Lago di Nemi | |
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Stato | ![]() |
Regione | ![]() |
Provincia | ![]() |
Comune | Nemi,Genzano di Roma |
Coordinate | 41°42′44″N 12°42′09″E41°42′44″N,12°42′09″E |
Altitudine | 316 m s.l.m. |
Dimensioni | |
Superficie | 1,67 km² |
Profondità massima | 33 m |
Idrografia | |
Origine | vulcanico |
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Illago di Nemi è un piccololago vulcanico, più in alto di 25 metri rispetto allago Albano, suiColli Albani nel territorio deiCastelli Romani.
Si tratta di un lago vulcanico dalle caratteristiche simili a quelle del lago Albano, rispetto al quale è notevolmente più piccolo. Dal punto di vista geologico, fa parte della zona dettacomplesso vulcanico deiColli Albani (oppure delVulcano Laziale[1]).
Secondo il rapporto di Goletta dei Laghi del 2009, il lago risulta balneabile per la sua interezza ad eccezione della zona antistante il Museo delle Navi.
Rigogliosa è la coltivazione difragole.
Il lago di Nemi è l'unico lago italiano in cui vive ilpesce re,specie sudamericanaintrodotta per favorire lapesca[1].
Il lago era un apprezzato luogo di divertimenti e villeggiatura degli antichi romani. Tra l'altro, nelle vicinanze erano situati un bosco e un luogo di culto dedicati alla deaDiana; "Nemi" infatti prende il nome (e lo attribuisce anche al paese che sorge sulle sue sponde) dalNemus Dianae, bosco sacro dedicato alla dea; l'edificio di etàromana a lei dedicato, iltempio di Diana, sorgeva originariamente sulle rive del lago ma ora ne è relativamente distante per la diminuita capienza del bacino. L'emissario, anch'esso di epoca romana, nel suo tratto sotterraneo è lungo 1650 metri, passa sotto Genzano attraversando il recinto craterico del Vulcano Laziale e si riversa incanalato nellaVallericcia.
L'importanza storica di questo luogo è confermata dalla ricchezza archeologica.
Sin dall'antichità il lago di Nemi fu oggetto di unaleggenda riguardante due navi favolose di dimensioni gigantesche, costruite in epoca romana, ricche di sfarzo e forse contenenti dei tesori, che sarebbero state sepolte sul fondo del lago per ragioni misteriose. Tale leggenda prese a circolare probabilmente sin dalI secolo d.C., e poi per tutto ilMedioevo, accreditata ogni tanto dal ritrovamento occasionale di strani reperti da parte dei pescatori del lago. Queste voci avevano in effetti un fondamento di verità. Le due navi, lunghe 70 metri e larghe più di 25, erano state fatte costruire dall'imperatoreCaligola, in onore della dea egiziaIside e della dea localeDiana protettrice della caccia. Frutto di un'ingegneria avanzata e splendidamente decorate, Caligola le utilizzava come palazzi galleggianti in cui abitare o sostare sul lago, o con cui simulare battaglie navali. Ma in seguito alla sua morte avvenuta nel41 d.C., ilSenato di Roma (di cui l'imperatore era stato acerrimo avversario politico) percancellarne il ricordo fece distruggere tutte le opere di Caligola, tra cui anche le navi di Nemi che furono affondate sul fondo del lago. Da allora la storia delle navi, unita al ricordo della loro magnificenza, fece presto a diventare leggenda.
Il primo a raccogliere le voci sulle Navi di Nemi fu, attorno alla metà delXV secolo, il CardinaleProspero Colonna, il quale affidò aLeon Battista Alberti il compito del recupero. Il tentativo fu effettuato con l'ausilio di una grande zattera e l'intervento di nuotatori genovesi. Furono recuperate alcune fistole di piombo che permisero una datazione più precisa dell'epoca di costruzione delle navi.
Quasi un secolo dopo, il 15 luglio 1535, il bologneseFrancesco De Marchi fece un tentativo avvalendosi di una specie di campana. Fu riportato in superficie "tanto legname da caricarne due muli". Nel 1827, a opera del Cavalier Annesio Fusconi, si riprende l'esplorazione del fondo del lago con unacampana di Halley.
Vengono recuperate pezzi di pavimento inporfido eserpentino, smalti, mosaici, frammenti di colonne metalliche, chiodi, laterizi e tubi di terracotta. Il 3 ottobre 1895 un provetto palombaro individua una delle navi e recupera una bellissima testa di leone in bronzo.
A condurre l'operazione è l'antiquario Eliseo Borghi autorizzato dai Principi Orsini. Su indicazione dei pescatori, il 18 novembre, viene localizzata anche la seconda nave che fornisce altro abbondante materiale. La presenza dei reperti testimonia dell'adibizione del lago a sede di riti sacri e battaglie navali simulate.([2])
Il recupero delle navi vere e proprie, avvenuto per volere del Governofascista e delMinistro della pubblica istruzionePietro Fedele, fu un'opera mastodontica che richiese, in un tempo di quasi 5 anni (ovvero dall'ottobre del1928 all'ottobre del1932), l'abbassamento del livello del lago per mezzo diidrovore. Dopo quell'intervento, anche dopo il successivo riempimento del lago il livello dell'acqua non tornò mai più ad essere quello originario.
L'impresa di recupero fu resa possibile dall'Ing.Guido Ucelli che fece sì che le idrovore necessarie fossero fornite dalla societàRiva Calzoni diMilano e, in tale occasione, fu insignito del titolo 'di Nemi'.
Per fare defluire le acque aspirate dalle idrovore fu utilizzato un preesistente emissario artificiale, risalente all'epoca romana, restaurato proprio in occasione del recupero delle navi.
Un incendio scoppiato la notte dal 31 maggio e durato fino al 1º giugno del1944 distrusse le due navi e gran parte dei reperti che erano custoditi con esse. L'incendio di origine quasi certamente dolosa fu ad opera, si disse subito, dei tedeschi che avevano piazzato una batteria di cannoni a 150 metri circa dal museo che conteneva le navi. Venne istituita una commissione d'inchiesta composta da autorevoli esperti italiani ed esteri che giunse alla conclusione, di seguito riportata, tratta da un brano del libro indicato in calce:
Una commissione appositamente creata e costituita dallo stesso Aurigemma, da G. Giovannoni, ordinario di Architettura alla facoltà d'ingegneria di Roma, R. Paribeni, direttore generale delle Antichità e Belle Arti,B. Nogara, direttore generale dei Musei Pontifici, E. Sjoqvist, direttore della Scuola Svedese a Roma, E. P. Galeazzi, architetto dei SS. Palazzi Apostolici, V. Magnotti, comandante dei Corpo dei Vigili a Roma, S. Fuscaldi, del Servizio Tecnico di Artiglieria di Roma, G. Brown, addetto al Comando dei Vigili dei Fuoco di Roma, giunse alla conclusione che con ogni verosimiglianza l'incendio che distrusse le due navi fu causato da un atto di volontà da parte dei soldati germanici che si trovavano nel Museo la sera dei 31 maggio 1944 ...»
(Giuseppina Ghini,Museo delle Navi Romane- Santuario di Diana - Nemi, Ministero per i beni culturali e ambientali, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1992, pp.3, 5.)
Il termine "verosimiglianza", piuttosto vago, destò molte perplessità che portarono ad un supplemento d'inchiesta che non aggiunse nulla di nuovo. Molti giornali si interessarono all'argomento,[2],tra i quali il "Cantachiaro" e il "Brancaleone" che iniziarono una violenta campagna scandalistica mettendo in dubbio le conclusioni della commissione[non chiaro].Anche la “Civiltà Cattolica”, molto più pacatamente, si inserì nella polemica[senza fonte].
Recentemente[Quando?!...] un giornale locale, "Omnia" ha trattato di nuovo l'argomento in varie puntateprospettando una conclusione sufficientemente verosimile.[non chiaro]Un'altra teoria è che l'incendio sia stato causato non dai tedeschi ma da persone senza scrupoli al fine di recuperarne il piombo fuso a causa dell'incendio e poi rivenderlo visto l'alto valore - in tempo di guerra - del metallo.[senza fonte]
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