Fermo Martinazzòli, dettoMino (Orzinuovi,30 novembre1931 –Brescia,4 settembre2011[3]), è stato unpoliticoitaliano, tre volteministro della Repubblica (difesa,grazia e giustizia,riforme istituzionali eaffari regionali) nelle file dellaDemocrazia Cristiana, della quale fu l’ultimosegretario dal 12 ottobre 1992 al 18 gennaio 1994.
È stato anchepresidente della Provincia di Brescia dal 10 maggio 1970 al 22 giugno 1972,senatore della Repubblica per quattrolegislature (VI, VII, VIII, XI),deputato alla Camera per due legislature (IX, X) e infinesindaco di Brescia dal 5 dicembre 1994 al 14 dicembre 1998.
Martinazzoli, dopo aver frequentato illiceo classico Arnaldo aBrescia, e dopo una iniziale permanenza all'Almo Collegio Borromeo diPavia, silaurea ingiurisprudenza in tale città, ed esercita la professione diavvocato. Comincia poi la sua attività politica nel suo paese natale,Orzinuovi, nellabassa bresciana, comeassessore allaCultura delcomune.
A partire daglianni 1960 e1970 si afferma nelle file dellaDemocrazia Cristiana (DC) diBrescia comedirigente. Successivamente entra a far parte delconsiglio provinciale diBrescia e ne divienepresidente dell'amministrazione provinciale dal 10 maggio 1970 al 22 giugno 1972.
Nel 1972 viene elettosenatore alleelezioni politiche di quell'anno, e contemporaneamenteconsigliere comunale ecapogruppo dellaDC alcomune diBrescia. Dopo vari anni al Senato, arrivando a ricoprire l'incarico dipresidente della Commissione inquirente per i procedimenti di accusa nellaVII legislatura della Repubblica (quella delcompromesso storico), il salto di qualità avviene nel 1983, quando diventaMinistro di grazia e giustizia nelprimo governo guidato dalleadersocialistaBettino Craxi, incarico che ricopre per quasi tre anni fino al 1º agosto 1986.

Nella seconda metà deglianni 1980 si conferma come uno tra i più importanti dirigentidemocristiani, venendo elettocapogruppo aMontecitorio della DC nel 1986, incarico che mantenne fino al 1989 a cavallo dellaIX eX legislatura della Repubblica.
Il 20 febbraio 1989, durante un intervento (seguito da lunghi applausi) nelXVIII Congresso della Democrazia Cristiana, annuncia il proprio sostegno alla candidatura unitaria diArnaldo Forlani alla segreteria della DC, nonostante avrebbe potuto essere il candidato alla segreteria della cosiddetta "sinistrademocristiana".[4]
Con la nascita delsesto governo presieduto daGiulio Andreotti tra le forze politiche che costituivano ilpentapartito, torna a fare il ministro, che il 23 luglio 1989 giura nelle mani delPresidente della RepubblicaFrancesco Cossiga comeMinistro della difesa. Durante il suo mandato alla Difesa si ricorda la storica decisione di equiparare in termini di durata ilservizio militare a quellocivile. Successivamente si dimetterà però nel 1990 (insieme ad altri ministri della "sinistra democristiana"Sergio Mattarella,Riccardo Misasi,Calogero Mannino eCarlo Fracanzani), in seguito all'approvazione dellalegge Mammì, che regolamentava il sistema televisivo italiano e riteneva inadeguata, giudicata troppo in linea con gli interessi dell'imprenditoreSilvio Berlusconi.
Tra il 1991 e il 1992 è stato inveceMinistro senza portafoglio per leriforme istituzionali e per gliAffari Regionali nelsettimo governo Andreotti.
A seguito delle dimissioni diArnaldo Forlani dalla Segreteria del partito anche a causa dell'insuccesso nelleelezioni provinciali del 1992 aMantova[5], il 12 ottobre 1992 Martinazzoli viene eletto per acclamazione dal Consiglio Nazionale nuovosegretario della Democrazia Cristiana con il compito di dirimere la crisi in corso cagionata dalle inchieste diMani Pulite che hanno raggiunto anche diversi esponenti democristiani; fin da subito Martinazzoli si orientò per un rinnovo profondo della struttura-partito che doveva dirigere[6]. Martinazzoli venne scelto col consenso di tutti per la sua reputazione di uomo onesto e anche per la sua provenienza dall'Italia settentrionale, in cui cresceva nei consensi laLega Nord diUmberto Bossi, che aveva adottato una linea apertamente anti-sistema, schierata contro quella che ritenevano fosse "Romaladrona".[7]
Nel corso della sua segreteria deve fronteggiare, con inevitabili difficoltà, il terremoto politico degli anni 1992-94: la crisi profonda delPentapartito causata da Tangentopoli, la difficoltosa congiuntura economica e la conseguente svalutazione dellalira, l'abbandono del partito da parte dell'exsottosegretario all'agricolturaMario Segni, figlio dello storico esponentedemocristiano ePresidente della RepubblicaAntonio Segni, scettico sulla reale efficacia dell'operato di Martinazzoli, ireferendum abrogativi sulfinanziamento pubblico ai partiti e lalegge elettorale in sensomaggioritario che appoggiò tardivamente, la grave sconfitta della DC e l'avanzata dellesinistre alleelezioni amministrative del 1993 (con la conquista di città comeRoma,Napoli,Palermo,Venezia eGenova), e soprattutto ladiscesa in campo nella politica di Silvio Berlusconi e lo "sdoganamento" delladestramissina.[8]
Alle prese con un partito in crisi e diviso sulle scelte da compiere, nonché in un clima di continui attacchi politici causati dalle indagini delpool diTangentopoli, diversi esponenti dello Scudo Crociato iniziarono a pensare che denominazione e simbolo fossero ormai disallineati rispetto alle esigenze dell'elettorato cattolico e moderato; l'idea di uno scioglimento dellaDemocrazia Cristiana iniziò quindi rapidamente a concretizzarsi.
Nel nuovo sistema maggioritario Martinazzoli collocò ilPartito Popolare Italiano in una posizione inequivocabilmentecentrista, alternativa sia alla sinistra deiprogressisti sia alla destra missina e allaLega. Dopo la discesa in campo diSilvio Berlusconi nel gennaio del 1994, Martinazzoli manifesta distanza e freddezza nei confronti del Cavaliere, rifiutando la convergenza invocata da Berlusconi conForza Italia. Questa linea, equidistante daiprogressisti e dall'alleanza delPolo delle Libertà e del Buon Governo che si andava profilando tra Berlusconi,Gianfranco Fini,Pier Ferdinando Casini (fondatore nel gennaio 1994 delCCD, alleatosi con il centro-destra) eUmberto Bossi lo porta a scontrarsi, nel partito, coi fautori di una convergenza programmatica con una delle due coalizioni.
Nel 1993 inizia anche lo storico processo perconcorso esterno in associazione mafiosa intentato dallaProcura diPalermo nei confronti del leader della DCGiulio Andreotti (uomo simbolo del partito)[8], che si sarebbe concluso solo nel2004 con l'assoluzione di Andreotti per il periodo successivo al 1980, mentre per gli anni precedenti fu dichiarata la prescrizione; Martinazzoli fu chiamato come testimone in quel processo (come pure altri esponenti politici illustri, qualiFrancesco Cossiga eNicola Mancino). Dopo l'assoluzione dell'ex Presidente del Consiglio, Martinazzoli rimproverò severamente coloro che avevano accusato Andreotti e con lui tutta la DC, pronunciando parole che ricordavano nei toni il discorso diAldo Moro nell'ambito delloscandalo Lockheed. Mino Martinazzoli elogiò Andreotti indicandolo quale esempio di rettitudine e invitando chi l'aveva imputato a chiedergli scusa.[9]
Alleelezioni politiche del 1994 Martinazzoli si prodiga nella costruzione di un polo autonomo di centro con le cultureriformiste,liberali erepubblicane, trovando inMario Segni un alleato, col quale fonda la coalizione delPatto per l'Italia, che si presenta in tutti i collegi di Camera e Senato contro i candidati della "macchina da guerra" della sinistra (Alleanza dei Progressisti) e la triplice alleanza della destra (ilPolo delle Libertà oPolo del Buon Governo). Aderiscono all'alleanza di centro anche ilPartito Repubblicano Italiano diGiorgio La Malfa, i liberali diValerio Zanone e un gruppo di exsocialisti esocialdemocratici guidati daGiuliano Amato.
Martinazzoli non si candida alleelezioni politiche e chiede ai notabili democristiani di fare lo stesso, per favorire il rinnovamento e lanciare efficacemente il nuovoPartito Popolare. I risultati delle elezioni sono tuttavia deludenti: il Patto per l'Italia ottiene pochissimi collegi maggioritari (solo quattro alla Camera: tre nell'Avellinese conGianfranco Rotondi,Antonio Valiante eMario Pepe e uno in Sardegna conGiampiero Scanu), e le liste del PPI nella parte proporzionale raccolgono un modesto 11%, un terzo dei voti della vecchia DC.
I seggi ottenuti non consentono neanche di essere ago della bilancia inParlamento, dove si afferma l'alleanza dicentro-destra guidata daSilvio Berlusconi. Dopo le elezioni Martinazzoli si dimette da segretario e annuncia l'intenzione di abbandonare la politica attiva. A distanza di anni lo stesso Martinazzoli, in un'intervista aSette, rivista delCorriere della Sera, giudicava in questo modo la sua azione politica nella fase controversa in cui aveva guidato la DC allo scioglimento e alla fondazione del nuovo PPI:

Nell'autunno del 1994, tuttavia, pressato dalle richieste di collaboratori ed elettori, accetta di candidarsi asindaco di Brescia alleelezioni amministrative di novembre, guidando una coalizione dicentro-sinistra col sostegno del PPI,PDS e iVerdi, prefigurando quell'alleanza che, col nome diUlivo, qualche mese dopoRomano Prodi estenderà a tutta l'Italia. Vincerà alballottaggio, venendo eletto con il 56,5% dei voti contro il 43,53 diVito Gnutti,Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato in carica delgoverno Berlusconi sostenuto dallaLega Nord eForza Italia. Guida il comune per l'intera consiliatura, fino al novembre del 1998, quando decide di non ripresentare la propria candidatura.
Nello scontro che vede nel 1995 il PPI diviso tra le due componenti riconducibili aGerardo Bianco eRocco Buttiglione, rispettivamente quella favorevole ad allearsi conL'Ulivo diRomano Prodi e quella favorevole ad allearsi con ilPolo delle Libertà diSilvio Berlusconi, Martinazzoli si schiera con quella di Bianco.
In vista della convocazione delleelezioni regionali in Lombardia del 2000, accetta di candidarsi allapresidenza della Regione Lombardia, in una sfida difficile contro ilpresidente uscenteforzistaRoberto Formigoni sostenuto anche dallaLega Nord, venendo appoggiato da una coalizione dicentro-sinistra composta dalle liste: "Centro-sinistra per Martinazzoli",Partito della Rifondazione Comunista eSocialisti Democratici Italiani -Liberali - Altri (ma non iComunisti Italiani che candidaronoNerio Nesi).
Alla tornata elettorale il risultato è deludente: sostenuto da quasi tutto il centro-sinistra ottiene solo il 32% dei consensi, il peggior risultato per un candidato di centro-sinistra fino alleregionali lombarde del 2018 daGiorgio Gori. Viene comunque eletto inconsiglio regionale della Lombardia in qualità di candidato alla presidenza secondo classificato, dove s'impegna fino alla scadenza naturale del mandato nel 2005 nel gruppo "Centro-sinistra, PPI, la Margherita".
In occasione delleelezioni politiche del 2001, concede il proprio sostegno allalista elettoralecentristaLa Margherita (con il candidatoPresidente del ConsiglioFrancesco Rutelli acapo), pur non condividendo lo scioglimento delPartito Popolare Italiano e la sua confluenza nella listarutelliana conRinnovamento Italiano diLamberto Dini eI Democratici diArturo Parisi.
Nel 2004 si schiera a fianco deiPopolari UDEUR diClemente Mastella, di cui viene nominato presidente del partito, sempre con l'obiettivo di rinvigorire la presenza autonoma delcristianesimo democratico esociale nellapolitica italiana[10]. Successivamente si dimette dall'incarico, preferendo una posizione più lontana dai riflettori.
Successivamente si impegna attivamente nel comitato per il "No" nelreferendum costituzionale del 25-26 giugno, manifestando forti critiche verso la riforma costituzionale approvata dalla coalizione dicentro-destra.
Nel 2009, in occasione deireferendum abrogativi sulla legge elettorale, si schiera per l'astensione, insieme ad altri esponenti delcentro-sinistra bresciano.[11]
Il 24 luglio 2010, intervistato daLiberal poco più di un anno prima della sua morte, aveva detto fra le altre cose: «Una volta nel 1994 incontraiSilvio Berlusconi e cercai di spiegargli che farepolitica significava fare gli interessi degli altri e non i propri. Non ebbi successo».[12]
IlDipartimento diGiurisprudenza dell'Università degli Studi di Brescia ha deliberato il 6 novembre 2012 di intitolare l'Aula Magna della sua sede di Palazzo Calini ai Fiumi (via delle Battaglie, 58) a Mino Martinazzoli.
Il 4 settembre 2023 il Comune di Montirone ha intitolato una via allo storico segretario della Democrazia Cristiana.
url (aiuto).Altri progetti
| Predecessore | Sindaco di Brescia | Successore | |
|---|---|---|---|
| Romano Fusco (commissario prefettizio) | 5 dicembre 1994 – 14 dicembre 1998 | Paolo Corsini |
| Predecessore | Presidente dellaProvincia di Brescia | Successore | |
|---|---|---|---|
| Ercoliano Bazoli | 10 maggio 1970 – 22 giugno 1972 | Angelo Zanotti |
| Predecessore | Ministro per le riforme istituzionali e per gliaffari regionali della Repubblica Italiana | Successore | |
|---|---|---|---|
| Antonio Maccanico (Affari regionali e problemi istituzionali) | 12 aprile 1991 – 28 giugno 1992 | Raffaele Costa (Affari regionali) Incarico non delegato (Riforme); poi:Leopoldo Elia (Riforme elettorali e istituzionali) |
| Predecessore | Ministro della difesa della Repubblica Italiana | Successore | |
|---|---|---|---|
| Valerio Zanone | 22 luglio1989 – 27 luglio1990 | Virginio Rognoni |
| Predecessore | Ministro di grazia e giustizia della Repubblica Italiana | Successore | |
|---|---|---|---|
| Clelio Darida | 4 agosto1983 – 1º agosto1986 | Virginio Rognoni |
| Predecessore | Capogruppo dellaDemocrazia Cristiana allaCamera dei deputati | Successore |
|---|---|---|
| Virginio Rognoni | 16 febbraio1986 – 24 settembre1989 | Vincenzo Scotti |
| Predecessore | Presidente dei Popolari UDEUR | Successore |
|---|---|---|
| Ida Maria Dentamaro | maggio 2004 – giugno 2005 | Lorenzo Acquarone |
| Predecessore | Segretario del Partito Popolare Italiano | Successore | |
|---|---|---|---|
| non istituito | gennaio 1994 – marzo 1994 | Rocco Buttiglione |
| Predecessore | Segretario della Democrazia Cristiana | Successore | |
|---|---|---|---|
| Arnaldo Forlani | ottobre 1992 – 29 gennaio 1994 | Gianni Fontana |
| Segretari della Democrazia Cristiana | ||
|---|---|---|
| Alcide De Gasperi (1944-1946) ·Attilio Piccioni (1946-1949) ·Giuseppe Cappi (1949) ·Paolo Emilio Taviani (1949-1950) ·Guido Gonella (1950-1953) ·Alcide De Gasperi (1953-1954) ·Amintore Fanfani (1954-1959) ·Aldo Moro (1959-1964) ·Mariano Rumor (1964-1969) ·Flaminio Piccoli (1969) ·Arnaldo Forlani (1969-1973) ·Amintore Fanfani (1973-1975) ·Benigno Zaccagnini (1975-1980) ·Flaminio Piccoli (1980-1982) ·Ciriaco De Mita (1982-1989) ·Arnaldo Forlani (1989-1992) ·Mino Martinazzoli (1992-1994) | ||
| Segretari del Partito Popolare Italiano | ||
|---|---|---|
| Mino Martinazzoli (1994) ·Rosa Russo Iervolino (1994) ·Rocco Buttiglione (1994-1995) ·Gerardo Bianco (1995-1997) ·Franco Marini (1997-1999) ·Pierluigi Castagnetti (1999-2002) | ||
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