La sua posizione strategica nell'alta valle del fiumeCoscile (anticoSybaris di epoca magno-greca) alle pendici delmassiccio del Pollino, ha contribuito al suo sviluppo in epoca antica ed al suo splendore nei periodi medievale e rinascimentale, in particolare sotto la signoria dei Sanseverino di Bisignano.
Morano Calabro si trova in una verde zona collinare della valle del fiumeCoscile, nei pressi del confine con laBasilicata. Il suo territorio è caratterizzato da rilievi in larga parte della sua superficie, particolarmente accentuati nei versanti posti a nord e a nord-ovest. Un'ampia conca semipianeggiante intervallata da colline si situa a partire dalle adiacenze suburbane: essa è fiancheggiata ad ovest dal borgo sul Colle di Morano e dalle pendici del monte Calcinaia a sud; a nord dal Piano di Ruggio (1.550 m.), dalMonte Pollino (2.248 m.), dallaSerra del Dolcedorme (2.267 m.) e dallaSerra del Prete (2.181 m.); sul versante ionico dai monti Sant'Angelo e Monzone; in quello tirrenico dalla pietrosa scoscesa che conduce alValico di Campotenese. L'altopiano in cui sorge appunto Campotenese, vista la sua altitudine, ha già caratteri prettamente montani e costituisce il naturale sbocco di accesso alla catena del Pollino che si sviluppa orizzontalmente rispetto ai due versanti calabri. Esso, per via della sua posizione intermedia, separa la catena suddetta dai monti diOrsomarso: il territorio in cui è sito il centro appartiene infatti al complesso montuoso di Orsomarso eVerbicaro, sebbene l'area comunale si espanda come già detto anche a nord, lambendo il crinale della catena del Pollino, e ad ovest costeggiandoMormanno e il monte Timpone del Vaccaro (1.436 m.). La superficie territoriale del comune è pari complessivamente a 116,25 km² ed è compresa fra i 422 e i 2.226m s.l.m. con un'escursione altimetrica pari a 1.804 m.
La singolare conformazionepedologica della zona del Pollino, nonché la differenza di altitudine che si riscontra, contribuiscono alla caratterizzazione del territorio. Si evidenzia infatti un suolo di tipo collinare e montano, con formazioni sedimentarie e vulcaniche, spesso con un substrato calcareo e carsico in particolare nelledoline d'alta quota dove si alternano a zone brulle o radure, ad aree fitte di vegetazione e riaffioramenti rocciosi, in particolare lungo le gole. Concernentemente all'utilizzo delle risorse del suolo, in linea meramente macroscopica esso è sfruttato percolture agricole al 27,02 % della sua estensione totale, mentre le aree boschive e gli ambienti semi-naturali coprono il 72,37 %. Appare evidente che le zone artificiali, ovvero la superficie comunale comprendente l'area urbanizzata e industriale costituisce il restante 0,62 %, pari a 69,64 Ha. L'area boschiva in particolare è piuttosto vasta: oltre al già citato piano diCampotenese e le sue estese aree limitrofe, ricordiamo il piano di Ruggio, i boschi delMonaco, diPollinello edella Principessa.[5] Lezone boschive sono così suddivise: 12 % boschi misti, 9 % boschi dilatifoglie, 27 % diconifere, mentre al pascolo naturale e alle praterie in quota è riservato il 18 % della superficie.[6]
Lo sfruttamento delle aree agricole è praticato tradizionalmente nel territorio in quanto esso rappresentava e rappresenta una delle principali fonti produttive. Le colture che sopravvivono sono in larga parte quelle tradizionali praticate nelle sedi e nei luoghi caratteristici: ciò si deve in buona parte all'estrema pendenza dei versanti montani e alla presenza di aree boschive e di alta quota che sovente le differenzia anche nelle tipologie, sebbene il rapporto fra la superficie agricola totale e quella realmente utilizzata non sia uguale. Le colture pertanto sono prevalentemente seminative in aree non irrigue (13 %), mentre quelle agrarie con spazi naturali coprono circa il 6 %; le colture promiscue (oliveti evigneti) coprono l'1 % accompagnandosi sovente anche a quelle annuali e stagionali (7 %).[7]
In ragione del divario di altitudine, sul territorio insiste una certa varietà di flora e fauna, differenziantesi man mano che si ascende verso i punti più in quota. Nella fascia tipica della zona collinare e pedemontana, troviamo varie specie arboree, quali ad esempio l'olmo, ilgelso bianco e ilgelso nero, ilcerro, l'olivo, laroverella, illeccio, l'ontano e ilpioppo; alle quote più alte invece, oltre alfaggio, alpino nero, alcarpino e l'acero campestre, incontriamo l'abete bianco e soprattutto ilpino loricato, specie rarissima presente sulle più alte pendici. Lafauna si popola ditassi,volpi,cinghiali, vi è anche illupo appenninico, ma negli ambienti acquatici più incontaminati è presente lalontra; non mancano fra gli uccelli ilnibbio reale.[8]
Il profilo idrografico del comune è assai vivace vista la posizione in cui si contestualizza il territorio. Ad un'altezza di 668 m. è situata infatti la sorgente del già citato fiume Coscile alle pendici del Monte Cappellazzo (1210 m), sovente accompagnato da una fitta vegetazione riparia specie in alcuni tratti localizzati nei pressi dell'abitato. L'attività di intervento artificiale volta alla canalizzazione o allo sfruttamento delle acque del Coscile non è stata del tutto marginale, era altresì necessaria per l'attività agricola o per l'alimentazione deimulini: l'estensione della rete storica è stimata per una superficie di circa 350 ettari[9]. Lungo gli altopiani circostanti si trovano numerose sorgenti che, come la precedente, hanno carattere prettamente torrentizio, fra queste ricordiamo le sorgenti: Romanie, San Francesco, Pietra del Torno, Del Monaco, Tufarazzo, Serra, Tirone.[10]
Da un punto di vista climatico la zona di Morano Calabro è influenzata dalla sua posizione geografica interna, in particolare dai rilievi che cooperano nello schermare il passaggio dell'aria umida marittima dei versanti ionico e tirrenico; inoltre gli stessi divari di altitudine presenti nel suo territorio, contribuiscono alla differenziazione climatica interna. Notevoli e uniformi le precipitazioni su tutto il territorio, in particolare sulle alture, esse si concentrano nei mesi invernali e tardo autunnali, mentre si alternano nei mesi estivi periodi di scarsi o assenti fenomeni.
Lapis Pollae (il nome "Muranum" appare all'inizio della quinta riga)
Sull'origine deltoponimo non si hanno precise concordanze storiche e si sono ipotizzate varie teorie. Fra le tante, la congettura creatasi sull'erronea supposizione che Morano sia stata fondata o abitata daimori, giustificata sulla base di una presunta assonanza etimologica. Questa tesi è in realtà del tutto infondata, visto che l'insediamento (accertato dalII secolo a.C.) era preesistente alleincursioni saracene. Lo storico Gaetano Scorza, secondo il quale Morano avrebbe origini più remote rispetto a quelle documentabili (forsemagno-greche), convalida la sua ricostruzione rifacendosi al verbo greco μερυω (merùo), cioè "raccogliere insieme, cumulare",[12] chiara allusione alla singolare struttura urbana nella quale gli edifici paiono essere gli uni attaccati agli altri: anche questa proposta però appare poco realistica, perché il borgo ha assunto questo aspetto solo nel lungo corso dei secoli. Da ultimo, lo scrittoreVincenzo Padula nellaProtogea del1871, immagina che il toponimo derivi dall'ebraicoMòren adoperato nelTalmud con il significato dicastello, il che proverebbe la fondazione di un fortilizio contemporaneamente allo svilupparsi di un centro urbano, benché sia inverosimile confermare tale esotica etimologia.[13]
Morano Calabro, scorcio dal centro storico
Dunque ilMuranumlatino storicamente attestato dalle fonti, pone chiara luce sulla sua esistenza in epoca romana e riapre la questione sulle origini, avvalorando un'ipotesi fortemente plausibile, ma non suffragata da risultanze storiche inconfutabili. Poiché ilsuffisso latinoprediale-anum indica in questi casi vasti fondi e proprietà di una data famiglia importante della zona, non appare senza fondamento supporre che si tratterebbe di unantroponimo, derivante diMurus oMurrus, da cui il nomeMuranum.[14]
I più evidenti riscontri sulla esistenza del borgo risalgono alII secolo a.C., periodo nel quale è possibile collocarla con esattezza, benché ciò non smentisca un'ipotetica preesistenza. A questo proposito, i richiami di alcuni autori dei secoli passati sembrano convalidare la tradizione di un'origine magno-greca o precedente. Ad esempio, Giovan Leonardo Tufarello congettura riguardo ad una remota fondazione degliEnotri, i quali dopo aver lungamente perlustrato i dintorni e trovato il sito dove dimorare, esclamarono «Hic moremur!»,[16] da cui si originerebbe fantasiosamenteMorano dal verbomŏror. Altri come Gabriele Barrio credevano che il paese fosse la ricostruzione della antica Sifeo (o Xifeo) che sorgeva nei paraggi sul crinale dell'attuale colle di Sassòne e che venne distrutta.[17] Le fonti degli autori tradizionali, lontane da metodologie di ricerca attendibili, offrono tuttavia una traccia che sembra emergere da recenti ricognizioni archeologiche. I rinvenimenti presso Sassòne, lasciano senz'altro immaginare che sui luoghi ci fossero attività umane già inepoca protostorica, essendo il territorio un crocevia per numerose direttrici di transito, come si confermerà nelle epoche successive.[18] In merito a un insediamento greco, fra le recenti scoperte si considerano il rinvenimento dimonete di Thuri e di alcune sepolture concorredo vascolare nelle contrade Foce e Santagada a ridosso del fiume Coscile, cosa che attesterebbe la continuazione di vita nella zona fin dall'epoca arcaica.[19]
Gli storici dunque, pur riscontrando attività antropiche nel territorio in epoche remote tali da far pensare a un proto-insediamento, confermano senza dubbi l'esistenza diMuranum solo in epoca romana come stazione dellaVia Capua-Rhegium, strada consolare comunemente denominatavia Annia-Popilia. Il toponimo compare per la prima volta in una pietra miliare delII secolo a.C., la cosiddettaLapis Pollae (olapide di Polla), nella quale sono contrassegnate le distanze fra le antiche città romane: Morano vi compare come tappa già presente ai tempi della sua costruzione, precedente aCosentia alla distanza di 49.000 passi, pari a 74 km. Tuttavia, lastatiodell'anticaMuranum, sebbene non attesti la contemporanea sussistenza di un centro abitato, lo fa senz'altro supporre visto che proprio la presenza sull'epigrafe pare suggerirne una qualche importanza. A tal proposito si suppone che la fondazione romana possa esser posta cronologicamente in concomitanza alla conquista della vicinaNerulum, occupata dal consoleQuinto Emilio Barbula nel317 a.C..Successivamente, Morano la si ritrova con il nome diSummuranum nel cosiddettoItinerario di Antonino (III secolo d.C.) e nellaTabula Peutingeriana (III secolo d.C.). L'importanza strategico-militare del sito apparve subito evidente ai Romani, come in precedente epoca greca lo era stata per ragioni prevalentemente commerciali e di transito.[19]. Da Morano poteva infatti esercitarsi il controllo dell'area della Valle dell'Ospedaletto, la quale a nord-ovest, attraverso l'altopiano di Campotenese, è in comunicazione con la Valle di San Martino sotto l'influenza di Nerulum: così sarebbe stato possibile mettere in comunicazione il territorio di bacino dei rispettivi fiumi, ossia ilLaos (per gli insediamenti di Nerulum eLainum) e ilSybaris (per Muranum e rispettiva area fino aThurii).[20]
La prima significativa notizia storica di epocaaltomedievale, si fa risalire alleincursioni saracene delX secolo. La tradizione attesta che a quell'epoca i moranesi vinsero isaraceni in un leggendario fatto d'armi ricordato come labattaglia di Petrafòcu, svoltasi nelle adiacenti campagne. Ad essa oggi ci si richiama come simbolo dell'indipendenza cittadina in una annuale azione storica in costume, laFesta della bandiera, oltre cheiconograficamente nellostemma comunale. L'episodio - tra l'altro così rinvenuto in un documento del tardoseicento dallo storico Cappelli[21] - pare essersi sedimentato nella memoria civica collettiva, come prova il richiamo simbolico alla testa delmoro già dal1561. Benché con il tempo la battaglia sia stata assorbita dal mito, ciò non esclude la reale possibilità di uno scontro con l'invasore saraceno; anzi è da ritenersi più che probabile viste le continue incursioni avute fra alterne vicende dalIX alXI secolo. Tuttavia, essendo stata occupata la vicinaCassano proprio dai saraceni nell'anno1031 durante le successive episodiche invasioni, è facile intuire che, per la sua strategica posizione, anche Morano infine venisse occupata; dunque l'accaduto sarebbe da ritenersi come un glorioso episodio di resistenza al nemico, trasmesso da una tradizione originariamente orale. In quegli anni infatti, le scorribande musulmane da parte del fratello di Abul-Kasem-Ibn-Hasan del976 e del986 si fecero più sanguinose, concentrandosi fra il nord dellaCalabria, laLucania e lePuglie, dunque appare poco probabile che Morano ne restasse esclusa.[22]
Seguendo la cronologia dei vari signori di Morano, il primo del quale si abbia notizia pare essere Apollonio Morano, che la tenne in feudo sicuramente dal1239;[23] in seguito fu dei Fasanella, di Antonello Fuscaldo e nelXIV secolo passò quindi aiSanseverino di Bisignano. Tuttavia, in età medievale il borgo fu per un certo tempo libero comune[24], ed è opinione dello storico Salmena ritenere che Morano abbia goduto in maniera significativa di numerosi privilegi e immunità, tali da rendersi concorrenti a un pienodominio feudale. A tal proposito, questa posizione può essere giustificata dallaPlatea del1546 compilata da Sebastiano della Valle sudecreto dell'imperatoreCarlo V: documento di essenziale importanza nel quale venivano distinti i diritti feudali da quelli spettanti alSeggio di Morano ed al popolo. Redatta come reintegra di un documento simile del1400, dalla sua lettura si evince una certa emancipazione delle famiglie maggiorenti locali, che sostenevano precedenti libertà econsuetudini tali da incidere in maniera più o meno significativa sulla diretta disponibilità delfeudatario stesso.[25] La stratificazione temporale di questo stato di cose, lascia ben immaginare al Salmena l'idea non infondata di una Morano liberade facto in alcuni periodi, mentre in altri permaneva come feudo avente numerosefranchigie di natura economica, gestionale, difensiva.[26] A convalida di questa tesi si riporta: in primo luogo, il fatto che Morano non abbia mai avuto annesso a sé nessun titolo di principe, marchese, duca o conte; secondariamente, la presenza di famiglie di origine locale che godettero didiritti allodiali etrattamenti nobiliari, fra le quali infatti si distingueranno i De Feulo, De Guaragna, Della Pilosella, Dell'Osso, Tufarelli, Salmena/Salimbeni ed altre.[27]
È quindi assai probabile che Morano non fosse ancora infeudata aiNormanni nel1190, ovvero che mantenesse lo status dicittà regia. Di conseguenza, in quello stesso anno Enrico Kalà, generale dell'imperatore SvevoEnrico VI, decise di potenziarne le fortificazioni per meglio controllare i Normanni asserragliati nelle vicinanze. I soldati diOttone tuttavia distrussero Morano nel1208, e poi fu proprio per intercessione del Kalà pressoFederico II che il borgo, con alcune città vicine, venne successivamente ricostruito e ripopolato. A questo periodo si suppone risalga il nucleo primigenio di privilegi e immunità che per consuetudine saranno riconfermati secoli dopo sia dallaPlatea del 1400 che da quella del 1546.[28]
Nell'ultimo decennio delXV secolo, Morano fu protagonista di un avvenimento a margine delle prime fasi delleguerre d'Italia, ossia il passaggio delGran CapitanoConsalvo de Córdoba. L'episodio, da menzionare comescontro della Scala di Morano, avvenne nel1496 durante il transito del condottiero andaluso lungo le Calabrie a capo delle truppe del reFerdinando. Giungendo dalla vicinaCastrovillari, Consalvo si trovò a fronteggiare un'inaspettata schermaglia dei moranesi lungo la salita dettascala di Morano, oggi nota comeil Crocifisso. Le fonti storiche a questo punto divergono, affermando da un lato, che l'imboscata venisse compiuta da contadini e popolani di Morano; dall'altro, che questi fossero guidati (o istigati) da un manipolo di notabili del borgo avversi alla monarchia aragonese.[29] Qualunque siano stati gli oscuri antefatti, il Córdoba fu costretto a ripiegare nuovamente su Castrovillari vista la resistenza degli abitanti. Venuto quindi a conoscenza che nel castello diLaino si rifugiarono alcuni nobili ben armati, fra i quali il Conte di Mileto e Alberico Sanseverino, ilCapitano aggirando il blocco, riuscì ad occupare Morano, stanando a sorpresa gli imboscati nel loro rifugio. È possibile che in detto scontro il Sanseverino restasse ucciso, mentre gli altri congiurati furono neutralizzati;[30] tuttavia, è voce comune che Morano fosse risparmiata dai saccheggi delle truppe. A questo punto si deve rilevare che la vicenda, come storicamente accertabile, si tinge dei colori del mito. Infatti dopo loscontro, si narra che ilgran Capitano incontrò unfrate francescano lungo la strada verso Morano, il quale cercò di dissuaderlo dal compiere atti di rappresaglia contro i moranesi. Una volta giunto in paese e varcata la soglia della chiesa diSan Bernardino, Consalvo riconobbe proprio nella statua del Santo le stesse sembianze del monaco nel quale si era imbattuto lungo il cammino. Così, deposta la spada ai suoi piedi, si convinse a non infierire sugli abitanti. Non è chiaro se questo mito sia scaturito da un artificio dello stesso Consalvo, sta di fatto che da tale racconto pare si origini la devozione a San Bernardino, che la tradizione vuole aver assunto ilpatronato di Morano a seguito di questo episodio.[31]
La famigliaSanseverino di Bisignano, come anticipato, acquisì il feudo di Morano a partire dalXIV secolo. Il legame dei suoi esponenti verso i loro domini fu sempre stretto, ed in particolare testimoniarono il loromecenatismo costellando Morano di pregevoli tracce storico-artistiche e di numerose liberalità, inaugurando quello può definirsi unperiodo aureo sia sotto il profilo culturale che economico. Fra i lascitisanseveriniani si citano ad esempio la fondazione votiva del Monastero diSan Bernardino da Siena patrono della città (1452), l'ampliamento delcastello (1515) e la costruzione delPalazzo de lo conte coevo, ai piedi dell'abitato.[32] Il principePietro Antonio Sanseverino, maggior esponente della famiglia del periodo, accordò inoltre numerose concessioni con il notoattoCapitoli e Grazie,ratificato in Morano il 1º agosto1530;[33] inoltre suo figlio,Niccolò Bernardino (ricordato per gliorti botanici sanseverini diNapoli), vi nacque nel1541 dal suo secondo matrimonio con Erina Kastriota-Skanderbeg: gli venne dato come secondo nome quello del santo patrono locale, a suggellarne il legame. Niccolò Bernardino, fu l'ultimo esponente del ramo, poiché dalle sue nozze con Isabella della Rovere, non nacque che il figlio Francesco Teodoro morto precocemente. Passando in seguito i feudi in mano alla figlia di sua sorellaGiulia Orsini, questi vennero progressivamente alienati prima della controversa causa che portò Luigi dei Sanseverino di Saponara come erede legittimo. Anche Morano venne ceduta, passando nel1614 ai PrincipiSpinelli di Scalea, che lo manterranno fino all'eversione dalfeudalesimo durante il periodo napoleonico nel1806.
Una nota particolare merita il grande flusso migratorio che ha interessato il borgo fra l'ultimo ventennio delXIX secolo e i primi del'900, così come è attestato da un drastico calo demografico. Gli abitanti censiti nel1881 sfioravano le 10.000 unità, mentre nel1901, dopo vent'anni, erano 6.596. Gran parte di questi flussi erano indirizzati all'estero, in particolar modo verso alcuni paesi dell'America Latina: Brasile, Colombia, Costa Rica e Guatemala. All'inizio deglianni ottanta, ilcomune di Morano Calabro si ègemellato con la città diPorto Alegre, capitale del Rio Grande do Sul, inBrasile, per l'alta concentrazione di moranesi, stimati intorno alle quindicimila persone.
Sul fondo dell'arme di colore azzurro campeggia una testa dimoro con ilfez, il quale richiama simbolicamente allabattaglia di Petrafòcu del1076, nella quale i moranesi sconfissero i saraceni portando inpatria cometrofeo il capo sanguinante di un lorosoldato o capo diguarnigione. Tale aneddoto è inoltre evocato più esplicitamente dall'aulica scrittaclassicheggianteVivat sub umbra (che stia sotto l'ombra [il moro]). Alla base, sono rappresentati tre monti che sono: Morano, Sant'Angelo di Colloreto e Pietrafoco.
Le origini dello stemma di Morano Calabro risalgono al1561, anno in cui venne scolpito su una lastra marmorea posta sull'anticafontana di piazzasan Nicola ai tempi del sindacato di Decio Feulo. Alla composizione più antica dellostemma si sono aggiunti alcuni arricchimenti nei periodi successivi, fino all'attuale aspetto che ne rappresenta un definitivo compendio. Infatti, nella forma più risalente nel tempo, la testa di moro veniva rappresentata con barba e cappello conico senza i tre colli sottostanti, in maniera assai simile alla effigie del sigillo dell'Universitas Morani con le due varianti ad oggi pervenuteci: la prima, nel mottoVivat sub Umbra a cui era aggiunto il sostantivomorus (il moro) e la scrittaArma Morani; la seconda, di tipo iconografico, nella quale la testa del moro era presentata su un piatto o una coppa.
Dal principio delXVII secolo a seguire, lo stemma venne riprodotto oltre che su altri monumenti cittadini, quali la fontana di piazza Maddalena del1604, anche sul frontespizio dell'opera a stampa dell'erudito Giovan Leonardo Tufarello, iltrattato della Sagnìa del1599, consistente in uno scudo con tre monti sormontati dalla testa del moro.
Dal1982, negli atti ufficiali del comune, spesso si affianca lo stemma della città diPorto Alegre, capitale delRio Grande do Sul inBrasile, con cui la cittadina di Morano Calabro è gemellata.
Situata sulla sommità dell'abitato nei pressi del Castello, la fondazione risale intorno all'anno mille, probabilmente al1007. Sulle attuali architetture hanno inciso una serie di interventi successivi, ad eccezione del campanile in pianta quadrangolare di epoca medievale, che dell'impianto originario mantiene la posizione visivamente arretrata rispetto alla chiesa. Lafacciata a falde laterali ribassatea capanna, ammodernata inepoca barocca, è sormontata neltimpano da una nicchia con la statua di San Pietro attestabile alperiodo angioino. L'interno in tre navate a pianta basilicale è decorato da delicati stucchi instile rococò (seconda metà delsecolo XVIII).[35]
Le numerose opere custodite sono testimoni di un arco temporale che comincia dalXV secolo ai primi decenni dell''800. Si segnalano: unsarcofago inbassorilievo appartenente alla famiglia feudale Fasanella, unaffresco raffigurante laVergine delle Grazie proveniente dall'omonima cappella e unaCroce Processionale in argento di Antonello de Saxonia del1445. Risalgono alXVI secolo quattro statue inmarmo di Carrara eseguite daPietro Bernini scultore toscano attivo aNapoli, nonché padre del celebreGian Lorenzo, raffiguranti:Santa Caterina d'Alessandria eSanta Lucia del1592,San Pietro eSan Paolo del1602. Del medesimo periodo sono unaCandelora, statua appartenente probabilmente alla bottega di Giovan Pietro Cerchiaro, unSan Carlo Borromeo di Ignoto discuola napoletana (1654) su un altare policromo del periodo, unCompianto sul Cristo morto e due tele raffiguranti iSanti Pietro e Paolo delPomarancio, parti di untrittico appositamente commissionato dall'Università di Morano per la congregazione di Santa Maria della Pietà.[36] Importante è la presenza di duepale d'altare delseicento:l'adorazione dei pastori e laMadonna in trono col Bambinello e quattro Santi, attribuite al calabreseGiovan Battista Colimodio (1666).[37] Della seconda metà delXVIII secolo è ilCoro realizzato fra il1792 e il1805, capolavoro d'intaglio di Mario ed Agostino Fusco. Sul lato sinistro della balaustra, è un pregevole organo portatile delXVIII secolo.[38]
IlPolittico Sanseverino fu realizzato nel1477 dal pittore venetoBartolomeo Vivarini su commissione del feudatario Geronimo Sanseverino oppure del vescovo Rutilio Zenone, per ilMonastero di San Bernardino da Siena. Dopo vari tentativi di trafugamento e un accurato restauro, dal1995 è custodito presso la cappella di San Silvestro, nella sagrestia della Collegiata della Maddalena.
Fondata nel1097 al di fuori della cinta muraria come piccola cappella, l'accresciuto numero di fedeli rese necessario ampliarla nella seconda metà delXVI secolo per mandato delprevosto don Giuseppe La Pilosella. Assunto il titolo dicollegiata il 3 febbraio1737 conbolla dipapa Clemente XII, nel1732 venne ristrutturata un'ultima volta inpianta basilicale a croce latina a trenavate, mentre l'apparato decorativo commissionato a Donato Sarnicola, le conferì la sua attuale veste tardo barocca ritenuta fra gli esempi più ispirati dell'arte del tempo in Calabria. Ilcampanile (1817) e lacupola (1794) furono rivestiti successivamente dimaioliche in stile campano di colore giallo e verde nel1862. Lafacciata, completata neglianni '40 del XIX secolo in stileneoclassico, è ripartita in due livelli divisi da unacornice marcapiano costituita datriglifi emetope con simbologie classicheggianti conparastedoriche eioniche contornate negli spazi da ghirlande.[39]
Fra le numerose opere d'arte, appartengono alla scuola diPietro Bernini unciborio e dueangeli oranti facenti parte del corredo sacro; mentre è del celebre scultore delrinascimento meridionaleAntonello Gagini laMadonna degl'Angioli (1505) proveniente dal monastero di San Bernardino e posta su un altare deltransetto destro. In chiesa è anche unaAdorazione dei Magi che riporta una firma frammentaria, ma riconducibile al pittore locale Francesco Schifino, a lungo attivo anche a Firenze. La pala non è databile con certezza e non è possibile sapere se sia stata eseguita prima o dopo il soggiorno toscano.[40]
Fra i manufatti lignei sono assai pregevoli il coro (1792), ilpulpito ed alcuni stipi sacri realizzati fra la fine del Settecento e i primi anni dell'Ottocento da Mario ed Agostino Fusco. Sul fondo dell'abside, proveniente dal monastero di Colloreto, è un fastigio in marmipolicromi dei primi del secolo XVII completato dalle statue diSant'Agostino eSanta Monica con al centroMaria Maddalena orante, attribuita aCosimo Fanzago o alNaccherino, cui fanno ala dueputtini dello stesso periodo.
Il complesso monastico in stiletardo gotico è un esempio paradigmatico di architettura francescana del'400, fra i migliori rintracciabili inCalabria; inoltre, un accurato restauro in anni recenti, ha consentito il recupero di quasi tutti gli elementi strutturali originari.[43] Fondato dal conte Antonio Sanseverino di Tricarico, se ne autorizzarono i lavori con bolla diNiccolò V del 31 maggio1452. L'edificazione risale principalmente a due motivi concorrenti: al mecenatismo dei Sanseverino che volevano dotare di un'opera prestigiosa uno dei principali centri dei loro possedimenti, infine a ragioni di consonanza politica originata dallo stretto legame emerso in quegli anni fra lamonarchia aragonese e l'Ordine dei minori osservanti. I lavori, protratti per oltre un trentennio, si conclusero con la consacrazione del 23 aprile1485 dalvescovo diSan Marco Argentano Rutilio Zenone.[44]
L'esterno è in linea alla sobrietà delle architetture ispirate agli ideali francescani. La chiesa occupa l'intero fianco destro e il suo ingresso è aperto da unportico sulla cui parete di fondo appaiono tracce di affreschi risalenti agli inizi delXVI secolo. Al disotto è il portale d'accesso alla chiesa inpietra tufacea a sesto acuto, ed un secondo di minori dimensioni con arco ribassato che immette nel chiostro del monastero.[45] L'interno è costituito da una navata centrale divisa sul fondo dalpresbiterio attraverso un grandearco a sesto acuto; lungo l'intero lato destro di questa, ulteriori tre arcate a sesto acuto conducono in una piccola navatella laterale ripartita in due ambienti. Ventiquattro colonne di forma ottagonale in tufo sorreggono ilchiostro, nel quale insistono tracce di affreschi inlunette realizzati fra il1538 ed il1738 e rappresentanti la vita disan Francesco d'Assisi.
L'edificio fu protagonista di una storia travagliata dovuta a numerosi atti di rimaneggiamento d'epoca barocca (1717) e all'abbandono nel1811 a seguito dello scioglimento degli ordini monastici durante ilperiodo napoleonico. Destinato nel1843 aseminario estivo, ospitò in seguito i locali delle scuole pubbliche, i cui interventi architettonici come la muratura del portico, lo compromisero gravemente. Alcuni locali furono adibiti a deposito di legname e nel1898 un incendio distrusse buona parte dell'ala est, rimasta diruta fino ai primianni 2000. Un grande intervento di restauro attuato neglianni cinquanta a cura del professor Gisberto Martelli ripristinò la chiesa ed il portico allo stato originario, mentre il monastero fu recuperato nei decenni successivi, ed è oggi divenuto un complesso polifunzionale.[46] Nell'antica sala delrefettorio si tengono le sedute del Consiglio Comunale.
Ilsoffitto della navata centrale della chiesa è in legno lavorato a quadri carenato alla veneziana. Sotto l'arco principale è posizionato uncrocefisso delXV secolo ad opera di Ignoto meridionale dai connotati fortemente drammatico-realistici; ai suoi piedi era posizionato il già citatoPolittico Sanseverino, ed in alto a sinistra domina uno splendido pulpito conbaldacchino del1611 con decorazioni di gusto classicheggiante e raffigurazioni inbassorilievo di alcuni santi. Appartiene al corredo sacro un coro ligneo datato1656 ed un leggio del1538 posti nell'abside.[47]
Situata nel cuore del centro storico, l'ingresso si apre sulla piazzatta da cui prende il nome fra i vicoli delquartiere Giudea, nei pressi della più antica fontana moranese e dell'antico seggio cittadino dell'Universitas di cui teneva il patronato. La facciata è semplice, con un portale asesto acuto conarchivolto in muratura sul quale si trova rappresentato un affresco raffiguranteSan Nicola.
La chiesa si sviluppa su due piani sovrapposti. Lacripta sottostante di epoca altomedievale, è dedicata aSanta Maria delle Grazie ed è considerata fra le costruzioni più antiche del borgo.[48] Fra le opere custodite si annoverano: ungiudizio universale inolio su tela di Angelo Galtieri (1737), alcune statue lignee e tele delSeicento, e nella sagrestia unEspositorio in argento fusosbalzato ecesellato delXVIII secolo, corone di santi della seconda metà del secolo XVIII e del terzo decennio delXIX secolo, calici in argento fuso delXVII secolo, unreliquiario delXVI secolo, oltre ad una piccola scultura inalabastro dorato delsecolo XVI raffigurante laMadonna del Buon Consiglio.
Il piano superiore, in navata unica, è stato edificato negli anni intorno al 1450, ma rimaneggiato invasivamente in epoca barocca. Oggi delle architetture quattrocentesche non rimane traccia se non nel portale d'ingresso, ma si ha ragione di credere che l'interno fosse simile a quello del monastero di San Bernardino, con soffitto in legno ed arco a sesto acuto che dominava l'altar maggiore, così come ritenuto dallo storico Salmena. Fra le opere, meritano particolare attenzione un dipinto di Pedro Torres del 1598 con laMadonna tra Santa Lucia e Santa Caterina d'Alessandria, unaCirconcisione risalente alla prima metà del XVII secolo ed attribuibile al pittore localeFrancesco Schifino, per diverso tempo attivo anche a Firenze, purtroppo ridotta ai lati per essere adattata alla cornice settecentesca,[40] unCrocifisso ligneo di Ignoto delsecolo XVI, uno splendidoconfessionale del Frunzi (1795), unaAnnunciazione del 1735 diAngelo Galtieri, altre pale d'altare coeve ed un coro diAgostino Fusco del1779.[49]
Costruito fra il1590 ed il1606, il monastero dei Cappuccini è una struttura semplice, tipicamentefrancescana. La presenza dei frati minori si attesta già nel1598: in questi anni infatti venne ceduto il fondo su cui sorge il complesso dal notabile Giovan Maria Rizzo per tramite del canonico moranese Don Ambrogio Cozza che col sostegno dalla popolazione si attivò per la sua edificazione, come atto votivo nei riguardi diSan Francesco per una grazia ricevuta.[50] Soppresso inepoca napoleonica il 7 agosto1809 durante ildecennio francese, fu concesso inenfiteusi dal governo diMurat al moranese Giuseppe Aronna, colonnello dell'esercito francese. La riapertura al culto avvenne solo dopo la restaurazione borbonica il 16 settembre1855 su sollecitazione dei cittadini e per interessamento del reFerdinando II che destinò ai lavori di restauro la somma di milleducati napoletani durante la sua visita per leDue Sicilie del1852.[51] A seguito di una seconda soppressione attuata dal nuovo governo unitario, venne nuovamente abbandonato dal 7 luglio1866, e quindi definitivamente riaperto ai religiosi dal 6 giugno1877 sino ai giorni nostri.
La chiesa –dedicata a santa Maria degli Angeli – presenta una navata con cappelle sul fianco destro adornate da ricchi altari ligneiintarsiati alla cappuccina e risalenti al secolo XVIII, da un crocefisso monumentale in ceramica del '600, dalla statua della Vergine dei sette dolori diGiacomo Colombo (1704), tele e pregevoli statue coeve. L'altar maggiore, anch'esso ligneo e finemente intagliato (con riccociborio in tarsie dimadreperla e paliotto inscagliola policroma di scuola cappuccina), è sovrastato da unapala di gustotardo-manierista diIppolito Borghese e raffiguranteS. Francesco d'Assisi, la Vergine in trono ed alcuni santi.
Il monastero si sviluppa intorno ad un ampio chiostro in pietra del seicento, contornato da un austero porticato e cisterna centrale; all'interno è fornito di un'anticabiblioteca con più di settemila volumi, fra i quali si annoverano pregevoli manoscritti e stampe preziose.
Dal1884 al1889 e nuovamente a partire dal1990, è Comunità di formazione per inovizi deiFrati Minori Cappuccini dell'Italia Sudpeninsulare[52] e di alcuni Paesi esteri che vi trascorrono l'anno canonico di formazione prima di emettere ivoti temporanei.
Posta nelle adiacenze della Collegiata della Maddalena, venne fondata per opera dell'ordine deiPadri Carmelitani nel1568, i quali avevano allestito in quello che è l'attuale attiguo palazzo municipale un ospedale in soccorso dei viandanti interrasanta.
La chiesa è allietata da preziose opere del secolo XVIII tra cui sono esposti all'interno due paliotti su cuoio con decorazioni floreali attribuiti al pittoreFrancesco Guardi (rispettivamente del S.S. Sacramento e di S. Felice), una tela raffigurantela Vergine del Carmelo fra i santi Lucia e Francesco di Paola di Pedro Torres (altar maggiore) ed unacimasa pittorica di Cristoforo Santanna, raffigurantel'assunzione di Maria. Un piccoloorgano positivo del 700' di anonimo dipinto da Gennaro Cociniello adorna la cantoria.[53]
Sorge a qualche chilometro dal centro abitato, immerso nella boscaglia su un altopiano che sovrasta la campagna circostante lo svincoloautostradale di Morano. Oggi le strutture sono dirute, ma nei secoli scorsi il monastero godette di grande prestigio, soprattutto a seguito delle munifiche elargizioni tributate dai fedeli e dalla nobiltà locale, fra i quali ricordiamo la principessa Erina Kastriota-Skanderbeg, moglie del feudatario Pietrantonio Sanseverino.[54]
Il monastero di Colloreto, (la cui etimologia appare incerta, probabilmente daColle Loreto in onore dellaVergine di Loreto, o dacolorìto, termine che ne designerebbe la ridente e pacifica posizione), fu fondato dal Beato FrateAgostiniano Bernardo da Rogliano nel1546, il quale sceltone il luogo, iniziò la sua esperienza dieremita. Successivamente, lo seguirono altri uomini pii che costruirono il monastero grazie a numerosi atti di beneficenza.[55] L'edificio, così come ancora visibile, appare fortificato con un torrione, e fino ai primi dell'Ottocento anche i suoi interni dovevano apparire sontuosi e ricchi di opere artistiche, ora disseminate nelle chiese cittadine.
Il monastero, accrescendo il suo patrimonio e la sua influenza, subì numerosi attacchi alla sua sopravvivenza, soprattutto a causa delle ingenti proprietà fondiarie che andò cumulando nel corso degli anni. Una prima soppressione avvenne nel1751 per volere diCarlo III di Borbone per il finanziamento delReal Albergo dei Poveri inNapoli; una seconda e definitiva avvenne nel1809 con l'avvento francese.[56]
Oggi è divenuto una meta diescursioni sulle falde del Pollino.
Sorge nel cuore del centro storico occupando il fianco sinistro della piazzetta di San Nicola, verosimilmente ai piedi dell'antica costruzione delseggio cittadino, che la realizzò nel1590 al tempo delsyndicus Decio De Feulo. Sorta da un primo ampliamento dell'acquedotto pubblico i cui lavori si conclusero nello stesso periodo, rappresentò un iniziale risanamentotardo cinquecentesco delle condizioni idriche del centro abitato.[57] Opera pubblica fra le più antiche del borgo, la fonte a tre cannelle con vasca in pietra del periodo è sormontata da una lastra marmorea rappresentante lo stemma civico con ilmoro in una delle sue più arcaiche figurazioni e da un cartiglio con motto classicheggiante.[58][59]
Fontana di Piazza Maddalena
Situata nella piazza principale alla destra della Collegiata omonima, rappresenta uno degli interventi pubblici seicenteschi più interessanti. Costruita ai tempi del sindaco Petronella nel1604 - come riportato nell'epigrafe latina alla base[60] - è sormontata dallo stemma civico modellato in stucco in una delle sue versioni storiche più note. Sorta da un secondo ampliamento dell'acquedotto nell'allora nascente quartiere della Maddalena, la fontana è stata in seguito oggetto di restauri, come l'ampliamento del1794 durante il sindacato Rescia[61] e quello più recente del1960 che ha visto una riduzione della portata d'acqua a tre cannelle e il rifacimento della vasca in marmo su progetto originale di Aldo Mainieri.[62]
Appare in ruderi sulla sommità dell'abitato in posizione strategica e dominante tutta la valle dell'anticoSybaris. Le origini risalgono verosimilmente all'epoca romana quando fu eretto unfortilizio, o probabilmente untorrione di avvistamento, il cui basamento inopus incertum rappresentò il nucleo originario sul quale si edificarono i rimaneggiamenti d'epoca normanno-sveva e rinascimentali.
Durante ilmedioevo la sua posizione soprelevata lungo l'asse viario della anticavia Popilia attirò l'attenzione della milizia sveva; fu da allora sede feudale a cominciare da Apollonio Morano, primo feudatario di cui si abbia notizia. NelXIII secolo l'antica torre romana venne probabilmente ampliata con l'aggiunta di una cinta muraria e di alcune sale, così da conferire all'edificio un primigenio aspetto di castello.[63] Teatro di numerosi episodi d'arme, si ricorda fra i tanti, durante la fase dellaGuerra del Vespro, l'incursione dei mercenariAlmogavari che, assoldati dagliAragonesi, conquistarono Morano difensivamente impreparata e ne espugnarono il castello facendo prigioniera Benvenuta, detta laSignora di Morano, moglie del feudatario Tancredi Fasanella. Questa, nel seguente anno1286, essendo Morano conCastrovillari eTaranto passata alla fedeltà diCarlo d'Angiò, da prigioniera divenne carceriera di Manfredi di Chiaromonte, suo congiunto di parte aragonese.[64]
Determinante è però un più radicale e ambizioso restauro del primo quarantennio delCinquecento, nel periodo compreso fra il1514 e il1545. Avviato per volere delfeudatario Pietrantonio Sanseverino, il progetto si ispirò al modello più noto delMaschio Angioino diNapoli e per questa fabbrica vennero chiamate alcune fra le più abili maestranze del tempo. Il Castello fu dunque la residenza delfeudatario a Morano in maniera più o meno continua fino ai primordi del'700 insieme alPalazzo dei Prìncipi che sorge all'ingresso del borgo accanto alla porta sita sull'accesso dell'anticavia delle Calabrie. L'ampliamento del Sanseverino conferì al maniero l'aspetto architettonico e difensivo di cui oggi restano le vestigia. Non se ne ebbero in seguito notizie fino al1648, quando il feudo passò a Don Ettore dei Principi Spinelli di Scalea, i cui discendenti lo mantennero fino al1811.[65]
Le ragioni del suo abbandono e deterioramento sono fra le più varie. Nel1733 la struttura fu gravemente compromessa per ragioni non del tutto chiare, quindi venne duramente bombardato dall'esercito francese durante ilperiodo napoleonico nel1806. La sorte fu segnata inoltre da sequenziali spoliazioni, che durante il feudo della famiglia Spinelli, videro l'asportazione di elementi murari e materiali lignei per un loro riutilizzo,[66] condannando la struttura alla sua inevitabile decadenza fino ai recenti restauri deglianni 2000 che hanno consentito il recupero di alcuni locali, dei torrioni frontali, delle mura perimetrali e della spianata retrostante.
L'aspetto contemporaneo suggerisce ancora la conformazione del primo decennio del XVIII secolo: in pianta quadrata, contornato da sei torrioni cilindrici (di cui sopravvivono integralmente solo quello centrale e quello sinistro del fronte), era inoltre circondato darivellini efossato, avevabaluardi trimura saettine eponte levatoio; si elevava per tre piani d'altezza ed era composto da ampie stanze divise in più appartamenti e, nel complesso, si stima avesse la capacità di unaguarnigione di mille uomini e fosse predisposto a sopportare lunghi periodi di assedio.[67]
Giardino pubblico del Comune di Morano, l'ingresso principale si apre sul fronte del portico di San Bernardino e si situa in un'ansa di viale Gaetano Scorza, alle pendici del centro storico del quale rappresenta il naturale confine con il più recente centro urbano. Dai tre accessi, il parco si dipana in numerosi viottoli in piano e in pendenza cinti da bassesiepi che convergono in una piazza centrale dominata da un'ampiapeschiera con getto d'acqua. Raccoglie diversi esemplari arborei, alcuni secolari, perlopiù dipini,olmi efaggi, piante da giardino,roseti e qualche scultura in siepe.[68]
Il luogo assolve alla medesima funzione di giardino pubblico da secoli, dapprima come "verziere" pertinente alfondo del monastero di San Bernardino, successivamente come parco civico riqualificato nell'attuale assetto a cominciare daglianni settanta fino ainovanta. Citato nellaMonomachia di Giovan Leonardo Tufarello del1622, in quegli anni appariva già come "bellissimo giardino, adorno e cinto di verdi alberi, funebri cipressi, alti pini ed antiche querce ed altri alberi fruttiferi e belle pergole con freschissime acque che lo irrigano".[69][70]
Sorgono a pochi chilometri dal centro abitato nella contrada omonima. Esplorate dall'ottobre1980, la loro conformazione è assai articolata ed interessante sotto un profilospeleologico. Sono infatti ricche di concrezioni calcaree,stalattiti e da esili filamenti coralliformi. Si sviluppano per 245 metri con un dislivello di 41; sorgono sul versante meridionale del monte Cappellazzo a circa 682 m s.l.m. con tre ingressi, stratificati nei calcarimesozoici, i quali sboccano in un pozzo franoso dalla profondità di circa 20 m dai quali si accede ad una serie di caverne ed una grande sala centrale. Praticabili solo da esperti speleologi, non sono valicabili nella totalità della loro estensione per via di un torrente sotterraneo che le attraversa.[71]
Potrebbe trattarsi dell'anticaXiféo, o secondo quanto afferma lo storico romanoTito Livio, della antica cittadella diLymphaeum, coinvolta durante alcune fasi delleguerre puniche. Sull'antico monte, più simile ad un piccolo altopiano che cade a strapiombo sulla gola sottostante, vi sono ancora le tracce di due muraglioni al suo ingresso, su un piccolo sentiero che si apre dalla strada per San Basile: questi, sono i resti di una porta che faceva breccia sull'anticacinta muraria. Essa si estendeva per circa 1.500 metri e con probabilità fu eretta daiLongobardi. Non si hanno molte notizie circa la scomparsa degli insediamenti di Sassone, talora ascritta al corso delXIV secolo.
Secondo i dati dell'ultimocensimento nazionale dell'Istat, al 31 dicembre2011 la popolazione del comune di Morano Calabro era composta da 4.623 abitanti di cui 2.299 maschi e 2.324 femmine; gli abitanti totali nel precedente censimento del2001 erano 4.966, il che evidenzia un decremento totale pari al -7,1 %, il più drastico dal censimento del1931 quando era calcolato al -12,1 %. Il numero massimo di abitanti residenti si riscontra invece nel terzo censimento generale, nel quale risultavano al 31 dicembre1881 9.974 abitanti; al successivo del1901, la popolazione subì il più drastico calo della sua storia mai riscontrato dall'inizio della serie statistica, esso era pari al -33,9 % per un totale di 6.596 abitanti, causato da una forte ondata migratoria.[74]
Al 31 dicembre 2018 erano presenti 149 residenti di origine straniera, in prevalenza provenienti dallaRomania, che costituivano il 3,4% della popolazione complessiva del comune.[75]
Museo di Storia dell'Agricoltura e della Pastorizia, ideato e realizzato da Francesco Mainieri (1930-2015), allestito nel centro storico di Morano, nei locali di palazzo Salmena. Custodisce antichi oggetti agricoli con riferimento ai vari passaggi della storia contadina[76].
Museo e centro studi naturalistici "Il Nibbio", custodisce reperti sullaflora e sullafauna delParco del Pollino.
Nel mese di maggio in occasione della festa patronale, viene annualmente svolta in più giorni lafesta della bandiera, rievocazione storica della battaglia fra moranesi e saraceni con ricco corteo storico in costume rinascimentale, con sbandieratori e cavalieri.
Fra il 15 e il 16 luglio, viene celebrata la festività in onore dellaBeata Vergine Maria del Monte Carmelo.Nota anche come "festa dell'emigrante", questa manifestazione religiosa è divenuta nel corso degli anni un simbolo del legame fra i moranesi residenti in Italia e all'estero. A questo proposito si svolge nel pomeriggio del 15 luglio una cerimonia con offerte votive recitate in molte lingue del mondo da parte degli emigranti.[senza fonte]
La gastronomia moranese, permeata dai sapori della cucina povera, si avvale delle colture del territorio come legumi, cereali, ortaggi e privilegia i sapori naturali, il “fatto in casa”, le classiche tecniche di preparazione retaggio del mondo contadino. I tanti prodotti locali, frutto delle lavorazioni artigianali tradizionali (formaggi, salumi, conserve alimentari con olio o aceto), si uniscono alle pietanze popolari come la pasta fresca, le minestre, le zuppe preparate secondo le usanze domestiche all'insegna della genuinità e del rispetto del passato.
Tra le ricette, sono caratteristici i maccheroni al ferretto, gli involtini di carne, lo stoccafisso con le patate, il soffritto di interiora di agnello e i piatti della cultura agricolo-pastorale quali i peperoni, uova e salsiccia(cancarèddrə gova e savuzìzza), la frittata di cipolla (frittètə ’i cipuddrə) e le patate e peperoni (patènə e cancarèddrə), preparati un tempo in occasione delle attività lavorative stagionali. I dolci tipici (cicirèta, cannarìtulə, giurgiulèa) a base di miele, i cui nomi e forme particolari rimandano ad antiche credenze popolari, sono caratteristici delle festività invernali.
Portale di Palazzo Rocco in via Ferrante, centro storico
L'antico nucleo delcentro urbano si trova arroccato su uncolle di forma conica alto 694 metri s.l.m. alla cui sommità si trovano i ruderi di un antico maniero di epocaNormanno-Sveva. L'abitato si sviluppa degradando dalla sommità alla base del colle e creando una suggestiva illusione prospettica per cui le abitazioni paiono essere attaccate le une alle altre. Taleassetto urbano si fa risalire prevalentemente all'epoca medievale: è tuttavia accertato che l'odierno castello, potrebbe ricalcare un più anticofortilizio difensivo di epoca romana, dal che non appare inverosimile ipotizzare un assetto urbanistico originario già caratterizzato in forma embrionale in tale periodo.
Nelle epoche successive, l'abitato si è esteso modellandosi sulla struttura del colle fino a sfociare verso i primi del Settecento, nel quartiere divia vigna della Signora, anticamente definitolo burgo, fuori dalla cinta muraria.
A seguito delle varie mutazioni socio-economiche del secolo scorso, nella seconda metà deglianni sessanta ebbe inizio una fase di ampliamento verso il pianoro prospiciente l'antico nucleo cittadino, dove oggi sorgono nuovi moderni edifici.
Vi si trovano alcune aziende agricole per la produzione di latticini e carni ed un consorzio per la produzione di funghi. Rappresenta la porta naturale per il Parco nazionale del Pollino, grazie allo svincolo dellaAutostrada A2.
Centro Storico: suddiviso nei seguenti rioni:[77] San Pietro (oCastello); San Nicola (oGiudea); Maddalena (oOlmi).
Contrade e zone limitrofe: Matinàzza; Fiume; Stazione; Cerasali; Uliveto; Piana; Foce; Mazzicanìno; Don Stefano; Cutura; Pigne; Terra Rossa; Santa Margherita; San Paolo; Gonéa; Calcinaia; San Marco; San Rocco; San Giacomo; San Nicola; Sassone; Crocefisso; Campotenese; Pavone; Povelli; Campizzo; Rosole; Campolongo;
Nell'ambitospeleologico nel borgo ha sede il Gruppo Speleo del Pollino, fondato nel 1987. Riconosciuto a livello nazionale per le sue attività di ricercaorografica e di studio del sottosuolo, ed in particolare del circondario del Parco nazionale del Pollino, è iscritto dal 1997 fra leassociazioni di volontariato e diprotezione civile italiane.[80]
^Espressione del tutto antistorica datosi che gli Enotri non parlavano il latino
^Fiore da Cropani, padre Giovanni,Della Calabria illustrata, Napoli, 1691; par. XIV, pag.99
^Renda, Giuseppina,Precisazioni sulla via Regio-Capuam nell'altopiano di Campotenese e nel territorio di Morano saggio contenuto inCampagna e paesaggio nell'Italia antica, (a cura di Lorenzo Quilici e Stefania Quilici Gigli), Ed. L'erma di Bretschneider, Roma, 2000; Pagg. 20-28
^Sinopoli, Cesare - Pagano, Salvatore - Frangipane, Alfonso,La Calabria. Storia, geografia e arte, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2004; pagg. 69-70
^Dicitura tratta daCapitoli e Grazie"Datum in nostra terra Morani 1° mensis Augusti 1530, Ind. XIII"
^Cappelli, Biagio (1989), "Lo stemma di Morano" inMorano Calabro e la sua odonomastica, pp. 27-32
^Mele, Michela, Op. cit.; Cfr. §La collegiata dei santi Pietro e Paolo
^Tozzi, Silvia,La collegiata dei Santi Pietro e Paolo a Morano Calabro, Florence Art Edizioni, Firenze, 1996
^Cfr. Panarello, Mario,La pittura del Seicento in Calabria, tra naturalismo, manierismo e classicismo saggio contenuto inAA. VV. La Calabria del viceregno spagnolo: storia, arte e urbanistica, Gangemi Editore, Roma, 2016; pag. 456
^Mainieri, Barbara,La gran donna di Maddalo; L'architettura, saggio contenuto in(AA. VV.) Memorie riscoperte, Ed. Amm. comunale di Morano Calabro, Castrovillari, 1995; pagg. 76-89
^abAlessandro Nesi,Don Giuseppe Schifino (1580-1640), un prete pittore calabrese alla corte dei Medici, in "Arte Cristiana", n. 881, CII, Milano, 2014, pag. 127.
^AA. VV.Memorie riscoperte, Ed. Amm. comunale di Morano Calabro, Castrovillari, 1995; Cfr. Parte IIle opere
^Mele, Michela, op. cit. §Santa Maria Maddalena, una chiesa museo
^Mainieri, Barbara,San Bernardino a Morano: La chiesa e il monastero, saggio contenuto inContrade, CISIT, Morano Calabro, 1994; pag. 14
^Cappelli, Biagio,I conventi francescani di Morano Calabro, Castrovillari, 1926; pagg. 7 e ss.
^Mainieri, Barbara,L'architettura e l'arte; l'identità architettonica saggio contenuto inContrade, CISIT, Morano Calabro, 1994; pp. 34-47
^Cappelli, Biagio,Bernardo da Rogliano e il monastero di Colloreto, saggio contenuto inMorano Calabro e la sua odonomastica, Ed. Pro Loco, Castrovillari, 1989; Appendice
^Tufarello, Giovan Leonardo,Vita del Beato Frà Bernardo da Rogliano, Ed. Gio. Riccio, Cosenza, 1610; Cfr. Capo terzo, pagg. 29 e ss.
^Cappelli, Biagio,Bernardo da Rogliano e il monastero di Colloreto in op. cit.
^Testo dell'epigrafe: “HEC PRO OMNIBUS UNDIQUE SCATET. SYNDICATUS TEMPORE PRESTANTIS P ETRONELLA. A.D. 1604”
^Testo dell'epigrafe in riquadro lapideo su lato sinistro della fontana: “D. PSISICUS PETRUS RESCIA SUNDACUS HUNC POPULUS APPLAUSU CONSTRUERE FECIT A.D. MDCCXCIV”
^Cfr. Cappelli,lo stemma di Morano op. cit. pag. 56
^Condino, VincenzoI castelli della provincia di Cosenza, Pellegrini Editore, Cosenza, 1996; pag. 96
^Le denominazioni dei quartieri in parentesi indicano i rispettivi rioni del centro storico comparse a partire dal 1996 a seguito della prima riedizione d'epoca contemporanea delle manifestazioni legate allaFesta della bandiera. Dette denominazioni si affiancano pertanto a quelle tradizionali di uso corrente non comprese in parentesi: queste ultime corrispondono ai quartieri storici, i quali ricalcano esattamente le rispettive suddivisioni territoriali competenti a ciascuna delle tre Parrocchie