Panorama di Peia, con il monte Pizzetto a sinistra ed il Pler a destra, vista dalmonte Farno
Il comune, situato nella porzione territoriale Sud Est dellaVal Gandino, si sviluppa dai circa 490m s.l.m. della zona di fondovalle, fino ai 1.206 del monte Pizzetto. Può quindi essere classificato come comune di media montagna, nel quale si contraddistinguono sia profondi solchi alluvionali che terrazzamenti fluviali.
I confini amministrativi sono scanditi, a Nord-Ovest (in direzione del fondovalle della Val Gandino) dal torrenteRomna, che delimita con Gandino; il limite territoriale con il capoluogo della valle prosegue quindi verso Nord-Est, risalendo le pendici della costa del monte Pizzetto, per proseguire verso Est lungo il crinale che va dal suddetto monte fino al monte Pler (1.030 m s.l.m.), spartiacque con laval Cavallina e con il comune diRanzanico prima e diBianzano poi, per giungere infine nei pressi del monte Crocione (998 m s.l.m.) A questo punto il confine ridiscende verso il fondovalle, chiudendo il perimetro comunale ad Ovest, seguendo nella parte più a monte l'andamento orografico della piccolavalle delle Tre Fontane, condivisa con l'annesso comune diLeffe, con cui di fatto si è creata una soluzione di continuità abitativa nella zona del fondovalle solcato dalla Romna.
La val Vegia, percorsa dal torrente Rino, con l'abitato sulla destra
Il centro abitato, situato ad un'altezza media di circa570 m s.l.m., si sviluppa sui declivi del monte Pizzetto ed è contraddistinto dalla presenza di ben quattordici contrade: Peia Bassa, Ca' Basi, Ca' Bertocchi, Ca' Bettera, Ca' Biadoni, Ca' Bosio, Ca' Brignoli, Ca' Fragia, Ca' Marino, Ca' Orazio, Ca' Predali, Ca' Rottigni, Ca' Zenucchi e Cima Peia. Questi nuclei, che prendono il loro nome dalle famiglie che storicamente le abitarono (in dialetto bergamascoCà significa appuntocasa), in seguito all'espansione edilizia avvenuta negli ultimi decenni delXX secolo in molti casi risultano ormai essere fusi tra loro.
Per ciò che concerne l'idrografia, il corso d'acqua con portata maggiore è laRomna, che solca gran parte della val Gandino e scorre nella parte più bassa del territorio comunale, quel fondovalle condiviso con Gandino a monte del quale un tempo si sviluppava la zona degli opifici. Altrettanto importante è ilRino, torrente che nasce tra le valliBoala eVecchia (detta ancheVegia) e che, dopo aver ricevuto altri piccoli rivoli, tra cui quello della piccolaval Suprina e quello proveniente dallavalle delle Tre Fonti (detta ancheval di Trì Fonc), composti dalle acque in eccesso provenienti dai colli circostanti, entra in territorio di Leffe, gettandosi nella Romna a Sud-Ovest del territorio leffese.Degne di nota sono anche le numerose sorgenti presenti sul territorio, tra le quali si segnalano per importanza lafonte Scarpaeta e laPozza del lino, in localitàPoiana (il toponimo della sorgente deriva dall'antico uso di mettervi a macerare le fascine di quel vegetale, primo passo necessario alla lavorazione che porta a ricavare la fibra omonima[6]).
La viabilità del paese è molto semplice e fa riferimento allaS.P. 43. Questa prende vita dal vicino comune di Leffe da cui raggiunge il centro abitato di Peia, partendo dal fondovalle, toccando gran parte delle contrade del paese e terminando nella parte alta dello stesso.
Il torrente Rino, il cui nome deriva dalla lingua gallica
Nonostante non vi siano reperti che accertino la presenza umana nel territorio comunale nelle erepristoriche, è tuttavia probabile che queste zone furono frequentate in un periodo compreso tra ilneolitico e l'antica età del bronzo, considerati i numerosi ritrovamenti effettuati nei paesi vicini, nonché la conformazione naturale del territorio stesso che garantiva riparo da incursioni e calamità.
Si trattava in ogni caso di insediamenti sporadici, tanto che il livello di antropizzazione rimase quasi nullo per parecchi secoli: i primi stanziamenti fissi risalirebbero invece alVI secolo a.C., quando in quest'area si stabilirono gliOrobi, popolazione di origine ligure dedita alla pastorizia, a cui si aggiunsero ed integrarono, a partire dalV secolo a.C., le popolazioni di ceppo celtico, tra cui iGalli Cenomani. Segni della loro presenza sono tangibili nel nome del torrenteRino, il quale deriva daRei, che inlingua gallica significavascorrere.
Tuttavia la prima vera e propria opera di urbanizzazione fu opera deiromani, che conquistarono la zona a partire dalI secolo d.C.. Pur rimanendo estranei alle vicende della valle Gandino, i nuovi conquistatori inviarono nella zona un ingente numero di schiavi (i cosiddettiDamnati ad metallam), impiegandoli nelle miniere di ferro della vicinaval del Riso. Questi, dopo un periodo pari ad undici anni di schiavitù (oppure una volta esaurita la pena), venivano liberati e potevano quindi diventare proprietari di un appezzamento di terra che avrebbero provveduto loro stessi a coltivare e difendere dalle incursioni delle popolazioni vicine.Quei primi abitanti, che lentamente si integrarono alle popolazioni celtiche (anche se sovente erano loro stessi appartenenti a quella stirpe), venivano chiamatipileati per via del cappello che indossavano durante la cerimonia di liberazione dallo stato di schiavitù. Il borgo quindi, grazie a questo appellativo, cominciò ad essere identificato come"Pilia", ovvero paese abitato dai pileati.
Al termine della dominazione romana vi fu un periodo di decadenza ed abbandono del centro abitato, con la popolazione che sovente si ritrovò costretta a cercare riparo sulle alture circostanti al fine di difendersi dalle scorrerie perpetrate dalle orde barbariche. La situazione ritornò a stabilizzarsi con l'arrivo deiLongobardi, popolazione che a partire dalVI secolo si radicò notevolmente sul territorio, influenzando a lungo gli usi degli abitanti: si consideri infatti che il diritto longobardo rimase “de facto” attivo nelle consuetudini della popolazione fino alla sua abolizione, verificatasi soltanto verso il termine delXV secolo.
Con il successivo arrivo deiFranchi, avvenuto sul finire dell'VIII secolo, il territorio venne sottoposto al sistema feudale, con il paese che inizialmente venne assegnato, al pari di gran parte della valle, ai monaci diTours per poi essere infeudato al Vescovo di Bergamo grazie a permute, donazioni ed investiture.
La contrada Cima Peia, posta nella parte più elevata dell'abitato
Con il passare degli anni al potere vescovile si affiancò quello di alcune famiglie della zona (Ficieni, Adelasi e Castelli), che riuscirono ad ottenere sempre più spazio, passando dal ruolo di grandi proprietari a quelli di feudatari de facto. Si trattava per lo più di casati residenti nel capoluogo di Gandino, di cui Peia continuava ad essere una frazione, così come indicato negli statuti della città diBergamo delXIV eXV secolo.
Tuttavia tra la popolazione cresceva sempre più il desiderio di emanciparsi dal potere vescovile e feudale, al fine di poter decidere in autonomia la gestione del territorio. A tal riguardo una data fondamentale per lo sviluppo economico e sociale dell'intera zona fu senza dubbio il 6 luglio1233, data in cui Arpinello Ficieni, dopo aver ereditato dal padre il feudo della val Gandino, decise di cedere in perpetuo tutti i suoi diritti feudali al comune di Gandino, rappresentato dall'Arengo, ovvero un'assemblea composta dalle famiglie più in vista di ognuna delle contrade che componevano il territorio comunale.
Questa indipendenza favorì ulteriormente lo sviluppo della produzione e dei commerci della lana qui prodotta. Ed ognuna delle contrade sviluppò una differente peculiarità nell'ambito della produzione dei panni lana: Peia ebbe la supremazia nell'allevamento di pecore, la cui lana era così pregiata e richiesta sul mercato che, per descriverne il tipo di tessuto qui prodotto, venne coniato il nome dilana peina (ovvero lana di Peia).
I numeri raccontano che lo sviluppo fu impetuoso: nel1369, come indicato nei dati del comune di Gandino, nel censuario di Peia risiedevano 44 famiglie per un totale di 235 persone (numero nel quale però non venivano conteggiati gli infanti). Nel volgere di poco più di un secolo, precisamente nel1491, la popolazione era triplicata, raggiungendo la cifra di 121 nuclei familiari e 674 residenti. Lo stesso valeva anche per i capi di bestiame (ovini e bovini sopra tutti) che in trent'anni raddoppiarono di numero.
Tuttavia a livello sociale cominciarono a verificarsi attriti tra gli abitanti, divisi traguelfi e ghibellini. Contrariamente al resto del territorio comunale dove si raggiunsero livelli di recrudescenza inauditi, nella contrada di Peia non si verificarono episodi di rilievo, anche se alcuni abitanti del borgo parteciparono a rappresaglie e spedizioni punitive organizzate dai gandinesi contro i paesi vicini. Furono comunque erette alcune fortificazioni nella zona alta dell'abitato, tra le quali la cosiddettaCittadella, della quale ancora esistono dei ruderi nell'omonima contrada, che ne testimoniano l'esistenza.
Questa elevata litigiosità tra compaesani provocò la fine dell'età comunale: nel1331 Bergamo e tutta la sua provincia decise di consegnarsi al Duca di Lussemburgo e Boemia, un sovrano ritenuto neutrale. La sua assenza dalla vita politica locale però portò i Visconti, signori della città di Milano, a conquistare la città stessa e le relative valli. La val Gandino optò per una totale sottomissione nei confronti dei nuovi dominatori, ricavandone un trattamento di favore che garantì privilegi fiscali ed amministrativi.
Il sentiero della lana nella sua parte più a valle
I decenni successivi videro continui cambi di dominazione, con laRepubblica di Venezia che si alternò più volte ai Visconti stessi.La situazione si stabilizzò soltanto a partire nella seconda metà delXV secolo, quando laSerenissima ebbe definitivamente la meglio. I veneti inserirono Gandino e la sua contrada Peia nellaQuadra della val Seriana di Mezzo.
All'interno delle istituzioni amministrative gandinesi, Peia forniva 16 degli 80 membri dell'arengo, nonché 2 rappresentanti sui 12 che componevano ilconsiglio di Credenza. Non erano invece previsti abitanti di Peia tra gli anziani che componevano ilconsiglio della valle, organo sovracomunale che raggruppava i paesi della val Gandino e che aveva la facoltà di far rispettare i voleri della Serenissima.
Una volta stabilizzatasi la situazione politica, la val Gandino visse il periodo più florido della sua storia, favorito anche da sgravi fiscali (concessi già in epoca viscontea), da una diminuzione della pressione fiscale e da maggiori autonomie concesse dalla Serenissima. A partire dalla seconda metà delXVI secolo fino alla fine del successivo, il mercato della lana toccò l'apice dello splendore, con numerose famiglie gandinesi (tra cui anche i Biadoni ed i Rottigni, originari di Peia) che posero le basi dei propri commerci in differenti zone della penisola italiana e dell'Europa, con il nome della lana di Peia che varcò i confini locali.
A tal proposito, per favorire le esportazioni, venne decisa la costruzione di una strada che dal centro abitato di Peia raggiungesse Ranzanico, posto in val Cavallina, da cui poi era possibile abbreviare notevolmente il percorso dei mercanti verso Nord, accedendo allaval Camonica e quindi ai mercati del Nord Europa. Questa mulattiera, edificata in luogo di un piccolo sentiero già esistente conosciuto comevia delle ripe de Ranzanico, passava dallaForcella, un piccolo valico posto tra i monti Pler e Pizzetto.
L'antica contrada Cà Bosio, con la chiesa di santa Lucia
La sua costruzione presentò però alcuni problemi, dal momento che nel1464, pochi mesi dopo aver ottenuto le autorizzazioni richieste ai Rettori di Bergamo, i lavori vennero bloccati dall'opposizione dei comuni di Ranzanico ed Endine, per nulla intenzionati a permettere il passaggio della strada sui loro territori. Per redimere la questione intervenne anche il condottieroBartolomeo Colleoni, al quale la mulattiera sarebbe stata utile per agevolare un eventuale spostamento delle proprie truppe, ma senza esito. La questione passò quindi aiSavi di Terraferma', organo della Serenissima, che fissò un indennizzo per i comuni “ribelli” e sancì che tutte le spese fossero a carico del comune di Gandino.
La strada, conosciuta con il nome di "mulattiera della Forcella" o "via della Lana" e con una larghezza media di due metri, venne completata al termine del1466.
Nei decenni successivi vi furono alcuni violenti scossoni alla tranquillità degli abitanti, dati dalle epidemie di peste che ebbero effetti devastanti. La prima, nel1467, fu provocata da alcuni soldati al ritorno da operazioni militari; la seconda, nel1529, causò la morte di decine di persone, mentre la terza tra il1629 ed il1630, tristemente nota anche per essere narrata daAlessandro Manzoni, fu la più disastrosa. In quest'ultimo caso morirono ben 551 persone su 1236 (pari a circa il 44% del totale), tanto che gli abitanti cercarono di evitare la diffusione del morbo ponendo dei posti di blocco all'ingresso del paese e mettendo in quarantena i mercanti di ritorno dai traffici commerciali.
Ma contestualmente nelle contrade di Peia, che ormai aveva superato i mille abitanti, cominciò ad acutizzarsi il sentimento di autonomia nei confronti di Gandino. Fu così che nel1531 la popolazione fece ufficiale richiesta presso la Serenissima di potersi ergere a comune. La vertenza si protrasse a lungo per via della ferma opposizione di Gandino, ma il 1º giugno1542 venne firmato il decreto che sancì la separazione tra le due realtà. Per evitare future diatribe, fu deciso che entrambe mantenessero indivisi i diritti di pascolo nella zona che andava dalmonte Farno fino al Pler.
Una ventina di anni più tardi, precisamente nel1561, gli abitanti di Peia riuscirono a spezzare l'ultimo vincolo che ancorali li legava a Gandino, ergendosi a parrocchia autonoma, intitolata asant'Antonio da Padova.
Già nel1566 sono documentati i primi statuti di Peia che, approvati dai rettori della città di Bergamo, indicavano l'ordinamento amministrativo che regolava il comune: un'assemblea composta dai capifamiglia aveva la facoltà di nominare tre persone, una di ognuna delle tre principali contrade (Cà Zenucchi con Cà Bosio, Cà Bettera e Cà Rottigni), le quali avrebbero poi eletto per ogni nucleo dueCredenderi, ovvero Consiglieri della Comunità.
Nella seconda metà delXVIII secolo il paese fu invece colpito dalla crisi della produzione deipanni di lana, dovuta all'importazione di prodotti esteri a prezzo più basso, che mise in ginocchio la pastorizia ed il commercio della materia prima.
Gli edifici, di recente costruzione, attorno alla chiesa parrocchiale
Nel1789, in seguito altrattato di Campoformio, l'intera provincia fu assoggettata allanapoleonicaRepubblica Cispadana. Successivamente, nel1809, nell'ambito di un'ampia opera di riorganizzazione delle realtà comunali volta a favorire i grossi centri a scapito di quelli più piccoli, l'istituzione francese aggregò nuovamente Peia al comune di Gandino, al pari dei vicini centri diBarzizza,Cazzano Sant'Andrea eLeffe. Nel1816, in seguito al passaggio della zona all'austriacoRegno Lombardo-Veneto, il comune riacquisì la propria autonomia amministrativa.
Tuttavia la situazione economica degli abitanti andò via via peggiorando sempre più, complice la crisi che investì il commercio della lana, causato da una forte perdita di competitività data dal livello medio-basso del prodotto. Si affermò l'emigrazione, con conseguente calo della popolazione, che passò dai 1 310 abitanti del 1776 ai 1095 del1853, numero che nei decenni successivi si stabilizzò, crescendo in modo consistente solo all'inizio delXX secolo, dato che nel1901 vennero censiti 1410 residenti, impegnati per lo più nell'agricoltura e nell'allevamento.
Nel1934 gli abitanti di Peia, unitamente a quelli di Leffe, avanzarono la proposta di unione tra i due comuni. Nonostante l'approvazione dei relativipodestà, la domanda non ebbe seguito.
La vocazione agricola del borgo mutò radicalmente a partire dagli '50 quando, sull'onda del boom economico che si verificò nei vicini centri di Leffe e Gandino, sorsero numerose attività industriali ed artigianali legate per lo più all'industria tessile manifatturiera. Infatti, come testimoniato dai numeri forniti dal censimento del1981, tre persone su quattro risultavano occupate in tali attività, mentre l'agricoltura veniva relegata ad un misero 3%.
Anche la struttura del borgo ne risentì, dato che fu investita da un notevole sviluppo edilizio, che in alcuni casi portò all'unificazione delle differenti contrade fino ad allora separate, creando una soluzione di continuità abitativa anche con il vicino borgo di Leffe.
In ambito religioso, la struttura di maggiore importanza è lachiesa parrocchiale di Sant'Antonio da Padova. La costruzione dell'edificio, inizialmente intitolato asant'Antimo, prese il via nel1429 e fu terminato nel corso delXV secolo. Edificato in posizione dominante sulla valle con orientamento dell'altare ad Est, venne sottoposto ad un primo ampliamento nel1738, quando vi fu aggiunto ilcoro a pianta ellittica, e ad un ulteriore ingrandimento nel1904 quando, su progetto diVirginio Muzio, furono aggiunte le navate minori.
La facciata esterna, mossa da linee settecentesche, presenta quattro nicchie entro le quali vi sono le statue, intagliate da Emilio Bettinelli nel1906), dei santi Antonio, Giuseppe, Nicola e Lucia.All'interno è arricchita da stucchi e dorature, da quattro medaglie raffiguranti scene della vita del santo patrono, nonché da tele e dipinti tra i quali meritano menzione laSantissima Trinità diGian Paolo Cavagna (dipinta nel primo quarto del XVII secolo), laCrocifissione di Gian Giacomo Pandolfi (1612), laDeposizione diFrancesco Zucco (1626) e l'Estasi di sant'Antonio diPonziano Loverini. Attigua alla parrocchiale, con cui condivide il sagrato, si trova anche la piccola chiesetta Beata Vergine Immacolata.
Notevole importanza storica, nonostante lo stato di avanzato degrado, ricopre la chiesa di Santa Elisabetta, costruita tra il1517 ed il1520 in luogo di un precedente edificio di culto. A fianco di essa passava infatti lavia della lana, utilizzata tra mercanti e viandanti: di conseguenza la struttura era dotata di stanze nelle quali venivano ospitati e rifocillati i viaggiatori. Di stile romanico, al proprio interno custodiva affreschi e dipinti di pregio, andati poi perduti o sottratti furtivamente.
Sempre in campo religioso, è presente anche lachiesa della Beata Vergine delle Grazie, sita nella contrada Cà Rottigni e risalente alla fine delXVI secolo, quando fu edificata al posto di un'edicola probabilmente durante l'epidemia nota comePeste di San Carlo.All'interno si possono ammirare un dipinto raffigurante laMadonna con Gesù Bambino e san Giovanni, opera cinquecentesca del Callegari, ed un affresco di Pietro Servalli.
Le altre chiese sussidiarie presenti sul territorio comunale sono la secentesca chiesa di santa Lucia e sant'Appollonia (ma comunemente conosciuta solo con il nome della prima), situata nella contrada Cà Bosio e che presenta linee semplici; la chiesa di sant'Urbano nella contrada Peia Bassa, ed infine la chiesetta di san Rocco, in contrada Cima Peia ma in posizione isolata rispetto al centro abitato, edificata al termine dell'ondata dipeste del 1630 e restaurata nel1796.
Panorama dalla val Boala, presso il bivio per le località Poiana e Barca
Sul territorio comunale sono presenti una grande quantità di itinerari, adatti ad ogni tipo di utenza, grazie ai quali è possibile stare a contatto con la natura.
Tra i principali vi è il sentiero, contrassegnato con il segnavia delC.A.I. numero 547 che prende il via dal fondovalle nella zona Nord del territorio, nei pressi della zona degli opifici di Gandino. Salendo raggiunge la contrada di Cima Peia, da cui poi diventa una comoda mulattiera che, inerpicandosi sulle pendici del monte Pizzetto, si mantiene a monte dei prati diCap e giunge fino alla località Monticelli (1.116 m s.l.m.) dove interseca il sentiero numero 513. Quest'ultimo, che proviene dallavalle Rossa, si mantiene in quota lungo lo spartiacque con la val Cavallina, ovvero il crinale che delimita il confine comunale, salendo fino alla pozza dei Sette Termini, da cui è possibile poi raggiungere il rifugio storicoMalga Lunga e la zona delmonte Farno.
Di grande importanza a livello storico è inoltre l'anticavia della lana, strada medievale utilizzata dai mercanti, che nell'anno2002 è stata al centro di un intervento di manutenzione e recupero. L'opera, cofinanziata dal comune di Peia e dalla comunità montana della val Seriana, riguarda il tratto che va dalla chiesa di santa Elisabetta fino alla contrada Cà Biadoni. Nella parte più a monte, nei pressi dellaForcella, si trova lapozza del Lino antica sorgente anch'essa recuperata (grazie alFondo Europeo Agricolo), dove un tempo avvenivano gli incontri e gli scambi tra le comunità delle due vallate. Poco distante si trova la sommità del monte Pizzetto, nei pressi della quale merita una visita la statua della Madonna della Vita, nota anche come Madonna del Pizzo, con posizione dominante sulla val Gandino.
Gli stranieri residenti nel comune sono 42, ovvero una percentuale pari al 2.2% della popolazione, uno dei valori più bassi della zona. Di seguito sono riportati i gruppi più consistenti[8]:
Paesi e luoghi di Bergamo. Note di etimologia di oltre 1.000 toponimi, Umberto Zanetti. Bergamo, 1985
Atlante storico del territorio bergamasco, Monumenta Bergomensia LXX, Paolo Oscar e Oreste Belotti.
La famiglia bergamasca dei Manni marmorari intarsiatori, Luigi Angelini, inLa Rivista di Bergamo, prima parte, ottobre 1960, 5-11; seconda parte, novembre 1960, 5-14.
Le chiese parrocchiali della Diocesi di Bergamo. Pagnoni, Appunti di storia e di arte, Edizione Il Conventino, Bergamo 1974.
La famiglia Manni di Rovio. La scultura decorativa e l'arte della tarsia marmorea in terra bergamasca, in Giorgio Mollisi (a cura di), Svizzeri a Bergamo nella storia, nell'arte, nella cultura, nell'economia dal Cinquecento ai giorni nostri. Campionesi a Bergamo nel Medioevo, Arte&Storia, anno 10, numero 44, settembre-ottobre 2009, 158-165 (con ampia bibliografia).