Secondo la variazione del mito proposta daDiodoro Siculo (che identificava rePerse, figlio diElio e fratello di Circe e diEete, col titanoPerse figlio diCrio e padre diEcate), Perse ebbe una figlia,Ecate, dea della la magia e dellanecromanzia, che lo uccise e più tardi si congiunse con lo zio Eete.Da questa unione sarebbero nati Medea ed Egialeo (oApsirto).[1]
Medea è uno dei personaggi più celebri e controversi della mitologia greca. Il suo nome in greco significa "astuzie, scaltrezze". Citata fin dallaTeogonia diEsiodo, è descritta come una figura dotata di poteri divini equiparabile alla concezione moderna di "maga".[2][3]
QuandoGiasone giunge nellaColchide insieme agliArgonauti alla ricerca delVello d'oro, capace di guarire le ferite, custodito da un feroce e terribile drago per conto di Eeta, lei se ne innamora perdutamente. E, pur di aiutarlo a raggiungere il suo scopo, giunge a uccidere il fratelloApsirto, spargendone i poveri resti dietro di sé dopo essersi imbarcata sullanave Argo insieme aGiasone, divenuto suo sposo. Il padre, così, trovandosi costretto a raccogliere le membra del figlio, non riesce a raggiungere la spedizione, e gliArgonauti tornano aIolco con il Vello d'Oro. Lo zio di Giasone,Pelia, rifiuta tuttavia di concedere il trono al nipote, come aveva promesso in precedenza, in cambio del Vello.
Medea allora sfrutta le proprie abilità magiche e con l'inganno si rende protagonista di nuove efferatezze per aiutare l'amato. Convince infatti le figlie di Pelia a somministrare al padre un "pharmakón", dopo averlo fatto a pezzi e bollito, che lo avrebbe ringiovanito completamente: dimostra la validità della sua arte riportando un caprone alla condizione di agnello, dopo averlo sminuzzato e bollito con erbe magiche. Le figlie ingenue si lasciano ingannare e provocano così la morte del padre, tra atroci sofferenze:Acasto, figlio di Pelia, pietosamente seppellisce quei poveri resti e bandisce Medea e Giasone da Iolco, costringendoli a rifugiarsi aCorinto, dove si sposeranno.[4]
Sono passati dieci anni,Creonte, re della città di Corinto, vuole dare la sua giovane figliaGlauce in sposa a Giasone, offrendo così a quest'ultimo la possibilità di successione al trono. Giasone accetta e cerca inutilmente di far accettare la cosa a Medea, che triste si dispera per l'abbandono e il nuovo esilio, imposto da Creonte, timoroso di sue vendette.
Medea manda a chiamare Giasone, gli ricorda il loro passato e le volte che gli era venuta in aiuto, ma di fronte all'ingratitudine e all'indifferenza di Giasone, si adira e medita una tremenda vendetta. Fingendosi rassegnata, fa credere di volersi rappacificare con la nuova famiglia del marito per il bene dei figli e manda come dono nuziale una veste finissima e una corona d'oro alla giovane Glauce, la quale, non sapendo che i doni sono intrisi di un potente veleno, li indossa, per poi morire fra fiamme e dolori strazianti. Il padre Creonte, corso in aiuto, tocca anch'egli il mantello, e muore atrocemente.[5]
Ma la vendetta di Medea non finisce qui. SecondoEuripide, per assicurarsi che Giasone soffra e non abbia discendenza, dopo un'angosciosa incertezza vince la sua natura di madre e uccide i loro piccoli figli (Mermero eFere) avuti da lui[6]. SecondoDiodoro Siculo i figli che Medea aveva avuto da Giasone erano però tre: i due gemelli Tessalo eAlcimene e Tisandro[7].
Fuggita adAtene, a bordo del carro del Sole trainato da draghi alati, Medea sposa il reEgeo, dal quale ha un figlio,Medo; Egeo aveva precedentemente concepito conEtra un figlio,Teseo. Medea vuole lasciare il trono di Atene a Medo, ma Teseo giunge in città. Egeo ignora che Teseo sia suo figlio, e Medea, che vede ostacolati i suoi piani per Medo, suggerisce al marito di uccidere il nuovo venuto durante un banchetto. Ma all'ultimo istante Egeo riconosce Teseo come suo figlio e Medea è costretta a fuggire di nuovo.
Torna nella Colchide, dove si ricongiunge e si riappacifica con il padre Eete.
Medea, un dipinto di Henri Klagmann (Nancy, Musée des Beaux-Arts).
Nel primo testo è la donna a parlare cercando di commuovere il marito, ma il racconto si interrompe prima del compimento della tragedia e il suo completamento è possibile al lettore solo attraverso la memoria letteraria. La Medea delleMetamorfosi è ben diversa: essa oscilla traratio efuror,mens ecupido, riprendendo, almeno in parte, la giovane tormentata dai rimorsi diApollonio Rodio, divisa tra il padre e Giasone. Medea si dilania tra incertezza, paura, commozione e compassione.
La metamorfosi avviene in modo repentino ed è possibile rintracciarla attraverso il confronto tra la scena dell'incontro con Giasone nel bosco sacro e il ringiovanimento del padre dell'amato: se nel primo caso appare come un medico antico, nel secondo utilizza esplicitamente la parola "arte" (vv.171-179) mostrandosi come una vera strega.
Anche Ovidio riprende la scena del carro, presente già inEuripide e successivamente inSeneca, ma se in questi due casi l'episodio è inserito alla fine del racconto,Ovidio lo colloca a metà della narrazione: in tal modo Medea perde le sue qualità umane e il mondo reale cede il posto a quello fantastico.
All'inizio dellaMetamorfosi, Medea è la protagonista assoluta, ma pian piano cessa di essere un'eroina in cui il lettore può identificarsi e diviene un personaggio che appare e scompare come per magia.
Il pathos del finale non è sfruttato al massimo: Medea è divenuta una verastrega e quindi non soffre dell'infanticidio commesso né potrebbe soffrire di un'ipotetica punizione.
Nella parte introduttivaDraconzio afferma di voler fondere tutti i motivi tipici del mito di Medea; lo fa invocando laMusaMelpomene e la MusaCalliope.
Medea e Giasone appaiono tutti mossi dal destino e dalla volontà degli dei, legati come sono agli scontri traVenere eDiana. Infatti la dea della caccia, sentendosi tradita per il matrimonio della sua sacerdotessa, scaglia una maledizione contro di lei. Maledizione che, alla fine, darà luogo alla morte del marito e dei figli.
All'inizio Medea è descritta come una "virgo cruenta", ma viene definita maga solo al verso 343.
Caratteristica di questo racconto è che è la donna a rubare il vello d'oro donandolo poi a Giasone, che appare per tutta la narrazione una figura passiva.
Anche quando entra in scenaGlauce l'eroe è semplice oggetto del desiderio, che la giovane otterrà anche a costo di rompere il legame matrimoniale che lo vincola. Entrambe le donne trasgrediscono così le norme morali: da un lato Medea tradisce la dea Diana, dall'altro Glauce porta al tradimento Giasone.
Durante le nozze l'attenzione si concentra sulla coppia mentre Medea prepara la vendetta: sarà lei a donare a Glauce la corona da cui prenderà fuoco l'intero palazzo.
Ma il punto culminante della tragedia è il sacrificio che Medea offre a Diana: i suoi figli, sicché l'infanticidio non è più condotto per vendetta, ma come richiesta di perdono.
Nella scena finale l'autore riprende l'episodio del carro, ma questa volta il volo della donna ha valore semantico e non narrativo: Medea si riunisce a Diana e ritorna la "virgo cruenta" dell'inizio della narrazione, lasciando a terra tutto ciò che era ancora legato a Giasone.
InFate/stay night, unvisual novelgiapponese, Medea è evocata come il servant di classe caster. In base allaroute avrà un ruolo più o meno importante, sempre come antagonista nei confronti del protagonista.
^Esplicitamente indicata "maga" a partire daApollonio Rodio, tale termine può essere fuorviante in riferimento alla tradizione più antica, in quantomágos proviene dall'universo religioso deiPersiani, in cui ilmágos è un prete, o in ogni caso uno specialista della religione ed è solo nel V secolo a.C., conErodoto, che tale termine viene introdotto nella lingua greca adattandolo dall'alto persiano.
^Marcello Carastro.L'invenzione della magia in Grecia. InGrecia mito e religione vol.6 diL'antichità (Coordinatore del Comitato scientifico:Umberto Eco). Milano, Encyclomedia Publishers-CRS, 2011 pp. 434-434
^NellaMedea diCarcino, però, era testimoniata la variante secondo la quale sarebbero stati i Corinzi ad ucciderli, incolpandola del delitto: cfr. M. Martinelli,Una nuova Medea in musica: P.Louvre inv. E 10534 e la Medea di Carcino, in M.S. Celentano (a cura di),Ricerche di metrica e musica greca per Roberto Pretagostini, Alessandria, Edizioni dell'Orso, 2010, pp. 61-76.
^ Luisa Biondetti,Dizionario di mitologia classica, Milano, Badini & Castoldi, 1997, p. 429 e p. 326,ISBN88-8089-300-9.