ILongobardi furono unapopolazione germanica, protagonista tra ilII e ilVI secolo di una lungamigrazione che la portò dal basso corso dell'Elba fino all'Italia. Il movimento migratorio ebbe inizio nel II secolo, ma soltanto nelIV l'intero popolo avrebbe lasciato il basso Elba; durante lo spostamento, avvenuto risalendo il corso del fiume, i Longobardi approdarono prima al medio corso delDanubio (fineV secolo), poi inPannonia (VI secolo), dove consolidarono leproprie strutture politiche e sociali, si convertirono parzialmente alcristianesimoariano e inglobarono elementi etnici di varia origine, principalmente germanici.
Entrati a contatto con il mondobizantino e la politica dell'areamediterranea, nel568, guidati daAlboino, si insediarono inItalia, dove diedero vita a unregno indipendente che estese progressivamente il proprio dominio sulla maggior parte del territorioitaliano continentale epeninsulare. Il dominio longobardo fu articolato in numerosiducati, che godevano di una marcata autonomia rispetto al potere centrale dei sovrani insediati aPavia; nel corso dei secoli, tuttavia, grandi figure di sovrani comeAutari,Agilulfo,Teodolinda, (VI secolo),Rotari,Grimoaldo (VII secolo),Liutprando,Astolfo eDesiderio (VIII secolo) estesero progressivamente l'autorità del re, conseguendo un rafforzamento delle prerogative regie e della coesione interna del regno. Il Regno longobardo, che tra il VII e l'inizio dell'VIII secolo era arrivato a rappresentare una potenza di rilievo europeo, cessò di essere un organismo autonomo nel774, a seguito della sconfitta subita a opera deiFranchi guidati daCarlo Magno.
Nel corso dei secoli, i Longobardi, inizialmente casta militare rigidamente separata dalla massa della popolazioneromanica, si integrarono progressivamente con il tessuto sociale italiano, grazie all'emanazione di leggi scritte inlatino (Editto di Rotari,643), alla conversione alcattolicesimo (fineVII secolo) e allo sviluppo, ancheartistico, di rapporti sempre più stretti con le altre componenti sociopolitiche della Penisola (bizantine e romane). La contrastata fusione tra l'elementogermanico longobardo e quelloromanico pose le basi, secondo il modello comune alla maggior parte deiregni latino-germanicialtomedievali, per la nascita e lo sviluppo della societàitaliana dei secoli successivi.
«Ab intactae ferro barbae longitudine[...] ita postmodum appellatos. Nam iuxta illorum linguam "lang" longam, "bart" barbam significat.»
(italiano) «Furono chiamati così [...] in un secondo tempo per la lunghezza della barba mai toccata dal rasoio. Infatti nella loro lingualang significa "lunga" ebart "barba".»
Paolo Diacono, che riporta la tradizionale spiegazione mitica di questo appellativo, rileva come sia anche congruente con l'acconciatura tipica dei Longobardi, caratterizzata in effetti dalle lunghe barbe che li differenziano, per esempio, daiFranchi accuratamente rasati.
«Langobardos vulgo fertur nominatos prolixa barba et numquam tonsa.»
(italiano) «Si dice comunemente che iLongobardi siano stati così chiamati a causa della lorolunga barba, mai tagliata.»
(Isidoro di Siviglia,Etymologiae, IX, 2, 95)
L'etimologia proposta dallo storico è stata accolta anche dalla moderna ricerca, che conferma come l'acconciatura tradizionale fosse a sua volta avvalorata da una forma rituale di culto al dioOdino. Al contrario, la storiografia ha ormai abbandonato l'ipotesi alternativa che spiegava l'etnonimo come popolo "dalle lunghe lance", dall'alto tedesco anticobarta ("lancia")[2].
Secondo le loro tradizioni, riportate nell'Origo gentis Langobardorum[3] e riprese da Paolo Diacono nella suaHistoria Langobardorum (dove tuttavia lo storico rigetta la leggenda, qualificandola come «ridiculam fabulam», "favola ridicola", e bollando i fatti narrati come «risu digna et pro nihilo habenda», "degni di riso e privi di qualsiasi valore")[4], i Longobardi in origine si chiamavanoWinnili e abitavano laScania. Sotto la guida dei fratelliIbor eAio, figli diGambara, migrarono verso sud, sulle coste meridionali delMar Baltico, e si stabilirono nella regione chiamata "Scoringa". Presto vennero in conflitto con i viciniVandali, anch'essiGermani, e si trovarono in difficoltà poiché il loro valore non bastava a compensare l'esiguità numerica.
Narra la leggenda che i capi dei Vandali pregaronoOdino di concedere loro la vittoria, ma il dio supremo disse che avrebbe decretato il successo al popolo che, il mattino della battaglia, avrebbe visto per primo. Gambara e i figli invece ricorsero alla moglie di Odino,Frigg, che diede loro il consiglio di presentarsi sul campo di battaglia al sorgere del sole: uomini e donne insieme, queste con i capelli sciolti fin sotto il mento come fossero barbe. Al sorgere del sole Frigg fece sì che Odino si girasse dalla parte dei Winnili e il dio, quando li vide, chiese: «Chi sono quelli con le lunghe barbe?». Al che la dea rispose: «Poiché hai dato loro un nome, dai loro anche la vittoria»[4].
L'aneddoto riguarda non solo la leggenda di formazione del nome del popolo, ma informa anche di una sorta di passaggio delle consegne fra gli dèi dell'antica religione deiVani, che probabilmente avevano il patronato della stirpe dei Winnili e tra cui primeggiava la dea Frigg, e la nuova religione degliAsi capeggiati daOdino/Wotan. Si trattò quindi dell'evoluzione da una religione orientata al culto della fertilità a una che promuoveva i valori della guerra e la classe dei guerrieri[5][6]. Non solo nelle abitudini dei Germani, ma in numerose altre culture il diritto di imporre il nome ad un'altra persona impone una serie di doveri che corrono nei due sensi, una sorta di padrinaggio[7].
Una conferma indiretta del mito di fondazione del popolo longobardo è forse contenuta inGiordane che, nel551, parlò di una tribù chiamata "Vinoviloth"[8] per la quale è stata ipotizzata una connessione con "Winnili"[9]. Stando però allo stesso Giordane, a quel tempo i "Winnili" vivevano ancora inScandinavia: si ritiene quindi comunemente che si trattasse di tutt'altro popolo, forsefinnico[10].
La coincidenza dellaScandinavia meridionale con lapatria originaria dei Longobardi è comunemente accettata dalla storiografia moderna[10][11][12]. L'assenza di ritrovamenti archeologici chiaramente riconducibili ai Longobardi in Scandinavia ha tuttavia indotto alcuni storici a teorizzare che le tarde testimonianze di Paolo Diacono e dellaOrigo gentis Langobardorum siano in realtà scorrette, forse ispirate per analogia alla tradizione deiGoti (spesso assunti come esempio dagli altri popoligermanici)[13]. Alcune tracce rinvenute in Scandinavia sono compatibili con una presenza longobarda nelI secolo a.C., specie tenendo conto di similitudini tra la mitologia longobarda e quellanordica e tra ildiritto e lasocietà dei Longobardi e quella degliantichi popoli della Scandinavia[14].
Gli storici concordano nel collocare la prima tappa della migrazione verso sud, la "Scoringa", presso le coste sudoccidentali delMar Baltico, identificandola forse con l'isola diRügen[16], forse con laZelanda oLolland[17]. Tale movimento migratorio avvenne con ogni probabilità ancora nel I secolo a.C.[14]; poco dopo si stabilirono prima in "Mauringa" e poi in "Golanda"[18]. L'identificazione di questi territori è ancora oggetto di dibattito tra gli storici, ma si tratta comunque di aree comprese tra le sponde del Baltico e ilfiume Elba[19][20]. Mentre erano in queste aree avvennero i primi contatti con i Germani occidentali e, nel5 d.C. durante la campagna germanica diTiberio, con l'Impero romano, che li sconfisse in battaglia[21]. Si allearono in seguito, sempre in opposizione ai Romani, prima con la lega germanica guidata dai Cherusci di Arminio[22][23], prendendo parte alla battaglia di Teutoburgo; poi conMaroboduo, re deiMarcomanni[22].Tacito, nel suo saggioGermania (98 d.C.), confermò lo stanziamento alle foci dell'Elba (come pureStrabone[24]), inserendoli tra le popolazionisuebiche[25].
Circa settant'anni dopo laGermania di Tacito, i Longobardi sono annoverati fra le popolazioni coinvolte nellaprima campagna (167–169) di combattimenti fra le legioni romane diMarco Aurelio e numerosi popoli; nel 167 presero parte all'incursione inPannonia superiore[27][28]. Dopo la sconfitta della coalizione marcomannica, la diminuzione del potere dei Longobardi seguita alla ritirata del 167 li portò probabilmente ad allearsi a popoli vicini più forti, come iSassoni, mantenendosi comunque indipendenti[29]. Rimasero presso l'Elba fino alla seconda metà delIV secolo, anche se un nuovo processo migratorio verso sud aveva già avuto avvio agli inizi delIII.
Nel periodo successivo alleGuerre marcomanniche la storia dei Longobardi è sostanzialmente sconosciuta. L'Origo riferisce di un'espansione nelle regioni di "Anthaib", "Bainaib" e "Burgundaib"[30], spazi compresi tra il medio corso dell'Elba e l'attualeBoemia settentrionale[31][32][33]. Si trattò di un movimento migratorio dilazionato nel corso di un lungo periodo, compreso tra ilII e ilIV secolo, e non costituì un processo unitario, quanto piuttosto una successione di piccole infiltrazioni in territori abitati contemporaneamente anche da altripopoli germanici[31][34][35].
Tra la fine del IV e l'inizio delV secolo, i Longobardi tornarono a darsi un re,Agilmondo[36], e dovettero confrontarsi con gliUnni, chiamati "Bulgari" da Paolo Diacono[37]. Sempre tra IV e V secolo ebbe avvio la trasformazione dell'organizzazione tribale longobarda verso un sistema guidato da un gruppo diduchi; questi comandavano proprie bande guerriere sotto un sovrano che, ben presto, si trasformò in unre vero e proprio. Il re, eletto come generalmente accadeva in tutti ipopoli indoeuropei per acclamazione dalpopolo in armi, aveva una funzione principalmente militare, ma godeva anche di un'aura sacrale (lo "heill", "carisma"); tuttavia, il controllo che esercitava sui duchi era generalmente debole[38][39].
Nel488-493 i Longobardi, guidati daGodeoc e poi daClaffone, "ritornarono" alla storia e, attraversata laBoemia e laMoravia[40][41], si insediarono nella "Rugilandia", le terre a ridosso del medioDanubio lasciate libere daiRugi a nord delNorico dove, grazie alla fertilità della terra, poterono rimanere per molti anni[41][42]; per la prima volta entrarono in un territorio marcato dalla civiltà romana[40]. Giunti presso il Norico, i Longobardi ebbero conflitti con i nuovi vicini, gliEruli, e finirono per stabilirsi nel territorio detto "Feld" (forse laPiana della Morava, situata a oriente diVienna[41][43]).
Un'alleanza con Bisanzio e i Franchi permise al reVacone di mettere a frutto le convulsioni che scossero ilregno ostrogoto dopo la morte del re Teodorico nel526: sottomise così iSuebi presenti nella regione[44] e occupò laPannonia I e Valeria (l'attualeUngheria a ovest e a sud delDanubio)[45][46]. Alla sua morte (540) il figlioValtari era minorenne; quando, pochi anni dopo, morì, il suo reggenteAudoino usurpò il trono[47] e modificò il quadro delle alleanze del predecessore, accordandosi (nel547 o nel548) conl'imperatore bizantino Giustiniano I[47] per occupare, in Pannonia, laprovincia Savense (il territorio che si stende fra i fiumiDrava eSava) e parte del Norico, in modo da schierarsi nuovamente contro i vecchi alleati Franchi eGepidi e consentire a Giustiniano di disporre di rotte di comunicazione sicure con l'Italia[48][49].
Grazie anche al contributo militare di un modesto contingente bizantino e, soprattutto, dei cavalieriavari[13], i Longobardi affrontarono i Gepidi e li vinsero (551)[50], mettendo fine alla lotta per la supremazia nell'area norico-pannonica. In quella battaglia si distinse il figlio di Audoino,Alboino, che duellò con il principe gepidoTorrismondo uccidendolo. Ma uno strapotere dei Longobardi in quella zona non serviva gli interessi di Giustiniano[51][52] e quest'ultimo, pur servendosi di contingenti longobardi anche molto consistenti controTotila e perfino contro iPersiani[53], cominciò a favorire nuovamente i Gepidi[51][52]. Quando Audoino morì, il suo successore Alboino dovette stipulare un'alleanza con gliAvari, che però prevedeva in caso di vittoria sui Gepidi che tutto il territorio occupato dai Longobardi andasse agli Avari[52]. Nel567 un doppio attacco ai Gepidi (i Longobardi da ovest, gli Avari da est) si concluse con due cruente battaglie, entrambe fatali ai Gepidi, che scomparivano così dalla storia; i pochi superstiti vennero assorbiti dagli stessi Longobardi[54][55]. Gli Avari si impossessavano di quasi tutto il loro territorio, salvoSirmio e il litoraledalmata che tornarono ai Bizantini[55][56].
Sconfitti iGepidi, la situazione era cambiata assai poco perAlboino, che al loro posto aveva dovuto lasciar insediare i non meno pericolosiAvari; decise quindi di lanciarsi verso le pianure dell'Italia, appena devastate dalla sanguinosaguerra gotica. Nel568 i Longobardi invasero l'Italia attraversando l'Isonzo[57]. Insieme a loro c'erano contingenti di altri popoli[58].Jörg Jarnut, e con lui la maggior parte degli autori, stima la consistenza numerica totale dei popoli in migrazione tra i cento e i centocinquantamila fra guerrieri, donne e non combattenti[57]; non esiste tuttavia pieno accordo tra gli storici a proposito del loro reale numero[59].
La resistenza bizantina fu debole; le ragioni della facilità con la quale i Longobardi sottomisero l'Italia sono tuttora oggetto di dibattito storico[60]. All'epoca la consistenza numerica della popolazione era al suo minimo storico, dopo le devastazioni seguite alla Guerra gotica[60]; inoltre i Bizantini, che dopo la resa diTeia, l'ultimo re degliOstrogoti, avevano ritirato le migliori truppe e i migliori comandanti[60] dall'Italia perché impegnati contemporaneamente anche controAvari ePersiani, si difesero solo nelle grandi città fortificate[57]. GliOstrogoti che erano rimasti in Italia verosimilmente non opposero strenua resistenza, vista la scelta fra cadere in mano ai Longobardi, dopotuttoGermani come loro, o restare in quelle dei Bizantini[60].
I domini longobardi (in azzurro) dopo la morte diAlboino (572) e le conquiste diFaroaldo eZottone nel centro e nel sud della penisola (575 circa)[61].
La prima città a cadere nelle mani di Alboino fuCividale del Friuli (allora "Forum Iulii"); poi cedettero, in rapida successione,Aquileia,Vicenza,Verona,Brescia e quasi tutte le altre città dell'Italia nordorientale[62]. Venne fondato il Ducato del Friuli ed affidato a Gisulfo I[63]. Nel settembre569 aprirono le porte agli invasoriMilano eLucca e nel572, dopo tre anni diassedio, caddeanche Pavia; Alboino ne fece lacapitale del suo regno[64]. Neglianni successivi i Longobardi proseguirono la loro conquista discendendo la penisola fino all'Italia centro–meridionale, doveFaroaldo eZottone, forse con l'acquiescenza di Bisanzio, conquistarono gliAppennini centrali e meridionali, divenendo rispettivamente i primi duchi diSpoleto e diBenevento[65]. I Bizantini conservarono alcune zone costiere dell'Italia continentale: l'Esarcato (laRomagna, con capitaleRavenna), laPentapoli (comprendenti i territori costieri delle cinque città diAncona,Pesaro,Fano,Senigallia eRimini) e gran parte delLazio (inclusaRoma) e dell'Italia meridionale (le città della costacampana,Salerno esclusa, laPuglia e laCalabria)[61].
Inizialmente il dominio longobardo fu molto duro, animato da spirito di conquista e saccheggio: un atteggiamento ben diverso, quindi, da quello comunemente adottato dai barbarifoederati, per più lungo tempo esposti all'influenza latina[60]. Se nei primi tempi si registrarono numerose violenze, già verso la fine delVI secolo l'atteggiamento dei Longobardi si addolcì[66], anche in seguito all'avvio del processo di conversione dall'arianesimo al credoniceno dellaChiesa di Roma[67].
Con l'irruzione dei Longobardi, l'Italia si trovò divisa tra questi e i Bizantini, secondo confini che nel corso del tempo subirono notevoli oscillazioni. I nuovi venuti si ripartirono tra laLangobardia Maior (l'Italia settentrionale e ilDucato di Tuscia) e laLangobardia Minor (iducati diSpoleto eBenevento nell'Italia centro-meridionale), mentre la terra rimasta sotto controllo bizantino ("Romània") aveva come fulcro l'Esarcato di Ravenna. Dopo ilDucato del Friuli, creato nel569 dallo stessoAlboino, altri ducati furono creati nelle principali città del Regno longobardo: la soluzione fu dettata da esigenze in primo luogo militari (iduchi erano prima di tutto comandanti), ma gettò il seme della strutturale debolezza del potere regio longobardo[68]. Nel572, dopo la capitolazione diPavia e la sua elevazione a capitale del regno, Alboino cadde vittima di una congiura ordita aVerona dalla moglieRosmunda e da alcuni guerrieri[69].
Più tardi nello stesso anno i duchi acclamarono reClefi. Il nuovo sovrano estese i confini del regno, completando la conquista dellaTuscia, e tentò di continuare coerentemente la politica di Alboino, eliminando l'antica aristocrazia latina per acquisirne terre e patrimoni. Clefi fu ucciso, forse su istigazione dei Bizantini, nel574[70]; i duchi non nominarono un altro re e per un decennio regnarono da sovrani assoluti nei rispettivi ducati (Periodo dei Duchi)[71]. CommentaMachiavelli:
«Questo Clefi fu in modo crudele, non solo contro agli esterni, ma ancora contro ai suoi Longobardi, che quegli, sbigottiti della potestà regia, non vollono rifare più re; ma feciono intra loro trenta duchi, che governassero gli altri. Il quale consiglio fu cagione che i Longobardi non occupassero mai tutta Italia, e che il regno loro non passasseBenevento, e cheRoma,Ravenna,Cremona,Mantova,Padova,Monselice,Parma,Bologna,Faenza,Forlì,Cesena, parte si difendessero un tempo, parte non fussero mai da loro occupate»
Nel584 i duchi, davanti alla chiara necessità di una forte monarchia centralizzata per far fronte alla pressione deiFranchi e deiBizantini, incoronarono reAutari e gli consegnarono metà dei loro beni[72][73]. Autari riorganizzò i Longobardi e il loro insediamento in forma stabile inItalia e assunse il titolo diFlavio, con il quale intendeva proclamarsi anche protettore di tutti i romani[72]. Nel585 respinse, nell'attualePiemonte, i Franchi e indusse i Bizantini a chiedere, per la prima volta, una tregua. Nel590 sposò la principessabavaraTeodolinda, di sangueletingio.
Autari morì in quello stesso590 e a succedergli fu chiamato ilduca di Torino,Agilulfo, che sposò a sua volta Teodolinda; a sceglierlo come nuovo marito e sovrano, secondo la leggenda, fu la stessa giovane vedova[74]. L'influenza della regina sulla politica di Agilulfo fu notevole e le decisioni principali vengono attribuite a entrambi[75].
Agilulfo e Teodolinda garantirono i confini del regno attraverso trattati di pace conFranchi eAvari; le tregue con i Bizantini, invece, furono sistematicamente violate e il decennio fino al603 fu segnato da una marcata ripresa dell'avanzata longobarda. Al nord Agilulfo occupò, tra le varie città, ancheParma,Piacenza,Padova,Monselice,Este,Cremona eMantova, mentre anche a sud i duchi diSpoleto eBenevento ampliavano i domini longobardi[76].
Il rafforzamento dei poteri regi avviato daAutari prima eAgilulfo poi segnò anche il passaggio a una nuova concezione territoriale basato sulla stabile divisione del regno inducati. Ogni ducato era guidato da unduca, non più solo capo di unafara ma funzionario regio, depositario dei poteri pubblici e affiancato da funzionari minori (sculdasci egastaldi). Con questa nuova organizzazione ilRegno longobardo avviò la sua evoluzione da occupazione militare a Stato[75]. L'inclusione dei vintiRomanici era un passaggio inevitabile e Agilulfo compì alcune scelte simboliche volte ad accreditarlo presso la popolazione latina: per esempio, si definìGratia Dei rex totius Italiae («Per grazia di Dio, re dell'Italia intera») e non più soltantoRex Langobardorum («Re dei Longobardi»)[77]. In questa direzione si inscrive anche la forte pressione - svolta soprattutto da Teodolinda, che era in rapporti epistolari con lo stessopapa Gregorio I[78] e dall'abate e missionario irlandeseColombano e dei suoi monaci - verso la conversione alcattolicesimo dei Longobardi, fino a quel momento ancora in gran partepagani oariani, e la ricomposizione delloScisma tricapitolino[76]. Paolo Diacono esalta la sicurezza finalmente raggiunta, dopo gli sconvolgimenti dell'invasione e delPeriodo dei Duchi, sotto il regno di Autari e Teodolinda:
(latino)
«Erat hoc mirabile in regno Langobardorum: nulla erat violentia, nullae struebantur insidiae; nemo aliquem iniuste angariabat, nemo spoliabat; non erant furta, non latrocinia; unusquisque quo libebat securus sine timore pergebat.»
(italiano) «C'era questo di meraviglioso nel regno dei Longobardi: non c'erano violenze, non si tramavano insidie; nessuno opprimeva gli altri ingiustamente, nessuno depredava; non c'erano furti, non c'erano rapine; ognuno andava dove voleva, sicuro e senza alcun timore.»
Alla morte diAgilulfo, nel616, il trono passò al figlio minorenneAdaloaldo.Teodolinda, reggente e detentrice effettiva del potere anche dopo l'uscita dalla minorità del figlio, proseguì la sua politica filo-cattolica e di pacificazione con i Bizantini, suscitando però una sempre più decisa opposizione tra i Longobardi; il conflitto esplose nel624 e fu capeggiato daArioaldo, che nel625 depose Adaloaldo e si insediò al suo posto[79][80]. Il "colpo di Stato" aprì una stagione di conflitti tra le due componenti religiose maggioritarie nel regno, dietro alle quali si celava l'opposizione tra i fautori di una politica di pacificazione con iBizantini e di integrazione con i "Romanici" (Bavaresi) e i propugnatori di una politica più aggressiva ed espansionista (nobiltàariana)[80]. Il regno di Arioaldo fu travagliato da questi contrasti, oltre che dalle minacce esterne.
Nel653, conAriperto I, ritornava sul trono ladinastia Bavarese, segno del prevalere della fazionecattolica su quellaariana[84]. Ariperto si segnalò per la dura repressione dell'arianesimo; alla sua morte (661) divise il regno tra i due figli,Pertarito eGodeperto. L'inusuale partizione entrò immediatamente in crisi: tra i fratelli si accese un conflitto che coinvolse anche ilduca di Benevento,Grimoaldo, che scalzò entrambi e ottenne l'investitura dai nobili longobardi. Grimoaldo favorì l'opera di integrazione tra le diverse componenti del regno ed esercitò i poteri sovrani con una pienezza fino ad allora mai raggiunta dai suoi predecessori[85].
Alla morte di Grimoaldo, nel671,Pertarito rientrò in Italia e sviluppò una politica in linea con la tradizione della sua dinastia. Ottenne la pace con i Bizantini e rintuzzò una prima ribellione delduca di Trento,Alachis[86], che però tornò a sollevarsi, coalizzando intorno a sé gli oppositori alla politica filo-cattolica[87], alla morte di Pertarito, nel688. Il suo figlio e successoreCuniperto soltanto nel689 riuscì a venire a capo della ribellione, uccidendo Alachis nellabattaglia di Coronate[88]. La crisi era figlia della divergenza che vedeva contrapposte le due regioni dellaLangobardia Maior: da un lato le regioni occidentali ("Neustria"), fedeli ai sovraniBavaresi, filo-cattoliche e sostenitrici della politica di pacificazione conBisanzio eRoma; dall'altra le regioni orientali ("Austria"), che non si rassegnavano a una mitigazione del carattere guerriero del popolo[87].
La morte diCuniperto, nel700, aprì una grave crisi dinastica, con scontri civili, reggenze effimere e ribellioni; solo nel702Ariperto II riuscì a sconfiggereAnsprando eRotarit, che gli si opponevano, e poté sviluppare una politica di pacificazione. Nel712 Ansprando, rientrato dall'esilio, spodestò Ariperto, ma morì dopo appena tre mesi di regno.
Sul trono salìLiutprando, il figlio di Ansprando già associato al potere; il suo regno fu il più lungo di tutti quelli dei Longobardi inItalia, che sotto di lui toccarono l'apogeo della loro parabola storica[89]. Il suo popolo gli riconobbe audacia, valor militare e lungimiranza politica, ma a questi valori tipici della stirpe germanica (elementi in declino dell'identità longobarda, che lo stesso sovrano tentò di rivitalizzare) Liutprando, re di una nazione ormai in stragrande maggioranzacattolica, unì quelle dipiissimus rex[90]. Testimonianza dell'ammirazione che gli tributarono i Longobardi è il panegirico tessuto da Paolo Diacono nel descriverne la figura:
(latino)
«Fuit vir multae sapientiae, consilio sagax, pius admodum et pacis amator, belli praepotens, delinquentibus clemens, castus, pudicus, orator pervigil, elemosinis largus, litterarum quidem ignarus, sed philosophis aequandus, nutritor gentis, legum augmentator.»
(italiano) «Fu uomo di molta saggezza, accorto nel consiglio, di grande pietà e amante della pace, fortissimo in guerra, clemente verso i colpevoli, casto, virtuoso, instancabile nel pregare, largo nelle elemosine, ignaro sì di lettere ma degno di essere paragonato ai filosofi, padre della nazione, accrescitore delle leggi.»
Liutprando si alleò con iFranchi, attraverso un patto coronato dalla simbolica adozione del giovanePipino il Breve[91], e con gliAvari, ai confini orientali: una doppia garanzia contro i potenziali nemici esterni che gli consentì di avere le mani libere nello scacchiere italiano[92]. Nel726 si impadronì di molte città dell'Esarcato e dellaPentapoli, atteggiandosi a protettore dei cattolici; per non inimicarsi il papa, tuttavia, rinunciò all'occupazione diSutri[93], che restituì non all'imperatore ma «agli apostoli Pietro e Paolo»[94]. Questa donazione, nota comeDonazione di Sutri, fornì il precedente legale per attribuire unpotere temporale al papato, che avrebbe infine prodotto loStato della Chiesa[93]. Un momento di forte tensione si ebbe quando Liutprando mise l'assedio a Roma: il papa chiese aiuto aCarlo Martello che, intervenendo diplomaticamente, riuscì a far desistere il sovrano longobardo (739). Negli anni successivi Liutprando portò anche iducati diSpoleto e diBenevento sotto la sua autorità: mai nessun re longobardo aveva ottenuto simili risultati[95]. La solidità del suo potere si fondava, oltre che sul carisma personale, anche sulla riorganizzazione delle strutture del regno che aveva intrapreso fin dai primi anni[96][97]. Il nuovopapa Zaccaria ottenne nuove cessioni territoriali da Liutprando, che nel742 trasferì al pontefice diverse terre dell'ex "Ducato romano"[98].
Dopo la morte di Liutprando (744) una rivolta destituì suo nipoteIldebrando e insediò al suo posto ilduca del Friuli,Rachis, che tuttavia si dimostrò un sovrano debole. Cercò sostegno presso la piccola nobiltà e iRomanici[99], inimicandosi la base dei Longobardi che lo costrinse presto a tornare all'offensiva e ad attaccare laPentapoli. Il papa lo convinse a desistere e il suo prestigio crollò; i duchi elessero come nuovo re suo fratello,Astolfo, e Rachis si ritirò aMontecassino[100].
Rachis in unaminiatura dal Codex Matritensis Leges LangobardorumLa massima estensione dei domini longobardi (in azzurro) dopo le conquiste diAstolfo (751).
Astolfo, espressione della corrente più aggressiva dei duchi, intraprese una politica energica ed espansionistica[100] e all'inizio colse notevoli successi, culminati nella conquista diRavenna (751); le sue campagne portarono i Longobardi a un dominio quasi completo dell'Italia, con l'occupazione (750-751) anche dell'Istria, diFerrara, diComacchio e di tutti i territori a sud di Ravenna fino aPerugia, mentre nellaLangobardia Minor riuscì a imporre il suo potere anche aSpoleto e, indirettamente, aBenevento[101]. Proprio nel momento in cui Astolfo pareva ormai avviato a vincere tutte le opposizioni su suolo italiano,Pipino il Breve, nuovo re deiFranchi, si accordò conpapa Stefano II che, in cambio della solenne unzione regale, ottenne la discesa in Italia dei Franchi. Nel755 l'esercito longobardo fu sgominato dai Franchi eAstolfo (assediato a Pavia daPipino il Breve) dovette accettare consegne di ostaggi e cessioni territoriali. Due anni dopo riprese la guerra contro il papa, che richiamò i Franchi. Sconfitto di nuovo, Astolfo dovette accettare patti molto più duri:Ravenna passò al papa, incrementando il nucleo territoriale delPatrimonio di San Pietro e il re dovette accettare una sorta di protettorato[102].
Alla morte di Astolfo, nel756,Rachis uscì dal monastero e tentò, inizialmente con qualche successo, di ritornare sul trono. Si opposeDesiderio,duca di Tuscia, che riuscì a ottenere l'appoggio del papa e dei Franchi. I Longobardi gli si sottomisero e Rachis ritornò a Montecassino. Desiderio riaffermò il controllo longobardo sul territorio facendo di nuovo leva sui Romanici, creando una rete di monasteri governati da aristocratici longobardi e arrivando a patti con il nuovo papa,Paolo I. Desiderio sviluppò una disinvolta politica matrimoniale dando in sposauna figlia al futuroCarlo Magno e un'altra figlia,Liutperga, alduca di Baviera,Tassilone[103].
Nel771 la morte del fratelloCarlomanno lasciò mano libera aCarlo Magno che, ormai saldo sul trono, ripudiò la figlia di Desiderio. L'anno successivo un nuovo papa,Adriano I, del partito avverso a Desiderio, pretese la consegna di alcuni territori promessi e mai ceduti da Desiderio portandolo così a riprendere la guerra contro le città dellaRomagna. Carlo Magno venne in aiuto del papa: tra il773 e il774 scese in Italia econquistò la capitale del regno,Pavia. Il figlio di Desiderio,Adelchi, trovò rifugio presso i Bizantini; Desiderio e la moglieAnsa furono condotti inFrancia e chiusi in un monastero. Carlo si fece chiamare da alloraGratia Dei rex Francorum et Langobardorum, realizzando un'unione personale dei due regni, mantenendo leLeges Langobardorum ma riorganizzando il regno sul modello franco, con conti al posto deiduchi[104].
«Così finì l'Italia longobarda, e nessuno può dire se fu, per il nostro Paese, una fortuna o una disgrazia. Alboino e i suoi successori erano stati degli scomodi padroni, più scomodi di Teodorico, finché erano rimasti dei barbari accampati su un territorio di conquista. Ma oramai si stavano assimilando all'Italia e avrebbero potuto trasformarla in una Nazione, come i Franchi stavano facendo in Francia. Ma in Francia non c'era il Papa. In Italia, sì.»
I domini longobardi dell'Italia centro-meridionale (quella che si chiamava Langobardia Minor, rispetto a quella più vasta del settentrione), subirono destini differenti. IlDucato di Spoleto cadde immediatamente in manofranca, quello diBenevento si mantenne, invece, autonomo. Il ducaArechi II, al potere al momento del crollo del regno, aspirò inutilmente al trono reale; assunse poi il titolo di principe[105].
Nei secoli seguenti gli Stati longobardi del meridione (dal Principato di Benevento si staccarono presto ilPrincipato di Salerno e laSignoria di Capua) furono travagliati da lotte intestine e da contrasti con le potenze maggiori (ilSacro Romano Impero e l'Impero bizantino), con i vicini ducati campani della costa e con iSaraceni.
Dopo ilMille, il Principato di Salerno, sotto il principeGuaimario IV, si espanse ed inglobò quasi tutta l'Italia meridionale continentale (1050), ma gli Stati longobardi vennero infine (XI secolo) assorbiti daiNormanni, come tutta l'Italia meridionale[105].Roberto il Guiscardo sposòSichelgaita, figlia di Guaimario IV, ultimo signore di Salerno. Nel1139 il principato (che fu anche chiamato "longobardo-normanno") evolse nelRegno di Sicilia (durato - con vari nomi - sette secoli, fino al1861).Benevento, conquistata daRoberto il Guiscardo nel1053, entrò a far parte delloStato Pontificio, anche se continuarono a essere nominati duchi longobardi (direttamente dal papa) fino al1081.
La persistenza di Stati autonomi permise ai Longobardi di salvaguardare una propria identità culturale e mantenne gran parte dell'Italia del Sud nell'orbita culturale occidentale, anziché in quella bizantina[105]. Il diritto longobardo (more Langobardorum) persistette in ampie aree dell'Italia meridionale ancora per un paio di secoli.
I Longobardi si definivano «gens Langobardorum»[106]: unagens, quindi, ovvero un gruppo di individui che aveva ben chiara la consapevolezza di formare una comunità e convinto di condividere un'ascendenza comune. Questo, tuttavia, non significava che i Longobardi fossero un gruppo etnicamente omogeneo; durante il processo migratorio inclusero al loro interno individui isolati o frammenti di popoli incontrati durante i loro spostamenti, soprattutto attraverso l'inserimento di guerrieri. Per accrescere il numero di uomini in armi ricorsero spesso all'affrancamento degli schiavi. La maggior parte degli individui via via inclusi era probabilmente composta da elementigermanici, ma non mancavano origini etniche diverse (per esempio,Avari diceppo turco) e perfinoRomani delNorico e dellaPannonia[107].
I Longobardi erano un popolo in armi guidato da un'aristocrazia di cavalieri e da unre guerriero. Il titolo non era dinastico ma elettivo: l'elezione si svolgeva nell'ambito dell'esercito, che fungeva daassemblea degli uomini liberi (arimanni)[38]. Ogni anno veniva convocato aPavia l'esercito, richiamando presso la corte le maggiori élite aristocratiche delregno, e in queste occasioni, davanti alle assemblee degli uomini armati, furono promulgati nel 643 l'editto di Rotari e successivamente le altre leggi longobarde. Infatti la partecipazione all'esercito garantiva l'esercizio dell'attività politica all'interno dell'assemblea[108]. Alla base della piramide sociale c'erano i servi, che vivevano in condizioni di schiavitù; a livello intermedio si trovavano glialdii, che avevano limitata libertà, ma una certa autonomia in ambito economico[109]. Al momento dell'invasione dell'Italia (568), il popolo era suddiviso in variefare[110][111], raggruppamenti familiari con funzioni militari che ne garantivano la coesione durante i grandi spostamenti. A capo di ogni fara c'era unduca[112].
In Italia le fare si insediarono sul territorio ripartendosi tra gli insediamenti fortificati già esistenti e in una prima fase respinsero ogni commistione con la popolazione di origine latina (iRomanici), arroccandosi a difesa dei propri privilegi[112]. Minoranza, coltivarono i tratti che li distinguevano sia dai loro avversariBizantini sia dai Romanici: lalingua longobarda, la religionepagana oariana, il monopolio del potere politico e militare[113]. L'irruzione dei Longobardi sulla scena italiana sconvolse i rapporti sociali della Penisola. La maggior parte del ceto dirigente latino (inobiles) fu uccisa o scacciata, mentre i pochi scampati dovettero cedere ai nuovi padroni un terzo dei loro beni, secondo il procedimento dell'hospitalitas[114].
Anche una volta insediati inItalia, i Longobardi conservarono il valore attribuito all'assemblea del popolo in armi, il "Gairethinx", che decideva l'elezione del re e deliberava sulle scelte politiche, diplomatiche, legislative e giudiziarie più importanti. Con il radicarsi dell'insediamento in Italia, il potere divenne territoriale, articolato inducati. Glisculdasci governavano i centri più piccoli, mentre igastaldi di nomina regia amministravano la porzione dei beni dei Longobardi assegnati, a partire dall'elezione diAutari (584) al sovrano[68].
Una volta stabilizzata la presenza inItalia, nella struttura sociale del popolo iniziarono a manifestarsi segnali di evoluzione, registrati soprattutto nell'Editto di Rotari (643). L'impronta guerriera, che portava con sé elementi di collettivismo militaresco, lasciò progressivamente il passo a una società differenziata, con una gerarchia legata anche alla maggiore o minore ampiezza delle proprietà fondiarie. L'Editto lascia intendere che, anziché in fortificazioni più o meno provvisorie, i Longobardi vivessero ormai nelle città, nei villaggi o - caso forse più frequente - in fattorie indipendenti (curtis). Con il passare del tempo anche i tratti di segregazione andarono stemperandosi, soprattutto con il processo di conversione al cattolicesimo avviato dalladinastia Bavarese[115]. IlVII secolo fu segnato da questo progressivo avvicinamento, parallelo a un più ampio rimescolamento delle gerarchie sociali. Tra i Longobardi vi fu chi discese fino ai gradini più bassi della scala economico-sociale, mentre al tempo stesso cresceva il numero dei Romanici capaci di conquistare posizioni di prestigio. A conferma della rapidità del processo c'è anche l'uso esclusivo dellalingua latina in ogni scritto[116].
Sebbene le leggi rotariane proibissero, in linea di principio, i matrimoni misti, era tuttavia possibile per un longobardo sposare una schiava, anche romanica, purché emancipata prima delle nozze[117]. Gli ultimi re longobardi, comeLiutprando oRachis, intensificarono gli sforzi d'integrazione, presentandosi sempre più come re d'Italia anziché re dei Longobardi. Le novità legislative introdotte dallo stesso Liutprando mostrano anche il ruolo sempre più rilevante rivestito da nuove categorie, come quelle dei mercanti e degli artigiani. Con l'VIII secolo, i Longobardi erano in tutto adattati agli usi e ai costumi della maggioranza della popolazione del loro regno[118].
Lalancia, che per i Longobardi aveva un grande valore simbolico dato che era l'emblema del potere regio, assieme allaspada era l'arma più importante sia deifanti che deicavalieri. I Longobardi, almeno inizialmente, adottarono lance di origine romano-bizantina, come il modello "a foglia d'alloro", tonda e larga, o quello "a foglia di salice", stretto e allungato. Solo dalla fine del VII secolo svilupparono il modello "ad alette", caratterizzato dalla lunga asta rafforzata da listelli metallici. Le spade di età longobarda erano eredi della lungaspatha germanica ed erano simili a quelle utilizzate daiFranchi. Come altri popoli germanici, i Longobardi erano equipaggiati anche con loscramasax, un robusto e grande coltello (che nel tempo divenne tanto lungo da assomigliare a una sciabola) dalla punta incurvata e tagliente da un solo lato. Gliscudi erano rotondi o ellittici, formati da liste di legno ricoperte di cuoio, e il loro diametro poteva variare dai 60 ai 90 cm. Erano dotati al centro di unumbone metallico, utile sia a proteggere la mano, sia a colpire i nemici durante il combattimento. L'ascia, in particolare il modello detto "barbuto" caratterizzato dal lato inferiore molto pronunciato (anche 25 cm di lunghezza), era molto utilizzata dai Longobardi, mentre l'arco era ritenuto un'arma di second'ordine, dato che negli eserciti longobardi gli arcieri erano reclutati tra le classi sociali più basse[119].
L'armamento difensivo era molto costoso e ne erano provvisti solo i combattenti più ricchi. Glielmi più diffusi derivavano dallospangenhelm tardoantico, ma si svilupparono pure elmi lamellari, costituiti da lamelle di ferro sovrapposte e di forma ogivale. Esistevano vari tipi dicorazza, come labrunia, pesante veste di stoffa o cuoio rinforzata da placchette metalliche, la corazza formata da lamelle di ferro sovrapposte e legate tra loro da lacci in cuoio, e la maglia di ferro costituita da anelli in ferro[119].
Gli indizi contenuti nel mito[3] lasciano intuire che inizialmente, prima del passaggio dallaScandinavia alla costa meridionale delMar Baltico, i Longobardi venerassero gli dei della stirpe deiVani; in seguito, a contatto con altrepopolazione germaniche, adottarono anche il culto degliAsi: un'evoluzione che segnava il passaggio dall'adorazione di divinità legate alla fertilità e alla terra, al culto di dei di ispirazione guerriera[6][120]. In seguito, durante lo stanziamento traNorico ePannonia, si avviò il processo di conversione alcristianesimo. L'adesione alla nuova religione fu, almeno inizialmente, spesso superficiale (tracce dei cultipagani sopravvissero a lungo) se non strumentale. Ai tempi diVacone (intorno agli anni quaranta delVI secolo), alleato deiBizantinicattolici, ci fu un avvicinamento al cattolicesimo; appena un paio di decenni dopoAlboino, progettando la calata inItalia, scelse invece l'arianesimo, al fine di ottenere l'appoggio deiGoti ariani contro gli stessi Bizantini. Queste conversioni "politiche" riguardavano esclusivamente il sovrano e pochi altri esponenti dell'aristocrazia; la massa del popolo rimaneva fedele agli antichi culti pagani[121].
In Pannonia i Longobardi vennero in contatto con altri popoli nomadi e guerrieri, tra i quali iSarmati; questastirpe iranica aveva subito influssi culturali di origine orientale. Da loro i Longobardi trassero, in ambito simbolico-religioso, l'usanza delle "perticae": lunghe aste sormontate da figure di uccelli (particolarmente frequente lacolomba), derivate dalle insegne portate in battaglia. I Longobardi ne fecero un uso funerario: quando una persona moriva lontano da casa o risultava dispersa in battaglia, la famiglia compensava l'impossibilità di celebrarne i funerali piantando nel terreno una di queste aste, con il becco dell'uccello orientato verso il punto in cui si credeva fosse morto il familiare[122].
Dopo che i Longobardi giunsero inItalia, il processo diconversione alcattolicesimo si intensificò al punto da indurreAutari a vietare espressamente ai Longobardi di far battezzare conrito cattolico i propri figli. Anche in questo caso, più che mossa da interessi spirituali, la misura mirava evitare spaccature politiche tra i Longobardi e a scongiurare i pericoli di assimilazione da parte dei Romanici. Già con il suo successoreAgilulfo, tuttavia, l'opposizione al cattolicesimo si fece meno radicale, soprattutto per influsso diTeodolinda, cattolica. Dopo un iniziale appoggio alloScisma tricapitolino, la regina (che era in corrispondenza conpapa Gregorio I) favorì sempre più l'ortodossia cattolica[121]. Un segnale decisivo fu il battesimo cattolico impartito, nel603, all'erede al tronoAdaloaldo[123].
Rimaneva comunque costante lo scarso coinvolgimento spirituale di gran parte dei Longobardi nelle controversie religiose, tanto che la contrapposizione tracattolici, da un lato, epagani,ariani e tricapitolini, dall'altro, assunse ben presto valenze politiche. I sostenitori dell'ortodossia romana, capeggiati dalladinastia Bavarese, erano politicamente i fautori di una maggior integrazione con iRomanici, accompagnata da una strategia di conservazione dellostatus quo con iBizantini. Ariani, pagani e tricapitolini, radicati soprattutto nelle regioni nord-orientali del regno ("Austria"), si facevano invece interpreti della conservazione dello spirito guerriero e aggressivo del popolo. Così, alla fase "filo-cattolica" di Agilulfo, Teodolinda ed Adaloaldo seguì, dal626 (ascesa al trono diArioaldo) al690 (sconfitta definitiva dell'antireAlachis), una lunga fase di ripresa dell'arianesimo, incarnato da sovrani militarmente aggressivi comeRotari eGrimoaldo. Tuttavia la tolleranza verso i cattolici non venne mai messa in discussione dai vari re, salvaguardata anche dall'influente apporto delle rispettive regine (in gran parte scelte, per motivi di legittimazione dinastica, tra le principesse cattoliche della dinastia Bavarese)[87].
Con il progredire dell'integrazione con i Romanici, il processo di conversione al cattolicesimo divenne di massa, soprattutto grazie alla sempre più stabile convivenza sullo stesso territorio e, al tempo stesso, del progressivo allontanamento delle province italiane dall'Impero bizantino (veniva così meno uno dei principali motivi politico-diplomatici di avversione al cattolicesimo). Tuttavia ancora nelVII secolo nelducato di Benevento, si ha notizia[124] di una diffusione ancora molto ampia, almeno nell'ambito aristocratico - nominalmente convertito - di riti che comprendevano sacrifici animali o idolatria (per lo più di vipere) e competizioni rituali di carattere chiaramentegermanico, che venivano praticati in piccoli boschi sacri che daranno origine alle leggende sulnoce di Benevento[125]; a Pavia, capitale del regno, solo nel 658 la cattedrale arianadi Sant'Eusebio passò al culto cattolico e, contemporaneamente, il vescovo ariano della città Anastasio divenne il presule cattolico della città[126].
L'intero popolo divenne, almeno nominalmente, cattolico sul finire del regno diCuniperto (morto nel700), e i suoi successori (su tutti,Liutprando) fecero coscientemente leva sull'unità religiosa (cattolica) di Longobardi e Romanici per ribadire il loro ruolo direx totius Italiae[127]. In particolare, Liutprando si fece indicare nei testi legislativi comechristianus ac catholicus princeps erex gentis felicissimae ac catholicae Deoque dilectae Langobardorum.[128] All'interno del ceto guerriero longobardo,era particolarmente diffuso il culto micaelico, ossia la devozione all'arcangelo Michele, il "guerriero di Dio", al quale furono intitolate numerose chiese.[129]
Il diritto longobardo, a lungo tramandato oralmente nelleCawarfidae[130], iniziò a svilupparsi realmente a partire dal regno diAutari, per poi trovare una prima sistematizzazione con l'Editto di Rotari, promulgato nel643. Le leggi longobarde (integrate da editti ecapitolari delregno d'Italia) vennero raccolte nelLiber papiensis prima e poi nelLiber legis Longobardorum[131][132]. Accanto alla conferma dellapersonalità della legge (il diritto longobardo era cioè valido per i soli Longobardi, mentre iRomanici rimanevano soggetti aldiritto romano), l'Editto introdusse significative novità, come la limitazione della pena capitale e dellafaida, sostituita con risarcimenti in denaro (guidrigildo)[83][130]. Ilcorpus delle leggi longobarde fu in seguito ampliato e aggiornato, evolvendosi verso una maggiore integrazione con il diritto romano e con quellocanonico, da diversi sovrani (particolarmente estesa fu l'azione diLiutprando)[133].
Tra le figure fondamentali del diritto civile longobardo spicca ilmundio, ovvero il diritto di protezione-tutela accordato al capo di unafara e che portava tutti gli altri componenti del gruppo famigliare (in particolare le donne) a essere sottoposti alla sua autorità[134]. Dal punto di vista penale, invece, particolare rilievo aveva il guidrigildo: sostituendosi alla faida come strumento di riparazione delle offese personali, questo istituto giuridico era regolato da una minuziosa elencazione, più volte rimaneggiata nel tempo, dell'esatto ammontare in denaro che doveva corrispondere ai danni arrecati. Particolarmente significativa, poi, l'estrema rarità del ricorso allapena di morte tra i Longobardi, che ne ritenevano passibili soltanto i più gravi reati di tradimento (regicidio, congiura contro il re, sedizione, diserzione, uxoricidio)[83].
Durante la lunga fase nomade, l'economia dei Longobardi si basava su rudimentali forme diallevamento eagricoltura, senza che fossero presenti differenziazioni di ceto significative. La continua conflittualità con altri popoli vicini aggiungeva poi le risorse derivanti dalle razzie[135].
Il processo di crescita del rilievo economico e sociale dei guerrieri crebbe considerevolmente durante le ultime fasi della migrazione, con lo stanziamento inRugilandia, nelFeld e soprattutto inPannonia: le necropoli di questo periodo attestano infatti la presenza di ricchi corredi funebri composti soprattutto diarmi e di oggetti d'oreficeria. I Longobardi inglobarono le popolazioni romanizzate della Pannonia e ne assimilarono quindi anche le pratiche economiche, con un'agricoltura stanziale e sviluppata. Diversi guerrieri servirono, in qualità dimercenari, l'Impero bizantino[136].
In Italia i Longobardi si imposero in un primo momento come casta dominante al posto di quella di ascendenza romana preesistente, soppressa o scacciata. I prodotti della terra venivano ripartiti con i sudditiromanici che la lavoravano, riservando ai Longobardi un terzo (tertia) dei raccolti. I proventi non andavano a singoli individui, ma allefare, che li amministravano nellesale. Il sistema economico dellatarda antichità, imperniato su grandilatifondi lavorati da contadini in condizione semi-servile, non fu rivoluzionato, ma solo modificato affinché avvantaggiasse i nuovi dominatori[137].
Nei secoli seguenti la struttura socio-economica del regno si modificò progressivamente. La crescita demografica favorì la frammentazione dei fondi, tanto che crebbe il numero dei Longobardi che cadeva in stato di povertà, come attestano le leggi mirate ad alleviare le loro difficoltà; per contro, anche alcuni Romanici cominciarono ad ascendere nella scala sociale, arricchendosi con ilcommercio, l'artigianato, con leprofessioni liberali o con l'acquisizione di terre che i Germani non avevano saputo amministrare proficuamente. Liutprando riformò la struttura amministrativa del regno, anche liberando dagli obblighi militari i Longobardi più poveri[138].
L'VIII secolo, apogeo del regno, fu un periodo di benessere anche economico. L'antica società di guerrieri e sudditi si era trasformata in una vivace articolazione di ceti e classi, con proprietari fondiari, artigiani, contadini, mercanti, giuristi; conobbero grande sviluppo, anche economico, leabbazie, soprattuttobenedettine, e si espanse l'economia monetaria, con la conseguente creazione di un ceto bancario[139]. Dopo un primo periodo durante il quale lamonetazione longobarda coniava esclusivamentemonete bizantine d'imitazione, i re di Pavia svilupparono una monetazione autonoma, aurea e argentea. Ilducato di Benevento, il più indipendente dei ducati, ebbe anche unapropria monetazione autonoma.
I Longobardi parlavano originariamente unalingua germanica, di classificazione incerta. Non esistono testimonianze scritte del longobardo, se non alcune parole sporadicamente contenute in testi giuridici, come l'Editto di Rotari, o storici (soprattutto l'Historia Langobardorum diPaolo Diacono)[140].
L'uso del longobardo declinò rapidamente dopo l'insediamento inItalia, soppiantato fin dai primi documenti ufficiali dallatino. Anche nell'uso quotidiano l'idioma germanico, parlato da un'esigua minoranza della popolazione italiana dell'epoca, si perse nel volgere di pochi decenni[117]. Non si trattò tuttavia di una dissoluzione nel nulla; anzi, l'influsso germanico ha significativamente contribuito, soprattutto nel lessico, al passaggio dallatino volgare ai varivolgari italiani, che si sarebbero poi evoluti nelle varielingue locali e, attraverso iltoscano, nella stessalingua italiana. La prima attestazione del volgare in Italia, l'Indovinello veronese, risale alla fine dell'VIII secolo.
Paolo Diacono effigiato in un manoscritto altomedievale.
Non ci sono pervenute testimonianze originali della cultura letteraria germanica, propria dei Longobardi. Il patrimonio dellesaghe, tramandato oralmente, è andato perduto, eccezion fatta per quanto conservato nel testo, redatto inlatino, dellaOrigo gentis Langobardorum, conservato in alcuni manoscritti delleLeges Langobardorum e quanto tramandato in forma di aneddoti, o addirittura ridicolizzato come «ridiculam fabulam»[4], daPaolo Diacono[141].
In seguito all'integrazione tra Longobardi eRomanici, avviata con decisione a partire dagli inizi delVII secolo, risulta difficile isolare i contributi propri dell'una o dell'altra tradizione nella produzione letteraria dell'Alto Medioevo italiano (inclusi gli anni successivi alla caduta delRegno longobardo, nel774, che non comportò la sparizione del popolo)[142]. Esemplare di questa commistione è la più alta figura della cultura longobarda:Paolo Diacono. Originario delDucato del Friuli, orgogliosamente longobardo, adottò tuttavia nelle sue opere (su tutte, la capitaleHistoria Langobardorum) lalingua latina.
Durante la lunga fase nomade (I-VI secolo), i Longobardi svilupparono un linguaggio artistico che aveva molti tratti in comune con quello delle altrepopolazioni germaniche dell'Europa centro-settentrionale. Popolo nomade e guerriero, non poté dedicarsi allo sviluppo di tecniche artistiche che presupponessero un insediamento stanziale e l'uso di materiali di difficile trasporto. Nelle loro tombe troviamo quasi solo armi e gioielli, che rappresentano l'essenza della creazione artistica materialmente eseguita da artefici longobardi[135]. La situazione si modificò con l'insediamento dapprima inPannonia[135], e in seguito inItalia, dove i Longobardi vennero a contatto con l'influsso classico e si avvalsero di maestranze romaniche, quando non addirittura di artisti bizantini. Il risultato, al di là dell'appartenenza etnica degli artisti, è stata comunque una produzione artistica per molti versi di sintesi, sviluppata con tratti anche originali durante l'epoca del regno longobardo lungo l'intera Penisola[143][144].
Notevole, in ambito religioso, fu l'impulso dato da diversi sovrani longobardi (Teodolinda,Liutprando,Desiderio) alla fondazione di monasteri, strumenti al tempo stesso di controllo politico del territorio e di evangelizzazione in sensocattolico di tutta la popolazione del regno[147]. Tra i monasteri fondati in età longobarda, spicca l'abbazia di Bobbio, fondata dasan Colombano.
La scultura longobarda rappresenta una delle più eleganti manifestazioni dell'Arte altomedievale. Tipici della scultura longobarda sono le rappresentazioni zoomorfe e il disegno geometrico; tra le sue manifestazioni sopravvissute fino ai nostri giorni, si annoverano pannelli d'altare, fonti battesimali e soprattutto splendide lapidi daibassorilievi fitomorfi. Ne sono un esempio iPlutei di Teodote, entrambi conservati aPavia: si tratta di due lastre di recinzione liturgica risalenti alla prima metà dell'VIII secolo che rappresentano, rispettivamente, l'albero della vita tradraghi marini alati epavoni che bevono da una fonte sormontata dallaCroce (simbolo della fonte dellaGrazia divina)[148]. Sempre a Pavia è custodita laLastra tombale del duca Audoaldo, risalente al718 e recante una lunga iscrizione arricchita da bassorilievi a soggetto vegetale, mentre mirabile è la raffinatezza esecutiva dellaLastra tombale di san Cumiano, presso l'abbazia di Bobbio: risalente agli anni del regno diLiutprando, reca anch'essa un'iscrizione centrale, racchiusa da una doppia cornice a motivi geometrici (serie di croci) e fitomorfi (tralci di vite).
Tra le opere scultoree sopravvissute fino ai nostri giorni, spicca, nelTempietto longobardo diCividale del Friuli, la decorazione a stucco conservata nella parete di controfacciata, tipico esempio artistico della "Rinascenza liutprandea": la tendenza, nota appunto a partire dal regno di Liutprando, volta a integrare l'arte longobarda con gli influssi romani[148]. Sempre a Cividale è conservato l'Altare di Rachis, presso ilMuseo cristiano e tesoro del duomo di Cividale del Friuli. L'altare, realizzato nella prima metà dell'VIII secolo, è decorato da pannelli scolpiti a bassorilievo inpietra d'Istria che riportano scene della vita diGesù e diMaria. Nello stesso museo cividalese si trova pure ilFonte battesimale del patriarca Callisto, anch'esso risalente all'VIII secolo; ottagonale, reca alcuni eleganti bassorilievi nella parte inferiore (la Croce, i simboli deglievangelisti) ed è sormontato da untegurio. Anch'esso ottagonale, questo è sostenuto da colonnecorinzie ed è scandito da ampiarchi a tutto sesto, a loro volta adornati da iscrizioni e da motivi vegetali, animali e geometrici[149].
Epigrafe di Audoaldo, duca di Liguria (VIII secolo).Pavia,Musei civici
Il Regno longobardo si distinse dagli altri regni romano-germanici dell'Alto Medioevo per la conservazione della tradizioneepigrafica di matrice classica, che altrove in Occidente per lo più scomparve. L'epigrafia conobbe particolare sviluppo durante il regno di Liutprando, tanto che una monumentale iscrizione (perduta) nella suareggia di Corteolona[150] riportava: «Desiderando decorare i trionfi del tuo popolo, tu [Liutprando] hai impresso nell'intero territorio le tue iscrizioni». A partire da quegli anni le epigrafi cominciarono a caratterizzarsi per la stretta associazione tra scrittura e decorazione, generalmente costituita da cornici a motivi vegetali, tra le quali trovò grande diffusione quella a racemi stilizzati; appartiene a questa tipologia gran parte delle epigrafi rimaste.
Tra i rari esempi di arte di epoca longobarda sopravvissuti ai secoli, spiccano gliaffreschi della chiesa di Santa Maria foris portas aCastelseprio, inprovincia di Varese. Anche se è improbabile l'origine etnica longobarda dell'autore, la sua opera, compiuta nell'VIII o nelIX secolo, resta un'alta e originale espressione dell'arte sviluppata nelregno longobardo. Gli affreschi, rinvenuti casualmente nel1944, rappresentano scene dell'infanzia diCristo ispirate, sembra, soprattutto aiVangeli apocrifi. Sorprendente è la tecnica compositiva, che lascia emergere una sorta dischema prospettico di diretta ascendenza classica, oltre a un chiaro realismo nella rappresentazione di ambienti, figure umane e animali. Il ciclo di affreschi testimonia così la permanenza, in tarda età longobarda, di elementi artistici classici sopravvissuti all'innesto della concezione germanica dell'arte, priva di attenzione ai risvolti prospettici e naturalistici e più concentrata sul significato simbolico delle rappresentazioni[151]. Anche dal punto di vista dei contenuti simbolici il ciclo esprime una visione della religione perfettamente congruente con l'ultima fase del regno longobardo; eliminata - almeno nominalmente - la concezione di Cristoariana, quella messa in luce dagli affreschi di Castelseprio è specificamentecattolica, poiché insiste nel ribadire laconsustanzialità delle due nature - umana e divina - del Figlio di Dio.
La branca artistica della quale si sono conservate le più note e abbondanti testimonianze di età longobarda è l'oreficeria, che annovera tra gli altri capolavori come laChioccia con i pulcini, laCroce di Agilulfo (odi Adaloaldo), laCorona ferrea o l'Evangeliario di Teodolinda. L'oreficeria era l'arte prediletta deiGermani che, come tutti i nomadi e guerrieri, potevano portare con sé solo armi adorne di metalli preziosi e ornamenti per il corpo o per la cavalcatura; oggetti piccoli, dotati di valore intrinseco, sempre a portata di mano per un dono o per uno scambio, facili da portar via in caso di fuga. Di conseguenza, l'arte orafa può essere vista come in gran parte eseguita da artigiani o artisti di etnia longobarda. Elementi fondamentali dell'arte orafa dei maestri longobardi sono l'uso dellalamina d'oro, della lavorazione asbalzo e dellepietre preziose e semipreziose. Tra i numerosi reperti orafi longobardi, si contanofibule,orecchini, guarnizioni dafodero in lamina d'oro lavorataa giorno degliscramasax (la tipica spada longobarda, corta e dritta a un solo taglio), guarnizioni disella, piatti di legatura,croci ereliquiari[153].
L'oreficeria e l'artigianato longobardi, ben rappresentati dai numerosi reperti tombali, mostra un processo evolutivo evidente. NelVI secolo, fino agli inizi delVII, predominano gli elementi della tradizione germanica, soprattutto bestie mostruose che testimoniano la percezione di una natura ostile e minacciosa. A partire dalla metà del VII secolo, invece, prendono rapidamente il sopravvento motivi simbolici più eleganti e leggeri, con influenze mediterranee[154]. Uno degli esempi più noti dell'oreficeria longobarda di questo periodo è laLamina di re Agilulfo, frontale dielmo che reca una rappresentazione simbolica del potere sovrano, ma che attinge a una simbologia tipicamente romana. A partire dalla fine del VII secolo gli elementi di distinzione tra l'arte longobarda e quellaromano-bizantina si affievoliscono fino quasi a scomparire, tanto che il termine stesso di "arte longobarda" assume il significato più ampio di arte creata nelRegno longobardo, indipendentemente dall'origine etnica e linguistica degli artisti e degli artigiani[155].
Un elemento caratteristico dell'arte orafa longobarda è costituito dalle crocette infoglia d'oro. Di originebizantina, le croci erano tagliate in lamine d'oro; venivano poi cucite ai vestiti o deposti nelle tombe. Nel corso del VII secolo, di pari passo con la conversione alcattolicesimo dei Longobardi, le crocette presero il posto dellemonete bratteate di ascendenza germanica, già ampiamente diffuse comeamuleti. Le croci che le sostituirono mantennero, accanto a quello devozionale cristiano, lo stesso valore propiziatorio; dal punto di vista formale, mostrano elementi ornamentali che rielaborano antichi elementi provenienti dallamitologia pagana, segno di una fasesincretista nel passaggio dal paganesimo al cristianesimo[153][156].
Laminiatura in età longobarda conobbe, soprattutto all'interno dei monasteri, un particolare sviluppo, tanto che è definitaScuola longobarda (o "franco-longobarda") una peculiare tradizione decorativistica. Questa espressione artistica raggiunse la più alta espressione neicodici redatti nei monasteri dalla seconda metà dell'VIII secolo[157], mentre nel Ducato di Benevento la Scuola beneventana sviluppò caratteri propri, visibili anche in varie opere pittoriche dell'epoca.
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