Matteo Biffi Tolomei (Firenze,19 maggio1730 –Toscana,25 febbraio1808) è stato uneconomista epoliticoitaliano.
Il padre, Neri Tolomei Gucci, figlio di Matteo, assunse nel 1752 il cognome di Biffi Tolomei, avendo ereditato la primogenitura e numerosi possessi dal senatoreGirolamo Biffi. La madre era FrancescaMannelli, figlia del senatore Iacopo e sorella della madre diFrancesco Maria Gianni, consigliere del granducaPietro Leopoldo e suo primo ministro negli anni 1789-1790.[1]
Matteo ereditò dal padre il cognome, il titolo dimarchese di Casa-Massella e un importante patrimonio terriero nelMugello, inVal di Chiana e nelPisano.[1] Il cognome originario della famiglia continuò con il fratello minore Iacopo (1742-1806).[1]
Sposò il 2 giugno 1762 Maria Margherita Mozzi, dalla quale ebbe due figlie, Francesca Maddalena e Isabella Fiammetta, e un figlio, Neri, morto a soli due anni di età.
Si dedicò soprattutto all’amministrazione e al miglioramento dei possedimenti ereditati. Fece parte dell'Accademia dei Georgofili e dell'Accademia della Crusca.[2] Nel 1764 costituì con Benedetto Tavanti e Alberto Buoninsegni la "Compagnia degli affari de’ beni della religione di S. Stefano" che amministrava le terre dell'Ordine di Santo Stefano papa e martire.[1]
Durante il governo diPietro Leopoldo (1765-1790), pur intrattenendo rapporti con personaggi di spicco, non ricoprì cariche pubbliche rilevanti: fu solo membro delConsiglio dei Dugento e in seguito uno dei quattro "Buonomini delle Stinche".[1]
Durante l'occupazione francese seguita allaconquista napoleonica, fu nominato nel 1799 presidente della "Deputazione detta degli approvvigionamenti militari di Firenze", rimanendo in carica anche dopo il temporaneo ritiro dei francesi,[1] e nel 1802 fu nominato senatore delRegno di Etruria.
Morì nel 1808.
Fu favorevole alla libertà di commercio per i generi agricoli, e insieme alprotezionismo manifatturiero, secondo la politica propugnata daFrancesco Maria Gianni negli anni 1770-1776.[1] La contraddizione tra la libertà di commercio per i generi agricoli dellafisiocrazia e ilprotezionismo per la produzione industriale delmercantilismo veniva risolto attraverso un conciliazionismo empirico, ripreso dal Gianni: si lascia libertà assoluta al proprietario quando l'interesse individuale coincide con l'interesse pubblico, mentre si richiede un regolamento quando interesse individuale e pubblico sono in contrasto.[1]
Fu favorevole alle riformeilluministiche del granduca Leopoldo, e quandoFerdinando III iniziò a praticare una politica contraria ad esse, pubblicò anonimi opuscoli contro la nuova politica economica del governo.[1] Uno di essi,Confronto della ricchezza dei paesi che godono libertà nel commercio frumentario con quella dei paesi vincolati prendendo per esempio la Toscana, gli valse nel 1794 un processo di lesa maestà, che terminò tuttavia nel gennaio 1795 con un non luogo a procedere.[1]
Si conservano documenti di Matteo Biffi Tolomei nell'Archivio di Stato di Firenze e nell'archivio del comune diFiesole.[3][4]
Il testo nacque come memoria per la partecipazione ad un concorso indetto dall'Accademia dei Georgofili, per rispondere ad un quesito sull'opportunità di vincoli sulcommercio dellematerie prime[10]. L'opera non vinse il concorso, ma ottenne l'accessit.[1]
L'autore stesso, in una premessa a un'altra opera (Confronto della ricchezza dei paesi che godono libertà nel commercio frumentario con quella dei paesi vincolati prendendo per esempio la Toscana, seconda edizione del 1795), ci informa di un'edizione, stampata nello stesso 1792 nella stamperia di Pietro Allegrini, "con approvazione". Questa edizione circolava fuori dalGranducato di Toscana con il nome dell'autore ("Matteo Biffi Tolomei, patrizio fiorentino") e con il titolo diEsame del commercio di prodotti e manifatture, e dei mezzi di estenderlo per ottenere l'aumento della popolazione e della produzione, dedotto dai fatti seguiti in Toscana.[1]
Il tema proposto nel concorso riguardava i vincoli sull'esportazione dellematerie prime utilizzate nelle principalimanifatturefiorentine, leartidella seta edella lana, e sull'importazione dei corrispondenti manufatti esteri.[1].
Il saggio è suddiviso in quattro parti: nella prima l'autore espone un metodo analitico, basato su "assiomi politico-economici" che può essere applicato alle produzioni industriali toscane, senza il rischio di essere ingannati dall'economia, la quale, soggetta a multiple combinazioni, non può essere invece regolata da norme inequivocabili.
Nella seconda parte il metodo proposto viene applicato all'opportunità di avere regole e vincoli a favore della produzione industriale toscana, in particolar modo per quanto riguarda il commercio della seta, considerato il più importante. L'autore propone inoltre un calcolo comparativo dei beni che queste manifatture apportano alla produzione e alla popolazione, rispetto a quelli che può procurare la terra.
Nella terza parte l'autore propone una dimostrazione con metodo sintetico, anziché analitico: l'opportunità dei vincoli viene indagata anche per prodotti per nulla o poco modificati, ovvero i prodotti della terra, sottolineando la natura differente dei due commerci: il libero commercio frumentario apporta alla Toscana grandi benefici, mentre questa stessa libertà danneggerebbe il commercio delle materie prime fondamentale per la manifattura. In questa parte si affrontano anche le altre arti oltre quella della seta.
Nella quarta e ultima parte l'autore confronta la situazione dello Stato toscano come era prima che fosse introdotta la libertà frumentaria e com'era al suo tempo, in rapporto alla produzione e alla popolazione. Esorta inoltre i suoi concittadini a diminuire il commercio passivo e ad aumentare quello attivo, cessando di ricorrere a manifatture estere ed evitando di far entrare in contrasto l'interesse pubblico e l'interesse privato.
Lo scritto è in netta opposizione all'indirizzo della politica economica granducale del tempo, che consisteva nel progressivo abbandono del liberismo frumentario introdotto daPietro Leopoldo ad opera diFerdinando III. L'autore difende, invece, la libera iniziativa come adatta ad assicurare l'approvvigionamento alimentare della popolazione e un maggior benessere generale. All'esposizione dei danni che avrebbe presentato l'abbandono del liberismo frumentario, si accompagna il tentativo di spiegare le carenze di produzione e gli alti prezzi che avevano determinato il malcontento popolare, ribadendo come elemento negativo anche la mancata protezione delle attività manifatturiere[1].
A causa di questa evidente opposizione, il presidente della segreteria del Buon governo, Giuseppe Giusti, cercò di intentare all'autore un processo per lesa maestà nel 1794, ma il Supremo tribunale di giustizia dichiarò il non luogo a procedere nel gennaio del 1795[1].
Controllo di autorità | VIAF(EN) 48250353 ·ISNI(EN) 0000 0000 8126 9159 ·BAV495/27749 ·LCCN(EN) n86104751 |
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