Tre torri gentilizie, con muratura in pietra irregolare, bei portali, alcuni più complessi e lavorati, altri con semplici architravi in granito, arcate ed involti, resti un po' trascurati di case importanti o di chiara struttura contadina, un interessante forno fusorio, si trovano nel centro storico di Malonno.
Sulla costa sulla quale poggia il villaggio vi era un esteso filone di ferro, che ha una direzione da ovest ad est, quasi orizzontale, partendo dalla località Vago pressoPaisco.[6]
Il primo nucleo abitato sorse probabilmente dove ora insite in bel borgo diLava, che rimase per secoli, fino al1500, il centro religioso più importante della zona. Dopo l'anno mille ilvescovo di Brescia subentrò, mediante scambi territoriali, infeudamenti e acquisizioni, in vaste proprietà in terra camuna, ricevette i vari benefici e privilegi col titolo diDuca diVal Camonica, nel1193, a sua volta investì di un vasto feudo un ramo della famiglia Dòmini diVione e i Magnoni, che furono dunque la parte guelfa della nobiltà locale.
Ighibellini (seguaci invece dell'impero) erano guidati dai Federici che, ricevendo vaste investiture dallo stessoimperatoreFederico Barbarossa (da cui sembra abbiano preso il nome) estesero la loro presenza in tutta laVal Camonica legandosi anche con altre potenti famiglie locali: a Malonno vennero stretti rapporti diretti, anche di parentela, con i Celeri diLovere. Coi Celeri e con i Girardi (che si stabilirono a Malonno tra il XIII e XIV secolo), alcuni malonnesi parteciparono nel1288 alla vasta rivolta guidata daiFederici che era scoppiata contro la guelfaBrescia e il suo vescovo che portò al saccheggio diPisogne edIseo.
Antico forno del ferro (Fùren)CasatorreAffresco presso la CasatorreMalonno dalla parrocchiale
Le più antiche vicende della terra di Malonno, posta a cavallo della media e altaVal Camonica, sono contemporanee ad altri insediamenti preistorici nella lunga valle percorsa dal fiumeOglio. Allapace di Breno del 31 dicembre1397 i rappresentanti della comunità di Malonno, Giovanni Girardo da Scalve e il notaio Martino daGandino, si schierarono sulla spondaghibellina.[8]
Le famiglie malonnesi più potenti e influenti, come era uso nel medio evo, nei XIV e XV secoli, si schierarono più e più volte dalla parte dei vincitori di turno cambiando disinvoltamente padrone e protettore riverendo, dopo la curia Bresciana, prima iVisconti, Duchi diMilano per poi passare al servizio della SerenissimaRepubblica di Venezia, poi, seguendo le vicende delle varieguerre Veneto-Milanesi si avvicinarono ancora aiVisconti e agliSforza, ritornarono sotto laRepubblica di Venezia per un breve periodo poi ripassarono nuovamente ancora dalla parte dei milanesi e infine, dopo la pace di Lodi si affrancarono definitivamente alla Repubblica di San Marco, alle sue truppe, ai suoi tribunali e ai suoi delegati.
Sotto il lungo e relativamente tranquillo periodo di dominazione veneta, per la prima volta, si redassero precise e meticolose relazioni che descrivevano la vita locale, le risorse naturali e le attività che venivano svolte. Nel suo famosoCatastico del1610 il rettore venetoGiovanni da Lezze citava, per le terre di Malonno, le produzioni di castagne, biade e fieni ma lamentava la mancanza di vini e ricordava però soprattutto l'estrazione di minerali di ferro, dalle montagne circostanti, e l'esistenza di un grande forno fusorio nel paese di Malonno che era divenuto il borgo più popoloso e importante del comune (di questo forno rimangono anche oggigiorno delle mura e delle dirette testimonianze orali e scritte).
Attività indotte alla fusione e lavorazione dei metalli erano la raccolta del legname e la notevole produzione di carbone che occupavano molti lavoranti locali. Il trasferimento della parrocchiale e del fonte battesimale da Lava a Malonno (divenuto, come già scritto, l'abitato e la frazione più popolosa della zona) fu stabilito nel1565 dal vescovo di BresciaBollani e confermato nel1580 dal cardinale diMilanoCarlo Borromeo nel corso della sua famosa visita apostolica.
Questa azione provocò tra le due fazioni una furibonda lite che si protrasse a lungo. Gli abitanti di Lava si rifiutarono di far battezzare i loro figli a Malonno ed, vista la loro ostinazione, ottennero, nel1717, la presenza di un cappellano officiante nella loro frazione e nella loro chiesa. Gli straripamenti e le alluvioni provocate dall'Oglio in piena furono sempre delle calamità funeste per il territorio malonnese e le più nefaste di queste disgrazie sono ricordate nel1471 e nel1614.
Le limacciose acque del principale fiume dellaVal Camonica e di alcuni torrenti locali, enormemente ingrossati da giorni e giorni di pioggia continua, seppellirono, sotto grandi masse di detriti e di fango parte dell'abitato di Malonno che si era espanso anche nella parte più vicina all'alveo del fiume.
Furono i Celeri, nella prima metà del Seicento, a finanziare i lavori di arginatura e deviazione del tumultuoso torrente Franchì che nelle sue ricorrenti inondazioni aveva più volte provocato distruzioni, lutti e danni.
Nel1630 gli abitanti di Malonno erano stimati in circa 1500, ma, in quell'infausto anno e l'anno successivo, la peste (quella ricordata dal Manzoni), portata in valle dal passaggio delle truppe deiLanzichenecchi che erano calati dallaValtellina e dalpasso dell'Aprica, li ridusse di quasi la metà. Verso la metà delXVII secolo Malonno ebbe un periodo economico particolarmente florido e le principali famiglie locali vollero dimostrare la loro potenza ed esternare le proprie ricchezze divenendo protagoniste della costruzione di nuove ampie abitazioni che, come era uso in quei tempi, erano corredate sempre da fienili, stalle e carbonili.
Dal1650 iniziò anche la realizzazione di un ponte in pietra sull'Oglio che andò a sostituire quello precedente in legno che era stato danneggiato da una piena. Come per altre antiche e gloriose famiglie camune, nel XVIII secolo si estinse e scomparve la ricca e storica casata del Celèri.
In molte proprietà e benefici di questa famiglia, che aveva fatto gran parte della storia di Malonno, succedettero i Martinengo, che avevano già vasti possessi in altaVal Camonica ed appartenevano al gruppo ristretto delle più importanti famiglie di Brescia. A Malonno divenne molto nota la controversa e bieca figura diMarc'Antonio Martinengo, famoso sia in zona che in città per le sue bravate, le sue sfide e per i suoi duelli che per lungo tempo entrarono nella cronaca e vennero anche tramandati nellebòte (storie o leggende popolari).
Ai Martinengo succedettero, in molte e vaste proprietà malonnesi, i Corazzina. Nel1797 tutta la Val Camonica fu investita dal turbine delle truppe di invasione francesi e i nuovi dominatori che si dimostrarono subito non certo i liberatori dalla tirannide o gli alfieri e apportatori delle idee dellaRivoluzione francese di un decennio prima ma solo conquistatori e predatori.
Fu un breve ma pesante e triste periodo storico: l'invasore impose le sue nuove regole amministrative (alcune positive altre assurde per le nostre valli alpine) e oberò di nuove tasse e balzelli le locali industrie estrattive e di lavorazione del metallo. Venne estesa la leva obbligatoria e molte furono le depredazioni, le violenze e i saccheggi che gravarono su una stremata popolazione resa poverissima e al limite della sopravvivenza.
Le pesanti imposizioni e obblighi di sostentamento per le numerose truppe acquartierate in zona, le insopportabili nuove imposte sui materiali ferrosi, portarono nel breve volgere di pochi anni, ad una netta recessione generale e la fiorente industria del ferro, del carbone e dei semilavorati non si riprese più. Dopo la sconfitta diNapoleone e ilCongresso di Vienna le terre dellaSerenissima vennero assorbite dall'impero austriaco nelRegno Lombardo-Veneto ma anche sotto la dominazione austriaca la miseria restò molto diffusa tanto che gran parte dei bambini disertava la scuola, appena insediata, per lavorare nelle attività dell'agricoltura e dell'allevamento, uniche risorse rimaste ai residenti.
Con l'unità d'Italia, ci fu la difficile e complicata creazione del "Comune di Malonno", che amministrativamente dovette comunque tenere conto della presenza e delle esigenze, nonché del campanilismo, delle numerose frazioni sparse su una vasta e disagiata zona montana.
Nel1888 vi fu in primo organico censimento voluto per dare una fisionomia al neonatoRegno d'Italia e da questa relazione risultava che a Malonno erano ben 24 le "Contrade" (cioè le frazioni) e circa 2 500 abitanti. L'attività principale restava sempre, alla fine del XIX secolo e all'inizio del XX, una povera e faticosa agricoltura di montagna, ristretta nei piccoli appezzamenti coltivati a conduzione familiare e l'altrettanto faticoso allevamento del bestiame (sia grosso che minuto) che comunque non permettevano, alla quasi totalità della popolazione residente, una vita tranquilla e dignitosa ma solo una sopravvivenza minata da una diffusa e costante miseria e molta fame.
Molti, in quegli anni, furono perciò coloro che, abbandonando i borghi delle nostre valli e trasformatisi in emigranti, lasciarono l'ingrata terra natia per cercare lavoro lontano e all'estero, specialmenteFrancia,Belgio e nella vicinaSvizzera. Alcuni malonnesi (come moti altri camuni e italiani) emigrarono anche nelle lontanissimeAmerica eAustralia. Nella prima guerra mondiale (1914-1918) la linea del fronte (alTonale) non era molto lontana dalle terre malonnesi e il grande conflitto, oltre che cambiare il volto della zona divenne anche un'occasione primaria (e fu una delle grandi rivoluzioni in tutta Europa in quell'inizio del Novecento) per le donne di uscendo (in parte) dal ristretto ambito della famiglia e della casa, poiché gli uomini validi erano in trincea.
Molte giovani dell'alta Valle iniziarono così a lavorare anche per ilgenio militare preparando trincee, casematte e rifugi. Molte furono anche le strade che in quegli anni vennero ampliate, ammodernate e tracciate e molte delle frazioni del comune vennero collegate più direttamente: molti sentieri e mulattiere, che potevano avere interesse militare, vennero trasformate in carreggiabili e diedero lavoro e salari a molti uomini e molte donne che fino ad allora avevano svolto solo il lavoro dei campi e delle stalle.
Nel periodo fascista iniziò l'attività produttiva lo stabilimento posto in localitàForno d'Allione, al confine con i comuni diBerzo Demo eCedegolo, che diventerà, per svariati decenni, un punto di riferimento importante e di occupazione per molte famiglie locali fino alla mesta e inevitabile chiusura totale negli anni novanta. Sulla stessa area, dopo un lungo periodo di inattività, è stato creato un piccolo polo artigianale che ha destato l'attenzione di alcuni piccoli impresari locali. Negli anni sessanta, come ovunque, prese consistenza un diffuso boom edilizio che, anche a Malonno, cambiò radicalmente il volto di tutta la zona.
I piccoli nuclei abitati posti alle quote più elevate e lontani dalla principali vie di comunicazione e collegamento come le varie sparse frazioni montane, in parte si svuotarono mentre il capoluogo raggiunse le attuali vaste dimensioni in parte anche dovute alla nascita di varie attività commerciali e a piccole industrie locali.
15 febbraioSanti Faustino e Giovita: festa patronale. In passato si invitavano a tavola i poveri mendicanti. Si festeggivava con la "macchina" del Triduo dei Morti, risalente al1771 e restaurata nel1985.[9]
Parrocchiale dei Santi Faustino e Giovita, una delle chiese più ampie della Valle Camonica, iniziato a costruire nel 1731 per opera del conte Leonida Celeri. Fu conclusa nel 1750 e consacrata nel 1829.[11]
Palazzo Celeri-Martinengo costruito dai Celeri tra il 1400 e il 1600 (?) e rimaneggiato dai Martinengo nel 1700, all'interno suggestivi e vasti saloni, tra i quali una preziosissima «stúa» rivestita in legno. I soffitti erano un tempo affrescati.
Gliscütüm sono nei dialetti camuni deisoprannomi o nomiglioli, a volte personali, altre indicanti tratti caratteristici di una comunità. Quello che contraddistingue gli abitanti di Malonno èBène oppureMàcc dele bène.[13]
Una nenia popolare in dialetto camuno recita:
Din don, din don, le campane de Malòn
6 gennaio, festa dell'epifania. Era consuetudine dare algabinàt (datedescoGaben Nacht, notte dei doni): quando la mattina due persone s'incontravano, il primo che pronunciava la parola aveva diritto di ricevere un piccolo dono. Spesso era un bicchiere digrappa.[9]
Giovedì grasso (Giovedì di mezzaquaresima,Giuedè de la Meza). Si leggeva il testamento e di seguito si bruciava la Vecchia, tradizione tuttora in auge a Malonno.[14]
Carnevale. I giovani si mascheravano daPlap Plap oPlaf Plaf (essere dal muso lungo di legno, con un'enorme bocca mobile) o daCàvra Begòl (capra gigantesca) per mettere paura alle persone riunite nelle stalle.[15]
Lezza m.1129, frazione posta a N di Malonno sul versante destro della valle. Quasi sicuramente deriva dalla parola dialettale camuna "lesha" = slitta o carro adibito al trasporto di materiale scavato da cave o miniere. Questa lettura etimologica può essere giustificata dal fatto che nella zona, posta al confine col territorio del comune di Edolo, vi erano in passato delle zone minerarie e delle miniere.
Moscio
Moscio (Mòsh) m.830, piccolo agglomerato urbano ad O di Malonno. Deriva da "mosh" = palude o dal suo sinonimo "mosa". scütüm:Veneti
Nazio
Nazio (Nash) m.920, frazione a SO di Malonno. Su territorio comunale sono identificabili: "Càp de Nash" (Campo di Nazio) a m.1550, "Dòsh de Nash" (Dosso di Nazio) a m.1214 e "Campèl de Nash" (Campello di Nazio) a m.1842. Deriverebbe dal vocabolo "nas" o "nash" = naso, dalla conformazione del terreno, ma è più probabile da "nash" = tasso, albero alpestre molto simile all'abete. Comunque qualcuno vorrebbe farlo derivare dalle parole "neo as" = nuovo metallo per la localizzazione di antiche miniere.
^Tratto da: Marcello Ricardi, Giacomo Pedersoli,Grande guida storica di Valcamonica Sebino Val di Scalve, Cividate Camuno, Toroselle, 1992, p. 437.
^ Roberto Celli,Repertorio di fonti medievali per la storia della Val Camonica, Brescia, Tipolitografia Queriniana, 1984, p. 104,ISBN88-343-0333-4.
^ Gregorio Brunelli,Curiosi trattenimenti contenenti ragguagli sacri e profani dei popoli camuni, a cura di Oliviero Franzoni,Breno, Tipografia Camuna, 1998[1698], p. 183.