Corsi - Prefetti | |
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Stato | ![]() |
Titoli | Signori di Vico,Vetralla,Blera,Bracciano,Bolsena,Tarquinia,Orvieto, ecc. |
Data di fondazione | X secolo |
Data di estinzione | 1435 |
Etnia | italiana |
Manuale |
or contro il comune di Roma, che non cessavano gli uni e l’altro, per ragioni diverse,
di rivendicare a sé la signoria dell’antico ducato romano. E per sostenersi nella lotta ineguale,
i Di Vico usarono di accomunare la causa loro a quella dei nemici o della Chiesa o del Campidoglio;
quindi fautori di scismi, seguaci d’antipapi, ghibellini, nemici di ogni democrazia,
pronti sempre a trar vantaggio dal disordine, che spesso a ragion veduta provocavano…
(Carlo Calisse)»
IPrefetti di Vico furono una famiglia presente a Roma sin dal X secolo[1] e che, stabilitasi nei territori delPatrimonio di San Pietro, governò la Tuscia, con vicende alterne, fino al 1435.
Alla luce degli studi storiografici effettuati dalla fine del secolo XIX è da ritenersi priva di fondamento storico la presunta discendenza di questa famiglia da quella dei Castelli di Terni.[2]
Ottennero dall'Imperatore il titolo di"Praefecti urbis", che i membri di questa famiglia si trasmisero ereditariamente di padre in figlio, e con tale titolo assunsero il possesso dei beni annessi all'ufficio della prefettura[3] posti in larga parte a nord di Roma nella cosiddettaTuscia romana, avendo il governo di numerosi centri comeCaprarola,Ronciglione,Capranica,Bracciano,Blera e diversi altri che alla loro sconfitta, nel XV secolo vennero in possesso deiFarnese, degliAnguillara e degliOrsini.La famiglia è una branca della famiglia romana dei Corsi, discendente da un PietroLatrone Corsorum vissuto nel secolo XII che acquisì la carica di Prefetto della città e che trasmise ai suoi discendenti conservando il nome dinastico di Pietro, e che successivamente, solo dal secolo XIII, ottennero in feudo la citata località di Vico, assumendolo come cognome, ed altre come Civita Castellana, non lontane da Civitavecchia e Montalto, località controllate dal ramo dei Corsi che dimorava nei pressi del Campidoglio[4]
Mentre il cognome Prefetti deriva dalla carica, il predicato "di Vico" è dovuta al nome della scomparsa località delVicus Cimini[5] nota sin dall'alto medioevo posta probabilmente sul versante orientale del Monte Fogliano[1]. Ilcastrum dei Prefetti di Vico si trovava sopra la chiesetta di Santa Lucia, oltre il fosso della Femmina Morta, presso il versante sud-orientale del lago,[6] presso il lago omonimo, bacino lacustre a nord di Roma in provincia di Viterbo, dove la famiglia pose il centro fortificato della sua signoria sin dal X secolo.
La famiglia risulta strettamente imparentata con l'altra famigliatrasteverina dei Romani facenti parte del vasto gruppo parentale deiPapareschi[7].In Roma era attestato il loro quartier generale munito ditorri presso l'isola Tiberina e ilponte Quattro Capi altrimenti detto degli Ebrei[8]. Altre abitazioni della famiglia erano inViterbo, dove vennero sepolti diversi suoi membri nella chiesa di Santa Maria in Gradi.
Nel 1138 un altro Pietro si schierò conFederico Barbarossa e l'Antipapa Vittore IV contro papaInnocenzo II (1130-1143); ma, essendo passato sull'altro fronte, ottenne in cambio molti possedimenti e privilegi, tra cui la conferma del titolo di Prefetto, ribaditi anche al figlio Giovanni I da papaAlessandro III (1159-1181).
A partire dal 1198 l'importanza della carica di prefetto diminuì per l'istituzione da parte dipapa Innocenzo III di quella digovernatore di Roma.
Per aver appoggiato papaAlessandro IV (1254-1261), circa alla metà del XIII secolo, Pietro III diventò signore diCivitavecchia[9]; questi possedimenti vennero confermati al figlio Pietro IV da papaClemente IV (1265-1268)[9]
Nel XIV secolo la famiglia tornò a parteggiare per l'impero. A Viterbo si succedevano continue lotte intestine tra i ghibellini Tignosi, appoggiati dai Di Vico, e i guelfi Gatti[10]. Nel 1329 Faziolo Di Vico, figlio di Manfredo Di Vico, fu nominato Signore di Viterbo al posto di Silvestro de' Gatti, deposto dall'imperatoreLudovico IV. Il governo della città rimase saldamente nelle mani dei Di Vico anche dopo la morte di Faziolo, avvenuta nel 1338. Gli succedette il fratelloGiovanni V di Vico, il più illustre e spregiudicato della famiglia. Questi, approfittando della cattività avignonese, divenne Signore di Orvieto e del suo distretto, a cui presto aggiunseTuscania eTarquinia[11]; tuttavia proprio a causa della sua grande potenza raggiunta nel cuore delloStato pontificio, fu uno dei principali obiettivi della spedizione diEgidio di Albornoz.
Nel 1354 Giovanni Di Vico venne deposto. Si infranse così il suo progetto di creare uno stato autonomo all'interno del Patrimonio di San Pietro.
Dopo qualche tempo, quando papaUrbano V fece ritorno adAvignone, Viterbo tornò nuovamente sotto i Prefetti: Francesco di Vico, infatti, riuscì a farsi proclamare "Signore". Dopo la sua elezione fece abbattere la Rocca, simbolo del potere pontificio, ed incendiare lo Statuto comunale del 1251, emblema dei diritti dei cittadini viterbesi. Francesco fu ucciso l'8 maggio 1387 durante una sommossa popolare fomentata dal cardinaleTommaso Orsini. Viterbo fu retta per un breve periodo da Giovanni VI, padre di Francesco, fino a quando non venne ucciso in un complotto nel 1392.
Nel 1395 la città ed i suoi territori passarono nuovamente sotto il governo pontificio, ma la famiglia dei fu nuovamente protagonista delle lotte intestine che dilaniarono Viterbo e la Tuscia, fino a quando un altro "cardinale di ferro",Giovanni Maria Vitelleschi, con l'aiuto diEverso degli Anguillara, catturò nel castello diSoriano e fece decapitare, nell'agosto del 1435, Giacomo, l'ultimo prefetto della famiglia, che si era alleato con iColonna contro papaEugenio IV (1431-1447). Con lui si estinse il ramo principale della famiglia[9].
Il loro stemma ancora presente in alcuni edifici che appartennero alla famiglia, di fervente parte ghibellina, era l'aquila imperiale[12] come descritto nel monumento funebre di Briobris di Vico opera di Paolo da Gualdo Cattaneo[13] presso la chiesa di San Francesco diVetralla: un'aquila al volo abbassato, accompagnata da sette torte poste due ai cantoni del capo, due accanto alla testa, e tre in punta.