| Referendum abrogativo in Italia del 1985 | |||||||||||
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| Stato | |||||||||||
| Data | 9 e 10 giugno 1985 | ||||||||||
| Tipo | abrogativo | ||||||||||
| Esito | |||||||||||
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| Quorum | |||||||||||
| Affluenza | 77,85% | ||||||||||
Ilreferendum abrogativo in Italia del 1985 si tenne il 9 e 10 giugno ed ebbe ad oggetto la disciplina normativa che, nel corso del1984, aveva disposto il taglio dellascala mobile, segnatamente il taglio di 3punti di contingenza.
Il 14 febbraio 1984 il governo presieduto daBettino Craxi varò un decreto per il contenimento dell'inflazione nell'anno 1984 che, tra l'altro, congelava 3 punti della scala mobile (il cosiddetto "decreto di San Valentino"). Il provvedimento, in termini economici, rallentava il processo di adeguamento degli stipendi e dei salari dei lavoratori dipendenti all'aumento del costo della vita. Questo taglio era correlato all'introduzione di agevolazioni fiscali, blocco dell'aumento dell'equo canone, blocco delle tariffe pubbliche e varo di norme di maggior severità contro chi evadeva le tasse[1].
Dopo loshock petrolifero del 1973 che aveva portato ad anni di stagnazione e alta inflazione, nel 1979 arrivò unanuova crisi petrolifera che fece ritornare l'inflazione stessa in buona parte dell'occidente al 15-20%.
Negli anni immediatamente successivi si fecero già alcune riforme volte a contenere il fenomeno inflattivo, tra le quali la più importante fu l'accordo Scotti del gennaio 1983, con il quale le parti si impegnavano a ridurre l'inflazione al 10% già per il 1984. Al febbraio 1984, momento del varo deldecreto di San Valentino, l'inflazione era già scesa al 12,5% (rispetto a oltre il 20% del 1980).[2]
Prima di varare il decreto, Craxi aveva avuto l'assenso alle proposte di contenimento dell'inflazione avanzate dal suo governo da parte delle associazioni di categoria degli imprenditori e dellaCISL e dellaUIL, mentre laCGIL, su pressione della componente comunista maggioritaria, decise di ritirarsi dalle trattative proprio alla vigilia della sua definizione. Il 24 marzo arrivarono a Roma una trentina di treni speciali, con centinaia di migliaia di manifestanti mobilitati dalPCI. SuccessivamenteDemocrazia Proletaria e il PCI iniziarono a raccogliere le firme per un referendum abrogativo, che si tenne il 9 e il 10 giugno 1985[1].
Durante la campagna referendaria ilpentapartito – con l'appoggio di CISL e UIL, ma anche della componente socialista minoritaria della CGIL e degli ambienticonfindustriali – fronteggiò il PCI, Democrazia Proletaria, ilMovimento Sociale Italiano, ilPartito Sardo d'Azione e la componente comunista della CGIL[1].
Quesito: «Volete voi l'abrogazione dell'articolo unico della legge 12 giugno 1984, n. 219 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 163 del 14 giugno 1984), che ha convertito in legge il decreto-legge 17 aprile 1984, n. 70 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 107 del 17 aprile 1984), concernente misure urgenti in materia di tariffe, di prezzi amministrati e di indennità di contingenza, limitatamente al primo comma, nella parte che ha convertito in legge senza modificazioni l'art. 3 del decreto-legge suddetto, articolo che reca il seguente testo:"Per il semestre febbraio-luglio 1984, i punti di variazione della misura della indennità di contingenza e di indennità analoghe, per i lavoratori privati, e della indennità integrativa speciale di cui all'art. 3 del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17, convertito, con modificazioni, nella legge 25 marzo 1983, n. 79, per i dipendenti pubblici, restano determinati in due dal 1º febbraio e non possono essere determinati in più di due dal 1º maggio 1984"; nonché al penultimo comma, limitatamente a quelli di cui all'art. 3 di quest'ultimo decreto-legge, che reca il seguente testo: "Restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono salvi gli effetti prodotti ed i rapporti giuridici sorti sulla base del decreto-legge 15 febbraio 1984, n. 10" (pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 47 del 16 febbraio 1984)?».
Le ragioni della lotta di classe e della difesa dell'interesse economico dei lavoratori lasciavano prevedere che la maggioranza degli italiani si sarebbe schierata per il «sì», il che, secondo calcoli diConfindustria, avrebbe determinato un aggravio di spesa di 7.500 miliardi l'anno, e un aumento dell'1,2% del costo del lavoro.
Gli elettori, che in quel momento credevano in Craxi, nel suo Governo, e nella sua volontà di rimettere a posto le finanze dello Stato, scelsero invece di mantenere il provvedimento e il 54,32% votò «no». Il successo del «no» fu in gran parte dovuto all'impegno diretto nella campagna elettorale referendaria del Presidente del ConsiglioBettino Craxi, che attribuì al «sì» effetti traumatici sulla vita del Paese e dell'esecutivo[3], e al dinamismo del segretario della CISLPierre Carniti[1].
La decisione ostinata di intraprendere la via del referendum abrogativo sulla scala mobileè vista da alcuni storici[senza fonte] come un grave errore politico del PCI e del suo allora segretarioAlessandro Natta, risultando quindi come segnale evidente della crisi del PCI, costretto all'isolamento dopo la rottura con isocialisti diCraxi, che riteneva icomunistimassimalisti ancora legati alle vecchie concezionimarxiste-leniniste[4].
Scelta | Voti | % | ||||||
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| 15 460 855 | 45,68 | |||||||
| 18 384 788 | 54,32 | |||||||
Totale | 33 845 643 | 100 | ||||||
Schede bianche | 476 829 | 1,36 | ||||||
Schede nulle | 636 932 | 1,82 | ||||||
Votanti | 34 959 404 | 77,85 | ||||||
Elettori | 44 904 290 | |||||||
Esito: Quorum raggiunto | ||||||||