al pubblico affidandone il restauro e la gestione all'ente Stati Generali del Patrimonio Italiano.[220][216][217]
Il suo modo di intervenire direttamente nella vita politica del Paese rappresentò una novità per il ruolo di presidente della Repubblica. Se fino ad allora era prevalsa una lettura strettamente "notarile" dei poteri presidenziali[221], con Pertini divenne indiscutibile che ai poteri formali del Quirinale si aggiungeva il cosiddetto "potere di esternazione": quello che in seguito divenne un archetipo della funzione di stimolo del Quirinale nei confronti della politica fu, per la prima volta, esercitato senza sostanziali ostacoli nella risoluzione della controversia parasindacale dei controllori di volo.[222] Indicativo della novità del suo intervento - che indusse il Governo ad avallare una soluzione negoziale elaborata al Quirinale - fu il fatto che la stampa e la dottrina giuridica cercarono di ricondurre la vicenda nell'ambito dei poteri presidenziali, con un'evidente giustificazionea posteriori, evidenziando il fatto che i controllori dei voli aerei erano a quel tempo personale militarizzato (era proprio questa una delle principali questioni), e affermando che Pertini era intervenuto in qualità di comandante delle forze armate, ruolo che gli spettava e spetta tuttora al capo dello Stato italiano ai sensi dell'articolo 87, 9º comma della Costituzione.[223]
Grazie all'indubbio prestigio di cui godeva, soprattutto tra i cittadini, fu in genere difficile per i vari esponenti politici non recepire, seppur spesso controvoglia, le sue incursioni. Questo modo di fare portò il sistema istituzionale a rassomigliare quasi a un'anomalarepubblica presidenziale.Antonio Ghirelli, all'epoca portavoce del Quirinale, coniò l'appellativo diRepubblica pertiniana: essa fu ripresa poi daimedia dell'epoca, che ne enfatizzarono l'approccio fuori degli schemi tradizionali[224] e la presenza ai principali eventi della vita nazionale, sia che fossero luttuosi[225], sia che fossero lieti, come avvenne con la sua partecipazione alla vittoria italiana alMondiale di calcio del 1982 aMadrid.[226]
«[...] Non vi può essere vera libertà senza giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà [...]
L'Italia, a mio avviso, deve essere nel mondo portatrice di pace: si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte, si colmino i granai, sorgente di vita per milioni di creature umane che lottano contro la fame. Il nostro popolo generoso si è sempre sentito fratello a tutti i popoli della Terra [...]»
(dal discorso di insediamento di Sandro Pertini a presidente della Repubblica del 9 luglio 1978.[201])
Il pensiero politico di Pertini può essere efficacemente espresso da alcune frasi tratte da una sua intervista:
«Per me libertà e giustizia sociale, che poi sono le mete del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile: non vi può essere vera libertà senza la giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà. Ecco, se a me socialista offrissero la realizzazione della riforma più radicale di carattere sociale, ma privandomi della libertà, io la rifiuterei, non la potrei accettare. [...] Ma la libertà senza giustizia sociale può essere anche una conquista vana. Si può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha un lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero. [...]»
( Sandro Pertini,Intervista (WMV), supertini.it, CESP - Centro Espositivo Sandro Pertini.URL consultato il 2 agosto 2008.[227])
La sua personalità era intrisa dei princìpi che avevano ispirato la democrazia parlamentare e repubblicana, nata dall'esperienza dellaResistenza partigiana, ed era solito sostenere il suo rispetto della fede politica altrui tanto quanto il suo fermo rifiuto del pensiero fascista e di qualsiasi ideologia e forma di governo che limiti la libertà di espressione:
«Il fascismo per me non può essere considerato una fede politica [...] il fascismo è l'antitesi di tutte le fedi politiche [...], perché opprime le fedi altrui.[228]»
«Con i fascisti non si discute. Con ogni mezzo li si combatte. Il fascismo non è fede politica, come per la resistenza li ho combattuti e li combatterò sempre.[229]»
Durante la sua presidenza della Repubblica, caratterizzata da importanti viaggi nei Paesi alleati,[230] egli avversò le dittature, dando luogo, tra l'altro, ad una furibonda polemica con l'ultimo generale golpistaargentino,Reynaldo Bignone. Questi - per tacitare le critiche internazionali contro le giunte militari responsabili dellaguerra sucia - nel maggio 1983 affermò sbrigativamente che idesaparecidos andavano considerati tutti morti. Pertini deplorò con veementi parole l'agghiacciante cinismo del presidente argentino e quando il generale Bignone inviò una nota di protesta allaFarnesina, replicò: «Non mi interessa che altri capi di Stato non abbiano sentito il dovere di protestare come ho protestato io. Peggio per loro. Ciascuno agisce secondo il suo intimo modo di sentire. Io ho protestato e protesto in nome dei diritti civili e umani e in difesa della memoria di inermi creature vittime di morte orrenda».[231] La circostanza fu ricordata daNorberto Bobbio come esempio della prevalenza in Pertini di una concezione etica in politica, testimoniata anche dalle seguenti parole: «La moralità dell'uomo politico consiste nell'esercitare il potere che gli è stato affidato al fine di perseguire il bene comune».[231]
Il 16 ottobre 1981, in un discorso da lui pronunciato allaFAO nella primaGiornata mondiale dell'alimentazione, affermò: «Ricchi e poveri siamo tutti legati allo stesso destino. La miseria degli altri potrebbe un giorno non lontano battere rabbiosa alla nostra porta. Esiste un legame di reciproca interdipendenza fra crescita del mondo industrializzato e sviluppo di quello emergente. Dobbiamo restituire ai popoli il senso dell'unità del pianeta».[231]
«Amici carissimi, non fate solo domande pertinenti, ma anche impertinenti: io mi chiamo Pertini...»
Durante la sua permanenza alQuirinale, Pertini seppe imprimere alla figura del presidente della Repubblica un carattere di riferimento unificante agli occhi del popolo italiano. La sua statura morale contribuì al riavvicinamento dei cittadini alle istituzioni, in un momento difficile e costellato di avvenimenti delittuosi come quello deglianni di piombo.
La sua costante e reattiva presenza nei momenti cruciali della vita pubblica italiana, nelle situazioni piacevoli come nei momenti difficili, è stata probabilmente uno dei motivi della sua grande popolarità. Spesso è stato definito come il "presidente più amato dagli italiani",[4][5][6] ricordato per l'amore verso l'Italia, per il suo carisma, per il suo modo di fare schietto e ironico, per l'onestà, per l'amore verso i bambini (a cui prestava molta attenzione durante le visite giornaliere delle scolaresche alQuirinale) e per aver inaugurato un nuovo modo di rapportarsi con i cittadini, con uno stile diretto e amichevole. Si ricorda la sua presenza ai tentativi di salvataggio del piccoloAlfredino Rampi, un bambino di sei anni diVermicino caduto in un pozzo e lì deceduto nel1981. La schiettezza e la pragmaticità di Pertini si riflessero anche nella sua azione politica e istituzionale, facendolo apparire come un presidente che puntava alla concretezza, rifiutando compromessi e imponendosi con il suo rigore morale.[232]
La presenza allo stadio per la finale dei Campionati mondiali di calcio del 1982
In seguito alterremoto in Irpinia del 23 novembre 1980, nell'invocare una repentina risposta dei soccorsi all'immane tragedia dei terremotati, lanciò l'appello «Fate presto», frase apparsa il giorno seguente a nove colonne sul quotidianoIl Mattino di Napoli. Dopo la sua visita in Irpinia, il 26 novembre, pochi giorni dopo la tragedia denunciò pubblicamente l'impotenza e l'inefficienza dello Stato nei soccorsi in un famoso discorso televisivo a reti unificate, in cui sottolineò la scarsità di provvedimenti legislativi in materia di protezione del territorio e di intervento in caso di calamità e denunciò quei settori dello Stato che avrebbero speculato sulle disgrazie come nel caso delterremoto del Belice.[233]
La denuncia del ruolo della criminalità organizzata
Una delle tante immagini gioviali del Presidente Pertini
Sandro Pertini rimase sempre legato alla sua terra d'origine, laLiguria. Nonostante i suoi impegni, specie nel periodo della presidenza della Camera, si recò spesso in visita non solo nei luoghi in cui era nato o aveva vissuto da giovane ma anche in altre città dellariviera ligure e dell'entroterra, spesso palesando il suo imbarazzo per il trambusto che la sua presenza comportava nei luoghi in cui sostava, con il vistoso e ingombrante seguito dei carabinieri di scorta. Una delle mete preferite eraCamogli, nellariviera di Levante.
Pertini assunse sempre un atteggiamento di totale intransigenza nei confronti della criminalità organizzata, denunciando «la nefasta attività contro l'umanità» dellemafie e raccomandando sempre di non associare indiscriminatamente i fenomeni criminosi diCosa nostra, dellacamorra e della'ndrangheta a tutto ciò che riguardava i luoghi in cui erano e sono presenti e le loro popolazioni. Nel discorso di fine anno del 1982 parlò espressamente del problema mafioso, ricordando le figure del politicoPio La Torre e del generale deiCarabinieriCarlo Alberto dalla Chiesa, entrambi assassinati dalla mafia siciliana nello stesso anno:
«Vi sono altri mali che tormentano il popolo italiano: la camorra e la mafia. Quello che sta succedendo in Sicilia veramente ci fa inorridire. Vi sono morti quasi ogni giorno. Bisogna stare attenti a quello che avviene in Sicilia e in Calabria e che avviene anche con la camorra a Napoli. Bisogna fare attenzione a non confondere il popolo siciliano, il popolo calabrese ed il popolo napoletano con la camorra o con la mafia. Sono una minoranza i mafiosi. E sono una minoranza anche i camorristi a Napoli.
Prova ne sia questo: quando è stato assassinato Pio La Torre, vi era tutta Palermo intorno al suo feretro. Quando è stato assassinato il generale Dalla Chiesa, con la sua dolce, soave compagna, che è stata più volte qui a trovarmi, proprio in questo studio, tutta Palermo si è stretta intorno ai due feretri per protestare. Quindi il popolo siciliano, il popolo calabrese ed il popolo napoletano sono contro la camorra e contro la mafia.[234]»
Nel 1983, su proposta del Governo, sciolse il consiglio comunale diLimbadi, inprovincia di Vibo Valentia, in quanto era risultato primo degli eletti il latitanteFrancesco Mancuso, capo dell'omonima famiglia mafiosa. Tornò poi sulle tematiche legate alla criminalità organizzata nel suo discorso di fine anno:
«Ci preoccupa quello che si verifica con la mafia in Sicilia, la camorra nel napoletano e la 'ndrangheta – non so mai pronunciare bene questa parola – in Calabria. Però io qui mi permetto di fare questa osservazione.
Il popolo siciliano non deve essere confuso con la mafia. Il popolo siciliano è un popolo forte, popolo che ben conosco, perché negli anni passati, quando ero propagandista del mio partito, ho girato in lungo e in largo la Sicilia. Li ho conosciuti nella prima guerra mondiale i giovani siciliani, con il loro coraggio e la loro fierezza. Il popolo siciliano è un popolo forte, generoso, intelligente. Il popolo siciliano è il figlio di almeno tre civiltà: la civiltà greca, la civiltà araba e la civiltà spagnola. È ricco di intelligenza questo popolo. Quindi non deve essere confuso con questa minoranza che è la mafia. È un bubbone che si è creato su un corpo sano. Ebbene, con il bisturi, polizia, forze dell'ordine, governo debbono sradicare questo bubbone e gettarlo via, perché il popolo siciliano possa vivere in pace. Così si dica della 'ndrangheta in Calabria. Io ho girato in lungo e largo la Calabria. Se vi è un popolo generoso, buono, pronto, desideroso di lavorare e di trarre dal suo lavoro il necessario per poter vivere dignitosamente, è il popolo calabrese. Così il popolo napoletano con la camorra. Anche qui sono una minoranza i camorristi. Parlano troppo di quello che è in carcere, capo-mafia. Quello si sente un eroe. I giornali ne parlano tutti i giorni ed è chiaro che entra il giornale in carcere e lui si sente un eroe, questo sciagurato. Ma il popolo napoletano non può essere confuso con la camorra.[235]»
Pertini introdusse il rito del "bacio alla bandiera" tricolore, che sarebbe divenuto usuale anche per i suoi successori. Non solo, ma in occasione delle sue visite ufficiali all'estero estese il rito del bacio anche alle bandiere dei Paesi ospiti.
Il 25 marzo 1982 il presidente degliStati UnitiRonald Reagan ricevette aWashington il presidente italiano e scrisse in uno dei suoi diari personali: «Oggi è arrivato Sandro Pertini. Ha 84 anni ed è un fantastico gentiluomo. Abbiamo avuto un ottimo colloquio. Ama molto gli Stati Uniti. C'è stato un momento commovente quando è passato davanti al marine che teneva la nostra bandiera. Si è fermato e l'ha baciata».[236]
Per un certo periodo Pertini diventò "il presidente dei funerali di Stato".
Nel gennaio 1979 il funerale diGuido Rossa, davanti a 250 000 persone, diventò l'occasione per un forte attacco alleBrigate Rosse.
Il momento forse più cupo fu il funerale dopo lastrage di Bologna del 2 agosto 1980.[237]
Pertini partecipò commosso anche ai funerali delpresidente egizianoAnwar al-Sadat, assassinato ad opera dellaJihād islamica, camminando in mezzo alla folla al seguito del feretro lungo tutto il percorso del corteo funebre e ricordandolo durante il discorso di fine anno nel 1981:
«Siamo preoccupati, noi abbiamo assistito ai funerali del Presidente Sadat assassinato dai fanatici. Stava operando per la pace nel suo Paese e fraIsraele e il Mondo Arabo. Ebbene noi abbiamo assistito a quei funerali; vi abbiamo assistito con un animo colmo di angoscia. Sono situazioni che riguardano tutti noi, non possono essere circoscritte al popolo e alle Nazioni in cui si svolgono, riguardano ognuno di noi, ogni uomo che ama la libertà e ogni uomo che ha a cuore la pace.[238]»
Nel maggio del 1980 partecipò in veste ufficiale ai funerali diJosip Broz Tito, presidente dellaRepubblica Socialista Federale di Jugoslavia, assieme a decine di altri capi di Stato; poco tempo dopo alcuni esponenti politici didestra sostennero che baciò labandiera che avvolgeva la bara del dittatore jugoslavo. Alcuni ambienti ritennero tale presunto gesto offensivo nei confronti della comunità giuliano-dalmata vittima deimassacri delle foibe e dell'esodo istriano[239][240]. In realtà si tratta di una 'bufala' politica, in quanto il Presidente si limitò ad appoggiare un braccio sopra la bara[241], come fecero anche molti altri capi di Stato o rappresentanti della politica internazionale[242].
Pertini fu particolarmente partecipe nella vicenda della scomparsa diEnrico Berlinguer. Trovandosi aPadova per ragioni di Stato, si recò in ospedale per constatare le condizioni del leader comunista. Poche ore dopo il decesso impose di trasportarne la salma sull'aereo presidenziale, dicendo: «Lo porto via come un amico fraterno, come un figlio, come un compagno di lotta». Durante le esequie inpiazza S. Giovanni il 13 giugno 1984,Nilde Iotti, dal palco delle autorità, ringraziò pubblicamente Pertini, scatenando un commovente applauso della folla partecipante (che, subito dopo, tributò fischi e contestazioni al presidente del ConsiglioBettino Craxi e agli esponenti di governo presenti[243]).
Targa commemorativa dedicata al presidente Pertini esposta sul muro della sua abitazione in Piazza di TreviSandro Pertini conpapa Giovanni Paolo II sull'Adamello
Prima della sua elezione nel 1978, Pertini dichiarò di aver evitato nelle precedenti votazioni per il Quirinale la candidatura al Colle («Non mi sarei proprio sentito a mio agio, lì al Quirinale! Infatti ogni volta che qualcuno tentava di farmi eleggere, io appoggiavo un altro candidato»).[47] La decisione di accettare l'incarico fu probabilmente dovuta alla particolare situazione politica creatasi dopo le accuse aLeone e le relative dimissioni.
Pertini fu tra i presidenti che scelsero di non abitare stabilmente nelPalazzo del Quirinale: mantenne la propria residenza nel suo appartamento romano, secondo lo stesso Pertini per espresso desiderio della moglie. Visse infatti per molti anni in una mansarda di 35 m² che si affaccia sullafontana di Trevi. Gli abitanti del quartiere lo incontravano spesso, quando ogni mattina l'auto di servizio andava a prenderlo per condurlo al Quirinale senza grandi apparati di sicurezza; per chi lo riconosceva e lo salutava, soprattutto i bambini, il Presidente aveva sempre un sorriso e un gesto di saluto.
Pertini non conseguì mai lapatente di guida e, escluse le occasioni ufficiali, era sempre la moglie ad accompagnarlo in auto, con l'utilitaria di famiglia. Tale vettura, unaFiat 500 D rossa del 1962, fu donata dalla moglie alComune di Torino ed è conservata nelMuseo nazionale dell'automobile.
Era solito trascorrere le sue vacanze estive aSelva di Val Gardena, alloggiando nella locale caserma deiCarabinieri per non disturbare la cittadinanza con ulteriori misure di sicurezza durante la sua permanenza. Nella vicinaVal di Fassa, nel comune diCampitello, è stato costruito nel 1986 il "Rifugio Sandro Pertini", nel nome dell'amicizia che legava il Presidente e il gestore del rifugio.
Tra i primi provvedimenti da capo dello Stato ci fu quello di concedere lagrazia, nonostante l'assenza di pentimento da parte dell'interessato e il parere contrario della Procura diTrieste,[244] all'ex-partigianoMario Toffanin detto "Giacca", condannato all'ergastolo nel 1954 come principale responsabile dell'eccidio di Porzûs, massacro in cui avevano perso la vita diciassette partigiani cattolici dellaBrigata Osoppo.[245]
Nel febbraio 1983, tra lo stupore generale, visitò in ospedale a Roma il giovanePaolo Di Nella, militante neofascista delFronte della Gioventù, in coma per essere stato colpito alla testa con una spranga da due giovani mentre affiggeva dei manifesti,[246] e che nei giorni successivi morì.[247]
Il giornalistaIndro Montanelli, in un articolo pubblicato sulCorriere della Sera del 27 ottobre 1963, scrisse: «Non è necessario essere socialisti per amare e stimare Pertini. Qualunque cosa egli dica o faccia, odora di pulizia, di lealtà e di sincerità.»[248] Lo stesso Montanelli, tuttavia, in seguito, rispondendo alla lettera di un lettore sul Corriere del 16 giugno 1997, scrisse un articolo fortemente critico sulla figura del defunto presidente, dal titolo "Pertini? Sono altri i grandi d'Italia".[249] Il giudizio espresso dal giornalista fu definito «molto riduttivo e quasi sprezzante» dall'allora ministroAntonio Maccanico, ex collaboratore di Pertini, in una lettera inviata al quotidiano e pubblicata tre giorni dopo.[250]
Altri giudizi molto critici su Pertini furono espressi dallo scrittore e giornalista di destraMarcello Veneziani[185].
Sandro Pertini con il commediografo e attoreEduardo De Filippo, da lui nominato senatore a vita
Nel film del 1974Mussolini ultimo atto diCarlo Lizzani, c'è un personaggio, doppiato daSergio Graziani, ispirato a Pertini. Lizzani in un suo libro ha scritto che l'allora presidente della Camera dei deputati, dopo aver visto il film in proiezione privata, in una lettera commentò bonariamente: «Durante quelle caldissime giornate mi fu rimproverata un'eccessiva intransigenza. Nel film, se c'è un personaggio "moscio", sono io!». Il film, che racconta gli ultimi giorni di Mussolini, si ispira alla ricostruzione che vuoleWalter Audisio, colonnello della 52ªBrigata Garibaldi, esecutore materiale dell'ordine del CLN di fucilare il duce. Lizzani nel suo libro riporta che Pertini nella lettera gli scrisse: «E poi non fu Audisio a eseguire la «sentenza»; ma questo non si deve dire oggi».[251][252]
Ci sarà un giorno (Il giovane Pertini) diFranco Rossi è un film del 1993 che racconta la vita di Pertini (interpretato daMaurizio Crozza) nel quinquennio 1925-1930. Prodotto dallaRAI, è stato trasmesso solo nel 2010 a causa dell'opposizione della moglie.[253]
La sua popolarità fece sì che diventasse spesso anche oggetto di attenzione da parte del mondo dello spettacolo: nel cabaret televisivo deglianni ottanta, vi sono stati almeno due noti imitatori di Sandro Pertini:Alfredo Papa eMassimo Lopez. Il primo doppiava il pupazzoSandrino che interloquiva conLino Toffolo nel varietà diCanale 5Risatissima. Il secondo imitava Pertini in prima persona, particolarmente neglisketch delTrio (Lopez,Marchesini,Solenghi) per l'edizione 1985-1986 diDomenica In.
Pertini è il presidente che il cantautore romanoAntonello Venditti cita nella canzoneSotto la pioggia, scritta nel 1982 e contenuta nell'omonimo album:
«... Il Presidente dietro i vetri un po' appannati fuma la pipa, il Presidente pensa solo agli operai, sotto la pioggia...»
Pertini è stato protagonista di una striscia afumetti (Pertini, oPertini Partigiano) disegnata daAndrea Pazienza e pubblicata su varie testate storiche dellasatira italiana, tra cuiIl Male,Cannibale,Frigidaire e successivamenteCuore. Le strisce e il materiale prodotto sono in seguito state pubblicate in volume da Primo Carnera Editore nel 1983 e daBaldini & Castoldi nel 1998. La striscia immergeva il Presidente negli anni dellaResistenza italiana alnazismo, dipingendolo come coraggioso e pragmatico guerrigliero, affiancato e intralciato dall'inetto aiutantePaz, l'autore stesso.
Pertini è protagonista – dal 2014 – di una piece teatrale dal titoloGli uomini per essere liberi. Sandro Pertini, il Presidente di Gianni Furlani.La piece - replicata oltre 70 volte, anche con la presenza del presidente della RepubblicaSergio Mattarella nell’estate del 2016 - è stata riconosciuta - con comunicazione DICA-0014928-P-11/07/2017 - "evento di interesse nazionale" dalla presidenza del Consiglio dei ministri nel giugno del 2017.[senza fonte][257]
Pertini, interpretato dall'attoreRolando Ravello, è uno dei personaggi del film del 2022C'era una volta il crimine, diretto daMassimiliano Bruno. Tale film contiene un anacronismo, in quanto egli è rappresentato come il capo di una brigata partigiana sugliAppennini nei giorni che precedono l'8 settembre 1943, nei quali invece si trovava a Roma.
La fuga di Filippo Turati, inTrent'anni di storia italiana, 1915-1945. Dall'antifascismo alla Resistenza, Torino, Einaudi, 1961.
Quei giorni della liberazione di Firenze. ...e la Martinella suonò..., a cura di G. Errera, Firenze, Le Monnier, 1983.ISBN 88-00-85598-9; Firenze, Pugliese, 2006.ISBN 88-86974-34-5.
Pertini racconta. Storia di un uomo e del suo mito, Milano, Garzanti, 1984.
La mia Repubblica, a cura di G. Spadolini, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 1990.
Scritti e discorsi di Sandro Pertini, 2 voll., a cura di S. Neri Serneri, A. Casali, G. Errera, Roma, Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per l'informazione e l'editoria, 1992.
Sandro Pertini, combattente per la libertà, a cura di S. Caretti e M. Degl'Innocenti, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 1996.
Sandro Pertini. Carteggio: 1924-1930, a cura di S. Caretti, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 2005.ISBN 88-88546-55-3.
Discorsi parlamentari 1945-1976, a cura di M. Arnofi, Roma-Bari, Laterza, 2006.ISBN 88-420-7871-9.
Sandro Pertini. Lettere dal carcere: 1931-1935, a cura di S. Caretti, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 2006.ISBN 88-89506-19-9.
Sandro Pertini. Dal confino alla Resistenza. Lettere 1935-1945, a cura di S. Caretti, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 2007.ISBN 978-88-89506-13-4.
Sandro Pertini. Dal delitto Matteotti alla Costituente. Scritti e discorsi, 1924-1946, a cura di S. Caretti, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 2008.ISBN 978-88-89506-63-9.
Sandro Pertini. Anni di guerra fredda. Scritti e discorsi: 1947-1949, a cura di S. Caretti, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 2010.ISBN 978-88-89506-91-2.
Sandro Pertini. La stagione del frontismo. Scritti e discorsi: 1949-1953, a cura di S. Caretti, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 2015.ISBN 978-88-6582-030-8.
Sandro Pertini. L'autunno del centrismo e l'alternativa socialista. Scritti e discorsi: 1953-1958, a cura di S. Caretti, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 2016.ISBN 978-88-6582-033-9.
Bibliografia degli scritti e discorsi di Sandro Pertini, 1924-2008, a cura di A. Gandolfo, Savona, Provincia, 2008.
Gli uomini per essere liberi, a cura di P. Pierri, Torino, ADD, 2012.ISBN 978-88-96873-47-2.
Gli Impertinenti, il viaggio di Sandro e Carla Pertini, per l'Italia di oggi, a cura di E. Cuccodoro, Maglie-Lecce, Edizioni Voilier, 2018.
Anima socialista. Nenni e Pertini in un carteggio inedito (1927-1979), a cura di A. Tedesco e di A. Giacone, Roma, Arcadia, 2020.ISBN 978-88-3210-416-5
«Animatore instancabile della lotta per la libertà d'Italia, dopo 15 anni trascorsi tra carcere e confino, l'8 settembre 1943 si poneva alla testa degli ardimentosi civili che a fianco con i soldati dell'esercito regolare contrastarono tenacemente l'ingresso alle truppe tedesche nella Capitale. Membro della giunta militare del C.L.N. centrale, creava una delle maggiori formazioni partigiane operanti sui piano nazionale. Arrestato e individuato quale capo dell'organizzazione militare clandestina, sottoposto a duri ed estenuanti interrogatori e a violenze fisiche con il suo fiero ed ostinato silenzio, riusciva a mantenere il segreto. Il 25 gennaio 1944 riacquistava la libertà con una fuga leggendaria dal carcere, riassumeva il suo posto di comando spostandosi continuamente in missione di estremo pericolo nelle regioni dell'Italia centrale, dove più infieriva la lotta alla quale partecipava personalmente. Nel maggio 1944 si recava in Lombardia per portarvi il suo contributo prezioso ed insostituibile di animatore e combattente, potenziando le Brigate che in ogni regione dell'Italia occupata, sotto la sua guida, divennero un formidabile strumento di lotta contro l'invasore. Di là, a fine luglio 1944, si portava inFirenze dove, alla testa dei partigiani locali, partecipava all'insurrezione vittoriosa. Rientrato in Roma liberata, chiedeva di essere inviato nell'Italia occupata e dalla Francia effettuava il passaggio del Monte Bianco. Nella Valle d'Aosta (Cogne), soggetta ad un feroce rastrellamento, si univa alle formazioni partigiane distinguendosi in combattimento. Raggiunta Milano, riprendeva il suo posto nei maggiori organi direttivi della resistenza. L'insurrezione del Nord lo aveva, quale membro del Comitato insurrezionale, tra i maggiori protagonisti nelle premesse organizzative e nell'urto militare decisivo. Uomo di tempra eccezionale, sempre presente in ogni parte d'Italia ove si impugnassero le armi contro l'invasore. La sua opera di combattente audacissimo della resistenza gli assegnava uno dei posti più alti e lo rende meritevole della gratitudine nazionale nella schiera dei protagonisti del secondo Risorgimento d'Italia.» — Roma, Firenze, Milano, 8 settembre 1943 - 25 aprile 1945.[258]
«Durante tre giorni di violentissime azioni offensive, senza concedersi sosta alcuna, animato da elevatissimo senso del dovere, con superlativa audacia e sprezzo del pericolo avanzava primo fra tutti verso le munite difese nemiche, vi trascinava i pochi suoi uomini e debellava una dietro l'altra le mitragliatrici avversarie numerosissime e protette in caverne. Contribuiva così efficacemente alla conquista di ben difesa posizione nemica catturando numerosi prigionieri e bottino importante. Bellissima figura di eroismo e di audacia.» — Descia - M. Cavallo - Jelenick, 21-22-23 agosto 1917[259]
Ebbe tale decorazione per aver guidato, nell'agosto del 1917 un assalto al monte Jelenik, durante labattaglia della Bainsizza. Tuttavia, dopo la guerra, tale decorazione fu occultata dal regime fascista a causa della sua militanza socialista.Pertini seppe del conferimento solo quando divenne presidente della Repubblica, dopo alcune ricerche dello staff dello Stato Maggiore. Alla proposta di consegna egli si rifiutò dicendo che se l'allora regime negò tale merito non riteneva giusto raccoglierlo ora vista la sua posizione di presidente della Repubblica. L'onorificenza gli fu comunque consegnata, terminato il suo mandato presidenziale, nel suo ufficio di senatore a vita, dall'allora presidente del Senato,Giovanni Spadolini.[17]
Monumento a Sandro Pertini diPietro Marchese, presso la casa natale
Il primo monumento dedicato a Sandro Pertini fu inaugurato poco dopo la sua morte, nel 1990 aMilano, in via Croce Rossa, opera dell'architettoAldo Rossi. Altri monumenti a Pertini si ricordano nei comuni diCampo nell'Elba,Foligno,Nereto eRimini.
A Stella, dove nacque e dove è sepolto, è stato collocato un suo busto davanti alla sede comunale e una statua a grandezza naturale presso la casa natale. Un modellino della statua è stato donato all'Ufficio di Presidenza della Commissione Europea per mantenere alto il ricordo del presidente.[264]
A Savona, città in cui studiò e lavorò, è invece presente una stele d'acciaio opera dello scultore Gianni Lucchesi posizionata nella piazza a lui dedicata, su cui sono intagliate frasi e parole che hanno segnato il suo pensiero.[265] Sempre a Savona è presente un museo che raccoglie un'ampia collezione di opere raccolte dal Presidente nel corso degli anni e che egli volle donare alla città.[266] Gli è anche dedicato il ponte che attraversa la darsena del porto cittadino.[267]
L'Associazione Nazionale Sandro Pertini tiene inoltre un dettagliato elenco, non esaustivo, delle numerose scuole, parchi, infrastrutture, centri culturali e politici, strade, piazze e manifestazioni varie, intitolate a Sandro Pertini in Italia.[269]
La "Fondazione Sandro Pertini" è stata costituita il 23 settembre 2002, aFirenze, su iniziativa della moglie del presidente,Carla Voltolina.
La firma dell'atto pubblico di costituzione è avvenuta in occasione di una cerimonia svoltasi nell'aula magna della facoltà diScienze Politiche "Cesare Alfieri" che aveva visto laurearsi, nel 1924, proprio Sandro Pertini.
La fondazione si pone come principale obiettivo quello di promuovere e divulgare studi sull'opera e il pensiero di Sandro Pertini; inoltre, si prefigge come scopo ulteriore, ma non secondario, quello di preservare il patrimonio dell'uomo politico costituito da cimeli, libri, archivio storico, fotografie, quadri e documenti vari da destinare alla pubblica fruizione, nonché quello di diffondere i valori per i quali Pertini si era battuto durante la sua esistenza.[270] Il Museo d'Arte "Sandro Pertini e Renata Cuneo" di Savona (con opere di artisti comeFiliberto Sbardella, suo compagno durante la Resistenza) ne è un valido esempio.
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^A partire dal suo mandato presidenziale, Pertini non rinnovò più la tessera del PSI, per la sua volontà di essere considerato il presidente di tutti gli italiani, pur continuando a testimoniare la propria accesa fede socialista. Dasenatore a vita si iscrisse comunque algruppo del PSI.
^abDichiarazione effettuata da Alberto Pertini (padre), assistito da 2 testi, riportata nell'atto n. 113 del Registro degli Atti di Nascita, anno 1896, del Comune di Stella (all'epoca in Provincia di Genova Circondario di Savona) verbalizzata dall'Uff. di Stato Civile Cesare B. nel settembre 1896; l'atto di nascita è conservato presso l'Archivio di Stato di Savona,cfr.Atto di nascita, suantenati.cultura.gov.it.URL consultato il 1º settembre 2022.
^L'atto di nascita curiosamente recita "nella casa posta in Piazza" non citando la denominazione della Piazza probabilmente a causa dell'assenza di una denominazione ufficiale.
^atto n.59 Registro atti nascita di Savona anno 1882.
^atto di nascita n.87, Registro atti di nascita del 4 ottobre 1898, Comune di Stella: conservato presso Arch. Stato di Savona.
^La Repubblica 8 giu 2018 - Super 8 "L'eredità avvelenata" p. 3 - G. Di Feo.
^ Giuliano Muzzioli,MODENA - Storia delle città italiane, Bari, Editori Laterza, 1993,ISBN88-420-4176-9. p. 209 di 405.
^Per la laureahonoris causa, riconosciutagli all'Università di Oxford sessant'anni dopo, v.Trahison des clercs. The Economist (London, England), sabato 2 febbraio 1985; pg. 24; Issue 7379.
^Archivio di Stato di Genova, Prefettura di Genova, Sala 21, Pacco n. 283, Elezioni Comunali del 1920; Comune di Stella, Atti dei Consigli Comunali del 1920-22.
^I delegati del Partito Socialista di Savona al congresso di Livorno furono Lorenzo Moizo, Mario Stiatti ed Antonio Gamalero. Cfr.Bandiera Rossa (11 dicembre 1920).
^La festa dei Combattenti a Stella San Giovanni. Il discorso dell’Onorevole Rossi e del Tenente Pertini inIl Cittadino (26 settembre 1921);Da Stella: L’inaugurazione della bandiera dei Combattenti inIl Corriere Ligure (1º ottobre 1921)
^Cfr. l'intervento di Sandro Pertini alla discussione nella seduta della I Commissione (Affari Interni) della Camera dei Deputati del 23 febbraio 1955 sulla proposta di legge "Provvidenze a favore dei perseguitati politici antifascisti o razziali e dei loro familiari superstiti", inResoconto stenografico della seduta (PDF), sulegislature.camera.it, pp. 404-405.URL consultato il 2 settembre 2022(archiviato dall'url originale il 26 marzo 2022).
^Raffaele Boianelli, Il giovane Pertini, un eroe italiano. Un'odissea senza fine 1925-1943, Lucca, Tralerighe libri, 2021, pag. 25.ISBN 978-88-3287-1876.
^Archivio Centrale dello Stato, CPC, b. 3881, fasc. 86802.
^CESP - Documenti Proposta di confino della Prefettura di Savona (25 novembre 1926) e ordinanza del 4/12/1926.
^Raffaele Boianelli, Il giovane Pertini, un eroe italiano. Un'odissea senza fine 1925-1943, Lucca, Tralerighe libri, 2021, pag. 31.ISBN 978-88-3287-1876.
^Vedi ancheIl riformismo di Filippo Turati, inIl tempo e la Storia del 25 maggio 2016 nel sito diRAI Storia
^Per la biografia si rimandano alle seguenti opere di Antonio Martino:Fuorusciti e confinati dopo l'espatrio clandestino di Filippo Turati nelle carte della R. Questura di Savona in Atti e Memorie della Società Savonese di Storia Patria, n.s., vol. XLIII, Savona 2007, pp. 453-516, ePertini e altri socialisti savonesi nelle carte della R. Questura, Gruppo editoriale L'espresso, Roma, 2009.
^Raffaele Boianelli, Il giovane Pertini, un eroe italiano. Un'odissea senza fine 1925-1943, Lucca, Tralerighe libri, 2021, pag. 32.ISBN 978-88-3287-1876.
^Cfr. Commissione di Milano, ordinanza del 15.12.1926 contro Carlo Rosselli (“Intensa attività antifascista; tra gli ideatori del giornale clandestino "Non mollare" uscito a Firenze nel 1925; favoreggiamento nell'espatrio di Turati e Pertini”). In: Adriano Dal Pont, Simonetta Carolini,L'Italia al confino 1926-1943. Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali dal novembre 1926 al luglio 1943, Milano 1983 (ANPPIA/La Pietra), vol. III, p. 238.
^Cfr. Antonio Martino,Fuorusciti e confinati dopo l'espatrio clandestino di Filippo Turati nelle carte della R. Questura di Savona in Atti e Memorie della Società Savonese di Storia Patria, n.s., vol. XLIII, Savona 2007, pp. 453-516.
^Raffaele Boianelli, Il giovane Pertini, un eroe italiano. Un'odissea senza fine 1925-1943, Lucca, Tralerighe libri, 2021, pp. 36-37.ISBN 978-88-3287-1876.
^Raffaele Boianelli, Il giovane Pertini, un eroe italiano. Un'odissea senza fine 1925-1943, Lucca, Tralerighe libri, 2021, pp. 42-46.ISBN 978-88-3287-1876.
^Saroldi si era recato aPisa per assistere a una partita di calcio tra la squadra locale e la Savonese. Cfr. la dichiarazione del Direttore del Centro Pertini di Firenze riportata nel documentarioI grandi dimenticati. Il carcere di Santo Stefano, regia di Matteo Bruno, trasmesso daRai Storia il 25.06.2019.
^Raffaele Boianelli, Il giovane Pertini, un eroe italiano. Un'odissea senza fine 1925-1943, Lucca, Tralerighe libri, 2021, pp. 51-53.ISBN 978-88-3287-1876.
^Al momento di ingresso in carcere, nella cella n.56, il secondino che lo accompagnava gli comunicò che la cella che gli era stata assegnata era quella dove era stato ristretto ilpatriotarisorgimentaleLuigi Settembrini, al che Pertini, come raccontò in seguito, andò tastando le pareti della cella per immedesimarsi nello spirito del grande letterato italiano che l'aveva abitata. Cfr. la dichiarazione del Direttore del Centro Pertini di Firenze riportata nel documentarioI grandi dimenticati. Il carcere di Santo Stefano, regia di Matteo Bruno, trasmesso daRai Storia il 25.06.2019.
^Cfr.Mario Oppedisano,La vita di Sandro Pertini nel sito web del "Centro Culturale Sandro Pertini" diGenova. Dopo un primo contingente di confinati non appartenenti ai partiti della sinistra, l'unico liberato daVentotene fu proprio Pertini, in quanto, al momento, era l'unicosocialista ivi ristretto (ad esempio,Pietro Nenni si trovava al confino nella vicinaisola di Ponza) e il provvedimento di scarcerazione delgoverno Badoglio non comprendeva comunisti e anarchici. Dapprima Pertini rifiutò di lasciare l'isola finché non fossero stati liberati tutti, poi su insistenza di molti compagni del comitato dei confinati che lo invitarono a recarsi aRoma per sollecitareBadoglio per far liberare anche gli altri, si decise a partire.
^Cfr. Telegramma dei confinati di Ventotene del 7 agosto 1943, in Sandro Pertini,Sei condanne, due evasioni, a cura di V. Faggi, Milano, Mondadori 1970, pp. 211-212, riportato nel sito web delCESP - Centro Espositivo Sandro Pertini
^Il giovane Pertini, un eroe italiano. Un'odissea senza fine 1925-1943, Lucca, Tralerighe libri, 2021, pp. 107-109.ISBN 978-88-3287-1876.
^Raffaele Boianelli, Il giovane Pertini, un eroe italiano. Un'odissea senza fine 1925-1943, Lucca, Tralerighe libri, 2021, pag. 110.ISBN 978-88-3287-1876.
^L'unica fonte che cita la partecipazione all'impresa di Luciano Ficca, fratello diMarcella Ficca e cognato diAlfredo Monaco, medico delcarcere di Regina Coeli, è la pagina del sito web storiaxxisecolo.it dedicata allacronologia della Resistenza romana. Dopo l'impresa diRegina Coeli Luciano Ficca venne catturato dalleSS e condotto nella famigerata prigione divia Tasso, dove, in un'occasione, venne interrogato direttamente dal capitanoErich Priebke, vice comandante del quartier generale dellaGestapo aRoma. Su tale interrogatorio e sul ruolo di Priebke in via Tasso, Ficca rese una deposizione testimoniale all'udienza del 23 maggio1997, nel corso del processo contro Priebke davanti alTribunale militare di Roma per l'eccidio delle Fosse Ardeatine, ricordando che Priebke durante l'interrogatorio lo aveva minacciato impugnando un nerbo di bue. Lasentenza di condanna di primo grado emessa il 22 luglio 1997 si basò anche sulla sua testimonianza.
^Ivan Tognarini,La resistenza all’occupazione tedesca della Toscana nel settembre 1943, in «Ricerche storiche» n. 24, gennaio-aprile 2003, p. 151
^A questo proposito si veda Ivan Tognarini,Là dove impera il ribellismo: resistenza e guerra partigiana dalla battaglia di Piombino (10 settembre 1943) alla liberazione di Livorno (19 luglio 1944), Voll. II, Esi, Firenze, 1988
^Si legga l’interrogatorio di Ducci riprodotto inLa battaglia di Piombino del 10 settembre 1943 e la concessione della Medaglia d’oro al valor militare, a cura di Ivan Tognarini, in «Ricerche storiche» n. 24, gennaio-aprile 2003, p. 235
^Cfr. Gabriele Mammarella,Bruno Buozzi 1881-1944. Una storia operaia di lotte, conquiste e sacrifici,2014, Ediesse, pp. 322-323.
^ACS, Tribunale speciale per la difesa dello Stato, b. 219, f. 1636, passim
^Al fine di estrarne le precise generalità con le quali erano stati registrati al momento dell'arresto i sette incarcerati, onde poterli riportare con precisione nei falsi moduli di scarcerazione.
^La lettera diGiorgio Amendola è riportata inLuigi Longo,I centri dirigenti del PCI nella Resistenza, 1973, Editori Riuniti, Roma, pp. 349-350.
^Cfr.Giorgio Amendola,Lettere a Milano. Ricordi e documenti 1939-1945, 1973, Editori Riuniti, Roma, p. 290
^Cfr.Franco Calamandrei,La vita indivisibile. Diario 1941-1947, 1984, Editori Riuniti, Roma, pp. 155-156 (22 marzo)
^Cfr.Carla Capponi,Con cuore di donna. Il Ventennio, la Resistenza a Roma, via Rasella: i ricordi di una protagonista, 2009, Il Saggiatore, Milano,ISBN 88-565-0124-4, pp. 226-227.
^L'intervista a Mario Fiorentini fu utilizzata come fonte in Robert Katz,Morte a Roma. La storia ancora sconosciuta del massacro delle Fosse ardeatine, 1968, Editori Riuniti, Roma, p. 40.
^Cfr.Gianni Bisiach,Pertini racconta. Gli anni 1915-1945, Milano, Mondadori, 1983, pp. 130-131. Il testo è la trascrizione di un filmato tratto dalla rubrica televisiva di Gianni BisiachTestimoni oculari, puntata 4 di 6 «La battaglia di Roma», trasmessa per la prima volta nel 1978 sulla Rete 2. Le interviste ivi contenute sono poi state inserite nel documentario «La battaglia di Roma» della serieGrandi battaglie, sempre a cura di Gianni Bisiach, andato in onda nel 1994 su Rai Uno.
^Carlo Galante Garrone,Via Rasella davanti ai giudici, in AA. VV.,Priebke e il massacro delle Ardeatine, supplemento a "L'Unità", agosto 1996.
^«L'atto di guerra, da chiunque attuato nell'interesse della propria Nazione, non è di per sé, e per il singolo, da considerarsi illecito, salvo che tale non sia espressamente qualificato da una norma di legge interna». La mancanza di comandanti e di uniformi militari manifesti è resa inevitabile dalle condizioni di clandestinità giustificate dal tipo di combattimento; dunque via Rasella fu un atto di guerra a danno di un nemico che occupava in stato guerra il territorio, ed è da escludersi «che la morte o il ferimento dei cittadini che si trovavano casualmente in quel luogo siano stati voluti, e che sia stato voluto il successivo eccidio delle Cave Ardeatine». Cfr. Tribunale civile di Roma, sentenza del 26 maggio-9 giugno 1950.
^Secondo la Corte, l'attentato «ebbe carattere obiettivo di fatto di guerra, essendosi verificato durante l'occupazione della città ed essendosi risolto in prevalente se non esclusivo danno delle forze armate germaniche. I competenti organi dello Stato non hanno ravvisato alcun carattere illecito nell'attentato di via Rasella, ma anzi hanno ritenuto gli autori degni del pubblico riconoscimento, che trae seco la concessione di decorazioni al valore; lo Stato ha completamente identificato le formazioni volontarie come propri organi, ha accettato gli atti di guerra da esse compiuti, ha assunto a suo carico e nei limiti consentiti dalle leggi le loro conseguenze. Non vi sono quindi rei da una parte, ma combattenti; non semplici vittime di una azione dannosa dall'altra, ma martiri caduti per la Patria». Cfr. Corte d'Appello civile di Roma, prima sezione, sentenza 5 maggio1954, citata in Zara Algardi,Processi ai fascisti, Vallecchi, Firenze, 1973, p. 104.
^Secondo il resoconto di Zara Algardi, la Corte ritenne provato «che la formula della "città aperta" era stata fittizia: i nazisti transitavano infatti per le vie della città con le loro colonne motorizzate e gli angloamericani la bombardarono più volte dal cielo. La dichiarazione che Roma eracittà aperta (...) non fu mai accettata dagli angloamericani. Né Roma fu mai rispettata comecittà aperta da parte della Germania, che disconosceva il legittimo governo italiano». La Corte affermò che ogni «attacco contro i tedeschi rispondeva agli incitamenti impartiti dal governo legittimo [...] e costituiva quindi un atto di guerra riferibile allo stesso governo». Cfr. Corte di Cassazione di Roma, Sezioni Unite, sentenza 11 maggio 1957, citata in Zara Algardi,Processi ai fascisti, Vallecchi, Firenze, 1973, p. 105. L'omissione segnalata dai puntini di sospensione è così nel testo di Algardi.
^Video-intervista nel sito web del Centro Espositivo "Sandro Pertini".
^Giorgio Amendola, Lettera a Milano, op. cit., p. 309, riportata in Gabriele Mammarella,Bruno Buozzi 1881-1944. Una storia operaia di lotte, conquiste e sacrifici,2014, Ediesse, p. 326.
^R. Crockatt,Cinquant'anni di Guerra fredda, pp. 67-70.
^ Luigi Borgomaneri,Due inverni, un'estate e la rossa primavera: le Brigate Garibaldi a Milano e provincia (1943-1945), Milano, Edizioni Franco Angeli, 1985. p. 296.
^A questa prospettiva restavano legati ormai soloLizzadri eCacciatore che poi furono indotti a ritirare il loro documento e a convergere sulla mozione Morandi-Basso.
^in una sala oggi occupata dallaGalleria nazionale d'arte antica. A testimonianza dell'evento storico venne affissa una targa commemorativa sulla facciata principale del palazzo.
^Cfr. Paolo Arvati,16 giugno, una tragedia operaia nella Resistenza inA sinistra
^Silvio Bertoldi,La guerra parallela, 8 settembre 1943 - 25 aprile 1945, Milano 1963, p. 213;Verbanus, N. 23, 2002, p. 127; P. Rauti, R. Sermonti,Storia del fascismo nel grande conflitto, p. 363, dove viene riportata la distinta che accompagnava il denaro che Basile stava trasportando: «franchi svizzeri: 10 biglietti da 1000 franchi; 200 da 50; 200 da 20; 200 da 5; 181 biglietti da 1000 franchi francesi; 1470 pezzi d'oro da 20 franchi. Il denaro qui contenuto qualora mi accadesse una disgrazia deve essere restituito alla segreteria particolare del duce»
^Carlo Chevallard,Diario 1942-1945. Cronache del tempo di guerra, Torino 2005, p. 512
^Romano Canosa,Storia dell'epurazione in Italia: le sanzioni contro il fascismo, 1943-1948, Milano 1999, p. 196.
^Mimmo Franzinelli,Le stragi nascoste: l'armadio della vergogna: impunità e rimozione dei crimini di guerra nazifascisti, 1943-2001, Mondadori, 2002,ISBN 978-88-04-50337-8, pp. 112 e 113.
^ Alessandro Frigerio,Budapest 1956. La macchina del fango. La stampa del PCI e la rivoluzione ungherese: un caso esemplare di disnformazione, Torino, Lindau, 2012, p. 117.
^PerVittorio Zincone,Il cappello, Il Tempo, 17 aprile 1957, la figura del Presidente di una Repubblica parlamentare dovrebbe risultare più vicina a quella del "confessore, che non del predicatore".
^Pertini, Outspoken Elder of Italian Politics. James Buxton. The Financial Times (London, England), mercoledì 22 febbraio 1984; pg. 3; Edition 29,253.
^Turin pays tribute to fire victims. The Times (London, England), Thursday, Feb 17, 1983; pg. 5; Issue 61459;Rumblings and roaring rivers. The Economist (London, England), sabato 15 ottobre 1983; pg. 68; Issue 7311.
^Italy's Cup heroes fêted. The Times (London, England), Tuesday, Oct 26, 1982; pg. 23; Issue 61372.
^Rupert Cornwell.Pertini Visit Will Boost Italian-U. S. Relations. The Financial Times (London, England), mercoledì 24 marzo 1982; pg. 2; Edition 28,732; Peter Nichols.The man who kissed Mrs Thatcher. The Times (London, England), Wednesday, Feb 22, 1984; pg. 7; Issue 61764.
^abcCfr. l'orazione diNorberto Bobbio pronunciata durante i festeggiamenti a Sandro Pertini organizzati alla Camera (in occasione del quarantesimo anniversario dell’avvento della Repubblica) dai parlamentari socialisti, con la partecipazione diBettino Craxi, allora Presidente del Consiglio, e diAmintore Fanfani, allora nuovamente Presidente del Senato. Le parole di Bobbio sono riportate inFabio Fabbri,Quando rientrò dal Quirinale Pertini si iscrisse al Gruppo del Psi inAvanti! online del 31-08-2015Archiviato il 3 settembre 2015 inInternet Archive.
^Gennaro Acquaviva, che era presente, ha ricordato che Craxi: «La prese male. "Non lo accetto", sbottò. "In mezzo a loro ci sono tanti nostri compagni e io considero questa gente la mia gente!". Cfr.Marcello Sorgi,PCI-PSI, c'eravamo tanto odiati,La Stampa del 17 novembre 2010
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Franco Bandini,Le ultime 95 ore di Mussolini, Milano, Mondadori, 1968.
Gianni Bisiach,Pertini racconta gli anni 1915-1945, Milano, Mondadori, 1983.
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