Michele Sindona (Patti,8 maggio1920[1] –Voghera,22 marzo1986) è stato unfaccendiere,banchiere ecriminaleitaliano.
Nel1961 rilevò laBanca Privata Finanziaria (poi fusa nel 1974 con la Banca Unione nellaBanca Privata Italiana)[2] e sempre in quel periodo iniziò la sua concertazione con loIOR, dopo aver conosciuto ilCardinale Montini. Nel1972 entrò in possesso del pacchetto dellaFranklin National Bank, ma poco tempo dopo le banche divennero insolventi, tanto da dichiararne labancarotta fraudolenta. Fu inoltre un membro dellaloggia massonica P2 (tessera n. 0501)[3] ed ebbe chiare associazioni conCosa nostra e con lafamiglia Gambino negliStati Uniti. Fu coinvolto nell'affare Calvi, e fu riconosciuto come il mandante dell'omicidio diGiorgio Ambrosoli, venendo condannato all'ergastolo.
Alla metà degli anni settanta, aveva un patrimonio stimato in oltre mezzo miliardo di dollari dell'epoca; la sua vicenda inoltre costituisce uno dei punti oscuri della storiapolitico-finanziaria dell'Italia. Avvelenato da un caffè alcianuro di potassio mentre era detenuto nel supercarcere diVoghera[4], morì all'ospedale della cittadina dell'Oltrepò dopo due giorni di coma profondo, il 22 marzo 1986.
Michele Sindona nacque aPatti, inprovincia di Messina, nel 1920, figlio di un fioraio, specializzato nella confezione di corone mortuarie[5], e di una casalinga. Studiò presso igesuiti e, per potersi mantenere agli studi, lavorò fin dall'età di 14 anni, dapprima come dattilografo, poi aiuto contabile, e infine comeimpiegato presso l'ufficio imposte diMessina[6]. Nel 1942 si laureò inGiurisprudenza all'Università degli Studi di Messina, con una tesi suIl principe diNiccolò Machiavelli. A Messina, lavorò per un paio di anni in uno studio legale[7].
Dopo losbarco alleato in Sicilia nel1943, Sindona entrò in contatto con ufficiali dell'AMGOT e fece fortuna con ilcontrabbando di generi alimentari[8][9][10]. Nel 1946 si trasferì aMilano aprendo uno studio di consulenza tributaria e divenne consulente legale di molte associazioni che a lui facevano capo; inoltre esercitò comecommercialista per società quali laSnia Viscosa, grazie all'interessamento dell'industrialeFranco Marinotti, divenendo negli anni Cinquanta uno tra i commercialisti più ricercati.[11][12][13] Si specializzò in pianificazione fiscale, acquisendo conoscenze nell'esportazione dei capitali e nel funzionamento deiparadisi fiscali. A ciò si aggiungono la sua intelligenza e la spregiudicatezza nelle operazioni di borsa rivelatesi a lui favorevoli, che gli permisero di accumulare una considerevole fortuna economica per la futura attività di banchiere[8].
Neglianni sessanta, Sindona importò aPiazza Affari gli strumenti diWall Street:offerte pubbliche di acquisto (OPA),conglomerate,private equity. Divenne fiscalista e amico diJoe Adonis, legato aLucky Luciano e alla famiglia Genovese, abitante a Milano in un attico di via Albricci dopo l'espulsione dagli Stati Uniti[14]. Nel1954, tramite un parente acquisito della propria cugina, monsignorAmleto Tondini (che lavorava nellaSegreteria di Stato della Santa Sede)[12], Sindona entrò tra le conoscenze del cardinaleGiovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano e futuropapa Paolo VI[9]. Nel 1961 Sindona comprò la sua prima banca, laBanca Privata Finanziaria, proseguendo poi con la suaholding lussemburgheseFasco a ulteriori acquisizioni. Ben presto divenne socio dell'Istituto per le Opere di Religione (IOR)[15], la banca del Vaticano allora presieduta daMassimo Spada[16], e di banche internazionali come laContinental Illinois Bank diChicago e la Hambros Bank diLondra (oggi sottodivisione dellafranceseSociété générale): l'alleanza con questi tre gruppi fu sancita dal loro ingresso nelconsiglio d'amministrazione della Banca Privata Finanziaria[9][15] ed, insieme a loro, acquisì anche il controllo dellaFinabank diGinevra.[17] Nel1968 acquistò daGiangiacomo Feltrinelli la quota di controllo dellaBanca Unione[18]. Arrivò inoltre a possedere partecipazioni in altre aziende italiane e straniere[12][19].
Sindona iniziò a speculare su scala internazionale con le maggiori valute correnti, costituendo la società "Moneyrex S.p.A." (Euromarket Money Brokers) insieme albroker milaneseCarlo Bordoni, che diverrà il suo braccio destro comeamministratore delegato della Banca Unione[20]. Con i fondi della Hambros Bank, riuscì in breve ad assumere il controllo di diverse società, come laVenchi Unica (celebre industriatorinese dicioccolati) e laCompagnia Italiana Grandi Alberghi (uno dei principali gruppi italiani operanti nelsettore alberghiero), mentre nel1968 lo IOR, per volere diPaolo VI (che intendeva vendere ad altri le partecipazioni societarie detenute dalla banca per risanare le finanze vaticane)[21][22], gli cedette il pacchetto azionario di maggioranza dellaSocietà Generale Immobiliare (una delle principali società italiane ed internazionali nel campoimmobiliare ededilizio), dellaCeramiche Pozzi (azienda leader nella produzione diporcellane) e delleCondotte d'Acqua (operativa nel settore dell'ingegneria e delle costruzioni): tuttavia Sindona portò queste imprese sull'orlo del fallimento per poi rivenderle a qualche acquirente sprovveduto o interessato[11][12][13][23]. In quel periodo diventò socio in diversi affari (come la fondazione della Cisalpine Overseas Bank aNassau, nellaBahamas)[24] del banchiereRoberto Calvi, che aiutò ad assumere la presidenza delBanco Ambrosiano[25], e dell'arcivescovoPaul Marcinkus, nuovo dirigente dello IOR conosciuto tramiteDavid Kennedy, presidente della Continental Illinois Bank che nel1969 fu nominatosegretario del Tesoro nell'amministrazione Nixon[26].
Nel 1971, dopo aver tentato la scalata allaItalcementi diCarlo Pesenti e aver rilevato con successo la finanziariaLa Centrale (che deteneva partecipazioni azionarie in molte industrie e banche italiane)[13], le fortune di Sindona iniziarono a rovesciarsi, a seguito del fallimento dell'OPA[27] sullaSocietà Italiana per le Strade Ferrate Meridionali, ridenominata nel 1972 inBastogi Finanziaria, come era già in precedenza comunemente chiamata[28], cui si era oppostoEnrico Cuccia, fondatore diMediobanca e storico avversario di Sindona[29].
Secondo lo scrittoreNick Tosches questo fallimento mandò in frantumi ilGrande Disegno che si attribuisce a Sindona e ai suoi alleati politici ed economici italiani e statunitensi, con una supposta benevolenza dellaSanta Sede: la nascita di un fronte compatto di finanza bianca, legato alla DC diGiulio Andreotti, diFlaminio Piccoli e in parte diAmintore Fanfani, ai quali la finanza laica tradizionale italiana era ostile, preferendo loroMariano Rumor,Emilio Colombo eUgo La Malfa. La cosiddetta Bastogi infatti controllava pacchetti azionari dellaPesenti, dellaPirelli, dellaCentrale e dellaSNIA. La Bastogi doveva essere fusa con la Centrale stessa, mentre Sindona tentava la scalata allaBNL e allaItalcementi, che a sua volta aveva il pacchetto azionario di maggioranza della stessa Bastogi, nonché il controllo dellaRAS e quote determinanti nelc.d.a. dellaMontedison diEugenio Cefis. Se il piano fosse riuscito, Sindona avrebbe preso il posto di Cuccia, e la nuova Bastogi-Centrale quello di Mediobanca. Da questo momento in poi le vicende sindoniane sono anche conseguenza della faida politico-bancaria da lui innescata per conto terzi. Certamente questo progetto è il punto più elevato della sua strategia di finanziere[9].
Nel 1972, per rilanciare la sua figura dopo il fallimento dell'OPA Bastogi[18], entrò in possesso del pacchetto di controllo dellaFranklin National Bank[30] diLong Island, nell'elenco delle prime venti banche statunitensi[31].
Nel 1974, Sindona venne salutato come "salvatore dellalira" daGiulio Andreotti, e nominato "uomo dell'anno" dall'ambasciatore americano in Italia,John Volpe. Ma nell'aprile dello stesso anno, un crollo del mercato azionario portò al cosiddetto "crack Sindona" con il fallimento dellaBanca Privata Italiana[32]. Anche i profitti della Franklin Bank crollarono del 98% rispetto all'anno precedente e Sindona accusò un calo di 40 milioni di dollari[33], iniziando a perdere la maggior parte delle banche[34] acquisite nei 17 anni precedenti[35]. L'8 ottobre 1974 laFranklin National Bank venne dichiaratainsolvente per frode e cattiva gestione[36], a causa delle speculazioni in valuta straniera e a una pessima politica di gestione dei prestiti[37].
Sindona passò dall'essere un mago della finanza internazionale[38] a essere uno dei più grandi e potenti criminali[39]. L'insuccesso dell'OPA sullaBastogi nel1971 determinò una perdita irreparabile, che fu una delle cause scatenanti delcrack dellaBanca Privata Italiana: Sindona aveva comprato leazioni della Bastogi a caro prezzo e, dopo il fallito assalto, le aveva dovute rivendere con uno sconto del 40%, determinando una crisi diliquidità delle sue banche. Per recuperare le perdite, aveva cercato di varare l'aumento di capitale della società finanziaria "Finambro" (da lui appositamente rilevata) attraverso il complesso sistema dei "depositi fiduciari" (precursore delle moderne operazioni bancarieback to back)[20], che però fu bloccato dal ministro del Tesoro dell'epoca,Ugo La Malfa e dal governatore della Banca d'Italia,Guido Carli[40], perché considerata un'operazione poco trasparente.[2][13][18]
Già nel 1971 laBanca d'Italia aveva inviato gli ispettori per investigare sugli ingenti scoperti degliistituti di credito gestiti da Sindona (Banca Unione e Banca Privata Finanziaria) ed emersero irregolarità tali da proporre ilcommissariamento delle banche, proposta però ignorata dal governo dell'epoca: la scelta dell'allora ministro del Tesoro,Emilio Colombo, era finalizzata a non provocare il panico nei correntisti defraudati dal banchiere[20][41]. Dalle investigazioni degli ispettori dellaBanca d'Italia[42] emersero contabilità in "nero" di rilevante importo, in aperta violazione delle leggi amministrative e contabili: si rilevò che numerosienti di diritto pubblico o con funzione pubblica quali l'INPDAI, I'INA, l'INPS, l'INAIL, laFinmeccanica, l'Italcasse diGiuseppe Arcaini, laGESCAL di Franco Briatico, l'Ente Minerario Siciliano diGraziano Verzotto e molti altri affidavano i loro depositi alle banche di Sindona; daitassi d'interesse in "nero" applicati a tali depositi scaturivano tangenti e provvigioni per corrompere amministratori e uomini politici[2][20][43][44].
Nel 1974, nel tentativo di salvare le banche dalcrack, ilBanco di Roma, su interessamento di Andreotti e Fanfani[45], accordò un prestito di 100 milioni di dollari a Sindona, che contraccambiò versando due miliardi di lire allaDemocrazia Cristiana in occasione dellacampagna elettorale per ilreferendum sul divorzio[11][46][47][48]; inoltre Mario Barone (uomo di fiducia della DC e di Sindona), fu cooptato come terzoamministratore delegato del Banco di Roma, con il progetto di rilevare laBanca Privata Italiana (nata dalla fusione delle due banche sindoniane per scongiurare la crisi)[2][18][41][49]. L'acquisizione da parte del Banco di Roma fu però bloccata dall'IRI (che era il suoazionista di maggioranza), nella persona del suo presidenteGiuseppe Petrilli[50].
Nell'ottobre dello stesso anno, il Tribunale civile di Milano dichiarò lo stato diinsolvenza della Banca Privata Italiana[51] (si stimò un "buco" di 258 miliardi di lire dell'epoca)[40] e la magistratura milanese avanzò formale richiesta di estradizione nei confronti di Sindona per il reato dibancarotta fraudolenta ma gli Stati Uniti non vi diedero corso immediato[52] e per vari anni l'immagine del latitante in libertà (viveva in un appartamento all'Hotel Pierre sullaQuinta Strada aNew York) dimostrò l'impotenza della giustizia italiana[2]. Nello stesso periodo, anche la Giustizia americana avviò un analogo procedimento giudiziario a carico di Sindona, del suo braccio destro Carlo Bordoni e di altri suoi collaboratori per il fallimento della Franklin Bank[53] e l'indagine vide dunque coinvolta anche l'FBI[6][9]. Contestualmente al crack delle banche, emerse anche l'esistenza di una "lista dei cinquecento" (sempre negata da Sindona), che conteneva i nomi di 500 soggetti di nazionalità italiana (rimasti sconosciuti) che avevano esportato illegalmentecapitali all'estero servendosi di depositi fiduciari presso la Finabank diGinevra e che erano stati illegalmente rimborsati prima che fosse dichiarato lo stato d'insolvenza[20][48][54].
Tutto ciò indusse laBanca d'Italia a nominare uncommissario liquidatore della Banca Privata Italiana[55]. Per il compito, il Governatore Carli scelse l'avvocatoGiorgio Ambrosoli, che assunse la direzione della banca di Sindona e si trovò ad esaminare tutta la trama delle articolatissime operazioni che ilfinanziere siciliano aveva intessuto, cominciando dallasocietà "Fasco", l'interfaccia fra le attività palesi e quelle occulte del gruppo. Dall'analisi della documentazione acquisita dalla Banca d'Italia, Ambrosoli scoprì che il crack delle banche sindoniane era stato causato dal mancato rientro dei "depositi fiduciari", meccanismo in aperta violazione dellalegislazione bancaria italiana: le banche trasferivano i loro fondi indeposito pressoconsociate estere (soprattutto la Finabank diGinevra e la Amicor Bank diZurigo[20]) che poi a loro volta li utilizzavano sottobanco per finanziare le altre società del gruppo Sindona, i quali li sperperavano in spericolatespeculazionifinanziarie; neibilanci delle banche sindoniane questi depositi figuravano dunque comeliquidità inattivo ma in realtà non erano più disponibili[20][56].
Durante questa opera di controllo, Ambrosoli cominciò a essere oggetto di pressioni e di tentativi dicorruzione. Queste miravano sostanzialmente a ottenere l'approvazione di documenti comprovanti la buona fede di Sindona e dei suoi piani di salvataggio della banca, i quali prevedevano che loStato Italiano, per mezzo dellaBanca d'Italia, avrebbe dovuto sanare gli ingenti scoperti dell'istituto di credito con denaro pubblico e Sindona, inoltre, avrebbe evitato ogni coinvolgimento penale e civile[46][47]. Nonostante queste pressioni, Ambrosoli confermò la necessità di liquidare la banca e di riconoscere la responsabilità penale del banchiere[57].
Nel 1978 Carlo Bordoni fu arrestato inVenezuela (dove trascorreva la latitanza) ed estradato negli Stati Uniti, dove accettò di collaborare con la giustizia, diventando il principale teste d'accusa contro Sindona nel processo per il fallimento della Franklin Bank[56]. Bordoni confermò l'esistenza della "lista dei cinquecento" e rivelò anche alcuni nomi "eccellenti" dellapolitica e dellafinanza contenuti nella lista, i quali però si affrettarono a smentire ogni coinvolgimento[58].
Secondo la commissione d'inchiesta delSenato degli Stati Uniti sulcrack della Franklin Bank, attraverso una serie numerosissima di libretti al portatore, nel 1974 Sindona trasferì 2 miliardi di lire sulle casse dellaDemocrazia Cristiana e parecchi milioni di lire transitarono attraverso laCIA[59], la Franklin Bank e ilSID del generaleVito Miceli per finanziare la campagna elettorale di 21 politici italiani[60].
Già nel 1967 l'Interpol statunitense segnalò Sindona come implicato nelriciclaggio di denaro sporco proveniente daltraffico di stupefacenti, per via dei suoi legami con personaggi degli ambienti diCosa nostra americana, tra cui Daniel Porco -vicepresidente delleacciaierie Crucible diPittsburgh e membro del consiglio di amministrazione dellaUranya, una delle tante aziende rivelatesi poi al centro di manovre finanziarie dellaBanca Privata Finanziaria a cavallo fra gli anni sessanta ed i settanta[9] - Ernest Gengarella e Ralph Vio (i quali avevano interessi in alcunicasinò diLas Vegas), che erano suoi soci in società finanziarie e gli crearono numerose occasioni di investimento estero, presentandogli il banchiere David Kennedy (presidente della Continental Illinois e futurosegretario al Tesoro)[61][62]; le autorità italiane però risponderanno di non avere riscontri di attività illecite di Sindona[57].
Nel 1973 il giornalista Jack Begon,corrispondente a Roma per laABC, venne misteriosamente rapito e riuscì a liberarsi: sostenne che il sequestro avvenne perché aveva ottenuto la prova che nel1957 Sindona avrebbe partecipato ad unsummit tra i capi diCosa nostra siciliana e i boss della mafia Italo-americana tenutosi presso ilGrand Hotel et des Palmes diPalermo ma si scoprì che il rapimento del giornalista era soltanto una messinscena per ottenere visibilità (anche se fu assolto da quest'accusa)[9][63][64].
In questi anni Sindona incanalava nelle sue società finanziarie gli investimenti del mafioso americanoJohn Gambino; attraverso Sindona e Gambino, ibossStefano Bontate,Salvatore Inzerillo eRosario Spatola investivano il lorodenaro sporco ricavato dal traffico dieroina in società finanziarie e immobiliari estere[65]: lo affermò nel corso delprocesso Andreotti, nell'udienza del 4 novembre 1996, il collaboratore di giustiziaFrancesco Marino Mannoia, secondo cui tutte le transazioni finanziarie che riguardavano il riciclaggio avvenivano inFlorida e nell'isola diAruba[66]. Nella lunga intervista concessa al giornalistaNick Tosches, Sindona negò il suo ruolo di riciclatore della mafia: «Come sai le mie banche italiane erano istituti di prim'ordine con soci di prim'ordine. LaBanca Privata Italiana era una banca dell'aristocrazia. La mafia invece si serve sempre di istituti e professionisti di second'ordine. (...)In Sicilia ilBanco di Sicilia, a volte. A Milano una piccola banca inPiazza dei Mercanti [laBanca Rasini n.d.r.]»[67].
Sempre nell'intervista resa a Tosches, Sindona affermò cheLicio Gelli (Gran Maestro dellaloggia massonica P2) gli fu presentato dal generaleVito Miceli nel 1974[68]. Secondo alcune testimonianze emerse dopo lastrage di Piazza Fontana nel 1969[69] e durante l'indagine sull'organizzazionegolpista della "Rosa dei Venti" nel1974, il banchiere siciliano sarebbe stato il principale finanziatore di gruppi diestrema destra in funzioneanticomunista ma non fu mai provato con certezza[68][70]. Nel 1976, al fine di contrastare la richiesta di estradizione in Italia, furono mobilitati importanti personaggi dellafinanza, dellapolitica, dellamagistratura e dellamassoneria come Carmelo Spagnuolo,Edgardo Sogno,Licio Gelli, John McCaffery, Philip Guarino,Flavio Orlandi, Francesco Bellantonio, Stefano Gullo eAnna Bonomi, i quali sottoscrissero una serie di dichiarazioni giurate (affidavit) presentate alla giustizia statunitense, cui si sosteneva che il banchiere era perseguitato dalla giustizia italiana perché anticomunista[62]. Nel 1977 Sindona incontrò spesso Gelli per elaborare piani di salvataggio della Banca Privata Italiana; Gelli stesso interessò l'onorevoleGiulio Andreotti, il quale gli riferì che "la cosa andava positivamente" ed incaricò informalmente il senatoreGaetano Stammati (affiliato alla loggiaP2) e l'onorevoleFranco Evangelisti di studiare il progetto di salvataggio, il quale venne però rifiutato daMario Sarcinelli, vice direttore generale dellaBanca d'Italia[61]. Inoltre Sindona chiese denaro al banchiereRoberto Calvi per rimettere in piedi le sue banche ma, fallito questo tentativo, iniziò a ricattarlo attraverso le campagne di stampa del giornalistaLuigi Cavallo, che mettevano in luce le attività illegali delBanco Ambrosiano diretto da Calvi, il quale si vide costretto a sborsare la somma di 500.000dollari per far cessare la campagna denigratoria[71][72].
Nel 1979 i principali oppositori del piano di salvataggio della Banca Privata Italiana, l'alloragovernatore della Banca d'ItaliaPaolo Baffi (subentrato a Carli) e il suo vice Sarcinelli (i quali avevano anche disposto un'ispezione alBanco Ambrosiano di Calvi) furono arrestati e costretti alle dimissioni (saranno prosciolti soltanto nel 1981 perché le accuse si riveleranno infondate)[73][74]. Ambrosoli invece ricevette una serie di telefonate intimidatorie anonime nelle quali il suo interlocutore veniva indicato da Ambrosoli stesso con il termine convenzionale di "picciotto" per via del suo accentosiciliano[66][71]; l'autore delle telefonate anonime era ilmassone Giacomo Vitale, cognato delboss mafiosoStefano Bontate[61]. L'11 luglio 1979 Ambrosoli venne ucciso con quattro colpi dipistola dal malavitoso italo-americano William Joseph Aricò, che aveva ricevuto l'incarico da Sindona stesso attraverso il suo complice Robert Venetucci (un trafficante dieroina legato aCosa nostra americana), mentre, nei pedinamenti ad Ambrosoli per preparare l'omicidio, Aricò era stato accompagnato da Giacomo Vitale, l'autore delle telefonate anonime[57]; il delitto venne eseguito per rimuovere un ostacolo (ovvero Ambrosoli) alla realizzazione dei progetti di salvataggio della banca, e per terrorizzare il presidente diMediobancaEnrico Cuccia, oppositore del piano di salvataggio[61].
Nell'agosto 1979, mentre era indagato dalle autorità statunitensi, Sindona scomparve improvvisamente daNew York e, servendosi di unpassaporto falso, raggiunseVienna accompagnato da Anthony Caruso, un piccolo funzionario dellaBarclays Bank, e da Joseph Macaluso, un costruttore italoamericano (entrambi "soldati" dellafamiglia Gambino); Sindona, dopo una sosta adAtene, arrivò aBrindisi e da lì in automobile aCaltanissetta, venendo raggiunto in momenti diversi da Giacomo Vitale e da altrimassoni, tra cui il suo medico di fiducia Joseph Miceli Crimi (affiliato alla loggiaP2), che lo accompagnarono nel resto del viaggio. Il 17 agosto arrivò aPalermo e successivamente incontròJohn Gambino, giunto daNew York per seguire personalmente la vicenda: Sindona venne ospitato nella villa diRosario Spatola aTorretta, inprovincia di Palermo[75].
Lo scopo del viaggio di Sindona era quello di simulare un sequestro ad opera di un inesistente gruppo terroristico denominato "Comitato Proletario Eversivo per una Vita Migliore", ma in realtà organizzato daJohn Gambino,Stefano Bontate eSalvatore Inzerillo, e doveva servire a fare arrivare velati avvisi ricattatori per portare a buon fine il salvataggio delle sue banche e quindi del denaro investito da Gambino e dagli altrimafiosi[76]. Durante questo periodo Sindona mandò Miceli Crimi almeno due volte adArezzo per convincereLicio Gelli a fare pressioni ai suoi precedenti alleati politici, tra cui l'onorevoleGiulio Andreotti, e in cambio gli offrì la cosiddetta "lista dei cinquecento", l'elenco di notabili che avevano esportato capitali illegalmente. I tentativi di pressione, però, fallirono[77]. Seguirono alcuni tentativi d'intimidazione nei confronti diEnrico Cuccia, di cui si occupòJohn Gambino: nell'ottobre 1979 Cuccia ricevette numerose telefonate minatorie e il suo portone venne incendiato da duebombe molotov[78]. Infine, come tentativo estremo, nella villa diTorretta Sindona si fece addirittura sparare a una gamba, sottoanestesia, da Miceli Crimi, al fine di rendere più veritiero il sequestro.
Inoltre Sindona aveva proposto aStefano Bontate un pianoseparatista dellaSicilia e l'affiliazione di alcunimafiosi siciliani a unaloggia massonica coperta, anche se la proposta non venne accolta positivamente da tutti i mafiosi[79]. Il 9 ottobre 1979 fu arrestato il mafioso Vincenzo Spatola (fratello diRosario) mentre cercava di recapitare una lettera di Sindona in cui si proclamava "prigioniero" dei terroristi e perciò fu subito chiaro agli inquirenti che il sequestro fosse soltanto una messinscena[80][81]. Il 16 ottobre successivo, dopo il fallimento dei vari tentativi di ricatto, Sindona "ricomparve" in unacabina telefonica diManhattan, in condizioni fisiche conformi a quelle di un sequestrato, e si arrese alle autorità[75][76].
Nel 1980 Sindona venne condannato[82] negliStati Uniti per 65 accuse, tra cuifrode,spergiuro, false dichiarazioni bancarie eappropriazione indebita di fondi bancari; la sua difesa era assicurata da uno dei principali avvocati americani, Ivan Fisher[83]. Il tribunale federale diManhattan, oltre alla pena detentiva di 25 anni di carcere per il fallimento della Franklin National Bank[84], multò Sindona per 207 000 $[85].
Mentre si trovava nelle prigioni federali statunitensi, il governo italiano presentò agli Stati Uniti domanda di estradizione perché Sindona potesse presenziare al processo per omicidio; stavolta la domanda fu accolta e il 25 settembre 1984 Sindona rientrò in Italia e fu incarcerato aVoghera[86]. Pochi giorni dopoIl Sole 24 Ore gli dedicò una pagina intera chiedendosi: "È pensabile che Sindona, il quale vive nel terrore di ricevere prima o poi un 'caffè allaPisciotta', si metta ora a raccontare qualche particolare inedito solo per porre in difficoltà qualcuno dei suoi più vecchi e altolocati amici? Tipo Andreotti, ad esempio. O qualche altro big della politica o di Cosa nostra. C'è da dubitarne".[87]
Il 16 marzo 1985, nel processo per ilcrack della Banca Privata Italiana, Sindona venne condannato a 12 anni di prigione per il reato dibancarotta fraudolenta[88]; il risarcimento dei danni sarebbe stato stabilito in sede civile: Sindona fu condannato a pagare subito una provvisionale di due miliardi di lire ai liquidatori della Banca e ai piccoli azionisti costituitisiparte civile[89].
Il 18 marzo 1986 fu condannato all'ergastolo quale mandante dell'omicidio Ambrosoli[90].
Due giorni dopo la condanna all'ergastolo, Michele Sindona bevve un caffè alcianuro di potassio (probabilmente preparato da lui stesso) nel supercarcere diVoghera: morì all'ospedale di Voghera dopo due giorni dicoma profondo, il 22 marzo 1986.[91] Sindona era stato visitato in carcere da Carlo Rocchi (agente dellaCIA)[92][93] che lo aveva rassicurato dell'aiuto degli americani per le sue vicende[94][95]. La sua morte è stata archiviata come suicidio poiché ilcianuro di potassio ha un odore particolarmente penetrante e quindi ne risulta difficile l'assunzione involontaria; il comportamento e i movimenti di Sindona stesso lo confermavano, facendo pensare a un tentativo di auto-avvelenamento per essere estradato negliStati Uniti, con i quali l'Italia aveva un accordo sulla custodia di Sindona legato alla sua sicurezza e incolumità. Quindi un tentativo di avvelenamento lo avrebbe riportato al sicuro negli Stati Uniti[24].
Sindona fece di tutto per ottenere l'estradizione negli Stati Uniti e l'avvelenamento, secondo l'ipotesi più accreditata, fu l'ennesimo tentativo. Quella mattina andò a zuccherare il caffè in bagno e quando ricomparve davanti agli agenti della polizia penitenziaria gridò: «Mi hanno avvelenato!». Resta comunque plausibile[96] l'ipotesi che la persona, fino a oggi ignota, che gli fornì il veleno, lo avesse manipolato in modo che lo portasse alla morte e non, come previsto, a un semplice malore, magari in accordo con chi lo avrebbe voluto togliere di mezzo.
Ha lasciato la moglie Caterina, due figli e una figlia[85].
Il giornalista e docente universitario Sergio Turone ipotizza che fosse stato Andreotti a far pervenire la bustina di zucchero contenente il cianuro fatale a Sindona, facendo credere a quest'ultimo che il caffè avvelenato gli avrebbe causato solo un malore. Secondo Turone, il movente del presunto omicidio sarebbe stato il timore che Sindona rivelasse durante il processo d'appello segreti riguardanti i rapporti tra politici italiani,Cosa nostra, e laP2: «... fino alla sentenza del 18 marzo 1986 Sindona [aveva] sperato che il suo potente protettore [Andreotti] trovasse la via per salvarlo dall'ergastolo. Nel processo d'appello, non avendo più nulla da perdere, avrebbe detto cose che finora aveva taciuto»[97].
Va tuttavia sottolineato che tale ipotesi non è stata suffragata da alcuna prova concreta che coinvolga in alcun modo Andreotti nella morte di Sindona. Ancora nel 2010,Giulio Andreotti riportava un giudizio positivo su Sindona: «Io cercavo di vedere con obiettività. Non sono mai stato sindoniano, non ho mai creduto che fosse il diavolo in persona. Il fatto che si occupasse sul piano internazionale dimostrava una competenza economico finanziaria che gli dava in mano una carta che altri non avevano. Se non c'erano motivi di ostilità, non si poteva che parlarne bene»[98].
La tomba di Michele Sindona e famiglia si trova nelcimitero monumentale di Milano, la numero 430 del Circondante di Levante[99].
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