
Indro Alessandro Raffaello Schizogene Montanelli (Fucecchio,22 aprile1909 –Milano,22 luglio2001) è stato ungiornalista,saggista escrittoreitaliano.
Tra i più popolari giornalisti italiani delNovecento, si distinse per la limpidezza della sua scrittura. Iniziata la carriera durante ilventennio fascista, fu per oltre quarant'anni l'uomo-simbolo del principale quotidiano d'Italia, ilCorriere della Sera. Lasciato ilCorriere per contrasti sulla nuova linea politica della testata, diresse per vent'anni un quotidiano fondato da lui stesso,il Giornale, distinguendosi come opinionista di stampo conservatore. Fu ferito alle gambe nel 1977 in un attentato organizzato dalleBrigate Rosse.[1]
Con l'entrata in politica diSilvio Berlusconi, da lui disapprovata, lasciòil Giornale e, nel marzo 1994, fondòLa Voce, un quotidiano che però chiuse l'anno seguente. Fu autore di una collana di libri di storia a carattere divulgativo,Storia d'Italia, che narrano la storia d'Italia dall'antichità alla fine del XX secolo. In ciascuna attività Montanelli seppe conquistare un largo seguito di lettori.

Unico figlio di Sestilio Montanelli (1880-1972), professore di scuola media e successivamente preside del liceo della città diRieti, e Maddalena Dòddoli (1886-1982), figlia di agiati commercianti di cotone[2], Indro Alessandro Raffaello Schizògene Montanelli nacque il 22 aprile 1909 aFucecchio[3] (FI), nel palazzo di proprietà della famiglia della madre. A questa circostanza sono riferite alcune «leggende», la più famosa delle quali – raccontata dallo stesso Indro – narra che, dopo un litigio (gli abitanti di Fucecchio erano divisi in «insuesi» e in «ingiuesi», cioè di Fucecchio di sopra e di Fucecchio di sotto; la madre di Indro era insuese e il padre ingiuese), la famiglia materna ottenne di far nascere il bambino nella zona collinare, mentre il padre lo battezzò scegliendo un nomeadespota, estraneo alla famiglia materna.[4]
Il nomeIndro, scelto dal padre, infatti è la maschilizzazione del nome della divinitàinduistaIndra.[5] Negli anni, da tale nome derivò il soprannome «Cilindro», creato dagli amici e anche da alcuni avversari politici del giornalista;[6] per anni circolò una voce che sosteneva che "Cilindro" fosse in realtà il suo vero nome di battesimo, smentita però dall'atto battesimale.[7] Il nome, dopo la sua nascita, ebbe una certa diffusione a Fucecchio; ad esempio, vi furono il calciatore e allenatoreIndro Cenci e alcuni omonimi Indro Montanelli.[8][9] Il secondo ed il terzo nome di battesimo, Alessandro e Raffaello, rimandano ai nomi dei nonni materno e paterno, mentre il quarto, Schizogene, significa invece «generatore di divisioni».[10][11][12]
Passò l'infanzia nel paese natale, spesso ospite nella villa di Emilio Bassi, sindaco di Fucecchio per quasi un ventennio nei primi anni del Novecento. A Emilio Bassi, che considerava come un «nonno adottivo», restò legato, tanto da volere che a lui fosse cointitolata la Fondazione costituita nel1987.[13]
Sin da adolescente Montanelli incominciò a soffrire diattacchi di panico, un disturbo che lo segnerà per tutta la vita e riguardo al quale dichiarerà:[14]
Il padre, preside di liceo, fu trasferito aLucca e poi aNuoro per cinque anni (dal1920 al1925) presso la Scuola Normale di Nuoro (che corrispondeva all'odierno Istituto Magistrale), dove il giovane Indro lo seguì come studente degli ultimi due anni delle scuole elementari e i primi tre delGinnasio. A causa degli spostamenti del padre, frequentò illiceo classico "Marco Terenzio Varrone" a Rieti, dove nel1926 conseguì la maturità.
Nel 1930 si laureò ingiurisprudenza all'Università di Firenze, con un anno di anticipo sulla durata normale dei corsi, discutendo una tesi sulla riforma elettorale del fascismo (legge Acerbo), in cui sostenne che era finalizzata ad abolire le elezioni[16]. Ottenne la valutazione di centodieci elode.[17] Suoi docenti furonoPiero Calamandrei,Federico Cammeo,Enrico Finzi,Manfredi Siotto Pintor e il giovaneGiorgio La Pira.[18] Successivamente, frequentò corsi di specializzazione all'Università di Grenoble, allaSorbona e aCambridge. Nel 1932 ottenne una seconda laurea, inscienze politiche esociali, sempre a Firenze, all'Istituto Cesare Alfieri,[19] con una tesi in cui valutava positivamente la politica di isolamento inglese.[16]
Nel1929 fu allievo ufficiale aPalermo, ove, vittima delle crisi depressive, fu raggiunto dalla madre, che provò a rassicurarlo.[14] La madre, molto tempo dopo, raccontò l'episodio in televisione.[20]
(Indro Montanelli,Questo secolo, 1982.[21])
Dopo i primi articoli giovanili perLa Frusta di Rieti[22], Montanelli firmò il suo primo articolo, suByron e il cattolicesimo, sullarivistaIl Frontespizio diPiero Bargellini (luglio-agosto 1930).[23] Fu attento lettore di altre riviste, specieL'Italiano diLeo Longanesi (conosciuto nel 1937 a Roma e destinato a diventare suo grande amico) eIl Selvaggio diMino Maccari: periodici, entrambi, che, pur essendo fascisti, furono fra i primi a rompere con il coro conformista del regime.[24]
Dopo che nel 1932 un amico, Diano Brocchi, gli fece conoscere di personaBerto Ricci, con cui aveva fino ad allora scambiato alcune lettere,[25] incominciò a collaborare al periodico fiorentinoL'Universale,[26] che aveva una diffusione di nemmeno 2 000 copie.[27] Nello stesso anno fu ricevuto, assieme a tutto lo staff deL'Universale[28] daBenito Mussolini, il quale, secondo il racconto che lo stesso Montanelli avrebbe reso aEnzo Biagi per la trasmissioneQuesto secolo, del1982, intendeva elogiarlo per un articolo anti-razzista che aveva scritto.[21]
(Indro Montanelli,Questo secolo, 1982.[21])
Quattro anni dopo, nell'ambito della propaganda per laguerra d'Etiopia, Montanelli distinguerà però suCiviltà Fascista tra un "razzismo europeo" e un "razzismo africano":
(Indro Montanelli,Civiltà Fascista, n. 1, gennaio 1936.[30][31])
Montanelli fu altresì invitato a collaborare aIl Popolo d'Italia;L'Universale venne chiuso nel 1935.[24] Invece si recò aParigi per respirare aria nuova (1934).[32] Si presentò al quotidianoParis-Soir offrendosi come «informatore volontario».[14] Esordì come giornalista dicronaca nera; contemporaneamente collaborò al quotidianoL'Italie Nouvelle diretto da Italo Sulliotti (un giornale bilingue, organo del Fascio francese).
Sulla base di testimonianze orali rilasciate ad alcuni dei suoi intervistatori (e in base anche ad alcune sue opere autobiografiche), si ha notizia che Indro Montanelli sia stato, negli anni 1934-35, mandato daParis-Soir,[14] in qualità di inviato speciale, inNorvegia e, da lì, inCanada; che gli articoli che Montanelli spedì dal Canada in Francia vennero letti daWebb Miller, all'epoca inviatoglobetrotter dell'agenzia di notizieUnited Press, il quale suggerì all'agenzia stessa di assumerlo; inoltre che la prima assunzione di Montanelli comegiornalista professionista con regolare stipendio avvenne aNew York,[14] ov'egli si mise in luce con corrispondenze locali per conto della Centrale della United Press, pur non interrompendo i suoi rapporti professionali conParis-Soir;[16] e ancora, che mediante l'agenzia di stampa United Press venne offerta a Montanelli la possibilità di realizzare il suo primoscoop:[17][24] un'intervista al magnate dell'industria automobilisticaHenry Ford. Benché tali episodi siano probabili, tuttavia, mancano riscontri certi in merito. Quel che è certo è che la collaborazione di Montanelli al foglio diretto da Sulliotti fu breve e si chiuse improvvisamente: Montanelli venne rispedito in Italia per aver espresso su l'Italie Nouvelle idee fin troppo libere, rispetto all'autocensura imposta dal potere fascista a questo giornale di mera propaganda ideologica.

Nel1935 scrisse il suo primo libro,Commiato dal tempo di pace, che fu pubblicato dalle edizioni del «Selvaggio». Quell'anno l'Italia conquistò militarmente l'Etiopia. Montanelli si propose all'UP come inviato in zona di guerra, ma l'agenzia aveva già scelto Webb Miller per quel ruolo;[33] allora decise di licenziarsi dalla United Press e di arruolarsi come volontario: salpò per l'Etiopia il 15 giugno 1935,[21][34] partecipando alle operazioni di guerra comesottotenente al comando di un battaglione coloniale diàscari, il XX Battaglione Eritreo, tema del suo secondo volume.[14]
(Indro Montanelli, ringraziandoBenito Mussolini («Gran Babbo»), nel raccontare la sua esperienza di comandante di una compagnia di àscari durante laguerra d'Etiopia.[35])
La guerra d'Etiopia per Montanelli durò solo fino a dicembre: venne ferito e ottenne licenza di abbandonare il fronte. Durante la sua esperienza bellica aveva incominciato a scrivere un libro-reportage che uscì, per volontà di suo padre Sestilio, all'inizio del1936, mentre era ancora in Etiopia.[36] L'opera,XX Battaglione Eritreo, fu recensita favorevolmente, sulCorriere della Sera, daUgo Ojetti, amico personale di Sestilio Montanelli,[37] e daGoffredo Bellonci; latiratura dell'opera, avvalendosi dei due prestigiosi sponsor culturali, raggiunse le 30 000 copie.[14]
Nel 1935 anche il padre di Indro venne inviato dal regime fascista inAfrica orientale per dirigere una commissione di esami per civili e militari già residenti nellacolonia eritrea; ivi intercedette presso Leonardo Gana, direttore del maggiore quotidiano diAsmara,La Nuova Eritrea, facendovi assumere il figlio: così Indro ricevette la sua prima regolare tessera di giornalista, il che dimostra che l'anteriore collaborazione di Montanelli con la United Press, se vi fu, ebbe un carattere alquanto informale. Nel gennaio 1936 Indro Montanelli fu trasferito dal XX Battaglione Eritreo al Drappello Servizi Presidiari e incominciò a prestare servizio presso l'Ufficio Stampa e Propaganda.[38]
In Etiopia Montanelli, che all'epoca aveva 26 anni, ebbe una relazione con una bambina eritrea di 12 anni.[20] Altre fonti parlano invece di una ragazzina di 14 anni,[39] ma in una intervista televisiva Montanelli dichiarò «di aver regolarmente comprato dal padre» una ragazzina di 12 anni per sposarla.[40] Fatìma[14] (che in un articolo deLa stanza di Montanelli del 2000, dove ricostruisce minuziosamente la vicenda del suo primo matrimonio, Montanelli chiama invece Destà[41]) fu comprata dal suo «sciumbasci» Gabér Hishial[39] versando al padre laconvenuta cifra di 350lire (la richiesta iniziale era di 500), più l'acquisto di un «tucul» (una capanna di fango e di paglia) di 180 lire.[41] Compresi nel prezzo ebbe anche un cavallo e un fucile.[21]
La ragazza rimase al suo fianco per l'intera permanenza in Africa.[43] L'usanza delmadamato, dapprima tollerata e talvolta attuata su spinta dei capi-reggimento locali[41], fu proibita nell'aprile 1937 per limitare le infezioni veneree e per evitare contatti tra italiani e africani: il provvedimento fu poi seguito l'anno dopo dall'emanazione delleleggi razziali. Prima del ritorno in Italia, Montanelli cedette la giovane al generaleAlessandro Pirzio Biroli, che la introdusse nel proprio piccoloharem.[21] In seguito la ragazza sposò un militare eritreo che era stato agli ordini di Montanelli nella guerra coloniale:
Nel 2020 un sessantasettenne italo-eritreo, originario di Sageneiti e residente a Parma, affermò in un'intervista di essere figlio di tale Lattemicael Destà, che secondo l'articolo[44] sarebbe da ritenersi con ogni probabilità l'unica donna chiamata Destà residente a Sageneiti in quel periodo. Nata nel 1923, la donna non avrebbe avuto mai alcun rapporto con Montanelli, il quale avrebbe inventato, o comunque manipolato in modo molto significativo, la vicenda.
Montanelli incontròFilippo Tommaso Marinetti che, nonostante la non giovane età (era nato nel 1876), aveva voluto ugualmente vivere l'esperienza della guerra.[45] Redattore deLa Nuova Eritrea, Montanelli scrisse un pezzo perL'Italia letteraria in cui mostrò la sua disillusione per la nuova Italia che il fascismo voleva costruire:
Il pezzo, sfuggito alla censura fascista, attirò l'attenzione diCarlo Rosselli. L'esule, che aveva conosciuto Montanelli a Parigi, si augurò suGiustizia e Libertà che l'Abissinia potesse aver guarito «Indro Montanelli da molte illusioni».[46]
Manlio Morgagni, direttore dell'Agenzia Stefani e fedelissimo di Mussolini, lo avrebbe voluto come corrispondente daAsmara, ma la trattativa non ebbe esito positivo. Quando il padre ritornò in Italia, Indro lo seguì (agosto 1936).[47]
Nell'aprile1937 Montanelli si presentò alla redazione del neonato settimanale d'informazioneOmnibus. ConobbeLeo Longanesi, di neanche quattro anni più anziano, ma già un giornalista-editore esperto. Tra i due nacque una duratura amicizia. Nello stesso anno Montanelli partì per laSpagna, dov'era scoppiata laguerra civile, come corrispondente per il quotidiano romanoIl Messaggero, scrivendo articoli anche perOmnibus. In un resoconto sullabattaglia di Santander descrisse la resa della guarnigione repubblicana facendo questa osservazione: «È stata una lunga passeggiata militare con un solo nemico: il caldo».[20][48] La sua simpatia per gli anarchici spagnoli lo portò ad aiutare uno di loro, che accompagnò fuori della frontiera: il gesto venne ricompensato da «El Campesino»,[49] capo anarchico della 46ª divisione nellaguerra di Spagna, con il dono di una tessera dellaFederación Anarquista de Cataluña di cui Montanelli si sarebbe fregiato per tutta la vita.[50]
Una volta rimpatriato, ilMinculpop, con l'intervento diretto di Mussolini, lo cancellò dall'albo dei giornalisti per l'articolo sulla battaglia di Santander, considerato offensivo per l'onore delle forze armate italiane. Gli fu anche tolta la tessera del partito[48] e lui non fece nulla per riaverla. Alla vigilia del processo con il quale avrebbe potuto essere condannato alconfino, Montanelli anticipò che indibattimento avrebbe chiesto che venisse fatto il nome di un morto, anche uno solo.[20] Per evitare il peggio,Giuseppe Bottai, allora ministro dell'Educazione nazionale e suo amico dai tempi dell'Etiopia,[14] prima gli trovò inEstonia unlettorato dilingua italiana nell'Università di Tartu, poi lo fece nominare direttore dell'Istituto italiano di cultura della capitaleTallinn per l'anno accademico 1937-1938.[51] Come racconta inPantheon Minore, a Tallinn, su richiesta del colonnello russo Engelhardt, Montanelli diede ospitalità alla moglie russa diVidkun Quisling, che di lì a qualche anno sarebbe divenuto il capo del regimecollaborazionista diOslo, avendo modo in quell'occasione di conoscere anche il futurofører diNorvegia.[14][52] Dalla capitale estone Montanelli scrisse articoli perL'Illustrazione Italiana e per il quotidiano torineseLa Stampa.[53]

Nell'estate del1938 ottenne un congedo estivo. Tornato a Milano, conobbe la nobildonna austriaca Margarethe de Colins de Tarsienne (Rovereto, 18 dicembre 1911 - 20 giugno 2013)[55] e se ne innamorò.[56][57] Deciso a non ritornare più in Estonia, chiese a Ugo Ojetti di essere presentato al direttore delCorriere della SeraAldo Borelli. Ojetti, che credeva nel talento giornalistico di Montanelli, fece il suo nome a Borelli.[58] Il primo articolo di Montanelli sulCorriere fu pubblicato il 9 settembre 1938[59] (Fattoria canadese. Avventura nella prateria, che apparve interza pagina).[60] Borelli gli spiegò che non poteva assumerlo poiché non aveva la tessera del partito. Lo nominò «redattore viaggiante» (il modernoinviato) senza contratto.[61][62] Montanelli prese una stanza nell'appartamento dove alloggiavanoDino Buzzati eGuido Piovene. In breve tempo i tre divennero amici.[63]
Nel settembre di quell'anno si tenne laConferenza di Monaco. Dopo le assise fu chiaro che Hitler non avrebbe rinunciato alle sue mire espansioniste. Da qui la decisione del governo Mussolini diinvadere l'Albania per contenere l'avanzata del Reich. In novembre Aldo Borelli inviò Montanelli aTirana. Le sue corrispondenze servivano a preparare l'opinione pubblica italiana all'annessione.[64] Appena giunto, ricevette dall'ambasciatoreFrancesco Jacomoni l'incarico di scrivere un saggio sul Paese balcanico. I suoi servizi per ilCorriere confluirono nel libroAlbania una e mille (pubblicazione finanziata dalMinculpop). Montanelli lasciò il paese balcanico nel marzo1939, prima dell'invasione italiana.
Nell'agosto 1939 ilCorriere gli diede l'incarico di seguire un gruppo di 200 giovani fascisti che, simboleggiando l'Asse Italia-Germania, partirono daVenezia in bicicletta per raggiungereBerlino. Alpasso del Brennero furono raggiunti da una colonna dellagioventù hitleriana, che li accompagnò fino alla capitale tedesca.[14] Fra le sue corrispondenze ve ne fu una in cui s'inventò che i ciclisti italiani si sarebbero fermati in Austria ad aiutare i coloni a mietere il grano.[14] Tutti i giornali concorrenti rimproverarono i propri inviati per aver "bucato" la notizia.[65]
Il 1º settembre 1939 – primo giorno dell'invasione tedesca della Polonia – egli si trovava nelle vicinanze diDanzica: qui incontròAdolf Hitler, accompagnato dallo scultoreArno Breker e dall'architettoAlbert Speer (che confermò nel 1979 la veridicità del fatto).[66] Montanelli affermò inoltre di aver intervistato lo stesso Führer nell'occasione, ma che l'intervista non venne mai pubblicata per pressioni del governo tedesco sulMinculpop; alcuni giornalisti comeMassimo Fini però hanno dubitato della veridicità dell'intervista.[67][68]

Allo scoppio dellaseconda guerra mondiale Montanelli si recò sui fronti di guerra europei: oltre all'invasione dellaPolonia, il giornalista assistette a quella dell'Estonia da parte dell'URSS diStalin. Giunto inFinlandia nell'ottobre 1939, fu appassionato testimone dellaguerra russo-finlandese: nei suoi articoli per ilCorriere della Sera traspare la forte adesione alla causa del paese sopraffatto dal gigante comunista. Quelle corrispondenze per ilCorriere diedero fama a Montanelli presso i lettori italiani e furono poi raccolte nel volumeI cento giorni della Finlandia. A suo dire fu l'unico giornalista occidentale, insieme conMartha Gellhorn, fotogiornalista USA, testimone dell'occupazione sovietica di Helsinki nel1940,[69] Dopo iltrattato di pace di Mosca del 12 marzo 1940, si trasferì inNorvegia per seguire l'invasione del Paese da parte dei tedeschi, assistendo al disastrososbarco inglese di Namsos. Ireportage dal fronte valsero a Montanelli l'assunzione alCorriere comeinviato di guerra il 29 gennaio 1940: a maggio rientrò in Italia.
Il 10 giugno 1940 si trovava a Roma, dove ascoltò la dichiarazione di guerra di Mussolini all'Inghilterra e alla Francia. Montanelli fu inviato inFrancia, ma pochi giorni dopo andò neiBalcani, soprattutto inRomania. Alla fine di ottobre era in Albania, da dove, come corrispondente, seguì la disastrosa campagna militare italiana contro laGrecia. Raccontò di aver scritto poco, per malattia ma soprattutto per onestà intellettuale: il regime gli imponeva l'obbligo di propaganda, ma sotto i suoi occhi l'esercito italiano subiva batoste dai greci.[70] A metà aprile1941 rientrò in Italia per alcuni mesi, poi seguì la seconda guerra russo-finlandese. In Albania tornò nel maggio1942 e due mesi dopo si recò nellaCroazia diAnte Pavelić, dove ebbe modo di vedere ilcampo di concentramento di Jasenovac. Dal settembre 1942 al luglio 1943 collaborò al settimanaleTempo diAlberto Mondadori con lo pseudonimo di «Calandrino».[71]
Il 24 novembre1942 sposò Margarethe, con cui era fidanzato da quattro anni. Fu il cardinale di MilanoIldefonso Schuster – lo stesso che, con il suo intervento, avrebbe salvato poi Indro dalla fucilazione nel 1944 – a sposarli nellachiesa di San Gottardo in Corte. Per ottenere i documenti necessari – causa di complicazioni, visto che l'Austria nel 1938 era stata annessa alla Germania – il Ministro degli EsteriGaleazzo Ciano mandò una persona a Berlino per ottenere il permesso di matrimonio.[71] I due vissero un'unione contrastata, che si concluse con la separazione nel 1951.[72][73]
Con la principessaMaria Josè di Savoia, sua amica, Montanelli intrattenne a Milano e Roma colloqui privati di tono antifascista; dopo la guerra scoprì che le conversazioni, spiate e trascritte, furono la causa del suo arresto. Bastò solo affermare: «Altezza, è ora che Casa Savoia si districhi da questa responsabilità, è ora che faccia qualcosa»[74] per inserire Montanelli nella lista dei traditori del regime. Il 26 luglio1943 Montanelli si trovava aPortofino quando apprese la notizia dell'arresto di Mussolini: scrisse vari articoli antifascisti, sulCorriere della Sera e suTempo.
Quando l'Italia, dopo l'8 settembre 1943, cadde sotto l'occupazione tedesca, decise di aderire al gruppo clandestino diGiustizia e Libertà. Ma prima che riuscisse ad unirsi alle formazioni combattenti fu scoperto dai nazi-fascisti.
Il 5 febbraio 1944 Indro Montanelli e la moglie Margarethe[75] furono arrestati dietro una soffiata della portinaia dello stabile in cui viveva la moglie del giornalista. Un paio di giorni dopo i due coniugi si ritrovarono in una cella in una prigione tedesca diGallarate. L'accusa per il giornalista fu di aver pubblicato suTempo degli articoli considerati diffamatori del regime nell'ottobre 1943.[76]

Arrestata nel 1944, Margarethe fu deportata poi in unlager nazista vicino a Bolzano.[77]Ecco la deposizione resa da Montanelli nel primo interrogatorio nella prigione tedesca:
La moglie fu tenuta in carcere sotto la seguente accusa: «Essendo al corrente delle opinioni e dell'attività del marito, non lo denunziava». A Montanelli fu comunicato: «La sua fucilazione è inevitabile» e fu consegnato al reparto dei condannati a morte. La sua condanna a morte, secondo gran parte delle fonti, venne portata alla firma il 15 febbraio, per poi essere revocata per una prosecuzione d'inchiesta,[79] secondo la critica dello storicoLuigi Borgomaneri, tuttavia, "sulla base almeno della documentazione attualmente conosciuta, non risulta alcuna condanna a morte specificamente emessa a suo carico da comandi nazisti o da tribunali fascisti".[80]
Nei tre mesi successivi Montanelli spedì dal carcere diverse lettere e biglietti, sia ad amici e parenti sia a persone altolocate (tra cui anche l'arcivescovo di Milano, il cardinaleSchuster), costruendo così una fitta rete di sostegno.[81][82][83][84][85][86][87] Nello stesso periodo, tutti i suoi vicini di cella (26 persone) vennero portati al muro e fucilati, tranne lui. Il 6 maggio Montanelli e la moglie vennero prelevati dal carcere tedesco e trasferiti nelcarcere di San Vittore.[88] Il giornalista ebbe l'occasione di conoscere il giovanissimoMike Bongiorno (sorpreso a fare la staffetta per i partigiani) e il generale Della Rovere, in realtà una spia infiltrata dai tedeschi, Giovanni Bertone (che si rifiutò di fare la spia e venne fucilato dai tedeschi).[89][90] Le condizioni di vita migliorarono notevolmente: le guardie erano italiane e il CLN aveva in carcere i suoi delegati.
Ma in luglio cominciarono le fucilazioni anche a San Vittore. Di nuovo, uno dopo l'altro i suoi compagni di prigionia furono messi al muro. Con l'aiuto di più persone, tra le qualiTheodor Saevecke[80] e ancheLuca Ostèria, funzionario dell'OVRA (che fabbricò un falso ordine di trasferimento),[91][92] un giorno prima della data asseritamente prevista per l'esecuzione, Montanelli e un altro prigioniero vennero prelevati dal carcere e portati in un nascondiglio. Passati dieci giorni, i fuggitivi, racconta Montanelli con l'appoggio delCLN,[93] ma nella realtà con i repubblichini furono condotti fino aLuino, al confine con la Svizzera.[94] Infatti da documenti, nel gruppo era insieme aDorothy Gibson (parente diFranklin Delano Roosevelt) e il generale Bartolo Zambon (escluso soloGiuseppe Robolotti), come contropartita dello stesso Luca Osteria con il CLN e nel dopoguerra con gli angloamericani, dopo aver convinto il comando tedesco che avrebbero collaborato colSipo-SD.[80][95] A piedi Montanelli raggiunse la città diLugano. Dall'esperienza trascorsa nella prigione di Gallarate e poi in quella di San Vittore trasse ispirazione per il romanzoIl generale Della Rovere.[96]
Accolto con freddezza, sospetto e ostilità dai fuorusciti italiani antifascisti[71] (cosa che non dimenticherà mai di ricordare), rimase in Svizzera, collaborando a diversi giornali, sino alla fine della guerra: Lugano (agosto-ottobre 1944); Davos (ottobre 1944-febbraio 1945); Berna (marzo-maggio 1945). Qui Montanelli pubblicò nel 1945 suL'Illustrazione Ticinese il romanzoDrei Kreuze (Tre croci), ispirato al romanzo diThornton WilderIl ponte di San Luis Rey.


Montanelli disse di aver fatto ritorno in Italia il 29 aprile 1945:
Invece da documenti, durante i fatti citati soggiornava ancora in Svizzera come ammise subito nel 2007 il suo amico e collegaMario Cervi[98] Trovò alCorriere della Sera una situazione molto diversa rispetto a quando l'aveva lasciato.[99] IlCorriere era stato commissariato per decreto delComitato di Liberazione Nazionale. Il nuovo direttore,Mario Borsa, aveva organizzato l'epurazione di vari giornalisti ritenuti colpevoli di connivenza con il regime di Salò.[100] A indicare i nomi degli epurati fu designatoMario Melloni, il futuro «Fortebraccio», che «siccome era un galantuomo, alla fine non epurò nessuno, o quasi. Io [Montanelli] fui uno dei pochi».[100]
Montanelli dovette ricominciare dal «settimanale popolare» delCorriere,La Domenica del Corriere (all'epoca intitolataDomenica degli Italiani), di cui assunse la direzione nello stesso anno. Solo alla fine del 1946 poté tornare in via Solferino. Nel corso dell'anno lui e Leo Longanesi si occuparono, curarono e adattarono le memorie diQuinto Navarra, pubblicate nel libroMemorie del cameriere di Mussolini, edito dallaLonganesi. Nel frattempo, Montanelli era stato reintegrato nell'Albo dei giornalisti.[101] Il 2 giugno 1946 al referendum istituzionale votò per la Monarchia.[102]
Nel settembre 1945 uscì in ItaliaQui non riposano, versione italiana diDrei Kreuze (Tre croci). La storia del libro inizia il 17 settembre 1944, quando in Val d'Ossola un prete seppellisce tre sconosciuti commemorandoli con tre croci. Nel libro Montanelli ripercorse la propria biografia politica, dall'adesione giovanile al fascismo alla critica, fino all'antifascismo conservatore cui approdò alla fine della guerra. Fin dalla sua prima uscita nell'inverno 1944-1945 in Svizzera, suscitò polemiche per il ritratto impietoso dell'Italia, sia di quella sotto il fascismo sia di quella occupata dai nazisti, assai diversa dalla pubblicistica antifascista dell'epoca già grondante di retorica. Montanelli faticò non poco a trovare un editore: dopo vari rifiuti, fu il libraio Antonio Tarantola a stamparlo a Milano. Il successo fu immediato: l'opera ebbe dodici ristampe in due mesi e fu ristampata da Mondadori tre anni dopo.[103]
Identica difficoltà nel trovare un editore ebbe con ilpamphletIl buonuomo Mussolini, pubblicato nel 1947 da un semiclandestino stampatore milanese. Il libro riscosse subito un grande successo di vendite, ma sollevò anche fortissime polemiche, nel clima di «ribollenti passionipartigiane» che animava il capoluogo lombardo nel primo dopoguerra. In seguito a tali polemiche, Montanelli fu costretto ad abbandonare Milano per diversi mesi, per sottrarsi a prevedibili rappresaglie.[104]
Per l'amicoLeo Longanesi – segnalato all'industrialeGiovanni Monti da Montanelli per la creazione di una nuova casa editrice, laLonganesi & C. – pubblicò alcune opere, come ilreportage sulla Resistenza tedesca al nazismoMorire in piedi, nel 1949. Nel 1950 fu tra i fondatori – insieme aGiovanni Ansaldo,Henry Furst – del settimanaleIl Borghese, diretto da Longanesi. Scrisse fin dal primo numero, del 15 marzo 1950. La collaborazione con il periodico proseguì fino al 1956. In quell'anno s'interruppe l'amicizia tra i due: i rapporti si incrinarono a causa delle corrispondenze di Montanelli sullarivolta antisovietica d'Ungheria dell'autunno 1956, non gradite a Longanesi. Solo pochi giorni prima della morte, dopo una lettera riconciliatoria di Montanelli a Longanesi, si riappacificarono.
Montanelli, oltre che con Longanesi, strinse un'amicizia profonda con un altro personaggio importante nella cultura italiana dell'epoca,Dino Buzzati.[105] Il terzo intellettuale con cui Montanelli strinse una forte e duratura amicizia fuGiuseppe Prezzolini, che stimava per l'indipendenza di pensiero; egli conosceva bene la rivista che Prezzolini aveva fondato nel 1909,La Voce, che considerava uno dei migliori prodotti del giornalismo culturale italiano. Montanelli fu amico personale dell'ambasciatrice americana, la signoraClare Boothe Luce, di cui tra l'altro apprezzava il deciso anticomunismo, tanto che nel 1954, in una lettera personale, si rivolse a lei in questi termini:
Nel 1998 Montanelli sostenne, a proposito del rapporto con la Luce:
Oltre a Montanelli erano coinvolti vari industriali italiani – tra cuiFurio Cicogna – e figure comeDino Grandi eVittorio Cini. Il progetto fallì a causa dell'impossibilità di trovare un accordo tra Montanelli, Grandi, Cini e Clare Luce. Montanelli confidava in Clare Boothe Luce, che però disse di avere le mani legate (stando ai diari di Indro). Grandi temeva che iniziative più aggressive venissero associate a un «rigurgito fascista». Cini premeva per una campagna anticomunista da svolgere tramite la stampa.[108] La stessa ambasciatrice non mostrò però alcuna apertura verso l'istituzione della vagheggiata «guardia civile» o verso richieste di intervento giunte per esempio daFranco Marinotti, sempre nel 1954.[109]
Sino alla fine del1953 Montanelli fu impegnato come inviato speciale delCorriere, spesso all'estero. Dal1954 incominciò la sua collaborazione stabile conIl Borghese, in cui firmò gli articoli sotto gli pseudonimi di Adolfo Coltano (con riferimento al campo di prigionia in cui, nei mesi successivi alla Liberazione, erano stati rinchiusi numerosi appartenenti allaRepubblica Sociale Italiana) e Antonio Siberia e di cui fu una delle tre colonne portanti, assieme a Longanesi eGiovanni Ansaldo.[103] Nel1956 Longanesi e Montanelli diedero una descrizione opposta della rivolta d'Ungheria: i rapporti tra i due si raffreddarono. Montanelli interruppe la collaborazione alBorghese.
Nello stesso periodo accettò la richiesta diDino Buzzati di tornare a collaborare conLa Domenica del Corriere. Buzzati gli diede una pagina intera; nacque la rubricaMontanelli pensa così, che divenne poiLa Stanza di Montanelli, uno spazio in cui il giornalista rispondeva ai lettori sui temi più caldi dell'attualità. In breve tempo diventò una delle rubriche più lette d'Italia. Grazie al successo della rubrica, Montanelli accettò di scrivere a puntate lastoria dei Romani e poiquella dei Greci. Cominciò così la carriera di divulgatore storico, che fece di Montanelli il più venduto scrittore di storia italiano. La sua collana,Storia d'Italia, risultava, al 2004, il saggio storico di maggior successo in Italia, con oltre un milione di copie vendute.
Il primo libro venne intitolatoStoria di Roma e fu pubblicato a puntate sullaDomenica del Corriere e poi, nel 1957, raccolto in volume per la Longanesi. Nel1959 Montanelli passò dalla Longanesi allaRizzoli Editore.[110] Da quell'anno in poi la Rizzoli pubblicò tutti gli altri volumi. La serie continuò con laStoria dei Greci, per poi riprendere con laStoria d'Italia dal Medioevo ad oggi.
Quando la parlamentare socialistaLina Merlin nel1956 propose un disegno di legge che prevedeva l'abolizione della regolamentazione dellaprostituzione in Italia e la lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui, in particolare attraverso l'abolizione dellecase di tolleranza, Montanelli si batté pervicacemente contro quella che passò alla storia comelegge Merlin. Diede alle stampe unpamphlet intitolatoAddio, Wanda! Rapporto Kinsey sulla situazione italiana,[111] un libello satirico nel quale scriveva tra l'altro:
Nello stesso 1956 la sua attività d'inviato aveva portato Montanelli aBudapest, dove fu testimone dellarivoluzione ungherese. La repressione sovietica gli ispirò la trama di un'opera teatrale,I sogni muoiono all'alba (1960), da lui portata anche al cinema l'anno successivo insieme a Mario Craveri edEnrico Gras, conLea Massari eRenzo Montagnani nel ruolo dei giovani protagonisti.
Nel 1959 Montanelli fu protagonista della prima intervista rilasciata da un Papa a un quotidiano laico,[112] pubblicando il resoconto di un suo incontro conPapa Giovanni XXIII. Il pontefice, tramite il suo segretarioLoris Capovilla, aveva informato il direttore delCorriere,Mario Missiroli, di voler concedere un'intervista a un giornalista esterno al mondo cattolico. Missiroli designò perciò Montanelli al posto del vaticanista delCorriere,Silvio Negro. Superato l'iniziale imbarazzo nel trovarsi di fronte a un mondo a lui non familiare, il giornalista intrattenne una lunga conversazione con il Papa, il quale gli confidò anche alcune sue opinioni private, come la sua scarsa stima per il suo predecessorePio X, canonizzato alcuni anni prima.[113] L'incontro con Giovanni XXIII fu pubblicato sulla terza pagina delCorriere, cosa che Montanelli considerò una posizione inadatta per lo storico evento (il giornalista attribuì questa scelta di Missiroli alla sua preoccupazione di non offendere Negro per l'esclusione).[112] D'altra parte, il direttore rimproverò a Montanelli di avere relegato a un accenno la storica decisione dell'indizione delConcilio Vaticano II, una notizia che Giovanni XXIII aveva ufficializzato proprio durante l'incontro: Montanelli, inesperto del linguaggio ecclesiastico, non aveva colto l'importanza dell'annuncio.[113]
Nel1962 pubblicò un'inchiesta sull'Eni e il suo presidente,Enrico Mattei, uscita a puntate dal 13 al 17 luglio. Pur ammirandolo come imprenditore, Montanelli contestò il fatto che avesse escluso i privati dalla ricerca di un ipotetico petrolio italiano, oltre a speculare sulla «rendita petrolifera», realizzando profitti immensi e incontrollati, che gli hanno consentito di espandersi in settori non collegati all'attività dell'Eni. Un altro motivo di contestazione fu l'aver firmato contratti petroliferi all'estero (ad esempio inEgitto e inIran) senza nessuna convenienza economica per l'Eni, solo per dare fastidio alleSette sorelle. Montanelli scrisse inoltre che Mattei, per la stessa ragione, decise di costruire un grande oleodotto europeo (quando le compagnie concorrenti ne avevano già progettato uno analogo), si mise in affari con l'URSS (scavalcando lo Stato nelle decisioni di politica estera) e si servì delle larghe disponibilità occulte dell'azienda per offrire «sussidi» a vari partiti e organi di stampa.[114][115][116][117][118] Il presidente dell'Eni scrisse una lettera risentita e cavillosa[119] e Montanelli controreplicò ribadendo punto per punto le proprie affermazioni: gli rimproverò di non aver risposto a nessuna delle sue domande, «attaccandosi ai particolari tecnici», e che nulla si era saputo a proposito della «rendita metanifera», dei profitti occultati e adoperati per finanziare i partiti (in particolare la DC) e sui contratti pubblicitari con cui l'Eni condizionava la stampa.[120]
Montanelli aggiunse che Mattei continuava a violare le leggi, trattava «spregiativamente di "Catone" il giornalista che, non senza il condimento di molte lodi e il riconoscimento delle sue grandi qualità, ha osato criticarlo» e concluse che il presidente Eni cercò di individuare chi c'era dietro l'inchiesta delCorriere della Sera.[120] In merito a questi timori scrisse che dietro quell'inchiesta non c'erano né ministri né monopoli privati, ma soltanto «il disagio di una opinione pubblica che, avvertendo in aria qualcosa che non va, vuol sapere cos'è e di dove viene».[120]
Nel1963, dopo ildisastro del Vajont, Montanelli assunse una posizione controversa in merito alle reali cause della tragedia[121] affermando il carattere di catastrofe naturale della stessa e tacciando di «sciacallaggio» l'attività di alcuni giornalisti italiani, tra i qualiTina Merlin del'Unità, che avevano denunciato i rischi derivanti dalla costruzione della diga per l'incolumità della popolazione:[121] nel1998, rispondendo a un lettore, raccontò che quella presa di posizione fu dovuta al comportamento di una certa stampa che, senza avere prove in quel momento, cercava di addossare tutte le responsabilità all'industria privata per accontentare quella parte politica che reclamava la nazionalizzazione dell'industria elettrica,[121] riconoscendo l'errore ma affermando che forse, in circostanze analoghe, l'avrebbe ricommesso.[121]
A partire dal1965 partecipò attivamente al dibattito sulcolonialismo italiano. In accesa polemica con lo storicoAngelo Del Boca, Montanelli sostenne ostinatamente l'opinione secondo cui quello italiano fu un colonialismo mite e bonario, portato avanti grazie all'azione di un esercito cavalleresco, incapace di compiere brutalità, rispettoso del nemico e delle popolazioni indigene.[122] Nei suoi numerosi interventi pubblici negò ripetutamente l'impiego sistematico diarmi chimiche comeiprite,fosgene earsine da parte dell'aviazione militare italiana inEtiopia,[24][123] salvo poi scusarsi nel 1996 quando il suo oppositore dimostrò, documenti alla mano, l'impiego di tali mezzi di distruzione.[124]
Dichiaratamenteanticomunista,anarco-conservatore (come amava definirsi su suggestione del grande amico Prezzolini),liberale[78][125][126][127] e controcorrente, vedeva nelle sinistre un pericolo incombente,[128] in quanto finanziate dall'allora superpotenza sovietica.[129]
Nel1968 Montanelli pubblicò sulCorriere una serie di inchieste sulle città verso le quali nutriva maggiore interesse. I servizi riguardarono, tra le altre,Firenze eVenezia. Il giornalista dedicò ampio spazio alla Serenissima,[130] lanciando l'allarme per la salvaguardia della città. Montanelli rilevò i pericoli che la crescente industrializzazione stava arrecando al delicato ecosistema lagunare. Stabilì un rapporto causa-effetto tra la forte industrializzazione della zona attorno a Porto Marghera e l'inquinamento a Venezia, la città e i suoi monumenti. Infine denunciò il silenzio delle pubbliche autorità, che continuavano a ignorare i sintomi del degrado della laguna (su tutti l'acqua alta, che proprio in quegli anni incominciava a essere molto frequente). Impiegò, in quest'opera di impegno civile svincolata da tematiche o colorazioni partitiche, tutta la sua autorevolezza personale.[131] L'anno seguente, nel1969, Montanelli registrò trereportage televisivi per laRai, dedicati rispettivamente aPortofino, Firenze e Venezia.[132][133]

A partire dalla metà degli anni sessanta, dopo la morte di Mario e Vittorio Crespi e la grave malattia del terzo fratello Aldo, la proprietà delCorriere della Sera fu gestita dalla figlia di quest'ultimo[84]Giulia Maria, e durante la sua gestione il quotidiano operò una netta virata a sinistra. La nuova linea venne varata nel1972, con il licenziamento in tronco del direttoreGiovanni Spadolini e la sua sostituzione conPiero Ottone.
Montanelli diede un giudizio tagliente sull'operazione. In un'intervista aL'Espresso dichiarò che «un direttore non lo si caccia via come un domestico ladro» e, rivolgendosi ai Crespi, stigmatizzò il «modo autoritario, prepotente e guatemalteco che hanno scelto per imporre la loro decisione».[134] L'articolo fece sensazione. Montanelli ricevette addirittura una proposta di candidatura alle imminenti elezioni politiche[135] daUgo La Malfa, segretario delPartito Repubblicano Italiano e suo amico personale (era stato lui a introdurre il giornalista, nel 1935, nel gruppo di antifascisti che in seguito avrebbero fondato ilPartito d'Azione).[136] Montanelli declinò la proposta, girandola signorilmente a Spadolini. Un altro terreno di scontro con la proprietà delCorriere della Sera fu la sostituzione del capo della redazione romana,Ugo Indrio. Dopo il cambio di direttore, Indrio fu costretto a dimettersi: Montanelli lo difese, ma non riuscì ad evitare il suo allontanamento.
Nello stesso anno fu uno dei pochissimi giornalisti a scrivere che l'uccisione del commissarioLuigi Calabresi era la conseguenza di una campagna diffamatoria senza precedenti, scatenata dall'estrema sinistra e sostenuta da molti intellettuali[137].
Rispondendo a un lettore, pochi giorni dopo ilmassacro di Monaco di Baviera, prese anche posizione a favore dello Stato d'Israele nelle guerre arabo-israeliane, scrivendo:
A partire dal1973 Montanelli cominciò a esprimere il proprio malumore sulla conduzione del giornale. Piero Ottone replicò con unarticolo di fondo nel quale ribadiva la giustezza della propria posizione. Per evitare quella che considerava l'«autocensura rossa» attuata da molti colleghi, Montanelli scelse di limitarsi a curare una rubrica settimanale,Montanelli risponde[139]. Il giornalista entrò definitivamente in rotta di collisione con la proprietà in seguito a due interviste rilasciate nell'ottobre 1973 e a un articolo molto polemico[140] nei confronti diCamilla Cederna (definitaradical chic)[141], grande amica di Giulia Maria Crespi. La prima intervista fu pubblicata il 10 ottobre sul settimanale politico-culturaleIl Mondo. Montanelli dichiarava aCesare Lanza:
(Giampaolo Pansa,Comprati e venduti, Milano, Bompiani, 1977, p. 143.)
E concludeva lanciando un appello:
(Giampaolo Pansa,op. cit., p. 143.)
La seconda uscì il 18 ottobre suPanorama. L'intervista, raccolta daLamberto Sechi, venne pubblicata con il titoloMontanelli se ne va. E nel lungo sommario: «"A novembre mi metto in pensione", annuncia il più famoso giornalista italiano. I motivi: dissensi sulla nuova linea delCorriere, vecchia ruggine con uno dei proprietari, Giulia Maria Crespi. Per adesso pensa a portare a termine gli ultimi volumi della suaStoria d'Italia. Ma non gli dispiacerebbe, dice, fondare un nuovo giornale». L'editorialista spiegava:
(Franco Di Bella,Corriere segreto, Milano, Rizzoli, 1982, p. 402 (Appendice).)
Nel seguito dell'articolo,Panorama scriveva che Montanelli stava già pensando di realizzare un nuovo giornale con alcuni suoi fedelissimi, molti dei quali lavoravano con lui alCorriere. Avuta l'anticipazione del testo, il 17 ottobre, Giulia Maria Crespi e Piero Ottone non apprezzarono affatto l'intervista. Quello stesso giorno, in serata, Ottone si recò al domicilio milanese di Montanelli per comunicargli la decisione del suo licenziamento. Montanelli, però, se ne andò volontariamente, presentando le dimissioni e accompagnandole da un polemico articolo di commiato. L'articolo non fu pubblicato: ilCorriere diede la notizia con un comunicato, su una colonna, il 19 ottobre (in un'intervista concessa aFranco Di Bella, Montanelli smentì di aver lasciato il giornale per incassare subito laliquidazione e rivelò che la cifra che ricevette fu di soli 75 milioni di lire, dopo 37 anni di carriera)[142].
Il giorno stesso della sua uscita dalCorriere, Montanelli ricevette un'offerta daGianni Agnelli, che gli propose di scrivere suLa Stampa. L'offerta fu accettata ed Indro pubblicò il suo primo pezzo sul quotidiano torinese il 28 ottobre[143]. Montanelli lasciò anche la sua storica rubrica sul settimanaleLa Domenica del Corriere per traslocare sul concorrenteOggi[144]. Il vero obiettivo di Montanelli rimaneva comunque la fondazione di un quotidiano indipendente. Chiamò la nuova creaturail Giornale nuovo[145].
Nella sua «traversata nel deserto» dalCorriere della Sera alGiornale nuovo lo seguirono molti validi colleghi che, come lui, non condividevano il nuovo clima interno alCorriere, tra i qualiEnzo Bettiza,Egisto Corradi,Guido Piovene,Cesare Zappulli, e intellettuali europei comeRaymond Aron,Eugène Ionesco,Jean-François Revel eFrançois Fejtő. All'inizio del 1974, quando il progetto di fondazione del nuovo quotidiano era ormai definitivo, giunse (grazie anche all'interessamento diAmintore Fanfani) un insperato sostegno finanziario da parte diEugenio Cefis. Il presidente dellaMontedison gli fornì 12 miliardi di lire per tre anni[146].
Con quel finanziamento Montanelli tentò di avere dalla sua il nome di un importante editore. Tentò prima con Andrea Rizzoli (gli offrì il giornale gratis, ma Rizzoli rispose di no perché era già in trattative per l'acquisto delCorriere della Sera) e poi conMario Formenton, genero diArnoldo Mondadori e amministratore delegato della casa editrice (anche lui disse di no, anche per il parere negativo diGiovanni Spadolini, cosa che fece arrabbiare molto Indro). In precedenza Montanelli aveva rifiutato di dirigere il giornale avendo come condirettoreEugenio Scalfari, considerando la proposta di Scalfari un tantino azzardata. A quel punto Cefis affiancò a Indro duemanager di provata esperienza: Angelo Morandi, per lungo tempo direttore amministrativo al quotidiano milaneseIl Giorno e Antonio Tiberi, presidente di una società del gruppo Montedison, Industria, attiva nel settore editoriale[147][148][149]: Montanelli rimase comunque il proprietario della testata con i giornalisti cofondatori.
Nel marzo1974 Montanelli annunciò pubblicamente dalle colonne dellaStampa il suo progetto di fondare un nuovo giornale[150]: il suo ultimo articolo sul quotidiano torinese comparve il 21 aprile[151]. Nello stesso anno si sposò in terze nozze con la collegaColette Rosselli (1911-1996),corsivista del settimanaleGente, più nota con lopseudonimo di «Donna Letizia». La relazione tra Montanelli e la Rosselli era già incominciata intorno al 1950 (nonostante vivessero sempre in case separate, lui a Milano e lei a Roma), ma il giornalista ottenne ildivorzio da Margarethe Colins de Tarsienne solo nel1972, a causa della legge italiana che non lo ammetteva fino al1970[152].
Conil Giornale nuovo, che diventerà poiil Giornale – il primo numero uscì martedì 25 giugno 1974[154] – Montanelli intese creare una testata che esprimesse le istanze delle forze produttive della società, in particolare della piccola e media borghesia lombarda[155], inserendosi nel dibattito politico in guisa di interlocutore esterno alla politica, non schierato se non su orientamenti di massima e fautore di unadestra ideale[156]. IlGiornale nuovo si avvalse della collaborazione di diverse grandi figure del giornalismo italiano:Enzo Bettiza nel ruolo di condirettore[157], Mario Cervi,Cesare Zappulli,Guido Piovene, come presidente della società dei redattori; vi scrissero grandi intellettuali liberali comeRosario Romeo,Renzo De Felice,Sergio Ricossa,Vittorio Mathieu,Nicola Matteucci,Raymond Aron eFrançois Fejtő; alla critica letterariaGeno Pampaloni; per la filosofiaNicola Abbagnano; e ancora,Renato Mieli, Frane Barbieri,Giovanni Arpino e, più tardi,Gianni Brera[158].
La prassi giornalistica di Montanelli fu influenzata dal praticantato fatto negli Stati Uniti (1934-35), tenendo presente la massima imparata allaUnited Press, vale a dire che ogni articolo deve poter essere letto e capito da chiunque, anche da un «lattaio dell'Ohio». Divenne membro onorario dell'Accademia della Crusca, per la quale si batté, sulle pagine delGiornale, cercando di coinvolgere direttamente i suoi lettori, così che uno dei più antichi e importanti centri di studio sulla lingua italiana non scomparisse.
Nel 1975 Montanelli troncò la quarantennale amicizia conUgo La Malfa. Il motivo della rottura, avvenuta in seguito ad una violenta lite[159], fu la decisione, da parte del presidente delPRI, di sostenere ilcompromesso storico, ovvero il riavvicinamento fra DC e PCI[155]. I rapporti tra i due sarebbero stati ricomposti nel 1979, pochi giorni prima della scomparsa di La Malfa[160].
Fra gli episodi che Montanelli ritenne a posteriori più importanti[155] nella storia della sua conduzione delGiornale, vi furono due campagne, entrambe lanciate nel 1976. La prima fu la raccolta fondi lanciata a favore delle vittime delterremoto del Friuli, che in poche settimane raccolse tre miliardi di lire. I proventi, affidati al cronistaEgisto Corradi, vennero usati per la ricostruzione dei comuni diVito d'Asio eMontenars e della frazione di Sedilis, nel comune diTarcento.
L'altra campagna fu l'invito a votare per laDemocrazia Cristiana, lanciato alla vigilia delleelezioni politiche del 1976[155]. Dinanzi alla crescita delPartito Comunista Italiano, Montanelli sollecitò gli elettori progressisti e moderati a impedire la salita al potere del partito diBerlinguer esprimendo, anche se controvoglia, un consenso per quello diZaccagnini, con uno slogan poi divenuto celebre:
(Frase originalmente detta daGaetano Salvemini alla vigilia delleelezioni politiche del 1948, come affermato dallo stesso Montanelli.)

Sempre nel 1976, Montanelli fu contattato daMike Bongiorno, che gli propose di condurre, sulla nascente rete televisivaTelemontecarlo, un notiziario curato dalla redazione delGiornale. La trasmissione, anch'essa intitolataIl Giornale nuovo, ebbe un notevole successo nonostante gli scarsi mezzi tecnici a disposizione[162]. Costato solamente cento milioni di lire, il telegiornale, registrato in uno scantinato a Milano, fece registrare un'audience di alcuni milioni di telespettatori[155]. La popolarità della trasmissione fu accolta con ostilità dagli ambienti di sinistra: in particolareEugenio Scalfari, direttore dela Repubblica, accusò TMC di essere una rete illegale e alcuni pretori ne bloccarono le frequenze[163].
Per tutto il periodo della sua conduzione, Montanelli curò sulGiornale una rubrica quotidiana, intitolataControcorrente, in cui commentava in modo sarcastico fatti e personaggi d'attualità. Su questa rubrica, fra l'altro, proseguì il duello a distanza, già cominciato sulle colonne delCorriere della Sera, con «Fortebraccio», divenuto corsivista perl'Unità. I due giornalisti, di opposte ideologie («Fortebraccio» era decisamente schierato a sinistra) ma identicavis polemica, mascherarono in realtà sotto i reciproci attacchi una relazione personale di amicizia e stima, come testimoniato dall'ironico epitaffio che Mario Melloni dichiarò sull'Unità di volere per se stesso: «Qui giace Fortebraccio / che segretamente / amò Indro Montanelli. / Passante, perdonalo / perché non ha mai cessato / di vergognarsene». Montanelli, sulGiornale, replicò che avrebbe voluto essere seppellito a fianco del collega, sotto l'epitaffio: «Vedi / lapide / accanto»[164][165]. Durante i primi anni fu curata anche un'altra rubrica,Dicono di noi, che riportava articoli di altri quotidiani in cui si attribuivano alGiornale nuovo i più fantasiosi padroni e finanziatori occulti.[166] Montanelli ricordò: «La stampa nazionale o ci ignorava o ci attaccava. Decisi quasi subito di varare la rubrica "Dicono di noi", una galleria delle calunnie sul "Giornale" pubblicate quasi quotidianamente. Erano invenzioni talmente strampalate che, lette tutte insieme a distanza di tempo, risultano comiche. Basti dire che Fortebraccio arrivò a scrivere sull'Unità che io guadagnavo un milione al minuto. Invece non c'era una lira[155]».
Nel 1978, in seguito al sequestro diAldo Moro e all'uccisione della scorta da parte delleBrigate Rosse,il Giornale nuovo si schierò fin dal primo giorno per la linea della fermezza, scrivendo:
Durante i due mesi di sequestro Moro non fu mai torturato o minacciato dalle BR, e a tal proposito Montanelli criticò severamente le lettere scritte dal presidente democristiano durante la prigionia, affermando che «tutti a questo mondo hanno diritto alla paura. Ma un uomo di Stato (e lo Stato italiano era Moro) non può cercare d'indurre lo Stato ad una trattativa con dei terroristi che oltre tutto, nel colpo di via Fani, avevano lasciato sul selciato cinque cadaveri fra carabinieri e poliziotti»[168].
Altre critiche furono rivolte a Eleonora Chiavarelli, vedova di Aldo Moro diventata accusatrice della DC e della classe politica italiana pochi anni dopo l'omicidio del marito:
Nei primi tre anniil Giornale nuovo ottenne il finanziamento dellaMontedison, azienda con partecipazione statale guidata all'epoca daEugenio Cefis. Il finanziamento fu ottenuto attraverso la «Società di Pubblicità Italiana» (SPI), di cui la Montedison era la maggiore azionista[155][170]. Nel corso della campagna elettorale del 1976 Montanelli consigliò ai propri lettori una rosa di candidati DC «non compromessi col malaffare», che gli elettori potevano indicare nello spazio riservato alle preferenze. Dei quaranta candidati consigliati dal quotidiano ai lettori, 33 furono eletti in Parlamento, tra cui il capolistaMassimo De Carolis. Il rapporto tra i due si ruppe pochi anni dopo, tanto che in occasione delleelezioni anticipate del 1979 Montanelli non lo sostenne più[171][172].
In quegli anni laloggia P2, al cui vertice vi eranoLicio Gelli eUmberto Ortolani, mirava al controllo dei principali mezzi di comunicazione. Nel 1977 riuscì, attraverso illecite manovre finanziarie, ad arrivare alCorriere della Sera, allora diretto daFranco Di Bella. Nel suoDiario Montanelli riportò informazioni su questa vicenda che ricavò dalle sue conversazioni conAmintore Fanfani,Arnaldo Forlani,Giulio Andreotti,Silvio Berlusconi e con lo stesso Di Bella[173]:
[...]
Roma, 3 ottobre 1977, mi telefona Di Bella. Mi dice che ha già ricevuto l'investitura da Zaccagnini, ma che vuole l'accordo con noi. Bernabei che smentisce in pieno Fanfani rivendicando la paternità dell'operazione «Corriere». Anche lui sostiene la necessità di un accordo fra i due giornali (al Corriere l'informazione, a noi l'opinione) nel quadro di una strategia editoriale di vasto raggio.
[...]
Roma, 4 ottobre. Secondo quanto mi era stato raccomandato, dovevo salire direttamente alla camera 219 dell'Excelsior. Ma alla camera 219 non c'era nessuno, e così dovetti chiedere al portiere del signor Gelli. Poi Gelli arrivò, mi condusse furtivamente nel suo appartamento e mi fece un lungo discorso pieno di allusioni, dal quale dovevo comprendere che lui è un pezzo grosso – forse il più grosso – della massoneria (Palazzo Giustiniani), che come tale era stato il vero padrino della operazione Rizzoli, e che in questa operazione potevamo rientrare anche noi. Mi ha detto che quattro ministri dell'attuale governo, otto sottosegretari e centoquaranta parlamentari dipendono da lui.
[...]
Milano, 16 ottobre. Da Berlusconi, a cena con Di Bella. Mi dice che la sua direzione è sicura.»
Gelli scrisse nel suo libro di avergli fatto avere un finanziamento di 300 milioni dal Banco Ambrosiano a titolo gratuito[174]. Querelato da Montanelli, fu condannato per diffamazione dal Tribunale di Monza a pagare 2 milioni di multa, 30 di risarcimento danni e 15 di riparazione pecuniaria[175]. Per i giudici Gelli aveva «offeso dolosamente nella dignità professionale e nella reputazione» il giornalista[175].
Montanelli affermò di aver ottenuto un prestito dal presidente del Banco Ambrosiano Roberto Calvi, iscritto alla P2, socio di Sindona e autore di furti ai danni delle banche e società dello Stato: «È vero che in seguito la società editrice ottenne un finanziamento dal Banco Ambrosiano, ma non mi occorrevano certo gli auspici di Gelli: io ero amico di Calvi, l'avevo conosciuto durante la guerra di Russia nel '42»[176], aggiungendo che la banca aprì un fido, pretendendo però un interesse del 22%[176] e per questo non ne usufrì quasi mai[155].
Con la scoperta e la pubblicazione dell'elenco degli iscritti alla loggia viene alla luce che alcuni di loro, oltre a Berlusconi, erano nel suo giornale – il redattore Claudio Lanti[171], il presidente del Tribunale di Forlì Antonio Buono (editorialista in tema di giustizia)[171] – mentre altri, comeRoberto Gervaso, sono a lui vicini[171]. Montanelli mise in quarantena Lanti[171], interruppe la collaborazione con Buono[171] e troncò i rapporti con Gervaso[171][177], mentre Berlusconi continuò ad essere azionista di maggioranza e poi, dal 1987, editore[178].
Pur criticando Licio Gelli, definendolo «avventuriero» e «millantatore», nonché «un emerito furfante»[179] e un «magliaro»[180], tese a escludere le ispirazioni golpiste della loggia[181], definendo il suo capo un «pataccaro», e la P2 una delle tante cricche italiane[182].
Altre critiche furono rivolte a coloro che decisero di aderire alla P2:
Gelli stesso approfittò di queste prese di posizione nel difendersi in una lettera aTina Anselmi, presidente della Commissione P2: «A quali risultati ha portato il lavoro di ben tre anni di questa Commissione. Nessuna certezza, [...] un testo [...] che un giornalista illustre come Indro Montanelli, che con me non è mai stato tenero, ha definito "cicaleccio di portineria"», aggiungendo che «nulla si può escludere, nemmeno che Tina Anselmi sia una calunniatrice»[184].
Montanelli ebbe contrasti con uomini politici a lui vicini comeUgo La Malfa eGiovanni Spadolini. Ruppe inoltre la lunga amicizia con uno dei colleghi che ammirava di più,Augusto Guerriero[185]. Le cause del dissidio furono due: una era ilcompromesso storico, ovvero l'accordo fra DC e PCI. Con l'avvento diEnrico Berlinguer alla segreteria, il partito si era distaccato dall'URSS e aveva preso posizione contro il terrorismo e contro gli affari illeciti dei partiti. La Malfa e Spadolini erano per un avvicinamento al PCI, e Guerriero, benché fosse stato sempre anticomunista, riteneva che la collaborazione del nuovo PCI avrebbe aiutato l'Italia a uscire dalla crisi drammatica che stava attraversando. L'altra causa di dissidio era morale: i suoi amici rifiutavano di «turarsi il naso». La Malfa, unico nel governo, si era opposto al salvataggio della banca di Sindona.[186]. Guerriero aveva denunciato sulla rivistaEpoca Sindona e i suoi complici[187].
Per il compromesso storico Montanelli nutriva un'avversione culturale, prima che politica, sostenendo che l'alleanza DC-PCI avrebbe fatto trionfare la parte peggiore della mentalità italiana: controriformista e poco laica, piagnucolosa e ribelle, clientelare e assistenzialista, popolaresca e familista, mariana e partitocratica, sempre in bilico fra la sacrestia e la cellula di partito, il culto dipadre Pio e il rimpianto per «Baffone»[171]. Più in generale vedeva nell'alleanza tra democristiani e comunisti «la corruzione democristiana esercitata col rigore comunista»[171].
Montanelli e Gelli si videro a Roma, in un incontro organizzato dal giornalistaRenzo Trionfera, poiché il direttore cercava azionisti per ilGiornale nuovo e gli era stato fatto il suo nome[155]. Dopo aver spiegato la situazione finanziaria del quotidiano, Gelli lo interruppe per parlargli di un progetto di ristrutturazione della stampa italiana[155], sostenendo che fosse necessario un unico padrone che controllasse almeno i maggiori quotidiani[155]; il progetto di ristrutturazione era centrato su una banca internazionale per prestiti a tasso agevolato[155]. Alle perplessità di Montanelli, convinto che per attuare un progetto come quello fosse necessario l'appoggio del governo, Gelli rispose: «Lì non ci sono problemi. E comunque lei capisce che in un assetto di questo genere è fatale che i piccoli giornali come il suo scompaiono»[155]. L'incontro terminò in questo modo, con Montanelli e Trionfera che si guardarono in silenzio una volta usciti dalla stanza[155]. Nelle sue memorie, Montanelli ricordò quello che successe in seguito: «Qualche tempo dopo, quando la bufera della P2 si scatenò, gli ricordai quell'episodio. "Renzo, ringraziamo Iddio che quel bischero ci abbia accolti così. Perché se lui ci avesse detto: se volete salvare il "Giornale" dovete entrare nella P2, noi c'entravamo". Senza sapere cosa fosse, come è successo a tanti»[155].
Quanto alle finalità della Loggia, dichiarò: «Spadolini propose lo scioglimento della P2 e fu un gesto doveroso. Ma il "Giornale" assunse subito una posizione controcorrente rispetto a quella ch'era la smisurata leggenda nera imbastita sulla P2. Che non aveva certo come fine l'eversione, la dittatura e le stragi, ma la creazione d'una società di mutuo soccorso per incettare palanche e poltrone. Perché poi Gelli e i suoi compari avrebbero dovuto proporsi il rovesciamento d'un regime che sembrava studiato apposta per i loro comodi? Quel ch'è certo è che se i piduisti approfittarono della congrega per arraffar posti, molti di quelli che ne reclamarono il crucifige lo fecero per occuparli a loro volta, profittando della purga dei titolari. Ci fu chi sostenne che il "Giornale" minimizzava la portata della P2 perché il suo editore vi era coinvolto. Infatti il nome di Berlusconi risultò nell'elenco. Ma prima di tutto non aveva mai avuto ruoli nella conduzione politica del "Giornale". E poi, come ho già raccontato, soltanto il caso m'aveva salvato dal ritrovarmici anch'io. Sapevo quindi perfettamente quale valore dare a quella lista»[160].
In un'intervista dichiarò poi di non aver mai voluto infierire su chi avesse avuto la tessera piduista[188].

Il 2 giugno1977 Montanelli fu vittima a Milano di un attentato, ordito dallacolonna milanese delleBrigate Rosse. Mentre come ogni mattina, dopo essere uscito dall'Hotel Manin, dove risiedeva[24][189], si stava recando in redazione, all'angolo fra via Daniele Manin e piazza Cavour (ove aveva sedeil Giornale nuovo, nel cosiddetto Palazzo dei giornali), venne ferito da otto colpi sparati con una pistola 7,65 mm munita disilenziatore. L'attentatore lo colpì due volte alla gamba destra, una volta di striscio alla gamba sinistra e alla natica, secondo una pratica definita – con un neologismo coniato in quel periodo – «gambizzazione»[190].
Il gruppo brigatista era formato daLauro Azzolini,Franco Bonisoli eCalogero Diana: fu quest'ultimo a sparare. Gli attentatori, che probabilmente non sapevano che Montanelli portava con sé a sua volta una pistola, lo avvicinarono di spalle chiamandolo per nome. Mentre il giornalista, fermatosi, stava girandosi per rispondere, Diana sparò a distanza ravvicinata. Colpito, Montanelli sentì cedere le gambe, ma decise di non estrarre la pistola. Il suo unico pensiero fu di non lasciarsi cadere a terra: si aggrappò alla cancellata dei Giardini. Ricordando l'episodio in un'intervista televisiva sostenne che fu questo gesto a salvargli la vita, in quanto se fosse immediatamente caduto gli ultimi colpi l'avrebbero probabilmente colpito alla pancia e al torace. Il particolare è annotato anche neiDiari, pubblicati nel2009, mentre urlava «Vigliacchi, vigliacchi!» all'indirizzo dell'attentatore e dei complici in fuga; poi si lasciò scivolare a terra. Poco dopo dichiarò ad un soccorritore: «Quei vigliacchi mi hanno fottuto. Li ho visti in faccia, non li conosco, ma credo di poterli riconoscere»[191]. I proiettili trafissero la carne, senza però ledere né ossa né vasi sanguigni[192]. Lauro Azzolini affermò che se Montanelli avesse estratto la sua pistola sarebbe stato sicuramente ucciso[193].
Tutta la stampa italiana diede grande rilievo all'attentato contro Montanelli. Con due significative eccezioni: ilCorriere della Sera, diretto daPiero Ottone, eLa Stampa, diretta daArrigo Levi, che arrivarono addirittura a omettere nel titolo di prima pagina il nome di Montanelli, relegandolo al sommario. IlCorriere della Sera titolò:I giornalisti nuovo bersaglio della violenza. Le Brigate Rosse rivendicano gli attentati[194]; poi nel suo editoriale, pur esprimendogli una solidarietà senza riserve, avvertì i propri lettori che il collega ferito «rappresenta e difende posizioni nelle quali non ci riconosciamo». Per colmo, siaArrigo Levi chePiero Ottone faranno poi visita al capezzale di Montanelli, che prenderà nota nei suoiDiari dell'imbarazzante visita dei due, con il consueto sarcasmo:
Più ironico sula Repubblica fu il vignettistaGiorgio Forattini, che raffigurò l'allora suo direttoreEugenio Scalfari nell'atto di puntarsi una pistola contro il piede dopo aver letto la notizia dell'attentato a Montanelli, suggerendo che ne invidiasse la popolarità. Altri quotidiani pubblicarono la notizia in prima pagina (l'Unità riportò la cronaca dell'evento evidenziando la ferma condanna del partito per un atto definito criminale nell'occhiello del titolo)[196].
L'attentato venne rivendicato dallacolonna Walter Alasia delle Brigate Rosse con una telefonata alCorriere d'Informazione (edizione pomeridiana delCorriere della Sera). Secondo la rivendicazione dei terroristi perché «schiavo delle multinazionali». Il giorno prima, con la medesima tecnica, le Brigate Rosse avevano gambizzato a GenovaVittorio Bruno, vicedirettore delSecolo XIX, mentre il giorno successivo all'attentato a Montanelli venne gravemente ferito a RomaEmilio Rossi, a quel tempo direttore delTG1.
Dieci anni dopo Montanelli incontrò i due brigatisti che lo avevano ferito[197] e che si erano dissociati dalla lotta armata.[198][199]. Ad un incontro pubblico in cui erano presenti anche gli ex brigatisti disse poi:
Montanelli espresse stima, oltre che per l'ex capo brigatista, anche per il bandito sardoGraziano Mesina[201], mentre definì l'exleader diAutonomia OperaiaToni Negri «un esemplare umano di bassa lega»[202].
Nel1996, rispondendo a Lauro Azzolini, rievocò il gesto di riconciliazione (avvenuto il 19 marzo 1987), aggiungendo:
Il 3 novembre 1980 Montanelli fu chiamato a testimoniare a Catanzaro, durante il processo d'appello per lastrage di piazza Fontana (12 dicembre 1969). Nelle settimane precedenti si era riaperta a Milano l'inchiesta sull'omicidio del commissario Luigi Calabresi (17 maggio 1972), indagando sugli ambienti di Lotta Continua in seguito alle testimonianze di alcuni ex militanti poi passati aPrima Linea[204]. Montanelli scrisse unarticolo di fondo in cui ricordò il clima che precedette l'omicidio, con il commissario descritto dagli ambienti di sinistra (e da molti intellettuali dell'epoca) come «un brutale torturatore al servizio dei golpisti»[205], per poi aggiungere che, qualche giorno prima della strage,Giuseppe Pinelli mise in guardia anticipatamente Calabresi, senza però essere più preciso, e che dopo il fatto il commissario chiese a Pinelli di fare i nomi[205]. Poiché quest'ultimo continuava a rifiutarsi, gli furono fatte sentire, registrate su un nastro e tagliate in modo da sembrare una confessione, le confidenze fatte prima del 12 dicembre 1969[205]. Da qui il gesto estremo dell'anarchico per paura di essere considerato una spia da parte dei suoi compagni[205]. Montanelli aggiunse che, secondo il suo informatore, Calabresi non volle rivelare questo retroscena perché si vergognava del ricatto a cui era stato sottoposto il ferroviere anarchico, avvertendo tuttavia i lettori che questo racconto gli venne fatto in via confidenziale da una fonte rimasta anonima[205].Di fronte al pubblico ministero di Catanzaro, il direttore delGiornale nuovo dichiarò che la fonte era l'ex magistratoVittorio Occorsio, che gli confermò la tesi del suicidio già riferita da tre cronisti del quotidiano milanese[206]. Spiegò che inizialmente decise di non pubblicare nulla, dal momento che i tre giornalisti avevano raccolto solo voci di corridoio prive di riscontro, e che alla fine del 1975 incontrò Occorsio a Roma, con cui parlò della vicenda[206]. L'ex magistrato lo interruppe dicendo che anche lui aveva sentito quelle voci e le riteneva verosimili, aggiungendo: «I poliziotti ricorrono a questi trucchetti, anche i più corretti. Questa è la loro superiorità – se così vogliamo chiamarla – rispetto a noi magistrati»[206]. A chi gli chiese perché non scrisse nulla di quell'incontro, Montanelli rispose che Occorsio gli precisò che avrebbe smentito tutto se fosse uscito qualcosa sulGiornale[206].
Tornato a Milano, alcuni lettori gli scrissero per avere chiarimenti su quella convocazione in tribunale. Montanelli rispose che intendeva scrivere una rievocazione di Calabresi e solo nella parte finale dell'articolo aggiunse un cenno sulla morte di Giuseppe Pinelli, aggiungendo: «Cerchi di non essere mai convocato da un tribunale come testimone. Si vedrebbe immediatamente trasformato in imputato e trattato come tale»[207]. In un'intervista del 6 aprile 1981 aMixer dichiarò: «Io a Catanzaro ripetei esattamente, parola per parola, quello che avevo scritto. Se poi questo poveretto di Porcelli[208], il quale ha avuto poi la paga del sabato dalla sentenza del tribunale, che ha completamente rovesciato tutte le sue richieste[209], mi vuol dire che è la fine di un mito... Io non mi sono mai accorto di essere un mito; ma che il mio mito, se c'è, possa essere caduto a Catanzaro, be', francamente...[210]».
Nel1977 terminò il finanziamento dellaMontedison e Montanelli accettò il sostegno diSilvio Berlusconi, all'epoca costruttore edile, che rilevò il 12% delle quote delGiornale per poi diventare socio di maggioranza nel1979 con il 37,5%[166]. Secondo Felice Froio, Montanelli, sottoscrivendo il contratto con Berlusconi, gli avrebbe detto: «Tu sei il proprietario, io sono il padrone almeno fino a che rimango direttore. [...] Io veramente la vocazione del servitore non ce l'ho»[211].

Nel corso deglianni ottanta Berlusconi affidò alla redazione delGiornale i primi notiziari diItalia 1 e schierò Montanelli tra gli opinionisti di punta diCanale 5[166]. Nel1987, a causa dei debiti e della concorrenza sempre più agguerrita, i giornalisti-azionisti cedettero le loro quote a Berlusconi, che raggiunse la maggioranza assoluta prima di cedere il quotidiano al fratelloPaolo nel1992, per via dellalegge Mammì approvata due anni prima[166]. Nel fare un bilancio dei rapporti con l'editore, Montanelli riconobbe che spesso la «spavalderia gli è stata cattiva consigliera», gli ha creato «la fama di un giocatore che, abituato a vincere, non ha ancora imparato l'arte di perdere»[212], ma sottolineò anche un aspetto positivo di Berlusconi:
In quello stesso anno Montanelli pensò di fondare un settimanale, chiamandoloIl Caffè, con l'aiuto diClaudio Rinaldi e pubblicato daMondadori ma, dopo il passaggio della casa editrice al gruppo Berlusconi nel gennaio 1991, il progetto venne accantonato[166].
Il sodalizio Montanelli-Berlusconi durò senza significativi contrasti fino al1994. Tanto che Montanelli, in un'intervista concessa al giornalista Giorgio Ferrari agli inizi deglianni novanta, disse: «La gente forse non ci crede quando dico che Silvio Berlusconi è il miglior padrone che potessi desiderare di avere. Sa perché? Perché ha capito immediatamente che non poteva darmi ordini. E non l'ha fatto. Di lui posso dire che è un misto di genialità e di coraggio, con un pizzico di "bausceria milanese". Uno che scommette su cose sulle quali tu non punteresti una lira»[213].
Secondo quanto raccontaMarco Travaglio, in una delle visite di Montanelli presso lavilla di Arcore, Berlusconi gli fece visitare il mausoleo funebre e, al termine della visita, giunti presso la sala dei loculi, gli avrebbe offerto un posto vicino aCesare Previti,Marcello Dell'Utri e se stesso. Montanelli però declinò l'offerta, rispondendo ironicamente con l'incipit di una preghiera liturgica:Domine, non sum dignus («O Signore, non sono degno»)[214]. Dal punto di vista politico il sodalizio cominciò a scricchiolare durante il1993, dal momento che Montanelli appoggiò ilmovimento referendario di Mario Segni come l'unica forza moderata e liberaldemocratica in grado di favorire il cambiamento, mentre Berlusconi era favorevole a una coalizione formata dal vecchiopentapartito, dallaLega Nord e dalMSI[166]. Tra il dicembre 1993 e il gennaio 1994 arrivarono i primi attacchi personali da parte diVittorio Sgarbi, che lo definì «un fascista» ripescando alcuni articoli scritti all'età di vent'anni, e diEmilio Fede, che il giorno dell'Epifania ne chiese in diretta le dimissioni durante ilTG4[166].
Secondo la versione raccontata da Montanelli nel gennaio1994, due settimane prima della «discesa in campo» di Berlusconi, questi si presentò all'ufficio amministrativo delGiornale a sua insaputa, dicendo ai redattori che se volevano stipendi più alti e più mezzi tecnologici dovevano appoggiare i suoi interessi politici[215]. Successivamente arrivarono 35 lettere di dimissioni[215] (poi diventate 55)[166]: Montanelli, che gli aveva sconsigliato di entrare in politica, decise di non seguirlo e l'11 gennaio si dimise dalla direzione del quotidiano[216], che passò sotto la guida diVittorio Feltri.
Da un'intervista audiovisiva rilasciata adAlain Elkann si evince che la loro separazione fu presa di comune accordo. Nell'intervista con Elkann, Montanelli spiega meglio la dinamica della sua uscita dalGiornale. Egli, riferendosi a Berlusconi, racconta: «Gli dissi: "Io non mi sento di seguirti in questa avventura, quindi noi dobbiamo separarci". [...] Fu una separazione consensuale fra me e Berlusconi. Il patto su cui si reggeva la nostra convivenza, che era stato scrupolosamente osservato da tutt'e due le parti (ossia "Berlusconi è il proprietario delGiornale, Montanelli ne è il padrone"), era venuto meno»[217]. Montanelli ricostruisce quindi il dialogo che avvenne con Berlusconi, asserendo che non volle mettersi al suo servizio, sia perché non si era mai messo a servizio di nessuno e non riteneva opportuno cominciare con Berlusconi, sia perché riteneva che Berlusconi non potesse avere successo in politica.
Altri invece, citando lo stesso Montanelli, parlano di un aspro conflitto tra lui e Berlusconi e non convengono con coloro che sostengono la tesi che l'abbandono di Montanelli fosse in comune accordo con la proprietà[166]. Nella sua testimonianza autobiografica pubblicata postuma nel 2002, in ogni caso, il giornalista dichiarò che ciò che aveva scritto nel suo fondo di addio, ovvero che se n'era andato di sua iniziativa e non perché costretto, era «la verità»[218].
Il 10 gennaio 1994, Montanelli in una lettera aperta a Silvio Berlusconi scrisse:
(Federico Orlando,Il sabato andavamo ad Arcore, Bergamo, Larus, 1995, p. 214.)
Il 12 gennaio scrisse il suo ultimoarticolo di fondo sul quotidiano che aveva fondato[219]. Risultò quindi per lui una sorpresa la vittoria del suo ex editore, che attribuì a una combinazione di fortuna e fiuto, e in particolare al fatto che, dopoMani pulite, l'elettorato desiderava votare qualcosa di nuovo. Nel 1996 Berlusconi invitò Montanelli a cena nella suavilla di Arcore, per riconciliarsi con lui[156].Montanelli rimase comunque sempre convinto che Berlusconi fosse inadatto al ruolo di politico, per i suoi atteggiamenti prima ancora che per il suoconflitto di interessi,[156] e tra il 2000 e il 2001 ricominciò ad attaccarlo, preoccupato dall'instaurazione di un «regime», come fece duranteil suo primo governo[166].
Dalla tolda di comando delGiornale Montanelli lanciò alcune campagne d'impegno civile. Nel1980 i suoi lettori e gli spettatori di TMC aderirono ad una sottoscrizione per iterremotati dell'Irpinia che raccolse più di 5 miliardi di lire, consegnati tre anni dopo al comune diCastelnuovo di Conza (uno dei comuni colpiti dal sisma) in una cerimonia alla presenza diSandro Pertini[220]. Nel1989, alla notizia che l'Accademia della Crusca rischiava di chiudere, lanciò un'altra raccolta fondi e i lettori donarono 700 milioni in tre mesi[220]. Nel1990, grazie a un ricco làscito dell'imprenditoreMario Borletti, furono consegnati 2,5 miliardi ai familiari degli uomini delle forze dell'ordine uccisi negli anni di piombo[220].Nello stesso periodo Montanelli lanciò una campagna giornalistica contro la candidatura diVenezia per l'Expo 2000 (voluta dal socialistaGianni De Michelis e poi ritirata nel 1990); appoggiò i referendum abrogativia favore della preferenza unica e delsistema maggioritario (prendendo a modello il sistema elettorale francese a doppio turno) e nel1991 sostenne la partecipazione dell'Italia nellaguerra del Golfo per la liberazione delKuwait invaso dall'Iraq, promuovendo un appello a favore dei militari italiani presenti nel Golfo e criticando i pacifisti[221].
In occasione delleelezioni politiche del 1992 (le prime dalla fine dellaguerra fredda) invitò i lettori delGiornale a votare una rosa di nomi favorevoli alle riforme istituzionali: furono individuate 457 persone tra vari partiti[222][223], ritenendo tuttavia votabili soltanto il PRI (quasi tutto filo-referendario), parte del PLI e la corrente DC vicina aMario Segni. Risulteranno eletti oltre 150 «pattisti». Pur essendo critico nei confronti delleLeghe riconobbe che erano «un fenomeno di reazione a una provocazione» rispetto alla partitocrazia e alla politica nazionale, che amministrava malissimo i soldi pubblici[224]. Al ballottaggio delle elezioni comunali di Milano del 1993 invitò i cittadini del capoluogo lombardo a votare perMarco Formentini, candidato leghista (considerato meno lontano dai moderati rispetto al rivaleNando dalla Chiesa, sostenuto da una coalizione di sinistra), dando per certa la sconfitta dei candidati centristi al primo turno[225].

Non ritenendo di poter accettare la direzione delCorriere della Sera (che non avrebbe assunto anche gli altri redattori delGiornale) offertagli daPaolo Mieli eGianni Agnelli[58], Montanelli decise di fondare una nuova testata,la Voce, il cui nome fu scelto in omaggio all'omonima rivista diGiuseppe Prezzolini.[226] L'idea iniziale era di farne un settimanale[227], sul modello deIl Mondo diMario Pannunzio: di conseguenza la progettazione della «terza pagina», la sezione culturale, risultò particolarmente curata.
A far decidere Montanelli di pubblicare un nuovo quotidiano fu il numero di giornalisti alle sue dipendenze: a seguire l'ex direttore nel passaggio dalGiornale allaVoce vi furono infatti 55 cronisti su 77[226]. Tra questiBeppe Severgnini,Marco Travaglio,Mario Cervi,Giancarlo Mazzuca,Federico Orlando,Peter Gomez,Donata Righetti,Luigi Offeddu,Alberto Mazzuca,Tiziana Abate. La nuova impresa tuttavia non ebbe vita lunga, non riuscendo ad ottenere nel tempo un sufficiente volume di vendite: nonostante un esordio di 500 000 copie[156][228], le vendite scesero presto sotto le 100.000 unità. L'ultimo numero fu pubblicato mercoledì 12 aprile1995.
Secondo Montanelli, una causa dell'insuccesso fu l'avere sovrastimato il numero di potenziali acquirenti del quotidiano, pensato per un pubblico di idee simili alle sue, ovvero schierato su posizioni di destra liberale ed insoddisfatto della svolta populistica impressa da Berlusconi[226]. Un secondo errore fu la grafica troppo anticonvenzionale della pubblicazione, in particolare il fotomontaggio satirico e caricaturale che caratterizzava la prima pagina: la troppa aggressività delle immagini avrebbe contribuito ad allontanare i possibili acquirenti, abituati a uno stile più misurato[156]. In retrospettiva, tuttavia, l'avveniristica impostazione grafica, ideata dall'art directorVittorio Corona, avrebbe influenzato lo stile giornalistico degli anni successivi[229].

Dopo la chiusura dellaVoce, Montanelli tornò a lavorare per ilCorriere della Sera, curando una seguitissima pagina di colloquio con i lettori,La Stanza di Montanelli. Le lettere e le risposte più significative furono in seguito raccolte nei due libri antologici (Le Stanze eLe nuove Stanze) e, in parte, anche nell'epistolarioNella mia lunga e tormentata esistenza. Lettere da una vita.
Nel1996 sostenne, suscitando polemiche, l'ipotesi dell'illegittimità della condanna dell'ex militare nazistaErich Priebke, uno dei responsabili dell'eccidio delle Fosse Ardeatine (pur avendo due amici tra le vittime) in quanto, secondo Montanelli, Priebke fu costretto a scegliere tra eseguire l'ordine, che veniva dai vertici tedeschi, o morire egli stesso per fucilazione[230][231][232].
Negli ultimi anni Montanelli prese posizione a favore dell'intervento militare della NATO contro laJugoslavia,[233][234] definendoSlobodan Milošević «uno dei maggiori responsabili dello sfacelo della Jugoslavia e del suo precipizio nella guerra civile»,[235] scrisse di essere contro i matrimoni tra persone dello stesso sesso[236], contro la legalizzazione delle droghe leggere,[237] mentre si dichiarò più volte favorevole all'eutanasia, che riteneva essere un vero e proprio diritto ad una "morte dignitosa".[238] Fu contrario all'istituzione delGiorno della Memoria, spiegando che «le feste comandate non raggiungono mai gli effetti che si propongono, anzi provocano il contrario».[239]
Commentando l'appoggio fornitogli in quel periodo dagli esponenti della sinistra post-comunista in chiaveantiberlusconiana, Montanelli dichiarerà:
Quando uscìIl libro nero del comunismo espresse dei dubbi sulle reali cifre riportate dagli autori e si disse non sorpreso dal contenuto, poiché non fu rivelato nulla che già non si sapesse,[242] così come definì ildossier Mitrochin (riferito in particolare alla lista di presunti agenti e informatori delKGB in Italia) «una patacca»[243] e «una bufala» per via dei nomi presenti nell'elenco,[244] scrivendo:
Nel2000, rispondendo in unaStanza delCorriere della Sera ad un lettore che gli chiedeva delucidazioni sullanascita della Repubblica, Montanelli confermerà la propria antica fedemonarchica, che lo aveva portato, nel 1946, a votare per iSavoia:
Favorevole a un atto di grazia o di indulto verso gli ex terroristi deglianni di piombo, considerò una truffa un gesto analogo per le inchieste diTangentopoli, poiché «la corruzione è una piaga endemica della nostra società e come tale va endemicamente combattuta»,[246] e inutile l'istituzione di una commissione parlamentare d'inchiesta sui magistrati della Procura di Milano.[247]
Nel1998, in un editoriale sulCorriere della Sera, difeseGian Carlo Caselli e gli altri magistrati palermitani accusati da buona parte dell'opinione pubblica di aver indotto al suicidio il giudiceLuigi Lombardini, indagato per estorsione nell'ambito delsequestro di Silvia Melis (rapita dall'anonima sequestri l'anno prima), che si uccise dopo un lungo interrogatorio.[248] L'allora procuratore capo di Palermo scrisse una lettera di ringraziamento e Montanelli rispose: «Signor Procuratore, grazie del suo grazie, che forse non merito perché mi sono limitato a parlare da giornalista indipendente. Indipendente da tutto, anche dai pregiudizi e partiti presi. Posso ricambiarlo soltanto con un augurio: che la limpidezza della sua azione trionfi e valga a disperdere o almeno ad alleggerire la cappa di fango che si cerca di gettare sulla Giustizia. Lo auguro a Lei. Ma lo auguro anche, come cittadino, a me stesso».[249] Successivamente tornò sull'argomento per «scagionare Caselli da qualsiasi responsabilità nel suicidio di Lombardini»,[250] scrivendo:
In politica interna dichiarò di aver votato perL'Ulivo alleelezioni politiche del 1996[251] e del2001, temendo che un successo dellaCasa delle Libertà con margine di voti troppo largo avrebbe potuto portare Berlusconi a ritenersi «un nuovo uomo della provvidenza»,[252] mentre votò per il candidato di centrodestraGabriele Albertini alle elezioni comunali di Milano del 1997[253] e del 2001[254], si astenne per leelezioni europee del 1999[255] e votò per il centrosinistra alleRegionali del 2000.[256] Scrisse inoltre di voler vedere al Quirinale una donna traRita Levi-Montalcini,Emma Bonino,Letizia Moratti eTullia Zevi (presidente dell'UCEI dal 1983 al 1998).[257]
Molto critico verso la coalizione di centrodestra, Montanelli concesse qualche apertura al percorso diAlleanza Nazionale verso l'area governativa (come fece con ilPDS)[258] mentre disprezzò gli ex comunisti o filocomunisti convertiti al liberalismo d'accatto e all'anticomunismo barricadiero, dopo aver tifato per il «sorpasso» sulla DC negli anni settanta, chiamandoli «sedicenti liberaloni» e descrivendo la borghesia italiana come «la più vile di tutto l'Occidente».[259]
Nel 2000, alla morte diBettino Craxi, criticò severamente la proposta diMassimo D'Alema di offrire come «atto dovuto» i funerali di Stato all'ex segretario socialista, morto latitante inTunisia, dicendo:
Altre critiche furono rivolte all'ambiente cattolico vicino aComunione e Liberazione, riunito aRimini alMeeting per l'amicizia fra i popoli:
In politica estera si disse contrario all'allargamento dellaNATO inEuropa orientale[262] e a un secondo Piano Marshall a favore dei Balcani, dellaRussia e del Medio Oriente,[263] mentre nel 2000 scrisse che, pur essendo un simpatizzanterepubblicano, se avesse potuto avrebbe votatoAl Gore (il candidatodemocratico) allepresidenziali americane, sostenendo che aveva più esperienza sia in politica interna che in politica estera rispetto al rivale repubblicano (nonché vincitore della competizione elettorale)George W. Bush, considerato poco più che una comparsa.[264]
Montanelli morì il 22 luglio2001, all'età di 92 anni, a causa di complicazioni seguite a un'infezione delle vie urinarie, a Milano, nella clinica La Madonnina, dove era ricoverato dall'inizio del mese per un tumore all'intestino.[265] Si tratta dello stesso luogo dove nel1972 era decedutoDino Buzzati, altra figura storica delCorriere nonché amico di Montanelli.[266] Il giorno seguente il direttore delCorriere della SeraFerruccio de Bortoli ne pubblicò in prima pagina il necrologio, scritto dallo stesso Montanelli quando era ormai consapevole di stare vivendo i suoi ultimi giorni:
(Corriere della Sera, 23 luglio 2001.)
La compagna dei suoi ultimi anni, Marisa Rivolta,[267] gli fu vicino fino alla fine. Migliaia di persone sfilarono nella camera ardente per rendergli omaggio.[268] Le sue ultime volontà, riguardo allacremazione e al posizionamento delleceneri al cimitero diFucecchio, vennero pienamente rispettate.[269][270]
Il suo archivio è conservato presso ilCentro per gli studi sulla tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei dell’Università di Pavia. Il Fondo Montanelli conserva i suoi diari (che coprono un arco cronologico che va dal 1933 al 1978), i dattiloscritti (minute di articoli, biografie,epitaffi scherzosi e ironici scritti insieme aLeo Longanesi) e la corrispondenza dell’autore. La corrispondenza tra Indro Montanelli e la moglieColette Rosselli non è consultabile.[271]
(Indro Montanelli.[272])
Fra i vari riconoscimenti tributati a Montanelli, spicca la nomina asenatore a vita offertagli nel1991 daFrancesco Cossiga, Presidente della Repubblica. Il giornalista non accettò però la proposta, sempre a garanzia della sua completa indipendenza.[273] Dichiarò:[274]
Montanelli fu autore e uomo di cultura riconosciuto e premiato anche all'estero: nel 1992 fu il primo italiano ad essere nominato Commendatore di I classe dell'Ordine del Leone di Finlandia (Suomen Leijonan I lk:n komentaja)[275][276][277], nel 1994 ricevette l'International Editor of the Year Award dellaWorld Press Review,[278] e nel 1996 ebbe ilPremio Principessa delle Asturie, attribuitogli con la seguente motivazione[279]:
Nel 1985 ottenne ilRiconoscimento Gianni Granzotto.[280]
Nel 2000 fu insignito negli Stati Uniti del premio World Press Freedom Heroes dall'International Press Institute, unico italiano tra 50 personalità scelte tra i più grandi giornalisti del Novecento per aver difeso e salvato la libertà di stampa nella seconda metà del secolo. Interpellato da un lettore sul significato del prestigioso premio «Eroe della libertà di stampa», Montanelli rispose così:
Fra i personaggi di fama mondiale da lui intervistati, oltre ai già citati Henry Ford ePapa Giovanni XXIII, si possono ricordare il primo ministro britannicoWinston Churchill ed il presidente franceseCharles de Gaulle.
Degna di nota è la cena che Montanelli ebbe nel1986 in Vaticano conPapa Giovanni Paolo II:
Enzo Biagi ricordava il legame che Montanelli aveva saputo instaurare con il lettore: «Era il suo vero padrone. E quando vedeva lo strapotere di certi personaggi, si è sempre battuto cercando di rappresentare la voce di quelli che non potevano parlare».[283]
Il Comune di Milano gli ha intitolato i Giardini di Porta Venezia, divenuti "Giardini pubblici Indro Montanelli". All'interno del parco è stata posta una statua dello scultoreVito Tongiani raffigurante Montanelli intento nella stesura di un articolo con la celebreLettera 22 sulle ginocchia.
LaFondazione Montanelli Bassi ha istituito nel 2001 un premio di scrittura dedicato alla triplice figura di Montanelli, giornalista, storico e narratore, assegnato a cadenza biennale (la prima edizione si tenne nel 2003). Il premio, suddiviso nelle sezioni «Alla carriera» e «Giovani», prende in considerazione gli scritti nel settore del giornalismo, della divulgazione storica e della memorialistica.[284]
Nel 2016 la sua vita ha ispirato ladocu-fiction televisivaIndro. L'uomo che scriveva sull'acqua, in cui gli attoriRoberto Herlitzka eDomenico Diele lo interpretano rispettivamente da vecchio e da giovane.[285][286]
Nel2019, per i 110 anni della nascita, esce il documentarioIndro Montanelli, un anarchico conservatore di Giovanni Paolo Fontana con la regia di Nicoletta Nesler suRai Storia il 23 aprile per la serieItaliani.[287] Inoltre l'arrivo della seconda tappa delGiro d'Italia è proprio a Fucecchio, sua città natale, per rendere omaggio al giornalista che ha sempre avuto un grande legame con la Corsa Rosa, della quale ha seguito numerose edizioni come inviato.
Nel 1969, durante il programma televisivoL'ora della verità diGianni Bisiach, Indro Montanelli raccontò della propria esperienza inEtiopia durante la quale aveva comprato e sposato una ragazzina dell'età di 12 anni; venne interrotto dalla domanda di una donna presente nello studio, la scrittrice e giornalistaElvira Banotti, che gli chiese come intendesse il proprio rapporto con le donne dal momento che in Europa il matrimonio con una bambina di 12 anni è considerato violenza. Montanelli rispose che «in Abissinia funziona così».[288] La discussione tra i due giornalisti continuò fino alla chiusura della trasmissione.
La pratica delmadamato (il matrimonio a cui fece riferimento Montanelli nell'intervista) era una relazione temporaneamore uxorio di cittadini italiani con donne locali, spesso bambine tra gli 8 e i 12 anni, all'epoca legale nelle colonie italiane. Riguardo alla piccola Destà, comprata a 12 anni, Montanelli affermò: «Faticai molto a superare il suo odore, dovuto al sego di capra di cui erano intrisi i suoi capelli, e ancor di più a stabilire con lei un rapporto sessuale perché era fin dalla nascitainfibulata: il che, oltre a opporre ai miei desideri una barriera pressoché insormontabile (ci volle, per demolirla, il brutale intervento della madre), la rendeva del tutto insensibile».[289]
Nel 1996, inviava una lettera all'ex ufficiale nazistaErich Priebke, riveriva «Signor Capitano», dopo la (prima) condanna a 15 anni che riteneva una «sentenza insensata». Solidarizzava, «Da vecchio soldato, e sia pure di un Esercito molto diverso dal Suo, so benissimo che Lei non poteva fare nulla di diverso da ciò che ha fatto». Nellastrage delle Fosse Ardeatine rivendicava la fine diGiuseppe Cordero di Montezemolo eFilippo De Grenet come «a due miei vecchi e cari amici» a cui si paragonava nella sua detenzione alcarcere di San Vittore, «Dove potevo subire la stessa sorte toccata agli ostaggi delle Ardeatine». Poi, concludendo, «che anche fra noi italiani ci sono degli uomini che pensano giusto...anche quando coloro che pensano e vedono ingiusto sono i padroni della piazza» e congedava, «Auguri, signor Capitano».[290]
Nel 1999, durante il processo al capitano nazistaTheodor Saevecke per lastrage di Piazzale Loreto, citato dalla difesa come testimone, attribuiva ogni responsabilità ai fascisti: «A San Vittore era noto che la rappresaglia era stata attuata dai repubblichini. E lo confermano le modalità con cui avvenne: i tedeschi erano soliti agire spietatamente ma secondo i regolamenti, invece quella di piazzale Loreto fu un'operazione sciabattona, i fascisti fecero scendere i detenuti dai camion e li fecero cominciare a correre, poi gli spararono alle spalle».Incalzato sulla possibilità di prelevare 15 detenuti senza il consenso dell'ufficiale delleSS, rispose: «Sì, perché in carcere i detenuti si dividevano in quelli "ostaggio" dei repubblichini e quelli nelle mani dei tedeschi, e ognuno disponeva dei suoi liberamente». E ribatteva: «Gli interrogatori dei tedeschi erano lunghi, snervanti, ma né io né altri subimmo delle brutalità». IlPM espose una sua lettera di quel periodo in cui scriveva: «con una carezza particolarmente delicata i tedeschi mi ruppero una costola e mi lesionarono il fegato». Giustificava contraddicendosi: «A venire picchiato non ero stato io, maGasparini. E a picchiare non erano stati i tedeschi ma i repubblichini». Poi, per la prima volta, ridimensionava il CardinaleSchuster nella sua liberazione dal carcere per attribuirla alla spia dell'OVRAUgo Osteria, ma senza chiarire il suo permesso di espatrio da parte di Saevecke. All'indignazione dei familiari delle vittime durante tutta la sua deposizione, terminava: «Rumoreggino pure, me ne fotto dei loro rumori. Io le bugie non le dico».[291]
Montanelli fu un grande estimatore e frequentatore del teatro e, in particolare, delteatro di varietà.[294] Da giovane, secondo la testimonianza diGastone Geron, fece parte per una stagione della compagnia diNanda Primavera (di cui era innamorato).[295][296] Dal1937 al1965 scrisse una decina dicommedie che furono messe in scena da vari teatri diMilano,Roma eTorino:
Nel 1959 collaborò conFederico Zardi eVittorio Gassman alla stesura dei testi per la trasmissione televisivaIl Mattatore.[298]
Del libro di Quinto Navarra - non cameriere, bensì commesso a Palazzo Venezia di Mussolini - il ruolo dighostwriters spetta a Montanelli e Leo Longanesi: essi raccolsero i racconti del Navarra, scrivendo materialmente il volume. Delle memorie del sicario di Giacomo Matteotti, Amerigo Dùmini, a Montanelli va ascritta la trascrizione della versione raccolta nel libro.[299]
Negli anni Settanta, Montanelli diresseGli Italiani, unacollana di biografie di personaggi storici, scritte quasi tutte da autori italiani, pubblicata dall'Editore Rizzoli. Tra i biografati si citano: Leopardi, diIris Origo; Galla Placidia, diLidia Storoni Mazzolani; Cafiero, diPier Carlo Masini; Cagliostro, I Borgia (entrambi diRoberto Gervaso); Tiziano, diNeri Pozza; Nino Bixio, di Marcello Staglieno; Puccini, diEnzo Siciliano; Metastasio e Baretti, scritti daMaria Luisa Astaldi; [Gioacchino] Belli, diMassimo Grillandi; Foscolo, diEnzo Mandruzzato; Boccaccio eL'Aretino, diCesare Marchi; Fenoglio, diDavide Lajolo.
A Indro Montanelli sono intitolate: una via a Roma, una aCambiago (MI), una piazza aSesto San Giovanni (MI), una piazza a Montesilvano (PE) e i giardini milanesi dove era solito passeggiare durante le pause di lavoro. Al giornalista è intitolata anche una scuola: il Liceo classico diSan Marco in Lamis (FG).
Altri progetti
| Predecessore | Direttore deLa Domenica del Corriere | Successore |
|---|---|---|
| Ernesto Libenzi | 16 settembre 1945 - 27 ottobre 1946 | Eligio Possenti |
| Predecessore | Fondatore e primo direttore del quotidianoil Giornale | Successore |
|---|---|---|
| Nessuno | 25 giugno1974 - 11 gennaio1994 | Vittorio Feltri |
| Predecessore | Fondatore e direttore del quotidianoLa Voce | Successore |
|---|---|---|
| Nessuno | 22 marzo1994 - 12 aprile1995 | Nessuno |
| Indro Montanelli | |||||
|---|---|---|---|---|---|
| Narrativa | Commiato dal tempo di pace (1935) ·XX Battaglione eritreo (1936) ·Primo tempo (1936) ·Ambesà (1938) ·Giorno di festa (1939) ·Gente qualunque (1942-1963) ·Qui non riposano (1945) ·Il generale Della Rovere (1950-1959) ·Andata e ritorno (1955) | ||||
| Incontri e Ritratti biografici | Padri della Patria (1949) ·Pantheon minore (1950) ·Tali e quali (1951) ·I rapaci in cortile (1952) ·Busti al Pincio (1953) ·Facce di bronzo (1955) ·Belle figure (1959) ·Tagli su misura (1960) ·Gli Incontri (1961) ·I Protagonisti (1976) ·Incontri italiani (1982) ·Ritratti (1988) ·Istantanee. Figure e Figuri della Prima Repubblica (1994) | ||||
| Biografie | Vita sbagliata di un fuoruscito. Aleksandr Herzen (1947-1961) ·Garibaldi (1962) ·Dante e il suo secolo (1964) ·Leo Longanesi (1984) | ||||
| Pamphlet | Il buonuomo Mussolini (1947) ·Mio marito, Carlo Marx (1954) ·Addio, Wanda! (1956) | ||||
| Teatro | L'idolo (1937) ·Lo specchio delle vanità (1942) ·L'illustre concittadino (1949) ·Resisté (1955) ·Cesare e Silla (1956) ·Viva la dinamite! (1960) ·I sogni muoiono all'alba (1960) ·Kibbutz (1961) ·Il petto e la coscia (1964) ·Il vero generale Della Rovere (1965) | ||||
| Cinema | Il generale Della Rovere (1959) ·I sogni muoiono all'alba (1961) | ||||
| Storia d'Italia |
L'Italia dei secoli bui (1965) ·L'Italia dei Comuni (1966) ·L'Italia dei secoli d'oro (1967) ·L'Italia della Controriforma (1968) ·L'Italia del Seicento (1969) ·L'Italia del Settecento (1970) ·L'Italia giacobina e carbonara (1971) ·L'Italia del Risorgimento (1972) ·L'Italia dei Notabili (1973) ·L'Italia di Giolitti (1974) ·L'Italia in camicia nera (1976) ·L'Italia littoria (1979) ·L'Italia dell'Asse (1980) ·L'Italia della disfatta (1982) ·L'Italia della guerra civile (1983) ·L'Italia della Repubblica (1985) ·L'Italia del miracolo (1987) ·L'Italia dei due Giovanni (1989) ·L'Italia degli anni di piombo (1991) ·L'Italia degli anni di fango (1993) ·L'Italia di Berlusconi (1995) ·L'Italia dell'Ulivo (1997)
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| Reportages | I cento giorni della Finlandia (1940) ·Guerra nel fiordo (1942) ·La lezione polacca (1942) ·Morire in piedi. Rivelazioni sulla Germania segreta (1949) ·Giappone 1951-52 ·Ungheria 1956 ·Reportage su Israele (1960) ·Toscana 1962 ·Venezia 1968 | ||||
| Altre opere | Milano Ventesimo secolo (1990) ·Eppur si muove. Cambiano gli italiani? (1995) ·Soltanto un giornalista (2002) | ||||
| Principali collaborazioni giornalistiche | Omnibus (1937-1939) ·Corriere della Sera (1938-1944; 1946-1973; 1995-2001) ·Il Borghese (1950-1956) ·L'Europeo (1957-1964) ·Oggi (1973-2001) | ||||
| Quotidiani fondati e diretti | il Giornale (1974-1994) ·la Voce (1994-1995) | ||||
| Televisione | Incontri di Indro Montanelli (1959) ·Montanelli - Venezia (1969) ·Montanelli - Firenze (1972) ·Montanelli - Portofino (1973) ·Eppur si muove (1994) ·La settimana di Montanelli (1995-2001) | ||||
| Famiglia | Sestilio Montanelli(padre) · Maddalena Doddoli(madre) · Margarethe de Colins de Tarsienne(prima moglie) ·Colette Rosselli(seconda moglie) · Marisa Rivolta(ultima compagna) | ||||
| Voci correlate | Fondazione Montanelli Bassi ·Controcorrente ·Monumento a Indro Montanelli ·Indro. L'uomo che scriveva sull'acqua | ||||
| Vincitori delPremio Marzotto (1951-1968) | |
|---|---|
| Pittura | 1953Carlo Carrà · 1954Filippo de Pisis · 1955Silvio Livio Rossi · 1956Felice Carena · 1958Giuseppe Santomaso · 1960Renato Guttuso · 1962Lucio Fontana,Sebastian Matta · 1964Alberto Burri,Wilfredo Lam · 1966Arman |
| Letteratura | 1951Amedeo Maiuri · 1952Giovanni Papini · 1953Guelfo Civinini,Corrado Govoni,Aldo Palazzeschi · 1954Alberto Moravia · 1955Ardengo Soffici · 1956Bruno Cicognani,Eugenio Montale · 1957Mario Luzi,Umberto Saba (postumo) · 1959Riccardo Bacchelli · 1961Gianna Manzini · 1963Vasco Pratolini · 1965Ignazio Silone |
| Letteratura per ragazzi | 1955Folco Quilici · 1956 Guglielmo Bonuzzi,Pietro Sissa, Francesco Valori · 1957 Dino Salvatore Berretta, Roberto Costa |
| Filologia | 1952Margherita Guarducci |
| Medicina e Chirurgia | 1954 Francesco Cedrangolo,Silvio Garattini, Tommaso Lucherini,Pietro Valdoni · 1957Michele Arslan, Ida Bianco,Vittorio Erspamer, Ezio Silvestroni, Luigi Villa · 1959 Sergio Abeatici, Luigi Campi, Raoul De Nunno, Francesco Morino, Gian Franco Rossi, Alberto Zanchetti · 1961 Giovanni Marcozzi · 1963 Vincenzo G. Longo · 1965 Enrico Greppi · 1967Giovanni Felice Azzone |
| Musica | 1956Mario Zafred · 1960Ildebrando Pizzetti · 1962Jacopo Napoli · 1964Giselher Klebe · 1966Franco Donatoni · 1968 Marius Constant |
| Economia | 1952Marco Fanno · 1953Rodolfo Benini · 1954Corrado Gini · 1956Luigi Einaudi · 1958Pasquale Jannaccone · 1960Costantino Bresciani Turroni · 1962Giorgio Mortara · 1965Gustavo Del Vecchio · 1967Pasquale Saraceno |
| Teatro | 1955Federico Zardi · 1957Luigi Squarzina · 1959Giorgio Prosperi · 1961Diego Fabbri · 1963Domenico Campana · 1966 Paul Willems · 1968Natalia Ginzburg |
| Giornalismo | 1951Yvon De Begnac · 1955Luigi Romersa,Nantas Salvalaggio · 1956 Corrado Calvo, Corrado Pizzinelli,Giuseppe Ravegnani, Giorgio Vecchiato · 1957Indro Montanelli,Vittorio Zincone · 1959Luigi Emery · 1961Luigi Barzini · 1965Egisto Corradi,Alberto Ronchey,Dario Zanelli · 1967Gaspare Barbiellini Amidei,Giuseppe Maranini,Alberto Giovannini |
| Premio Editoriale | 1953Arnoldo Mondadori · 1956Neri Pozza, Francesco Vallardi, Enrico Vallecchi · 1957 Luciano De Feo, Mario Pozzi · 1959 Fernando Vallerini · 1960Antonino Giuffrè · 1961Paolo Boringhieri, Lia Minneci La Vecchia, Arnoldo Mondadori, Vieri Paoletti · 1964 Sebastiano Genovese |
| Storia e Filosofia | (S) 1952Gioacchino Volpe · 1956Carlo Guido Mor · 1961Luigi Salvatorelli · (F) 1953Ugo Spirito,Luigi Stefanini · 1959Rodolfo Mondolfo |
| Agraria e Alimentazione | (Ag) 1952 Renato Perotti · 1953 Gino Passerini · 1954Arrigo Serpieri · 1956 Mario Bonvicini, Orfeo Turno Rotini · 1958 Ugo Pratolongo · (Al) 1952 Guido De Marzi · 1953 Pier Giovanni Garoglio · 1958Sabato Visco |
| Scienze Pedagogiche Educazione Civica | (SP) 1965Giovanni Calò · (EC) 1956 Giovan Battista Artusio, Bruno Betta, Sara Giusti,Enzo Jemma |
| Premio Internazionale delle Culture | 1966UNESCO · 1968Consiglio d'Europa |
| Critica e Storia Letteraria Storia dell'Arte | (CSl) 1952Giuseppe Antonio Borgese,Ettore Lo Gatto · 1954Mario Praz · 1957Quintino Cataudella, Italo Siciliano · 1963Giovanni Macchia · (SdA) 1955Mario Salmi |
| Controllo di autorità | VIAF(EN) 27079675 ·ISNI(EN) 0000 0001 1023 0625 ·SBNCFIV029154 ·BAV495/237475 ·LCCN(EN) n79021458 ·GND(DE) 118784641 ·BNE(ES) XX990685(data) ·BNF(FR) cb120273022(data) ·J9U(EN, HE) 987007265688905171 ·NSK(HR) 000104243 ·NDL(EN, JA) 00450358 · CONOR.SI(SL) 24694115 |
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