Simbolo internazionale della popolazione romaní dal1971
Ipopoli romaní sono un insieme dipopolazioni accomunate dall'uso (presente o passato) dellalingua romaní. Originariamentefuoricasta dell'India settentrionale,[1] i popoli romaní si stabilirono inEuropa nel corso delMedioevo e si sono diffusi in tempi più recenti anche in altricontinenti (America). Le popolazioni romaní sono in massima parte stanziali e hanno generalmente lecittadinanze degli stati di rispettiva residenza. Tra i principaligruppi romaní in Italia vi sono irom e isinti. La disciplina che si occupa di studiare la storia, lingua e cultura dei popoli romaní (da non confondersi con iromeni) è laromanologia.
Nell'uso corrente, initaliano, si fa riferimento ai popoli romaní con termini quali "zingari" (o "zingani" o "zigani") e "gitani". Tali termini tuttavia sono percepiti da gran parte delle persone romaní come dispregiativi e offensivi,[2] oltre che essere, in generale, negativamente connotati.[3]
Rom sta ad indicare un determinato popolo romaní, ed è il termine con il quale molti non-romaní oggi usano indicare (in maniera inesatta) tutti i gruppi romaní. I documenti delConsiglio d'Europa e dell'Unione europea utilizzano il termine pluraleRoma come termine generico per indicare tutti i popoli romaní nel loro insieme.
Spesso, per indicare i popoli romaní, vengono usati anche altri termini: ad esempio, initaliano "zingari" (o "zingani" o "zigani") e "gitani"; ininglesegypsies etravellers ("viandanti"); infrancesegens du voyage ("viaggiatori"),tsiganes,gitans emanouches; inspagnolo e incatalanogitanos; intedescoZigeuner; inungheresecigány; inpolaccocyganie, ecc. Tali termini, usati per indicare le popolazioni romaní da parte di chi non ne fa parte (esonimi), sono percepiti da gran parte delle persone romaní come dispregiative e offensive,[2] oltre che negativamente connotate nella gran parte delle lingue. Il termine “zingari” è un eteronimo derivato probabilmente dal nome dell’antica setta eretica degliathìnganoi (“intoccabili”), originario del Cinquecento dopo Cristo e con cui, nel XII secolo, vennero chiamate le popolazioni provenienti dall’Asia Minore giunte nell’Impero Bizantino.[4]
Secondo diversi studiosi, il termine corretto da utilizzare sarebbe quello proprio dell'etnia o, più in generale, la locuzionepopolazione romaní, sostituendo quindi i termini zingaro/zingari, laddove usati come aggettivi, con i corrispondenti aggettiviromanó/romaní.[2][5] InItalia, tuttavia, in documenti di emanazione ministeriale come ad esempio gli studi delMinistero dell'Interno,[6] si continua a utilizzare il termine "zingari" per indicare l'insieme delle etnie e l'aggettivo "romaní" viene utilizzato solo in relazione alla lingua propria deirom esinti.
Sulla parolazingaro,zingano ozigano esistono diverse ipotesi etimologiche. La parola è chiaramente imparentata con ilfrancesetsigane, ilportoghesecigano, ilrumenoțigan, l'ungheresecigány e iltedescoZigeuner. Fino all'inizio del XX secolo molti studiosi collegavano "zingaro" adAthingan, una popolazione mistasira,etiope enubiana, che si sarebbe stabilita inTracia in seguito alle vittorie dell'imperatoreCostantino V, e che sarebbe stata poi dispersa dalle invasioniturche (è l'opinione fra gli altri diOttorino Pianigiani, autore del Dizionario etimologico italiano del 1907).[7] Attualmente, gli studiosi fanno risalire la parola dalgreco medievale (Α)τσίγγανοι(A)tsínganoi (greco moderno Τσιγγάνοι,Tsingáni), tribù dell'Anatolia.[8][9] Non è escluso che l'etimo originario siaindo-ario,atzigan.[10] La stessa parola greca Ατσίγγανος viene collegata da alcuni studiosi[11] ad ΑθίγγανοιAthínganoi, "intoccabili", nome di gruppi eretici stanziati nelle regionianatoliche diFrigia eLicaonia, che imponevano di non toccare le persone considerate impure. Il significato "intoccabili" però ha fatto pensare anche alla quintacasta indiana, iparia, considerati appunto impuri ed intoccabili. Questo ha indotto molti a immaginare che la connotazione della parola sia sempre stata negativa.
Altri ancora ritengono invece che la connotazione del significato fosse positiva, portando a sostegno di ciò un documento del1387 diNauplia, inGrecia, dove iveneziani confermarono i privilegi agli zingari concessi a loro daibizantini.[12] Privilegi che ritroviamo per questi popoli in diversi documenti per un centinaio di anni in diversi luoghi dell'Europa, come quella, per esempio, del1423:
«NoiSigismundo, per grazia di Dio sempre AugustoRe dei Romani,Re d'Ungheria, diBoemia, diDalmazia, diCroazia... Per la quale cosa dovunque il detto LadislaoVoivoda e la sua gente giungano nei nostri domini, città e castella, con la presente lettera comandiamo e ordiniamo alle nostre fedeltà che il medesimo L.V. e gli zingari i suoi sudditi, tolto ogni impedimento e difficoltà debbano essere favoriti e protetti e difesi da ogni attacco e offesa. Se poi tra loro stessi sarà sorta qualche zizzania o contesa, allora né voi, né nessun altro di voi, ma lo stesso Ladislao Voivoda, abbia facoltà di giudicare e liberare.»
(da Jean-Paul Clébert,Les Tziganes)
Intorno alXVI secolo il termine avrebbe assunto la connotazione – negativa – che troviamo ancora oggi.
La parolagitano, come l'inglesegypsy e il francesegitan deriva dallospagnologitano a sua volta derivato dallatino *aegypt(i)anus, "egiziano" (aggettivo derivato daAegyptus, "Egitto").Questo appellativo è sicuramente collegato allaleggenda di una provenienza dei Romaní dall'Antico Egitto: secondo il mito, i Romaní sarebbero discendenti daIsmaele, figlio cheAbramo ebbe dalla sua schiavaAgar[senza fonte]
Piero Colacicchi[13] sostiene che "nomade", riferito ai Rom, è un termineottocentesco, usato non tanto per indicare lostile di vita di questi quanto piuttosto con intentodiscriminatorio verso coloro che ritenevano "uomini inferiori" poiché "pigri, vagabondi, caratterialmente instabili", in contrapposizione a quello dell'uomo eletto, amante dellapatria, posato e seguace dellamorale. Il termine è peraltro in contraddizione con le effettive condizioni sociali della popolazione romaní, che almeno in Italia èin gran prevalenza stanziale.
Originari dell'India settentrionale,[14][15][16][17][18] presumibilmente delle regioni delRajasthan[17][18] e delPunjab,[17] che, agli inizi dell'XI secolo, furono costretti ad abbandonare. Il principale argomento di tale tesi, comunque variamente circostanziata, è la loro lingua, di derivazioneindoaria, le loro caratteristiche somatiche e le documentazioni storiografiche della loro antica presenza in tali territori.
Seguendo le tracce linguistiche gli studiosi affermano che, nella propria fuga dalsubcontinente indiano, la prima tappa della migrazione delle popolazioni romaní sia nell'Armenia storica, ove si stanziarono abbastanza a lungo da acquisire dallalingua armena molti vocaboli, tra cui "vurdón" (carro). Dall'Armenia si spostarono poi verso l'Impero Bizantino, dove furono spesso confusi con la setta eretica degliathinganoi ("intoccabili"), praticanti dellachiromanzia, da cui deriva secondo una teoria etimologica anche il nomezingaro.
Si stima che la popolazione romaní arrivò in Europa prevalentemente tra ilXIV e ilXV secolo.[2]Tuttavia le prime testimonianze storiche della presenza della popolazione romaní risalgono al XV secolo e sono costituite principalmente da racconti di viaggiatori epellegrini inTerra Santa.[senza fonte]
Nei secoli successivi la presenza si consolida in tutto il mondo. Rom, Sinti, Kalé e Romanichals arriveranno ai nostri giorni superando persecuzioni di ogni genere: ordini di espulsione da diverse comunità, come dalla regione tedesca diMeißen nel 1416,Lucerna nel 1471,Milano nel 1493,Francia nel 1504,Aragona nel 1512,Svezia nel 1525,Inghilterra nel 1530 (con laEgyptians Act del 1530, abolita con laRepeal of Obsolete Statutes Act del 1856) eDanimarca nel 1536; arresti di massa inSpagna nelXVIII secolo; laschiavitù in Romania (abolita solamente dopo il1850), l'espulsione forzata nel XVII secolo in Italia con l'accusa di essere portatori di malattie, icampi di concentramento nazisti e i sentimentixenofobi sviluppatisi nell'epoca attuale.
Il regimenazista attuò ilgenocidio della popolazione romaní (Porajmos), uccidendo 250 000 "zingari" neicampi di sterminio. Altri 250 000 morirono appena catturati oppure durante il trasferimento verso ilager.[19] I rom ricordano questa tragedia con il termine romaníPorajmos ("devastazione"), analogo a quello con cui si ricorda il più noto sterminio nazista del popoloebraico, laShoah ("sterminio") . Dal 2015, il 2 agosto è nell'Unione europea la giornata internazionale per il ricordo del genocidio delle popolazioni romaní.[20]
Secondo le stime delConsiglio d'Europa[22] in Europa vivono circa 10-12 milioni di romaní. LaRomania ha il numero più elevato dirom, con 2.500.000 persone (il 12% della popolazione), a seguire ci sono:Ungheria 870.000 persone (il 9% della popolazione),Bulgaria 750.000 persone (il 10,3% della popolazione),Spagna 650.000 persone (l'1,61% della popolazione),Serbia 600.000 persone (l'8,23% della popolazione),Francia (lo 0,79% della popolazione) eTurchia (lo 0,72% della popolazione) hanno ognuna una popolazione di 500.000 persone,Slovacchia 490.000 persone (il 9% della popolazione),Repubblica Ceca 264.000 persone (il 2,4% della popolazione),Moldavia 250.000 persone (il 7,05% della popolazione),Grecia 200.000 persone (l'1,82% della popolazione),Russia 182.766 persone (lo 0,13% della popolazione),Italia 170.000 persone (lo 0,25% della popolazione),Albania 140.000 persone (il 5,06% della popolazione),Regno Unito 90.00 persone (lo 0,15% della popolazione),Germania 70.000 persone (lo 0,09% della popolazione),Bosnia ed Erzegovina 58.000 persone (l'1,54% della popolazione),Macedonia del Nord 53.879 persone (il 2,85% della popolazione) ePortogallo 50.000 persone (lo 0,3% della popolazione). Nei restanti paesi al di fuori dell'Europa le presenze maggiori si riscontrano inBrasile (lo 0,4% della popolazione) eStati Uniti (lo 0,32% della popolazione) che hanno ognuna 800.000 persone eMessico 53.000 persone (lo 0,05% della popolazione).
La lingua delle popolazioni romaní, al giorno d'oggi parlata unicamente dai Rom e dai Sinti, è ilromaní, unidioma indoeuropeo facente parte del gruppo dellelingue indoarie.
Le popolazioni romaní normalmente adottano lareligione praticata dalle popolazioni fra cui vivono.[23] Sono prevalentemente cristiani protestanti in Scandinavia, ortodossi in Europa orientale, cattolici in Europa occidentale e meridionale. I rom dei Balcani (Bosnia ed Erzegovina, Macedonia, Kosovo) sono tra i pochi ad essere di prevalente fede musulmana. Alle loro origini in India i popoli romaní erano prevalentemente seguaci della dea madreinduistica pre-indoeuropea (nonvedica, nonbrahmanica),Kāli Mā (la "Madre Nera"); spostandosi in Europa e adottando il cristianesimo, il culto di Kali è stato trasmutato nel culto della santaSara la Nera (non riconosciuta ufficialmente dalla Chiesa Cattolica) ancora presente aSaintes-Maries-de-la-Mer, inCamarga,Francia.
Essi quasi sempre rielaborano queste religioni inserendo i concetti mitici della lorocultura.[2] I Rom ed i Sinti hanno la visionemitica di un mondo diviso tra forze oscure e contrarie,benefiche omalefiche, in perpetua lotta. Le due forze sonoDio e ildiavolo. Dio creatore, principio del bene e il diavolo, principio del male, sono ambedue potenti e in lotta tra loro. Il Dio creatore (Del oDevél) è assistito da forze spirituali soprannaturali benigne; dall'altra parte vi sono creature maligne che agiscono nella sfera dominata dal diavolo (Beng). Inoltre essi credono aisanti ed aglispiriti dei defunti (mulé).[2]
Sebbene non esista uno schema generale dellastruttura sociale valido per tutte le etnie, si può affermare che fra i romaní non esistano leclassi sociali come si intendono comunemente. Le uniche distinzioni all'interno dellecomunità sono quella tra i sessi (maschi - femmine) e quella basata sull'età (giovane - anziano).[24]
Inoltre in primo luogo il romaní conta lafamiglia, e precisamentemarito,moglie e figli. Al di là del nucleo famigliare vi è la famiglia estesa, che comprende i parenti, con i quali vengono sovente mantenuti i rapporti di convivenza nello stesso gruppo, comunanza di interessi e di affari. Poi esiste lakumpánia, cioè l'insieme di più famiglie estese non necessariamente unite da legami di parentela, ma tutte appartenenti allo stesso gruppo ed anche allo stesso sottogruppo o a sottogruppi affini.[25]
Secondo Leonardo Piasere, "gli zingari hanno sempre avuto una netta divisione tra maschio e femmina, ma più come divisione dei compiti, che di potere effettivo, anche se per l'esterno l'uomo rappresenta il capofamiglia. La vita zingara non è scandita da un ritmo temporale. Per loro il primo posto nella scala dei valori è la famiglia. ...Nella famiglia... che è sempre spinta all'autonomia, il prestigio viene conquistato dal capofamiglia per quello che realmente fa e non tanto perché riesce ad imporre la propria volontà ad altre persone".[24]
La nascita e la morte sono considerati eventi impuri. Nella popolazione romaní l'ospedale, ilmedico, ilprete ricordano lamorte e pertanto i contatti con loro devono essere ridotti al minimo. La donnamestruata e lapuerpera sono fonte di impurità e non possono fare vita pubblica o lavare i propri panni insieme a quelli degli altri.[26] Nei rom "vlaχ" (originari dellaValacchia), presso i quali il concetto di impurità è più radicato, durante lagravidanza e per quaranta giorni successivi al parto alla neo-mamma non è consentito di svolgere alcuna attività (ad esempio cucinare). Al termine del periodo di purificazione, i vestiti indossati, il letto, i piatti, i bicchieri e gli altri oggetti adoperati dalla puerpera sono distrutti o bruciati.[2]
Ilculto dei morti è molto sentito ed è diffusa la convinzione che il morto, se non debitamente onorato, possa riapparire in forma di animale o di uomo per vendicarsi.[24]
Ilmatrimonio, che di solito matura in giovane età, è regolato da usanze che sono diverse da etnia a etnia. Così nei Sinti il matrimonio avvieneper fuga (i due giovani si rifugiano per alcuni giorni presso parenti), invece nei Rom avviene per "acquisto": quando c'è l'accordo dei due giovani e delle rispettive famiglie, la famiglia dello sposo corrisponde una somma di denaro alla famiglia della sposa a titolo di risarcimento.[2]Il matrimonio può aversi anche tra persone di diversa etnia o tra un/una romaní e una/un "gağé" (cioè estraneo alla popolazione romaní).[2]
^La stima è accettata dalla maggior parte degli studiosiromanologi. Si veda, ad esempio: Comune di Torino, Divisione Servizi Sociali, Settore Stranieri e Nomadi.L'Ufficio Rom, Sinti e Nomadi (PDF)(archiviato dall'url originale il 5 ottobre 2013)., pp. 4-5, dal sito web del Comune diTorino. Riportato il 14 febbraio 2007.Ian Hancock, direttore del Programma di studi rom presso l'Università del Texas ad Austin, stima invece tra i 500 000 ed il milione e mezzo di vittime.
Pontrandolfo S., L. Piasere (a cura di),Italia Romanì, vol. 3, Roma Cisu ed., 2002
Piasere Leonardo,Popoli delle discariche, CISU, Roma, 2005
Luciani A.,Un popolo senza territorio e senza nazionalismi: gli zingari dell'Europa orientale, in A. Roccucci (a cura di),Chiese e culture nell'Est europeo, Ed. Paoline, Milano, 2007, pp. 275–326.
Stojka Ceija,Forse sogno di vivere. Una bambina rom a Bergen-Belsen, Giuntina, Firenze 2007
Graziella Favaro, Patrizia La Porta,Yasmin e le mele d'oro -Yasmin i phabaja zlatno - raccontato da Sabina, Samantha, S'evala, Susanna e Violeta e tradotto da G. Bezzecchi, Carthusia editore, Milano.
Guida del Mondo. Il Mondo visto da Sud -1999/2000, E.M.I. Vedi sub voce: Jugoslavia.
Françoise Cozannet,Gli Zingari. Miti e usanze religiose, Mondadori, Milano, 1999 (ed. originale:Mythes et coutumes religieuses des tsiganes, Payot, Paris, 1973 - traduzione italiana Coop, Edizioni Jaca Book, Milano 1975)
Karola Frings, Sinti e Rom. Storia di una minoranza, Il Mulino, Bologna, 2018 (ed. originale: Sinti und Rom, Munchen, Verlag CH, 2016
Alexian Santino Spinelli, Baro romano drom. La lunga strada dei rom, sinti, kale, manouches e romanichals, Meltemi, Roma, 2003