Il vagone di terza classe, olio su tela diHonoré Daumier (1862).
Ilproletariato e iproletari (dallatinoproletarii,capite censi[1] oadcensi) sono termini variamente definiti a seconda degli approcci socio-economici e a seconda delle epoche storiche di riferimento: in senso lato designano il gruppo o la classe di reddito che si colloca più in basso nellascala sociale.
In senso generale e partendo dalla definizione originale che li identifica come coloro che possiedono come ricchezza unicamente i loro figli (prole), costituiscono, dal punto di vista reddituale, uno strato sociale svantaggiato della popolazione. Secondo la teoriamarxista proletario è sinonimo di salariato e i proletari costituiscono laclasse sociale il cui ruolo, nel sistema di produzionecapitalistico, è quello di prestare la propriaforza lavoro dietro il compenso delsalario e quindi lavoratori dipendenti, privi della proprietà e del controllo dei mezzi di produzione e possessori di una sola merce da vendere, ossia la loro forza-lavoro[2].
Il termineproletarii venne usato già nell'antica Roma regia e repubblicana e viene con alterne vicende traslato fino all'oggi. Proletariato ricorre negli scritti del giurista ingleseThomas Smith del XVI secolo,[3] a indicare la classe sociale economicamente più bassa tra le quattro individuate e successivamente lo si legge inBernard de Mandeville,Montesquieu,Rousseau, nelDictionnaire des travaux (Jacques Binet Tarbé de Vauxclairs) e nell'Encyclopédie diDiderot. Ricompare sempre più frequentemente dopo larivoluzione francese del 1789 in contesti socialisti, inSaint-Simon,Blanqui, e inde Lamennais eBlanc, prima di essere interpretato nel senso strettamente marxista di classe circa dalla metà del XIX secolo.
Lo stesso significato di origine marxista muterà nel corso del XX secolo, riveduto da una parte dall'approccioleninista dove il proletariato è organicamente incapace di diventare una "classe per se stessa" se non mediante l'azione delpartito guidato dagli intellettuali, dall'altra dal cosiddettorevisionismo diEduard Bernstein, prodromo dellasocialdemocrazia.Infine, a fine secolo, assumerà contorni ancora più sfumati, da una parte per l'evoluzione della società e le nuove interpretazioni della stessa in chiave marxista come inBraverman, nell'assimilare direttamente gli strati impiegatizi salariati nel proletariato,[4] dall'altra per l'uso differente e non marxista come inArnold J. Toynbee[5] per indicare gli esclusi e non partecipi, presenti in ogni tempo e società e in risentita opposizione alla frazione dominante.
La riforma diServio Tullio, operata nel corso delVI secolo a.C., era volta a effettuare una divisione interna allacittadinanza romana tra coloro che potevano prestare il servizio militare (obbligati ad armarsi a proprie spese e perciò chiamatiadsidui[6]) e suddivisi a sua volta in cinque sotto classi sulla base delcenso,[1] e i cosiddettiproletarii ocapite censi.[7][8][9] Questi ultimi erano coloro che possedevano meno di 11.000assi, organizzati in una sola centuria, dettaimmunis militia, dispensata dall'assolvere agli obblighi militari, tranne nel caso in cui vi fossero particolari pericoli per la città di Roma. In quest'ultimo caso erano anch'essi armati a spese dello Stato, servendo in formazioni speciali estranee all'ordinamentolegionario.[10] Il significatolatino del termineproletarius nasce da una condizione di povertà tale che non era possibile dare contributi allo stato, all'infuori dei loro stessi figli (proles).
Al termine dellaseconda guerra punica (218-202 a.C.) vi fu una nuova riduzione del censo minimo richiesto per passare dalla condizione diproletarii (ocapite censi) adadsidui, ovvero per prestare il servizio militare all'interno delle cinque sotto classi, come aveva stabilito nelVI secolo a.C., Servio Tullio. Si era, infatti, passati nel corso di tre secoli da un censo minimo di 11.000 assi[7] ai 4.000[11] (= 400 dracme argentee descritte daPolibio alla fine delIII secolo a.C.[12] fino ai 1.500 assi riportati daCicerone,[13] a testimonianza di una lenta e graduale proletarizzazione dell'esercito romano, alla continua ricerca di armati, in funzione delle nuove conquiste nel Mediterraneo.
Con larivoluzione industriale e l'affermazione delcapitalismo il numero di proletari si diffuse a macchia d'olio, soprattutto nei grandi centri industriali.
Il termine fu usato daKarl Marx per indicare quella categoria di persone che non possiedono i mezzi di produzione e che quindi non hanno altra ricchezza che la prole (i figli) poiché non posseggono mezzi di produzione ma sono costretti a vendere la loro forza lavoro (ovvero la capacità di lavorare e produrre posseduta da un uomo).
Benché lo studio della divisione in classi della società non risalga a Marx, ma aDavid Ricardo edAdam Smith, è Marx a riconoscere nel proletariato la "classe rivoluzionaria" che ha in sé le potenzialità di organizzazione di un nuovo modello sociale, non più basato sullaproprietà privata dei mezzi produttivi, ma sulla libera associazione dei produttori. Socializzando così la produzione, il ruolo del proletariato diviene quello di classe sociale che rovescia il sistema capitalistico, superandolo con un rapporto tra cose e persone privo del valore di scambio che determina l'esistenza dellemerci.
NellaCritica al Programma di Gotha, Marx definisce anche il concetto didittatura del proletariato, attribuendo a ciò il ruolo di fase dell'egemonia della maggioranza della classe degli sfruttati sulla classe degli sfruttatori. In questo senso la dittatura del proletariato altro non è che la condizione per l'emancipazione di le classi sociali da loro medesime.
La fine delclassismo mette termine, secondo Karl Marx, anche alle sovrastrutture politiche ed ideologiche sino a quel momento esistite. Lo stessoStato, inteso come "comitato di affari della borghesia" cessa di avere una funzione e si apre la via ad una società "dove il libero sviluppo di ognuno è condizione necessaria per il libero sviluppo di tutti" (dal "Manifesto del Partito Comunista", 1848).
Funzione essenziale del proletariato è, dunque, l'organizzazione politica propria, la presa di coscienza (quello che Karl Marx definisce come "classe per sé") e la conseguente spinta propulsiva verso l'emancipazione dal lavoro salariato e quindi dallaprofittualità volta ad un singolo privato e non alla soddisfazione dei bisogni sociali.
Il proletario presta la sua forza lavoro al capitalista e ottiene da questo solamente i mezzi necessari (in forma di salario) per poter riprendere la produzione il giorno seguente. Dallo sfruttamento della forza lavoro del proletariato il capitalista ottiene ilplusvalore delle merci e, di conseguenza, l'accumulazione profittuale.
L'invito di Marx ed Engels alla fine de "Il Manifesto del Partito Comunista" è quello di una unità totale dei lavoratori proletari per una rivoluzionecomunista che abbatta l'economia politicaborghese e che, quindi, metta fine alla mercificazione e alla considerazione fattuale dell'uomo stesso come merce che viene usata dal capitalista nel proprio centro produttivo: "Proletari di tutti i Paesi, unitevi!".
Marx separa il proletariato dalsottoproletariato in quanto quest'ultimo, pur essendo affine come condizioni sociali, non ha sviluppato una propria coscienza politica.
Max Weber usò la definizione "Proletariato moderno" in riferimento sia alle reazioni deiceti meno abbienti nei confronti dellereligioni, sia alla espropriazione deglioperai e deicontadini dai mezzi di produzione.
Un punto di vista comune lo manifestarono i sociologiGötz Briefs,Joseph Schumpeter,Robert Michels, intravedendo nella posizione di isolamento e di privazione una spinta propulsiva per una reazione sociale in funzione anticapitalista, mentreArnold Toynbee definì proletariato qualunque gruppo sociale posto in una condizione di emarginazione e marginalità.[15]