Si impegnò nella diffusione del cristianesimo tra i sudditi e fu fondatrice di chiese e monasteri e in uno di questi si ritirò. Viene anche venerata comesanta dallaChiesa cattolica, che la commemora il 13 agosto.
Quando i re franchiTeodorico I eClotario I conquistarono laTuringia (531), Radegonda fu presa in ostaggio da Clotario e condotta inNeustria con gli altri prigionieri. IlvescovoGregorio di Tours la cita come l'orfana del re Bertario[1] ed in un altro passaggio scrive che Radegonda fece parte del bottino che Clotario si portò via e che in un secondo tempo sposò[1].Crebbe alla corte diSoissons e quando Clotario, vista la sua bellezza, decise di farne sua moglie, fu mandata adAthies per ricevere un'educazione adatta ad una regina.
Radegonda dovette piegarsi alla volontà del re e, non molto tempo dopo, riluttante, sposòClotario I. Radegonda era la seconda moglie di Clotario[1]. Il matrimonio, per l'indole brutale e i continui tradimenti del marito, fu estremamente infelice. Fallì definitivamente quando Clotario fece uccidere l'amato fratello di sua moglie, Clotacario, l'unico parente rimastole. Radegonda decise di abbandonare il marito (al quale non aveva dato eredi) e di prendere i voti.
Le cronache narrano che Clotario, appena ebbe accettata la vocazione della regina, se ne sia pentito ed abbia inviato alcuni soldati a Saix per riportarla a corte. Allorché i soldati si avvicinarono aSaix, Radegonda fuggì verso sud attraverso un campo ove alcuni contadini stavano seminando l'avena. Miracolosamente questa crebbe fino a nascondere la fuggitiva ed i contadini poterono affermare ai soldati che si rivolsero a loro di non aver visto alcuno nel campo da quando questo era stato seminato. Da allora in poi Clotario non la perseguì più e le lasciò proseguire il suo percorso di fede. Radegonda fu ripudiata da Clotario[1].
Ricevette il velo didiaconessa aNoyon dasan Medardo e fece il suo ingresso nel monastero diTours (quello dov'era entrata anche sua suoceraClotilde); si trasferì poi in quello di Saix, dove si dedicò all'assistenza deilebbrosi; alla fine, Clotario I fece costruire per lei il monastero diNotre-Dame aPoitiers, che divenne poi dellaSainte-Croix quando, nel569, Radegonda ottenne in dono dalbasileusGiustino II un frammento della veracroce. Diede a questa nuova abbazia la regola diCesario di Arles, ma rifiutò di diventarne badessa, affidando la carica ad Agnese di Poitiers.
Il monastero divenne presto famoso sia per la presenza di Radegonda che per quella diVenanzio Fortunato[2], che, divenuto consigliere di Radegonda, le dedicò poesie, ne diresse i progressi spirituali e ne scrisse la biografia. Una seconda agiografia a lei dedicata è a firma di un'altra monaca dellacongregatio di Radegonda,Baudonivia, e risale agli anni fra la fine del VI e l'inizio del VII secolo.[3]
La santa fu sempre circondata dalla venerazione dei fedeli.
Radegonda, che aveva fatto testamento tra il584 ed il587[1], morì il 13 agosto587, come testimoniaGregorio di Tours[1] che intervenne ai suoi funerali e le dedicò una pagina della suaHistoria Francorum. La regina fu tumulata nell'Abbazia diSainte-Croix a Poitiers[1].
Radegonda fu canonizzata[1] nel corso delIX secolo.
Nel maggio 1561 un gruppo di protestanti incendiò la cappella dove era sepolta Radegonda; i fedeli ne salvarono pochi resti carbonizzati e li custodirono in una cassetta, oggi deposta nella chiesa diPoitiers a lei intitolata.
Christian Pfister,La Gallia sotto i Franchi merovingi, vicende storiche, in Henry Melvill Gwatkin (a cura di),La fine del mondo antico, collanaCambridge University Press - Storia del mondo medievale, vol. 1, Milano,Garzanti, 1999, pp. 688–711,SBNTO00942117.
Christian Pfister,La Gallia sotto i Franchi merovingi, vicende storiche, in Henry Melvill Gwatkin (a cura di),La fine del mondo antico, collanaCambridge University Press - Storia del mondo medievale, vol. 1, Milano, Garzanti, 1999, pp. 712–742,SBNTO00942117.
Franca Ela Consolino,Due agiografi per una regina: Radegonda di Turingia fra Fortunato e Baudonivia, inStudi Storici, anno 29, n. 1, gennaio-marzo 1988, pp. 143–159.