| Pietro Bembo cardinale di Santa Romana Chiesa | |
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| Incarichi ricoperti |
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| Nascita | 20 maggio1470 aVenezia |
| Ordinazione sacerdotale | 1539 |
| Creazione a cardinale | 20 dicembre1538 dapapa Paolo III |
| Pubblicazione a cardinale | 10 novembre1539 dapapa Paolo III |
| Morte | 18 gennaio1547 (76 anni) aRoma |
| Manuale | |
Pietro Bembo (Venezia,20 maggio1470 –Roma,18 gennaio1547) è stato uncardinale,scrittore,grammatico,poeta eumanistaitaliano.
Appartenente a una nobile famiglia veneziana, fin dalla gioventù Pietro Bembo ebbe modo di costruirsi una solida formazione e reputazione letteraria grazie ai contatti con l'ambiente paterno e in seguito all'amicizia conLudovico Ariosto, conBaldassarre Castiglione[1] e alla consulenza perAldo Manuzio. Il suo merito principale fu quello di contribuire in maniera significativa alla «codificazione dell'italiano scritto», uniformato al modello boccacciano, nell'opera che più di tutte lo ha reso famoso, «la grammatica più importante dell'intera storia dell'italiano», ossia leProse nelle quali si ragiona della volgar lingua (1525)[2]. Parimenti decisivo fu il suo ruolo nella diffusione in tutta Europa del modello poeticopetrarchista, legato a rime amorose dal saporeplatonicheggiante aMaria Savorgnan e aLucrezia Borgia. Stimato scrittore e poeta anche inlingua latina, dopo una vita avventurosa tra le varie corti italiane fu alla fine nominatocardinale nel 1539 dapapa Paolo III, morendo a Roma nel 1547.

Pietro Bembo nacque a Venezia il 20 maggio 1470 dall'anticafamiglia patrizia deiBembo[N 1]. I genitori eranoBernardo, importante uomo politico ed egli stessoumanista[3], ed Elena Marcello[4]. La famiglia era impegnata attivamente nei traffici commerciali e nella produzione della ricchezza di Venezia, che alla nascita di Pietro stava vivendo una vera «età dell'oro»: aveva infatti sedi aCostantinopoli, aLione, aBruges, aDamasco e aPalermo[5]. Inoltre, i Bembo si erano sempre distinti nel servizio allo Stato: Bernardo Bembo continuò ad occuparsi della cosa pubblica sino all'età di 80 anni[5]. In questo contesto, Pietro nel 1478[6] seguì il padre,senatore dellaSerenissima, aFirenze, dove conobbeLorenzo il Magnifico e imparò ad apprezzare il toscano, che avrebbe preferito allalingua della sua città natale per tutta la vita[7][8]. Nel decennio successivo, fu a Roma alla corte diInnocenzo VIII (1484)[9] e poi aBergamo, dove il padre fu nominato podestà dalla Serenissima[7]. Rientrato a Venezia col genitore, non intraprese la carriera politica, preferendo dedicarsi a quella puramente letteraria[N 2], suscitando in ciò disapprovazione da parte del padre e della madre che volevano partecipasse alla vita politica della città[10]. Nei primi anni '90 il giovane Pietro si dedicò invece allo studio di manoscritti delcommediografo latinoPublio Terenzio Afro insieme al ben più espertofilologo e poetaAgnolo Poliziano, letterato della corte medicea che, insieme aGiovanni Pico della Mirandola, era in cerca di manoscritti nell'Italia settentrionale come era d'uso nel corso dell'età umanistica[11] Marco Faini scrive, a tal proposito, che per Bernardo Bembo «servire la Patria e onorare la famiglia facevano tutt'uno»[12]. Nel frattempo, alcune composizioni poetiche del Bembo, conservate oggi nellaBibliothèque Nationale diParigi, cominciarono a valicare i confini della Repubblica di Venezia arrivando a Milano, dove attirarono l'attenzione del letteratosforzescoGasparo Visconti e che, secondo Faini, furono diffuse nelDucato grazie algrecista e filosofopadovanoGaleazzo Facino[13].
Desideroso d'imparare ilgreco antico, dal 1492 al 1494 si trasferì aMessina per studiarlo con il famoso grecistaCostantino Lascaris[14]. Vi si recò con l'amico e condiscepoloAngelo Gabriel, arrivando a Messina il 4 maggio 1492[15] dopo aver soggiornato aNapoli, dove ebbe modo di conoscere vari umanisti dellacorte aragonese qualiGiovanni Pontano eJacopo Sannazzaro[16]. Restò per sempre memore del suo soggiorno siciliano, di cui gli rinnovavano il ricordo sia la corrispondenza con letterati messinesi, fra i quali ilMaurolico, sia la presenza del fedelissimo amico e segretarioCola Bruno (1480-1542)[N 3], che lo seguì a Venezia e gli stette vicino per tutta la vita[17]. Cola, infatti, «si prendeva cura di Pietro, rivedeva i suoi scritti… ne seguiva la stampa. Amministrava la casa padovana e, più tardi, seguì l'istruzione dei due figli Elena e Torquato»[18].

Ritornato a Venezia, collaborò attivamente con il tipografoAldo Manuzio, inserendosi fin dall'inizio nel suo programma editoriale con la pubblicazione il 28 febbraio 1495 della primaaldina, la grammatica greca di Costantino Lascaris (intitolataErotemata), che egli e il suo compagno Angelo Gabriel avevano portato da Messina[19].
Il suo esordio letterario avvenne con l'edizione, stampata dallo stesso Manuzio nel febbraio 1496, del dialogo latinoDe Aetna ad Angelum Chabrielem liber, dove raccontò del suo soggiorno siciliano e della sua ascensione sull'Etna, intercalando il dialogo tra lui ed il padre Bernardo di dotte citazioni tratte dallaletteratura greca elatina[20].
Pietro Bembo, successivamente, si laureò all'Università degli Studi di Padova pressoNiccolò Leonico Tomeo[21], ove entrò in contatto con lafilosofia aristotelica allora dominante in quell'ateneo[7]. Il padre Bernardo, nel 1497[22], fu nominatovicedomino, ossia ambasciatore ufficiale della Serenissima[23], aFerrara, la capitale del ducato omonimo che allora gliEste avevano trasformato in un importante centro letterario e musicale[24] grazie alla figura poliedrica prima diBorso e poi, soprattutto, diErcole I.
Nei due anni (1497-1499) in cui rimase assieme al genitore nella città emiliana, il giovane Bembo incontròLudovico Ariosto, col quale strinse profonda amicizia, continuò i suoi studi in latino con l'umanistaNiccolò Leoniceno[24][25] e iniziò ad elaborareGli Asolani, opera che portò a termine nel 1505 e che furono stampati con i tipi del Manuzio[26]. Quest'opera giovanile, ambientata alla corte diCaterina Cornaro (exregina di Cipro e, per volontà della Serenissima, signora diAsolo) e incentrata sull'amenità cortigianesca della disquisizione d'amore da parte di una compagnia di giovani, «si ispira all'elegante conversazione della brigata delDecameron»[27], che il Bembo dimostra già di eleggere quale modello di prosa.

Nel 1499 Pietro fu costretto dal padre a rientrare a Venezia, a causa dei cambiamenti della politica internazionale sconvolta dall'inizio delleguerre d'Italia contro francesi e spagnoli[29]. Durante la permanenza in patria, Bembo curò nel 1501 l'edizione deLe cose volgari (ossia deiRerum Vulgarium Fragmenta e deiTriumphi) diPetrarca e nell'agosto 1502 l'edizione deLe terze rime (ossia dellaDivina Commedia) diDante[7]: per la prima volta due autori in lingua volgare divennero oggetto di studi filologici, fino ad allora riservati esclusivamente ai classici antichi[30], segnando la vicinanza di Bembo a quell'umanesimo volgare che si sviluppò alla corte di Lorenzo il Magnifico[N 4]. Entrambe le edizioni, stampate da Aldo Manuzio, costituirono le basi di tutte le edizioni successive per almeno tre secoli. Quest'impresa attirò l'attenzione dellamarchesa di MantovaIsabella d'Este la quale, circondata da una corte di artisti e letterati, strinse un rapporto d'amicizia con il Bembo[31].
Nell'ottobre 1502 il giovane Bembo poté tornare nell'amata Ferrara, soggiornando nella villa diOstellato di proprietà dell'umanista e amicoErcole Strozzi[32]. Nella capitale del piccolo ducato conobbeLucrezia Borgia, all'epoca moglie del principe ereditarioAlfonso d'Este. Con Lucrezia ebbe un appassionato corteggiamento epistolare e forse anche una relazione, che almeno in apparenza rimase soloplatonica, mentre non è possibile stabilire se divenne mai carnale, anche in ragione della rigida sorveglianza cui Alfonso sottoponeva la moglie[33][34][35].
Il ritorno nella città estense però non fu di lunga durata: nell'aprile 1505 (un mese dopo la pubblicazione deGli Asolani) Bembo seguì il padre a Roma in ambasceria per conto della Serenissima, ma, anziché rientrare nella città lagunare, si fermò alla corte di Urbino[7].

Fra il 1506 e 1512, grazie ai buoni uffici della duchessaElisabetta Gonzaga, Pietro visse aUrbino[36], dove iniziò a scrivere una delle sue opere maggiori, leProse nelle quali si ragiona della volgar lingua, con cui assurse ai più alti livelli della sua carriera di umanista[37]. La corte urbinate era una delle più raffinate d'Europa, tanto da essere definita un «laboratorio letterario»[38] per le varie tendenze e correnti poetiche dei letterati che animavano quella corte. Animata dalla duchessa, moglie diGuidobaldo da Montefeltro, nella città marchigiana erano ospitati i principali intellettuali dell'epoca, come descritto sapientemente da uno di essi,Baldassarre Castiglione, nel suo capolavoro,Il Cortegiano:
Il soggiorno a Urbino non doveva però essere così lungo nelle intenzioni del Bembo: deciso ad avviarsi alla carriera ecclesiastica per sostenersi (ottenne infatti lacommenda di san Giovanni di Bologna[39] e dell'Ordine gerosolomitano[40]), fu impedito a recarsi a Roma dalla politica bellicosa di papaGiulio II Della Rovere (1503-1513) ai danni sia di Urbino (dove dal 1508 installò un suo nipote,Francesco Maria), sia di Venezia[7]. Il prolungarsi del soggiorno nella città marchigiana, dovuta quindi alle guerre d'Italia che stavano travolgendo la Penisola in quegli anni, permisero però al Bembo di cogliere un clima festoso e intellettualmente stimolante che celebrerà, più avanti, nel dialogoDe Urbini ducibus[41].

Nel 1513 morì Giulio II e gli succedette il ben più miteLeone X (1513-1521), che, conoscendolo di persona[42] e sapendo della sua fama di letterato, lo nominòdatario degliabbreviatori[27][43].
Entrato al servigio di Leone X e divenuto amico del cardinale Giulio de' Medici (futuroPapa Clemente VII)[44], in tale veste Pietro Bembo protesse molti letterati ed eruditi presenti nella capitale, fra cuiChristophe de Longueil[45]. Risale a quegli anni una discussione conGiovan Francesco Pico sul problema dell'imitazione dei classici[46]: se per il Pico si poteva adottare uno sperimentalismo eclettico nell'elaborazione dei testi letterari, Bembo si fece sostenitore del ciceronianesimo più intransigente, ossia che vi sono due modelli unici da seguire nelle lettere latine,Cicerone per la prosa eVirgilio per la poesia[47].
Fu amico diLatino Giovenale Manetti e diBernardo Cappello, che lo riconobbe esplicitamente come suo maestro ed è considerato il suo discepolo più importante[48]. Insomma, durante il papato mediceo Bembo «fu uno dei protagonisti della vita culturale romana»[27] e poté così accumulare vari benefici aBologna o nell'abbazia benedettina di S. Pietro di Villanova pressoVicenza[7]. In sostanza Bembo, come ricordanoSalvatore Guglielmino e Hermann Grosser, pur di continuare indisturbato la sua carriera letteraria, fu spinto «ad abbracciare la carriera ecclesiastica che, con quella cortigiana, era in quegli anni il più favorevole collocamento per un letterato»[30].
Il decennio romano, comunque, fu funestato da una serie di eventi che segnarono profondamente la vita del Bembo: nel 1514 si rivelò fallimentare una sua ambasceria a Venezia per conto del pontefice nel tentativo di slegare la Serenissima dall'alleanza con la Francia[49]; il 28 maggio 1519, invece, gli morì improvvisamente l'anziano padre[50][51]. Inoltre, durante gli anni romani, il Bembo aveva dovuto sopportare la perdita di alcuni importanti amici e artisti, qualiGiuliano de' Medici, duca di Nemours (1516), diRaffaello (1520) e del cardinale e commediografoBernardo Dovizi da Bibbiena (sempre nel 1520)[51].
Nel febbraio 1522[52], dopo la morte di Leone X e l'ascesa al soglio pontificio dell'olandeseAdriano VI, Pietro Bembo, con la scusa della cattiva salute[53], decise di abbandonare Roma a favore della sua antica patria, stabilendosi a vita privata aPadova e portando con sé Ambrogina Faustina Morosina della Torre[N 5], l'amante[54] conosciuta probabilmente nella città papale nel 1513[39]. Negli anni seguenti ella, nonostante Bembo avesse professato i voti religiosi entrando nell'Ordine Gerosolomitano (6 dicembre 1522)[27], gli diede tre figli: Lucilio nel novembre del 1523, Torquato il 10 maggio 1525 ed Elena il 30 giugno 1528[7]. Dei tre solo gli ultimi due gli sopravvissero: di Torquato il padre si lamentava perché «indolente e scioperato»[55], cosa che spinse l'ormai anziano cardinale a pensare di lasciare tutta la sua eredità alla ben più promettente figlia Elena[56].

Il periodo padovano fu alquanto prolifico anche letterariamente: nel 1525 Bembo pubblicò a Venezia leProse della volgar lingua, che dedicò apapa Clemente VII, mentre nel 1530 uscirono sempre a Venezia la prima edizione delleRime, delDe Virgilii Culice et Terentii fabulis e delDe Guido Ubaldo Feretrio deque Elisabetha Gonzagia Urbini ducibus, nonché la riedizione deGli Asolani, delDe Aetna e delDe imitatione[57]; il 26 settembre dello stesso anno Bembo, sessantenne, ricevette l'incarico di storiografo ufficiale dellaRepubblica di Venezia e di bibliotecario dellaBiblioteca Marciana[58] — incarico quest'ultimo che tenne fino al 1543[59] —, succedendo adAndrea Navagero. Come ricordaCarlo Dionisotti, Bembo divenne un'auctoritas letteraria e morale, cui i giovani letterati della Repubblica (e non solo) guardavano con ammirazione:
Il Bembo non si limitò a manifestare la sua autorità intellettuale con i giovani padovani o con i letterati. Nella sua casa di campagna nel borgo di Altinate l'autore delleProse si dedicò all'attività di raccoglitore ed estimatore di opere d'arte, entrando in contatto o raccogliendo capolavori di pittori del calibro diRaffaello, diGiovanni Bellini, diMichelangelo eTiziano[60].

Gli anni che seguirono la nomina a bibliotecario della Marciana furono contrassegnati da vari lutti: nell'agosto del 1532 gli morì il figlio Lucilio mentre il 6 agosto 1535 venne a mancare l'amata Morosina[7]. Nel 1534 inoltre era morto papa Clemente VII al quale succedette Alessandro Farnese, che assunse il nome dipapa Paolo III. In quegli anni il Bembo, ormai conosciuto a livello internazionale, si legò ai cardinaliGasparo Contarini, suo conterraneo, all'ingleseReginald Pole e soprattutto alnipote omonimo del pontefice[7], oltreché aVittoria Colonna, aMichelangelo e a tutti quei cristiani cattolici riuniti sotto il nome di "spirituali". Grazie a queste conoscenze e, secondo il Della Casa, grazie anche alla volontà da parte del pontefice di riempire ilSacro Collegio di uomini valenti[63], il 19 marzo 1539[N 6][64] fu creatocardinale diacono, contitolo diSan Ciriacoin thermis[N 7], e la nomina cardinalizia lo riportò a Roma, dove, sempre nel 1539, fu ordinatosacerdote[N 8]: tutto questo nonostante le critiche di parte dellaCuria romana che avevano protestato per il passato lascivo e i vari rapporti amorosi (anche se platonici) che il Bembo aveva intessuto con la Savorgnan, la Borgia e, soprattutto, con Faustina della Torre[65]. Il rigidissimo cardinaleGian Pietro Carafa, futuro papa Paolo IV, così si espresse a Paolo III: «Padre santo, noi non habbi(a)mo in collegio di huomini che sappiano fare i sonetti»[66]. Da quel momento il neo cardinale rallentò i suoi studi in letteratura classica e volgare, dedicandosi allateologia e allastoria della Chiesa[44].
Il 29 luglio 1541[67] fu nominato amministratore apostolico diGubbio quale successore diFederico Fregoso, mentre si trovava a Venezia in compagnia della figlia Elena, che si sposò nel 1543 con Pietro Gradenigo[68]. Entrato a Gubbio l'11 novembre 1543, Bembo rimase nella città umbra fino al 18 febbraio 1544[44], data in cui divenne amministratore apostolico delladiocesi di Bergamo. La diocesi lombarda, ben più ricca di quella eugubina, gli consentì di sanare i debiti che aveva contratto nel 1543 a causa della cospicua dote concessa alla figlia per il matrimonio[69]. Ma un po' per l'età avanzata e un po' per lagotta[70], non si recò mai a Bergamo, nominandoVittore Soranzo, suo pupillo, come vescovo coadiutore con diritto di successione[7].

Morì in seguito ad unafebbre aRoma, all'età di 76 anni, il 18 gennaio 1547[71], nella casa che fu diGiovanni Della Casa[72], con al fianco l'amico e confratello cardinale Reginald Pole[73]. Fu sepolto a Roma nella chiesa diSanta Maria sopra Minerva; la sua lastra tombale è collocata sul pavimento, dietro l'altare maggiore, mentre l'epigrafe in latino, dettata dal figlio Torquato, recita:
Anche nella Basilica di Sant'Antonio a Padova si trova unmonumento dedicato al cardinale, opera del grande architettoAndrea Palladio, con il suo busto scolpito daDanese Cattaneo[75]. Il 27 febbraio 1547Benedetto Varchi ne recitò l'Orazione funebre[76] all'Accademia fiorentina.

Daglianni settanta del XV secolo, in Italia, si era diffuso un rinnovato ardore nei confronti della lingua volgare, un ardore che va sotto il nome diumanesimo volgare o diclassicismo volgare. Patrocinatori di questo modello linguistico che intendeva equiparare i classici latini e greci con quelli volgari furono soprattutto fiorentini e tra di essi si annoveranoLorenzo il Magnifico eAgnolo Poliziano[77][78]. L'entourage mediceo era intenzionato, difatti, a far valere la superiorità culturale e linguistica di Firenze e per questo motivo fu realizzata laRaccolta aragonese, dono che il Magnifico fece aFederico d'Aragona, in cui si mostra l'eccellenza della lirica toscana dalle origini sino al Magnifico stesso[79]. L'affermarsi del bilinguismo non fu però fattore significativo soltanto nella Firenze laurenziana: aFerrara il conteMatteo Maria Boiardo, di formazione umanistica, si dedicò all'epica cavalleresca componendoOrlando innamorato; nel meridione, invece,Jacopo Sannazzaro compose l'Arcadia, gettando un ponte per lo sviluppo di un genere che avrà molta fortuna neisecoli XVII eXVIII. Si assiste, nella Penisola, alla nascita di una lingua "interregionale", unakoinè che «consiste appunto in una lingua scritta che mira all'eliminazione di una parte almeno dei tratti locali e raggiunge questo risultato accogliendo largamente latinismo, e appoggiandosi anche, per quanto possibile, al toscano»[80].
Come sottolineaLuigi Russo, il Cinquecento fu «il secolo dei grandi precettisti: precettista politico ilMachiavelli, precettista delle lettere Pietro Bembo, precettista della vita di corte ilCastiglione, e infine precettista della vita sociale monsignorDella Casa»[81]. Al Bembo dunque spettò il compito di riportare l'equilibrio nel mondo delle lettere dal pluristilismo e dal plurilinguismo in cui versavano nella sua epoca[82]. Dopo esser diventato il principe del ciceronianesimo nella sua disputa con Giovanni Francesco Pico Della Mirandola nel 1512, Bembo teorizzò la superiorità di Francesco Petrarca per la poesia e di Giovanni Boccaccio per la prosa nelle sueProse in cui si ragiona della volgar lingua del 1525.


Nella sua disputa con Giuliano de' Medici duca di Nemours, sostenitore dell'umanesimo volgare e della vitalità della lingua[83], Bembo rifiuta l'asse lingua-contemporaneità per dedicarsi alla letteratura delTrecento, «le cui sorti venivano giudicate inscindibili da quelle della lingua»[84]. La lingua viva, infatti, perde due qualità fondamentali, lagravità e lapiacevolezza, elementi che invece sono intatti in Petrarca ed in Boccaccio:
Petrarca nelle sue liriche si dimostra principe sia nella suagravità sia nella suapiacevolezza, dove «sotto la gravità ripongo l'onestà, la dignità, la maestà, la magnificenza, la grandezza, e le loro somiglianti; sotto la piacevolezza ristringo la grazia, la soavità, la vaghezza, la dolcezza, gli scherzi, i giuochi, e se altro è di questa maniera»[85]. Insomma, Petrarca rappresenta un modello più stabile rispetto aDante[86], nel quale il pluristilismo ed il plurilinguismo (specialmente nell'Inferno) sono predominanti:
(Ferroni, pp. 5-6)
Anche per Boccaccio vi possono essere delle problematiche. Come esposto daClaudio Marazzini, «qualche problema poteva venire dalle parti delDecameron in cui emergeva più vivace il parlato»[87]. La soluzione per Bembo è semplice: evitare quelle parti e concentrarsi sulla narrazione dello scrittore, basata sul modello ciceroniano eliviano[87]; oppure, come sottolineaPaul Renucci, affidarsi al Boccaccio autore delFilocolo e dell'Elegia di Madonna Fiammetta[1].

Durante il periodo alla corte dei Montefeltro, Pietro Bembo dovette iniziare a provare avversione per il linguista e poeta cortigianoVincenzo Calmeta (1460/65-1508)[88]. Dalle origini oscure, il Calmeta fu prima alla corte diLudovico il Moro come segretario della duchessaBeatrice d'Este per poi passare al servizio del figlio dipapa Alessandro VI, il machiavellicoCesare Borgia. Protetto della duchessa Elisabetta, ad Urbino conobbe il Bembo ed inizialmente i due ebbero buoni rapporti per poi diventare acerrimi nemici, tanto che il Calmeta fu l'unico che Bembo denigrò nelle proprieProse, come riportaGiuseppe Scarpat: «Probabilmente il Bembo, che non faceva mistero dei suoi propositi di occuparsi organicamente della lingua volgare, avrà provato un cruccioso dispetto nel sapere che il Calmeta stava battendo quella stessa strada che egli solo e per primo voleva battere»[89]. Infatti il Calmeta, nel corso della sua non lunga esistenza, fu oggetto dell'invidia da parte del Bembo in quanto quest'ultimo voleva avere il primato nella questione della codificazione della lingua letteraria, senza aver alcun intralcio da parte di alcuno, tanto che in una lettera del 1512 il futuro cardinale veneziano ebbe a dire: «non manca gente che, occupandosi della lingua volgare, la fa da Calmeta, pretende di essere un Calmeta»[90].
NelleProse (1525), che ebbero subito una grandissima fortuna di pubblico, specialmente tra i letterati, Bembo teorizza il proprio ideale di petrarchismo e nelleRime (1530), dal sapore petrarchesco-platonicheggiante, ne dà la realizzazione pratica. La contemporanea pubblicazione delle rime volgari del Bembo e di quelle del Sannazaro, uscite postume a Napoli col titoloSonetti e canzoni, fa sì che il 1530 possa considerarsi simbolicamente «la data di nascita del petrarchismo lirico italiano»[7]. La lezione del Bembo fu talmente sentita, che spinse vari poeti, tra cuiBernardo Tasso nelPrimo libro degli Amori (1531), a comporre prendendo spunto dalCanzoniere del Petrarca. Ludovico Ariosto, suo amico, pubblicò la terza edizione dell'Orlando furioso (1532), ampliata e corretta in base ai precetti linguistici bembiani[91]. Numerose letterate del Cinquecento, tra cuiVittoria Colonna,Laura Battiferri eGaspara Stampa, produssero canzonieri sul modello petrarchesco mediato da quello bembiano[92]; ognuna di esse ebbe il propriopetrarchino, un'edizione portatile delCanzoniere, da cui attingere per le proprie liriche. Usando una frase diPaul Renucci:
(Renucci, p. 1295)

Redatto in occasione del suo soggiorno in Sicilia e pubblicato coi tipi di Aldo Manuzio nel febbraio 1496, ilDe Aetna ad Angelum Chabrielem liber è un trattato in forma dialogica tra Pietro Bembo ed il padre Bernardo sulla sua avventura consistita nell'ascesa delvulcano siciliano[93]. Nella storia della tipografia, è importante anche perché per la prima volta apparve il carattere poi chiamato "Bembo" in onore dell'autore, carattere realizzato dal tipografo bologneseFrancesco Griffo[94]. Come sottolinea Ross Kilpatrick, l'opera è importante perché in essa Bembo tenta, tramite la dimostrazione della sua vasta erudizione latina e greca, di inserirsi nell'élite intellettuale dell'epoca:
(Kilpatrick, p. 332)
L'Historia Veneta fu l'opera storiografica di maggior respiro del Bembo da quando fu nominato storiografo ufficiale dal governo della sua patria d'origine. Il trattato, che narra delle vicende della Serenissima dal 1487 al 1513 ed è diviso in 12 libri (il titolo originario eraRerum Veneticarum libri XII), fu stampato postumo a spese della Repubblica di Venezia nel 1551. L'anno seguente apparve la traduzione in italiano[95], anonima, ma eseguita anch'essa dal Bembo negli ultimi anni di vita[96].

LePetri Bembi Epistolarum Leonis decimi pontificis maximi nomine scriptarum libri XVI sono ibrevi, redatti in nome di papa Leone X dal marzo 1513 all'aprile 1521, quando Bembo era datario degli abbreviatori e suo segretario. Come rimarca Ernesto Travi, «si tratta di lettere dove è veramente difficile, al di là della forma esteriore, individuare quanto esse siano frutto di precise scelte storiche, religiose, morali da parte dell'estensore anziché dell'influsso e della volontà del pontefice»[97]. La raccolta uscì in prima edizione a Venezia nel 1536[98], a cura diCola Bruno[99].

È una lettera aperta, indirizzata aGiovanni Francesco II Pico della Mirandola il 1º gennaio 1513, in risposta alla sua del 19 settembre 1512 sullo stesso argomento. In essa Pietro Bembo condanna «l'eclettismo che Giovan Francesco Pico ereditava dalPoliziano in sintonia con la correnteapuleiana»[47], a favore invece di una teoria monolinguistica in cui si eleggevano come unici modelli per la poesia Virgilio e per la prosa Cicerone[1][100][101]. È il manifesto programmatico del nuovo ciceronianismo bembiano[102].
È un dialogo in morte di Guidobaldo da Montefeltro, duca di Urbino (avvenuta l'11 aprile 1508), e in lode di lui e della moglie, Elisabetta Gonzaga, che erano stati generosi ospiti dell'autore. I protagonisti di tale dialogo, che è ambientato nella Roma di Giulio II, sono, oltre allo stesso Bembo,Filippo Beroaldo,Sigismondo de' Conti eJacopo Sadoleto. L'occasione è la notizia della morte del giovane duca, che si finge riferita in un dispaccio di Federico Fregoso, cui segue la lettura di un brano dell'orazione funebre diLudovico Odasi, già precettore del duca[103]. Nel nucleo del dialogo viene tracciato dai vari personaggi il profilo di Guidobaldo come di un signore ideale[104], ma, quando la parola passa al Bembo, la narrazione si sposta sull'elogio delle virtù di Elisabetta, ormai destinata a reggere le sorti del ducato. Il libro, che è dedicato a Nicolò Tiepolo[105], fu scritto a Urbino tra il maggio del 1508 e la fine del 1509[106], ma fu pubblicato solo nel 1530[107]. Ne esiste anche «una traduzione in volgare fatta dal Bembo medesimo» (Urb. Lat. 1030)[108], forse prima di lasciare la corte di Elisabetta nel 1512, per offrirla alla duchessa[109].

Il dialogo si svolge traPomponio Leto edErmolao Barbaro alla presenza diTommaso Inghirami e s'immagina avvenuto a Roma negli ultimi anni di vita di Ermolao (morto nel 1493), nella cui figura s'identifica l'autore, desideroso di accreditarsi presso gli ambienti umanistici dell'Urbe[110], dove nel maggio 1502 aveva seguito Vincenzo Querini[111]. Partendo dal lamento per le rovine di Roma antica, viene affrontato il problema delle corruttele dei testi classici, moltiplicatesi dopo l'invenzione della stampa. La soluzione proposta è l'emendazione filologica delle edizioni a stampa tramite la loro collazione coi codici manoscritti; la scelta cade sull'opera minore di Virgilio, intitolataCulex e inserita nell'Appendix Vergiliana, e sulleCommedie diTerenzio, i cui manoscritti erano a disposizione del Bembo nella biblioteca paterna (il Vat. Lat. 3252 e il Vat. Lat. 3226)[112]. Il libro, dedicato adErcole Strozzi (nella cui villa ferrarese Bembo era ospite dall'ottobre 1502), fu scritto nel 1503[N 9] col titolo provvisorio diDe corruptis poetarum locis[113], ma fu pubblicato solo nel 1530[114][115].
La produzione poetica del Bembo comprende anche delle poesie latine. Nel luglio 1524 fu pubblicato a Roma un carme, dedicato a Johann Goritz[116], poi intitolatoPro Goritio votum ad deos[117]. Nel novembre o dicembre dello stesso anno uscì sempre a Roma il suo carme latino più impegnativo, ilBenacus[118], un poemetto in 200esametri, dedicato aGian Matteo Giberti, influente datario di papa Clemente VII appena nominato vescovo di Verona[119]. Nel 1528 fu la volta dell'Hymnus in divum Sthephanum[7][120]. In aggiunta a questi, altri carmi, tra cuiGalatea eFaunus ad nymphas, per un totale di undici, comparvero postumi nel 1548, sotto il titoloPetri Bembi carmina, nel volume collettaneo:Carmina quinque illustrium poetarum[121][122]. Altri ancora, per un totale di 40 carmi, furono editi nel 1553 nelCarminum libellus[123], tra cui sono da menzionareAd Lucretiam Borgiam,Politiani tumulus,Caroli Bembi fratris epitaphium eLucilii Bembi filli epitaphium[124]. È invece «di improbabile autenticità»[125] ilSarca, un poemetto geografico-eziologico in 619 esametri sulle nozze del fiumeSarca con laninfa Garda, figlia del fiume Benaco (nel mito, dalla confluenza dei due fiumi si origina il lago)[N 10].
Realizzato tra il 1491 e il 1492 e dedicato all'amico Girolamo Savorgnan, ilSogno è la prima opera in volgare del giovane Bembo.Metricamente estilisticamente è un «capitolo interza rima, il metro dellaCommedia dantesca e deiTrionfi del Petrarca, composto da 193endecasillabi»[11], mentre contenutisticamente l'opera risente dei ricordi vaghi e onirici di una notte agitata del giovane patrizio veneto. Durante questo sogno agitato, infatti, mentre Bembo e il Savorgnan stanno discutendo, si avvicina loro una donna (personificazione o dellaFilosofia o dellaFilologia) che esorta i due a lasciar indietro le preoccupazioni degli uomini comuni per dedicarsi a imprese nobili e virtuose quali la conoscenza e la creazione artistica[126].

(Incipit deGli Asolani, riportato daFaini, p. 98)
Gli Asolani sono una raccolta di tre libri, scritti in forma di dialogo e composti tra il 1497 ed il 1502 e pubblicati presso l'editore venezianoAldo Manuzio nel 1505[127] (la seconda edizione è del 1530[128]), che hanno come tema discorsi sull'amore platonico e furono dedicati a Lucrezia Borgia[129]. Bembo finge che questi dialoghi, animati da Perottino, Gismondo e Lavinello, siano avvenuti agli inizi del '500 nella località diAsolo, in Veneto, alla corte dell'ex regina di CiproCaterina Corner. L'opera è importante, più che per il valore contenutistico (in cui l'amor platonico, esaltato da Lavinello nel terzo libro, sovrasta quelli terreni dei primi due interlocutori), per quello invece linguistico: già da giovane, Bembo intravedeva nella prosa boccacciana un modello linguistico da adottare, che verrà formulato e teorizzato negli anni successivi nelleProse[46].GliAsolani sono stati composti durante gli anni in cui il giovane Bembo intrattenne un rapporto epistolario amoroso con la friulanaMaria Savorgnan e, secondo la critica letteraria, l'intensa relazione amoroso-spirituale tra i due influenzò profondamente il contenuto della presente opera[130].

LeProse nelle quali si ragiona della volgar lingua furono redatte, probabilmente, in un periodo che oscilla tra il 1512 ed il 1516[131]. Dedicate a Clemente VII e pubblicate nel 1525, esse sono strutturate in tre libri sotto forma di dialogo e sono ambientate nel 1502 a Venezia[47]. I protagonisti rappresentano ciascuno una propria posizione particolare riguardo alla questione della lingua che imperversava in quegli anni:Giuliano de' Medici sostiene il fiorentino contemporaneo; Federico Fregoso riassume le posizioni storiche presenti nella trattazione;Ercole Strozzi fa da moderatore, mentreCarlo Bembo, il fratello di Pietro, si fa portavoce delle idee del fratello[83]. L'opera bembiana, inoltre, si affianca a quella della lettera sull'Imitatione in quanto «le due lingue [quella volgare e quella latina, n.d.r] si allontanavano in un pacifico paragone delle vette da entrambe toccate, Virgilio e Cicerone nell'una, Petrarca e Boccaccio nell'altra»[132], stabilendo così i criteri di imitazione sia per l'una che per l'altra lingua letteraria. LeProse sono senza dubbio l'opera principale del Bembo, che lo consacrò a maestro di stile e di eleganza anche nei secoli successivi, determinando il corso della letteratura italiana fino alManzoni.

Edite nel 1530, le 165 liriche che compongono il canzoniere bembiano «raggiung[ono] risultati esteticamente validi in assoluto»[133], secondo la critica più recente. Imitatrici perfette ma senz'anima del canzoniere petrarchesco[134], leRime bembiane superano questo «meccanico calco»[135] con la canzoneAlma cortese, scritta in memoria del fratello Carlo scomparso nel 1503, in quanto vi è un addentramento spirituale del Bembo all'interno dei moti della propria anima[135]. Davanti a questo componimento, «la canzone del Bembo parve ai contemporanei documento che anche nello stile alto, come già in quello umile e mezzano, il volgare fosse ormai uscito di minorità: esso si prestava ormai a ogni impresa, per quanto ambiziosa»[136].Vittorio Cian ricorda, inoltre, che all'indomani della morte del Bembo, si cercò di impedire vanamente la pubblicazione delleRime da parte dell'autorità ecclesiastica, probabilmente per certi toni amorosi. In piena età dellaControriforma, poi, esattamente nel 1585, laSanta Inquisizione tentò per la seconda volta di metterle all'Indice[137], cosa che spinse il figlio del Bembo Torquato a chiedere l'intervento delcardinale Alessandro Farnese, come emerge dalla lettera del 22 novembre di quell'anno[138].
LeLettere, scritte in volgare durante l'arco della sua vita dal 1492 al 1546 e pubblicate postume in quattro volumi tra il 1548 e il 1552[N 11][139], vanno a realizzare il progetto bembiano di lasciare ai posteri un'immagine idealizzata di sé: infatti, «trascelse dalcorpus delle sue lettere quelle che giudicò più significative per definire l'immagine di sé che voleva trasmettere alla posterità»[140]. Le epistole bembiane risentono anch'esse dell'influsso petrarchesco dal punto di vista lirico, come emerge in alcune lettere inviate alla sua amanteMaria Savorgnan o a Lucrezia Borgia[140].
| Città con più sudor posta e cresciuta | |
| più grato rende il fio, che se ne coglie; | |
| vittoria con maggior perigli avuta | |
| più care fa le rapportate spoglie; | |
| 5 | e nave più da’ venti combattuta |
| con maggior festa in porto si raccoglie. | |
| Così quanto ebbe più d’amaro al fiore, | |
| tanto è più dolce poi nel frutto amore[142]. | |
Il Bembo non fu solo un grande teorico della lingua e un influente uomo di Chiesa, ma anche un appassionato epistolografo e poeta innamorato nel corso della sua lunga vita. Il primo amore delineato nei suoi scritti è per la friulanaMaria Savorgnan, nata attorno al 1470 e figlia diMatteo Griffoni diSant'Angelo in Vado, condottiero al soldo di Venezia, e di Leonarda deiConti di Carpegna[143], sposata nel 1487 a GiacomoSavorgnan, membro da una nobilissima famiglia che aveva prestato numerosi servigi alla Serenissima[144]. Con la Savorgnan (vedova al momento dello scambio epistolare col letterato veneziano[143]), Bembo mantenne un epistolario d'amore durato dal 1500 al 1501[145]. Mantenuto segreto, il rapporto epistolare (costituito da 77 lettere di lui e 77 di lei[146]) tra i due iniziò il 14 maggio del 1500 con un sonetto inviato da lei[146] e terminò, per volontà di lui, verso il settembre del 1501[147], probabilmente perché «si rese conto che la passione di lei cominciava ad affievolirsi perché non riceveva più versi»[148]. «La storia di Maria Savorgnan e di Pietro Bembo – commentaMaria Bellonci – è del resto fra le più robuste e succose, per quanto raffinata in ogni declinazione di petrarchismo»[149].

| Poi ch’ogni ardir mi circonscrisse Amore | |
| quel dì, ch’io posi nel suo regno il piede, | |
| tanto ch’altrui, non pur chieder mercede, | |
| ma scoprir sol non oso il mio dolore, | |
| 5 | avess’io almen d’un bel cristallo il core, |
| che, quel ch’i’ taccio e Madonna non vede | |
| de l’interno mio mal, senza altra fede | |
| a’ suoi begli occhi tralucesse fore; | |
| ch’io spererei de la pietate ancora | |
| 10 | veder tinta la neve di quel volto, |
| che ’l mio sì spesso bagna e discolora. | |
| Or che questo non ho, quello m’è tolto, | |
| temo non voglia il mio Signor ch’io mora: | |
| la medicina è poca, il languir molto.[152] |
La "grande fiamma" del Bembo, per usare il titolo di un libro che ha avuto molto successo[153] fu, però, Lucrezia Borgia, duchessa di Ferrara nonché figlia dipapa Alessandro VI e sorella diCesare. Già dedicataria deGliAsolani, la giovane moglie diAlfonso I d'Este intrattenne un segreto rapporto epistolare di 49 lettere (40 di Pietro e 9 di Lucrezia)[154] all'insegna dell'amor platonico tra il 1503 ed il 1517[155], quando ormai Bembo risiedeva a Roma come segretario di papa Leone X. I due si conobbero tramiteErcole Strozzi[156] e il loro rapporto divenne sempre più appassionato con il passare del tempo attraverso esplicite dichiarazioni d'amore[150], tanto che gli storici hanno opinioni diverse sulla natura del loro legame[N 12].
Il carteggio, definito dalord Byron come «le più belle lettere d'amore del mondo»[157], consisteva in un rapporto epistolare accompagnato anche da alcune liriche dal sapore petrarcheggiante e alcune missive in lingua spagnola da parte di lei[158]. Secondo quanto riportato da Suadoni, «le lettere a Lucrezia Borgia condividono alcune somiglianze con quelle aMaria Savorgnan, anche se forse per il ruolo pubblico che Bembo ricopriva nella corte estense, il tono dell’umanista è molto più controllato e formale»[159]. Nel sonetto sovra riportato, accompagnato nella lettera del 19 giugno 1503[160], Bembo esprime compiutamente il ruolo dell'amor platonico di sapor petrarchesco: nella seconda quartina, infatti, Bembo immagina di avere un cuore di cristallo (avess'io almen d'un bel cristallo il core) tramite il quale l'amata può vedere il dolore del poeta da lui taciuto (quel ch'i taccio e Madonna non vede / de l'interno mio mal).
Le lettere scambiate tra la duchessa e l'umanista veneziano, come ricorda Paola Vecchi Galli, «sono conservate presso laBiblioteca Apostolica Vaticana, laBritish Library diLondra, laBiblioteca nazionale di Francia diParigi e nella stampa Scotto, Venezia, 1552»[154], oltreché all'Ambrosiana diMilano[161]. Sempre all'Ambrosiana è conservata una ciocca di capelli della duchessa di Ferrara che, secondo una lettera di Pietro datata 14 luglio 1503, l'avrebbe donata al futuro cardinale come era d'uso all'epoca[32].
La donna che Bembo conobbe a Roma e che lo rese padre di tre figli fu Ambrogina Faustina della Torre (1497-1535), sorella di una tale Mariola[162] e figlia delgenovese Antonio della Torre e di una tale Chiara[163], già proprietaria di alcuni beni immobili nel quartiere diBorgo[164]. Come già ricordato, Faustina diede a Bembo tre figli, di cui il secondogenito e la terzogenita superarono l'età infantile. A parte la sua straordinaria bellezza descritta da monsignor Della Casa[163], di Faustina si sa poco o niente, se non le lettere che il Bembo scrisse per lei e che la donna risultava già sposata con un uomo dall'identità ignota già prima del 1513, anno in cui iniziò la relazione extraconiugale col futuro cardinale[165]. Morì il 6 di agosto del 1535[52] all'età di 38 anni[166].
Da Faustina Morosina della Torre (1497- 1535) ebbe tre figli, i quali, a causa delvoto di castità di Bembo, furono legittimati grazie apapa Clemente VII[163]:
(Pietro Bembo,Prose della volgar lingua, libro II cap. 20 citato inRenucci, pp. 1296-1297)
Altri progetti
| Predecessore | Cardinale diacono di San Ciriaco alle Terme Diocleziane (diaconiapro hac vice) | Successore | |
|---|---|---|---|
| Girolamo Aleandro | 10 novembre1539 - 15 febbraio1542 | Pomponio Ceci |
| Predecessore | Amministratore apostolico di Gubbio | Successore | |
|---|---|---|---|
| Federigo Fregoso (vescovo) | 29 luglio1541 - 18 febbraio1544 | Marcello Cervini (vescovo) |
| Predecessore | Cardinale presbitero di San Crisogono | Successore | |
|---|---|---|---|
| Girolamo Aleandro | 15 febbraio1542 - 17 ottobre1544 | Uberto Gambara |
| Predecessore | Amministratore apostolico di Bergamo | Successore | |
|---|---|---|---|
| Pietro Lippomano (vescovo) | 18 febbraio1544 - 19 gennaio1547 | Vittore Soranzo (vescovo) |
| Predecessore | Cardinale presbitero di San Clemente | Successore | |
|---|---|---|---|
| Rodolfo Pio | 17 ottobre1544 - 19 gennaio1547 | Juan Álvarez de Toledo,O.P. |
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