| Michele Steno | |
|---|---|
| Doge di Venezia | |
| In carica | 1º giugno 1400 – 26 dicembre 1413 |
| Predecessore | Antonio Venier |
| Successore | Tommaso Mocenigo |
| Nascita | Venezia,1331 circa |
| Morte | Venezia, 26 dicembre 1413 |
Michele Steno, oSten (Venezia,1331 circa –Venezia,26 dicembre1413) è stato unpolitico ediplomaticoitaliano,doge dellaRepubblica di Venezia dal 1º dicembre1400 fino alla sua morte.
Era figlio di Giovanni e di LuciaLando. Forse gli fu dato il nome Michele in onore di un parente attestato nella prima metà delTrecento e morto prima del1347. Aveva un fratello, Fantino (che fece testamento nel1358 indicando Michele quale erede universale qualora la moglie non avesse avuto figli), e tre sorelle, Franceschina, Donata e Cristina (quest'ultimabenedettina nelmonastero di San Lorenzo)[1].
GliSteno, oSten, residenti nellaparrocchia diSanta Maria del Giglio, erano una famiglia di affermazione recente quanto rapida. Di certo avrebbero potuto raggiungere posizioni di prestigio, se non si fossero estinti proprio con la morte del doge, nell'ambito del calo demografico che colpì Venezia tra il Tre e il Quattrocento. Già suo padre aveva svolto incarichi di rilievo e morì nel1352, combattendo alBosforo contro iGenovesi[1].
Della sua giovinezza, va ricordata la data 20 novembre1354, quando laQuarantia lo condannò, con altri compagni, a un mese di carcere per aver scritto nella sala del camino del dogeMarino Faliero «multa enormia verba loquentia in vituperium domini ducis et eius nepotis»[1].
Questo episodio ha dato origine a varie leggende. Secondo una di queste, lo Steno si era innamorato di una dama delladogaressa, se non della stessa moglie del Falier. Rimproverato per questo dal doge, il giovane avrebbe scritto sul suo scranno la frase «Marin Falier de la bela moier, altri la galde e lui la mantien». Il Falier, colpito nell'orgoglio, cominciò a meditare vendetta contro ilpatriziato, arrivando infine ad organizzare la nota congiura. La storiografia moderna, chiaramente, ritiene che alla base del colpo di mano ci furono ragioni ben più profonde, tra cui l'andamento fallimentare della guerra contro Genova[1].
Nel1362 sposò Marina Gallina, dalla quale non ebbe figli, portando il proprio casato alla scomparsa.
Ilcursus honorum dello Steno si svolse sempre a livelli medio-alti[1].
Nel1365 fu nominato capitano della Riviera d'Istria, mentre nel giugno1369 divenne patrono di una dellegalee dellamuda di Romania. Tornato in patria, dal febbraio1370 iniziò a focalizzare la propria carriera attorno al prestigiosoConsiglio dei Dieci: nominato caposestiere diSan Marco, vi rinunciò per essere eletto capo dei Dieci e, più tardi, inquisitore del Consiglio[1].
La sua ascesa subì un arresto nel maggio1379 quando, mentre ricopriva con Giovanni Trevisan la carica di sopracomito dell'armata, fu tra i responsabili della sconfitta diPola, nell'ambito dellaguerra di Chioggia. Pare che i due comandanti avessero spinto ilcapitano generale da Mar,Vittore Pisani, ad attaccare i Genovesi al largo della città, favorendo l'entrata inlaguna delle flotta nemica. I tre furono processati e condannati dagliavogadori di Comun a un anno di interdizione dai pubblici uffici, con l'eccezione dei lavori consiliari[1].
Dal1381, assieme aPaolo Marcello, fu castellano diModone eCorone e in questa veste, grazie alla mediazione delvescovo di Corone, concluse una pace con ilprincipato di Acaia dopo anni di attriti. Fu questo un passaggio chiave nella sua carriera: oltre al fatto che il trattato servì da modello per la risoluzione di altre vertenze, da questo momento lo Steno venne più volte consultato in quantoolim castellanus Coroni et Mothoni (e non il collega) e prese a partecipare alla situazione nell'area sin poco prima all'elezione a doge[1].
Il 17 novembre1384 cominciò a partecipare alla commissione istituita dalSenato per risolvere i problemi del bilancio comunale, elaborando nel giro di due mesi alcune proposte (tutte approvate) riguardanti tassazione, riduzioni del personale e adozione di un cambio monetario più vantaggioso. Il 17 gennaio1385, con Giovanni Gradenigo eLeonardo Dandolo, concluse un accordo con i castellani delpatriarcato di Aquileia e conUdine per frenare le mire deiCarraresi inFriuli e la politica filo-padovana del patriarca[1].
Dopo essere stato podestà diChioggia (dal marzo1385), membro dellaZonta del Senato (dal 29 settembre1385), bailo e capitano diCorfù (dal 29 luglio1386), raggiunse finalmente l'ambita carica diprocuratore di San Marco (30 dicembre1386). Nel frattempo, continuò a ricoprire più volte la carica di savio del Consiglio, prendendo parte a varie commissioni quali quella sullo stato delle acque lagunari (1391) e quella sull'Istria (1392)[1].
Neglianni 1390 fu particolarmente impegnato nella diplomazia, prendendo parte a importanti missioni. Tra gli altri, incontrò il patriarca di Aquileia, gliEstensi aFerrara eSigismondo di Lussemburgore di Ungheria[1].
Più tardi fu coinvolto nelle difficili trattative conGian Galeazzo Visconti, allora impegnato in una campagna espansionistica che allarmava tutta l'Italia. Fino ad allora Venezia si era dimostrata estremamente cauta, allo scopo di non minare i suoi traffici mercantili. Dal1398 al1400 lo Steno lavorò alle trattative di pace con ilduca di Milano, in rappresentanza non solo della Serenissima, ma di tutta l'alleanza antiviscontea (comprendenteFirenze,Bologna,Padova,Ferrara,Mantova). Fu certamente questo evento a sancirne l'ascesa indiscussa verso il vertice della Repubblica, favorito anche dalla salute malferma del dogeAntonio Venier[1].

Non fu quindi un caso se l'elezione dello Steno a doge si svolse rapidamente: fu eletto il 1º dicembre1400, dopo solo una settimana dalla morte del predecessore. Per l'occasione furono organizzati dei grandiosi festeggiamenti, tali da suscitare l'ammirazione di un ambasciatore milanese allora presente a Venezia[1].
Durante il suo mandato si verificarono alcuni importanti avvenimenti che sconvolsero in senso positivo la Repubblica[1].
Favoriti dalle iniziative diLadislao I di Napoli, i Veneziani riuscirono a recuperare il controllo suCorfù (1400) e sullaDalmazia (1409), pur pagandoli grosse somme di denaro al sovrano[1].
In Italia, d'altro canto, l'improvvisa scomparsa del Visconti (1402) provocò un vuoto che suscitò le mire espansionistiche di vari potentati. Interessata ad estendere il suo dominio sulla terraferma veneta, Venezia si scontrò inevitabilmente con il riemergere deiCarraresi[1].
A partire dal1404, ottenuto ilplacet della vedova del Visconti, la Repubblica spinse le città venete, ovveroVicenza,Verona,Rovigo,Feltre,Belluno eBassano, a formulare delle dedizioni spontanee perché entrassero nella sua orbita. Solo laPadova dei Carraresi si oppose e dovette essere annessa dopo unconflitto armato che si concluse nel1405 e mise fine alla signoria[1].
Chiaramente lo Steno fu coinvolto in questi eventi, pur essendo le sue prerogative di doge molto limitate. Tuttavia fu un uomo di carattere e grandi doti politiche e non mancarono delle sue prese di posizione, innescando inevitabilmente degli attriti con l'Avogadoria de Comun. Ad esempio, ricevendo lo sconfittoFrancesco Novello da Carrara, gli avrebbe detto sprezzante: «Vui haverete quella mercede che haverete meritado». Ecco perché lapromissione ducale pronunciata dal suo successore,Tommaso Mocenigo, fu ritoccata per diminuire ulteriormente i poteri del doge, favorendo l'azione di controllo dell'Avogadoria de Comun[1].
Morì il 26 dicembre1413 a causa dei mali legati all'età avanzata. Le esequie si svolsero nellabasilica dei Santi Giovanni e Paolo e fu sepolto nellachiesa di Santa Marina, in un pregevole monumento funebre da lui stesso commissionato. Nel1811, con la sconsacrazione dell'edificio, l'arca fu trasferita nella stessa Santi Giovanni e Paolo[1].
Dal suo testamento, stilato un anno prima di morire, sappiamo che era dotato di un ricchissimo patrimonio (costituito da liquidi, immobili e titoli di prestito) e che possedeva una grande quantità di oggetti di lusso. Lasciò buona parte dei suoi averi alla vedova, beneficiando poi istituzioni ecclesiastiche, enti di beneficenza e il proprio personale. Nel documento emerge la consapevolezza di essere l'ultimo della propria famiglia, ma anche di un'epoca, avendo inaugurato l'espansionismo veneziano in terraferma[1].
Dopo la morte del marito, la dogaressa si ritirò nelmonastero di Sant'Andrea della Zirada, dove morì circa dieci anni dopo. Le sue sostanze passarono perlopiù ai nipoti FantinoPizzamano (unico parente nominato nel testamento dello Steno) e PolissenaNavagero[1].
Altri progetti
| Predecessore | Doge di Venezia | Successore |
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| Antonio Venier | 1400-1413 | Tommaso Mocenigo |
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