
Pietro Cavallini (o, più correttamente,Pietro "Cavallino" de' Cerroni, sui documentiPetrus dictus Caballinus de Cerronibus) (Roma,1240 circa –1330 circa) è stato unpittore mosaicistaitaliano, tra i più importanti esponenti dellascuola romana delXIII secolo.

I dati biografici di Pietro Cavallini si limitano a notizie tra il1273 e il1321. La data di nascita è controversa: la si dovrebbe collocare attorno al1240 o1250. Ciò che sappiamo per certo è la provenienza romana di Cavallini che in alcuni documenti viene definitopictor romanus. Anche la data di morte è parimenti sconosciuta, ma generalmente viene indicata dopo il suo ritorno aRoma dalla corte angioina napoletana, quindi verso il1325-1330.Ridolfino Venuti conferma la sua sepoltura nellabasilica di San Paolo fuori le mura già descritta da Giorgio Vasari[1][2].
Un suo discendente, lo scrittore papale Giovanni Cavallini, lo ricorda come persona centenaria:Huic commemoro Petrum de Cerronibus qui centum annorum numero vitam egit[3]. Questa notizia dichiara piuttosto inequivocabilmente l'identità tra il pittore romano Pietro Cavallini e il Pietro de Cerronibus di alcuni documenti, la cui non comune longevità aveva in passato convinto alcuni studiosi a considerare quei documenti come riferentesi a persone diverse[4].
Ghiberti nei suoiCommentarii parla del pittore romano"Pietro Cavallini, ... dottissimo infra tutti gli altri maestri"; e cita sue pitture in Roma: aSan Pietro (Quattro Evangelisti nella controfacciata),Santa Cecilia in Trastevere (affreschi),San Crisogono,Santa Maria in Trastevere (mosaici),San Francesco a Ripa (affreschi),San Paolo fuori le mura (mosaico in facciata e affreschi della navata e nel capitolo).
Vasari, impegnato com'era nella dimostrazione della superiorità toscana e fiorentina nelle arti, declassava Cavallini a "discepolo diGiotto", stabilendo un anacronismo anagrafico paradossale e creando un pregiudizio storico-artistico sopravvissuto cinque secoli.
(Vasari,Vita di Pietro Cavallini)
A Cavallini, Vasari concesse un catalogo di opere ancora più vasto: ma, oltre alle opere romane ricordate da Ghiberti, aggiunse degli interventi aFirenze,Assisi eOrvieto che appartengono a trecentisti di diversa estrazione. DallaVita scritta dal Vasari in quei termini, scaturì pertanto una certa sfortuna critica di Cavallini, considerato dagli studiosi successivi come un epigono giottesco o peggio un ritardatario ancora incline alla "maniera greca". La recente rivalutazione della "pittura romana" della fine delsecolo XIII con il contributo di pittori di grande spessore comeJacopo Torriti eFilippo Rusuti (per quanto legati ancora alle forme musivebizantine), ha aiutato a ricostruire la personalità del Cavallini nella giusta luce e nei termini più corretti. Con Pietro Cavallini la pittura romana cambiò registro e anticipò il "naturalismo" diCimabue, trasmesso forse al maestro fiorentino durante il suo soggiorno romano. Cavallini raggiunse i migliori risultati anche nelle ricerche spaziali e nel cercare didare rilievo alle figure contemporaneamente e in maniera autonoma rispetto a Giotto. Molto probabilmente i due si incontrarono nel cantiere di Assisi e confrontarono le loro posizioni con i risultati che tutti conosciamo.
La prima opera di Cavallini di un certo rilievo fu la decorazione della chiesa diSan Paolo fuori le mura a Roma[5]. L'opera constava in due cicli ad affresco anteriori nella navata centrale, tratte dagliAtti degli Apostoli e dall'Antico Testamento, più le raffigurazioni dei busti dei Papi a mosaico, come testimoniato sempre dal Vasari, sulla facciata:
In quell'occasione lavorava a San Paolo ancheArnolfo di Cambio il grande artista di Colle Val D'Elsa, autore delciborio (1285).Il lavoro si protrasse dal1277 al1285[senza fonte], ma questo ciclo è scomparso completamente con l'incendio che nel1823 distrusse quasi completamente la chiesa[5]. Del suo lavoro nella basilica, rimangono solo pochi lacerti del mosaico che adornava la facciata ricollocati sull'arco trionfale verso il transetto[6] e alcune copie a disegno che però non permettono di capire se all'epoca il pittore avesse già padronanza deglistilemi dell'arte gotica.
Il ciclo decorativo dei mosaici diSanta Maria in Trastevere viene tradizionalmente datato al1291 (sulla base di una strana dataMCCLCI letta in passato, ma oggi perduta), anche se alcuni storici tendono a spostarlo più avanti nel tempo, al1296 circa[7]. Di certo il committente fu Bertoldo Stefaneschi (qui sepolto), figlio del senatore Pietro Stefaneschi e di PernaOrsini e fratello del futuro cardinaleJacopo Stefaneschi: a quest'ultimo si devono i versi poetici che accompagnano gli episodi dellaVita della Vergine Maria raffigurati:
Questa opera mostra appieno le capacità tecniche di Cavallini che rompeva con le formeieratiche bizantine e adattava i modelli stilistici dei suoi mosaici alle novità che provenivano dalla pittura e dalla scultura toscane, affiancando lascuola romana al clima gotico della pittura diCimabue e alle prime esperienze diGiotto.
La nuova sensibilità si può vedere nelle citazioni naturalistiche dellaNascita di Gesù, ma meglio ancora nella tridimensionalità del trono che appare dietro la Madonna spaventata dall'improvvisa apparizione dell'Arcangelo annunciante. Queste architetture sono state messe in relazione con le opere di Giotto, ma in questo confronto Cavallini si dimostra diverso: le sue quinte architettoniche infatti sono dei semplici sfondi irreali, che, tranne rari casi (l'altare dellaPresentazione al tempio o il trono di Maria) non dialogano con i personaggi, che anzi sono decisamente sproporzionati. Inoltre la presenza di punti di vista diversi dà a queste prospettive intuitive un aspetto arcaico e impreciso.

L'opera più rappresentativa di Cavallini sono gli affreschi dellabasilica di Santa Cecilia in Trastevere, dove la scelta della tecnica dell'affresco offre notevoli spunti stilistici che il mosaico non permette, soprattutto nei panneggi che con ilchiaroscuro danno alla scena rappresentata una tridimensionalità e una potenza espressiva di grande spessore drammatico.
In questa ottica si può leggere ilGiudizio Universale, l'opera di Cavallini generalmente reputata il capolavoro del maestro romano. Con questi affreschi (generalmente datati1293, quando vi lavorava ancora Arnolfo ad un altro ciborio) la pittura romana si affianca e supera i modelli toscani anche se in contemporanea il giovane Giotto imporrà la sua visione artistica e i suoi modelli in tutta la pittura dal Trecento in poi. Tuttavia, secondo Bellosi: "Anche la data 1293 riferita agli affreschi della Santa Cecilia in Trastevere ha fondamenti ben poco sicuri. Si basa, infatti, soltanto sull'ipotesi che il tabernacolo di Arnolfo di Cambio, recante quella data, e la decorazione ad affresco della chiesa fossero stati eseguiti contemporaneamente"[8]. L'opera di Cavallini è particolarmente innovativa perché per esempio negliApostoli seduti negliscranni egli sa infondere una presenza fisica e un volume del tutto estranei alla maniera bizantina: i panneggi non sono ripetitivi, ma variano a seconda della posizione delle membra, i volti sono raffigurati con individualità, la cromia è varia, il chiaroscuro è morbido e raffinato, ma non costipato, grazie a lumeggiature e ombre scure nei solchi più profondi.Alcuni critici però non azzardano a porre Cavallini prima di Giotto, e collocano ilGiudizio di Trastevere dopo la lezione assisiate delleStorie di Isacco e delleStorie di San Francesco. Fu aiutato nella sua opera dal pittore diSubiaco,Consolo.[9]

Non esiste nessuna testimonianza certa della partecipazione di Pietro Cavallini a quella grande palestra pittorica che fu la decorazione dellaBasilica di San Francesco diAssisi. Sembra strano visto che nel1299, quando Giotto arrivò ad Assisi e già vi lavoravano i grandi nomi della pittura del tempo come Cimabue, Jacopo Torriti eFilippo Rusuti, Cavallini era già molto famoso e uno dei pittori italiani più innovativi.Alcuni hanno visto nelMaestro d'Isacco della basilica superiore la mano di Pietro Cavallini, anche se è stata riproposta come alternativa la mano di un Giotto giovanissimo al seguito del maestro Cimabue durante la prima decorazione della basilica.
In seguito storici dell'arte comeFederico Zeri eBruno Zanardi hanno attribuito gli affreschi delleStorie di san Francesco almeno a tre mani di maestri, tra i quali il principale sarebbe stato lo stesso Cavallini (a giudicare da alcune riferimenti indiretti e soprattutto dalla modalità della stesura degli incarnati, molto più vicina alle opere di Cavallini che a quelle giottesche), seguito dal Rusuti e da un giovane Giotto.

Intorno al1308, Pietro Cavallini si trovò aNapoli pressoCarlo II d'Angiò il cui mecenatismo portò a Napoli alcuni dei più importanti pittori della sua epoca.Cavallini lavorò alla cappella Brancaccio inSan Domenico Maggiore nel1308 e aSanta Maria Donnaregina nel1317 con il suo concittadinoFilippo Rusuti. Tornò a Roma sicuramente prima del1325, nel1321 iniziò la decorazione esterna dellaBasilica di San Paolo fuori le mura, eseguì un ciclo di mosaici secondo latecnica bizantina che andrà distrutto in un incendio dell'Ottocento e questa fu l'ultima sua grande opera che probabilmente coincise con il periodo della sua morte.
La Bibbia miniata da Pietro Cavallini, oggi conservata presso leBiblioteche riunite Civica e A. Ursino Recupero diCatania fu realizzata su ordine del cardinaleLandolfo Brancaccio tra il primo e il secondo decennio del XIV secolo. Quest'opera, considerata una delle bibbie più belle al mondo, è arricchita da oltre 100 miniature e 167 iniziali ornate con foglia d'oro, su circa 400 pagine in pergamena.[10]
Pietro Cavallini è citato in una scena del film "Grande, grosso e... Verdone". Nello specifico, è argomento di una domanda d'esame fatta dal prof. Callisto Cagnato, interpretato sempre daCarlo Verdone, con la quale lo stesso professore boccia uno studente, interpretato dal figlio di Verdone stesso, per aver definito Cavallini "un pittore minore", e promuove invece una studentessa, Lucilla Diotallevi, interpretata daMartina Pinto.
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