Nell'antichità l'inno era soprattutto un componimento di carattere religioso dedicato alladivinità e alla sua glorificazione. Si sviluppò dapprima nel Vicino Oriente (Inni Hurriti) e in seguito nellaciviltàgreca: un po' meno in quellaromana, dove fu per lo più elaborato sotto forma di componimento inesametri.
La tradizione occidentale si può far risalire agliInni omerici, una raccolta di antichi inni greci, i primi dei quali composti attorno al settimo secolo a.C., in lode delledivinità dell'antica Grecia. Del terzo secolo a.C. vi è una raccolta di sei inni letterari (Ὕμνοι) del poeta alessandrinoCallimaco.
Nell'antichità esistevano due accezioni diverse del termine "ὕμνος": l'accezione più antica, che sopravvisse per molti secoli arrivando fino all'epoca imperiale, era quella generica di "poema cantato"; l'accezione platonica, che arrivò anch'essa fino all'età tardo-antica, era quella specifica di "canto in lode degli dei".[2]
Inepoca arcaica il termine "ὕμνος" significava semplicemente "canto", quindi indicava i canti simposiali, i canti processionali, i poemi trenodici e i proemi epici (l'esempio più noto di questi ultimi è costituito dai cosiddettiInni omerici).[3]
Il primo a distinguere tra "inni" ("canti in onore degli dei") ed "encomi" ("canti in onore dei mortali") fuPlatone;[4] questa divisione fu seguita dagli alessandrini, che distinguevano gli inni daipeani e daiditirambi, e poi daProclo, che considerava come "inni" i canti in lode degli dei eseguiti attorno all'altare coll'accompagnamento dellacetra e il coro che resta "immobile" (forse accennando qualche passo di danza, secondo l'interpretazione di Bernardini) attorno all'altare.[3]La distinzione di Platone, però, non entrò nell'uso comune deldialetto attico, che probabilmente mantenne l'accezione generica di "ὕμνος", come testimoniato daGiulio Polluce.[5]
Dal punto di vista religioso ci sono due definizioni di "ὕμνος": l’Etymologicum Gudianum lo definisce "un discorso (λόγος) che celebra una divinità combinando preghiera (εὐχή) e lode (ἔπαινος)";[6] uno scoliasta aDionisio Trace, similmente, parla di "un poema (ποιήμα) che contiene lodi degli dèi e degli eroi, assieme alla gratitudine (εὐχαριστία)".[5][7] La differenza tra le due definizioni sta nel fatto che la seconda specifica che si tratta di una forma poetica, che può lodare anche gli eroi e che esprime la gratitudine del devoto.[5]
Secondo la classificazione diMenandro Retore (III/IV secolo d.C.), gli inni (intesi come composizioni encomiastiche in lode degli dei) potevano essere distinti a seconda della divinità invocata o a seconda del loro stile e del loro contenuto.[8]In base alla divinità si distinguevano:[9]
A partire dalle prime comunità cristiane, l'inno è stato un canto che ha goduto di molta popolarità. Per questo motivo molti autori si sono cimentati nella composizione: per la facilità con cui si riusciva a trasmettere l'insegnamento dei principi dottrinali e spesso anche di quelli eretici. Queste composizioni però hanno trovato difficoltà ad entrare nelle celebrazioni liturgiche a causa della loro composizione non scritturistica, specialmente nella Roma ufficiale, dove sono entrati solo dopo ilXIII secolo.
Ambrogio è considerato il padre dell'innodia latina. Ha composto numerosi inni e se ne è servito nella lotta contro le eresie. La semplicità del metro ha riscosso a suo tempo un successo rilevante. In particolare nei suoi inni, scritti inmetri classici, si riscontrano in certi passaggi alcune tra le più antiche rime della letteratura occidentale, rendendo tali testi di enorme importanza per l'evoluzione della lingua e della letteratura. Anche il "romano"Benedetto ha accolto gliinni ambrosiani, oltre che ilTe Deum e ilTe decet laus della liturgia orientale, e li ha introdotti nella preghiera della sua comunità.
Gli inni nella tradizione liturgica cristiana sono suddivisi in due filoni: quelli in prosa e quelli in versi.
Sull'importanza della preghiera cantata è celebre la frase diAgostino da Ippona nei discorsi al popolo di Cartagine (anno 413-414) tradotti in italiano comeEsposizioni sui Salmi: «Testamento nuovo, cantico nuovo. Nel vecchio Testamento c'erano delle promesse temporali e terrene: e chiunque ama le cose terrene canta il cantico vecchio. Chi vuol cantare il cantico nuovo deve amare i beni eterni.[...] Se cantiamo in coro dobbiamo cantare d'accordo. Quando si canta in coro, anche una sola voce stonata ferisce l'uditore e mette confusione nel coro stesso. Se la voce di uno che canta in maniera inopportuna disturba l'accordo dei cantanti, non disturberà l'eresia con le sue stonature l'accordo delle voci che lodano Dio?»[12].
Gli inni in prosa hanno goduto da sempre un considerevole successo nell'oriente cristiano. A partire daSant'Efrem la composizione non si è mai interrotta.Sono componimenti poetici privi di regolari forme di versificazione.
L'inno introduce ogni sessione dellaliturgia delle ore nel ritoriformato di Paolo VI.Sono composizioni poetiche, dal punto di vista musicale sono costituiti da un unico schema melodico che intona tutte le strofe.
^149:1 e poi 149:7 (v. 3), che si legge: salmo 149 punto 1 (verso 1), e Salmo 149 punto 7 riferito al verso 3 del Salmo. Pure nell'Esposizione sulSalmo 72 (73):1 (v. 1) = discorso sul salmo 72 (La gloria del Regno messianico) punto 1, "Qui enim cantat laudem, non solum laudat, sed etiam hilariter laudat: qui cantat laudem, non solum cantat, sed et amat eum quem cantat. In laude confitentis est praedicatio: in cantico amantis affectio. In laude confitentis est praedicatio: in cantico amantis affectio."