L'idealismo oneoidealismo italiano, nato dall'interesse perquello tedesco e per ladottrina hegeliana in particolare, si sviluppò inItalia nei primi decenni delNovecento, preparato dallospiritualismo della tradizionerisorgimentale, e culminato nei suoi due massimi esponenti:Benedetto Croce eGiovanni Gentile.[1]

Comune ad ogniidealista, si ritrova in costoro la convinzione che la sola realtà sia quella concepita dalsoggetto, come riflesso della suaIdea e interiorità, per quanto esistano notevoli differenze fra i loro sistemi.[3]
Le premesse di quello che si sviluppò come idealismo italiano affondano le loro radici nellecorrenti filosofiche delRisorgimento, caratterizzate dall'esigenza di dare un'impronta ideale e culturale al percorso verso l'unificazione nazionale.[4]
Il panoramafilosofico pre-unitario della penisola vedeva particolarmente attive le città diMilano e soprattuttoNapoli.[4]Ai primi dell'Ottocento, a seguito dellecampagne napoleoniche, l'Italia risentiva fortemente dell'influssoilluminista della culturafrancese, di improntalaica,sensista ematerialista, che avrebbe caratterizzato ad esempio il pensiero diMelchiorre Gioia, orientato ad unutilitarismo morale e politico, diGiuseppe Ferrari, ostile alla metafisica e al neoguelfismo, diGiandomenico Romagnosi, teorizzatore di una filosofia come impegno civile e maestro diCarlo Cattaneo.
Lo stessoagnosticismo illuminista, del resto, impregnò di drammaticità il pensiero e la poetica diUgo Foscolo, nonché di pessimismoquelli di Giacomo Leopardi.[4]
Si deve invece alla peculiare capacità di ricezione delRegno di Napoli la penetrazione in Italia di nuove idee rivolte allacultura tedesca e alRomanticismo. Tra i primi ad assimilare inizialmente la filosofia diKant vi furono le figure diPasquale Galluppi (1770–1846), ispirato esclusivamente dal suo rigore morale, e diOttavio Colecchi (1773–1847), che trasmise un vivo interesse per ilcriticismo alla sua cerchia diliberali.[4]
Le istanzeidealistiche espiritualiste delromanticismo tedesco ebbero modo così di inserirsi nel solco della tradizionecattolica italiana, dando vita alcattolicesimo liberale. In esso confluirono sul piano letterarioAlessandro Manzoni (1785–1873), e su opposti fronti filosoficiRosmini eGioberti.[4]
Partendo da una revisione delkantismo,Antonio Rosmini Serbati (1797–1855) si oppose alsensismo illuministico di Gioia e Romagnosi, andando alla ricerca di un principiooggettivo diverità che fosse all'origine delleidee con cui conosciamo il mondo, ed evitasse l'instabilità delsoggettivismo fenomenico dellecategorie kantiane.[4]
Questo principio è per Rosmini l'idea dell'essere possibile, che da indeterminato contenuto dell'intelletto, quale originariamente è, si fa determinato allorché viene applicato (come funzionetrascendentale) ai dati forniti daisensi. Essaprecede e informa di sé tutti igiudizi con cui affermiamo che qualche realtà particolare esiste. L'idea dell'essere, dunque, costituisce l'unico contenuto della mente che non abbia origine dai sensi, ed è perciò un'intuizioneinnata.[5]
Rosmini in tal modo superava il kantismo in una visioneidealistica, conciliandolo colneoplatonismo della tradizioneagostiniana, secondo cuiDio infonde nell'uomo laluce che rendendo intellegibile il mondo, lo fa anche venire all'essere.[6] In lui è presente inoltre una certa vicinanza alle posizionigianseniste, condivise colManzoni,[7] e l'aspirazione ad un rinnovamento in seno alla Chiesa Cattolica che la rendesse promotrice dell'esigenza dell'unità d'Italia.[8]

Diverso da quello di Rosmini è l'ontologismo diVincenzo Gioberti (1801–1852),[9] che accusò il primo dipsicologismo, avendo quegli inteso l'Essere ideale in sensotrascendentale, come mera funzione interna alsoggetto.[10]Gioberti contestava in blocco ilsoggettivismo dellafilosofia moderna germogliato daCartesio, riaffermando il primato dell'ontologia con la «formula ideale» secondo cui l'Ens, cioèDio, crea l'esistenteex nihilo, dal nulla. Nell'Idea, causa e ragione della realtà indefinita, èimmanente Dio stesso, che è l'oggetto ideale della conoscenza, inteso quasipanteisticamente poiché «molteplicità delle sostanze e cause seconde sono anch'esse Iddio».[11]
Rivendicando il valore della tradizionefilosofica italiana, che non aveva bisogno di ricevere impulsi dall'estero, Gioberti ne tracciò un percorso che risaliva allascuola pitagorica, passava attraverso lapatristica e lascolasticamedioevale, giungendo infine aGiambattista Vico.[4]
Egli sostenne pertanto la supremazia morale dell'Italia quale "nazione principe" che doveva riprendere coscienza della propria missione universale e civilizzatrice guardando alle proprie origini remote e al ruolo essenziale che vi aveva svolto laChiesa cattolica. Individuando quindi nelpapa, in quanto garante dell'identità nazionale, la figura in grado di guidare ilRisorgimento italiano, Gioberti fu considerato il principale esponente delneoguelfismo.[5]

Gioberti mantenne comunque il suo pensiero soggetto a numerose revisioni e possibilità. Pur affermando il primato papale, denunciava apertamente la «minaccia gesuitica», in particolare l'educazione repressiva della volontà delle giovani generazioni da parte dellaCompagnia di Gesù, «la milizia […] più fida alleata e complice dello straniero», sicché si trovò in sintonia anche con alcune istanze dellacarboneria e dellamassoneria.[12] Queste erano condivise tra gli altri daGiuseppe Mazzini (1805–1872), altro promotore di unaspiritualitàromantica, seppur vissuta con accentirivoluzionari eanticlericali, ispirata ad una visione sincretica dipolitica e religione: Dio era per lui una forzaimmanente alla storia, che si traduce neldoveremorale deipopoli di compiere lamissione loro affidata, basata sul binomiomazziniano «pensiero e azione».[13]

(Teodoro Sträter,Scritti di storia della filosofia, 1863[15])
Dopo la ricezione delcriticismokantiano, sarà la penetrazione dell'idealismo tedesco edhegeliano a dar vita ad una nuova generazione dispiritualisti italiani, che nel Nord della penisola furono rappresentati soprattutto daDomenico Mazzoni (1793–1853) eGiambattista Passerini (1793–1864).[4]
I nomi più celebri di questa stagione filosofica proverranno comunque dall'Italia meridionale,[4] comeStefano Cusani (1815–1846),Stanislao Gatti (1820–1870),Angelo Camillo De Meis (1817–1891),Francesco De Sanctis (1817–1883),Bertrando Spaventa (1817–1883), nei quali l'hegelismo assurse a motivo ispiratore della rivoluzionepatriottica eliberale contro l'oppressioneborbonica.[16]

Lo storico della letteraturaFrancesco De Sanctis fu tra coloro che maggiormente trassero ispirazione daHegel non solo per un rinnovamento della tradizioneletteraria italiana, ma anche per l'edificazione di unamoralità nazionale più eroica e "alfieriana". Partendo da una convinta adesione ad un programma cattolico-liberale e giobertiano, De Sanctis approdò ai fermenti più significativi e vitali della culturaromantica europea, che egli vedeva espressi dall'estetica hegeliana, secondo cui l'arte era «l'apparenza sensibile dell'Idea».
De Sanctis tuttavia non si accontentò dell'estetica hegeliana, la quale riduceva l'arte ad una forma provvisoria delconcetto filosofico, affermando invece un'estetica della forma intesa come attività originaria e autonoma dello Spirito: non l'elaborazione di un elemento astratto e ad essa avulso, bensì la "forma" vivente di un contenuto che si realizza in figurazione artistica. Distanziandosi dalpurismo, De Sanctis non vedeva cioè dissociazione tra forma e contenuto trovandosi essi l'una nell'altro.
Più fedele all'impianto ortodosso delladottrina hegeliana si mostròAugusto Vera (1813–1885), il quale tuttavia, pur contribuendo a far conoscere il pensiero di Hegel in Italia, godette di maggior fortuna all'estero, non venendo direttamente coinvolto nelle tensioni culturali che connotarono i moti del Risorgimento.[4]L'Hegel di Vera, delucidato e commentato in modo chiaro e sistematico, viene accolto senza riserve. Centrale è il primato dell'Idea, che si articola nellastoria come organismo spirituale, e per attingere la quale occorre trascendere la natura. L'Idea esiste bensì anche nelle piante e negli animali, ma in manieraincosciente; solo nell'essere umano essa giunge apensarsi come idea, divenendo in tal modostoria, e rendendo possibile anche il progresso delle entità collettive di individui che sussistono comenazione.[17]
Particolare attenzione assume per Vera il problemareligioso: a differenza di Spaventa, egli interpreta l'Idealogica di Hegel in un'otticatrascendente, come ilDio della tradizioneteologica cristiana, venendo per questo accostato in certa misura allaDestra Hegeliana in Germania, sebbene una tale lettura possa apparire una forzatura.[18]
La figura più rappresentativa dello spiritualismo idealista dell'Ottocento napoletano fu quella diBertrando Spaventa,[19] che avviò una profondarielaborazione dell'hegelismo introducendovi temi originali che egli cercò di riprendere dalla tradizione autoctona della penisola.[4]
Fra i propositi di Spaventa, infatti, che si impegnò nel tentativo di liberare lacultura italiana dal provincialismo di cui era accusata,[2] apportandovi gli elementi più innovativi del pensiero idealistico d'oltralpe, vi fu la dimostrazione della cosiddetta tesi della circolazione del pensiero europeo, secondo cui lafilosofia moderna, laica e idealistica, generalmente associata allaRiforma luterana, in realtà era nata durante ilRinascimento inItalia, con una connotazione naturalistica eimmanentistica, pur essendosi arrestata poi a causa dellaControriforma, per conoscere il suo massimo sviluppo inGermania: egli interpretò con la chiave di lettura hegeliana questo progressivo passaggio delloSpirito filosofico dall'Italia all'Europa, e il suo successivo ritorno, cercando di dimostrare come ad esempioTommaso Campanella precorresse il pensiero diCartesio,Giordano Bruno quello diSpinoza,Giambattista Vico (con la sua «metafisica della mente») quello diKant, mentre poi ilGalluppi,Rosmini eGioberti si sarebbero riappropriati inconsciamente di quello stesso spirito permeato dalkantismo e dagliidealistiFichte,Schelling,Hegel.[20]
(Bertrando Spaventa,Prolusione alle lezioni di Storia della filosofia nell'Università di Bologna, Modena, Regia Tipografia Governativa, 1860)

Spaventa si preoccupò in tal modo di dare un fondamento filosofico-culturale al processo rivoluzionario dell'unificazione nazionale, rinvenendo nell'idealismo hegeliano la sintesi tra la correntepost-illuministica, basata sull'arbitrio individuale e su una concezione meramentecontrattualistica delloStato, ed ilcattolicesimo liberale, fondato viceversa sull'arbitrio divino e sull'aderenza dogmatico-confessionale alprincipio d'autorità.Per Spaventa invece la rivoluzione storica da attuare era hegelianamente «storia dellalibertà»; e lo spiritualismo non significava un'involuzione, bensì un riallineamento alle nazioni più avanzate.
Per dimostrare che l'Idea è intrinseca alla realtàstorica, e che il suo scopo è lalibertà, Spaventa sostenne l'esigenza di «mentalizzare» o «kantianizzare» laLogica di Hegel,[21] unificando quest'ultima con lafenomenologia,[22] cioè col percorso conoscitivo del singolo individuo umano, che diventa progressivamenteautocosciente di avere in se stesso, nella propria mente, tutta la realtà assoluta logicamente articolata.[21]
Egli riformava così la dialettica hegeliana nell'ottica diKant eFichte, ritenendo prevalente l'atto soggettivo del pensare rispetto ad ogni presupposto oggettivistico, valorizzando il momento finale dello Spirito rispetto alle fasi precedenti dellaLogica e dellaNatura, situate fuori dall'autocoscienza. È laMente la protagonista di ogni originaria produzione.
In maniera simile aKuno Fischer, infatti, ladeduzione hegeliana, che dalla contrapposizione diessere enulla faceva scaturire ildivenire, venne intesa da Spaventa in senso kantiano e fichtiano dando il primato alla sintesiunificatrice: è ilpensare, nel suo perenne fluire, che dà luogo all'essere, il quale, originariamente indeterminato e perciò im-pensabile, si rivela unnon-essere, essendo posto appunto dal pensare stesso.[23]
Analogamente Spaventa poteva sostenere, nel tracciare lastoria spirituale d'Italia, che è il soggetto umano a dare concretezza e coscienza di sè al processo storico.[21]
Col compimento dell'unità d'Italia, le tensioni ideali che avevano caratterizzato ilRisorgimento si spensero, in favore di nuove filosofie che alla metafisica preferirono il metodo dellescienze fisiche, ritenuto più consono ai tempi. Si affermarono così diversi seguaci delpositivismo, comePasquale Villari,Aristide Gabelli,Roberto Ardigò, in cui esso si accompagnava spesso a un'adesione alla concezionedarwinistica dell'evoluzione.[4]
In alcuni casi, come per Bertando Spaventa, il positivismo servì da sprone a ricercare un risvolto maggiormente concreto del proprio idealismo. La maggior parte degli idealisti formatisi alla sua scuola, tuttavia, comeFrancesco Fiorentino (1834–1884),Andrea Angiulli (1837–1890),Donato Jaja (1839–1914),Sebastiano Maturi (1843–1917),Felice Tocco (1845–1911), si ritrovò isolata, e talvolta persino accondiscendente, di fronte all'avanzata delmaterialismo. Altri invece, comeAntonio Labriola (1843–1904), confluirono nelmarxismo.
Avversa infine all'idealismo, ma anche al materialismo, rimase una frangia attestata su posizioni tradizionalistecattoliche oppureplatoniche, composta ad esempio daFrancesco Bonatelli (1830-1911),Giuseppe Allievo (1830-1913),Francesco Acri (1834-1913),Augusto Conti (1822-1905).
La rinascita dell'idealismo, agli inizi del XX secolo, avvenne proprio come reazione alpositivismo, dando luogo alla vera e propria stagione neoidealistica italiana.[19]
Fu nel 1903 cheGiovanni Gentile (1875–1944), giovane allievo diJaja, intitolava significativamenteLa rinascita dell'idealismo una prolusione tenuta all'Università di Napoli, con cui intendeva mostrare la superiorità dell'idealismo rispetto alle deteriori filosofie del panorama contemporaneo, ripercorrendo a tal fine le orme diSpaventa presso cui lo stesso Jaja si era formato.[24]
Benedetto Croce (1866–1952) approdò invece all'idealismo partendo da problemiletterari, cercando di dare sistemazione organica alla teoriaestetica diFrancesco De Sanctis.[25] L'incontro con Gentile, con cui collaborò inizialmente sulla rivistaLa Critica per contribuire al rinnovamento della cultura italiana, lo spinse ad approfondire la dottrina hegeliana, partendo dalla quale giunse a stabilire l'autonomia dell'arte.
Sin dagli esordi l'idealismo italiano si pose come avversario culturale delmarxismo e delmaterialismo, riconoscendo nelloSpirito il vero attore delle vicende del mondo, sebbene proprio da un confronto con la filosofia diMarx, colla quale si misurarono sia Croce che Gentile, entrambi trassero un modello di riferimento con cui dare maggior concretezza alla dialettica hegeliana, reinterpretandola come manifestazione pratica e immanente della coscienza «storica» (secondo il primo), o «in atto» (per il secondo).
Notevoli furono comunque le differenze tra l'idealismo di Croce, che identificava lo Spirito assoluto appunto con laStoria intesa comeProgresso universale, e quello di Gentile, secondo cui tutta la realtà consiste nel continuoPensare in atto dello Spirito. Le divergenze divennero anche di natura politica, quando Croce, liberale conservatore[26] di tradizionecavouriana,[27] si schierò contro ilregime fascista, appoggiato invece da Gentile, fedele ad un liberalismo nazionale[28] declinato più in sensomazziniano.[29][30]Dopo una duratura amicizia, la rottura dei loro rapporti si consumò così nel 1924.
Entrambi i filosofi furono a ogni modo due autorità indiscusse nell'Italia del primo cinquantennio del Novecento; mentre però Benedetto Croce permeò la cultura italiana in generale, Giovanni Gentile ebbe impatto sull'ambiente specificamente filosofico del suo tempo.[31]

Fin dal 1913Benedetto Croce,[32] cugino diBertrando Spaventa, nel suoSaggio sullo Hegel interpretò il pensiero hegeliano comestoricismoimmanentistico, sostenendo che la realtà si dà come spirito che continuamente si determina e, in un certo senso, si produce. Esso è la forza animatrice della realtà, che si auto-organizzadinamicamente divenendo storia secondo un processo razionale.
L'esigenza di concretezza e di immanenza, per la quale rifuggiva ognimetafisica, indusse il filosofo diPescasseroli a considerare reale solo il terzo momento della dialettica hegeliana, quello dello Spirito, scartando i primi due, dell'Idea e dellaNatura, visti di impedimento alla comprensione della concretezza universale dello Spirito.[33] In quest'ultimo non rientra neanche la religione, che non è ritenuta una forma autonoma ma un complesso miscuglio di elementi poetici, morali e filosofici.[33]
Hegel ha avuto il merito di scoprire che l'opposizione è l'anima della realtà, ma egli ha esteso la dialettica degli opposti a quello che opposto non è. Secondo Croce, la vita dello Spirito consta anche di momenti autonomi che non sono opposti, ma semmai distinti.Nelladialettica crociana, pertanto, viene sì mantenuta la logica di opposizione, ma ad essa si sovrappone la categoria della distinzione: «il concetto filosofico [...], in quanto concretezza, non esclude, anzi include in sé le distinzioni: è l'universale in sé distinto, e risultante da quelle distinzioni».[34]
Quattro sono le forme fondamentali in cui si articola l'attività spirituale, suddivise per modo (teoretico o pratico) e grado (particolare o universale):
I primi due «distinti» costituiscono un semicircoloteoretico, i secondi un semicircolopratico, con cui si chiude il cerchio della dialettica dello spirito: questa è caratterizzata infatti da una "circolarità", che non è un mero ritornare alle posizioni di partenza, poiché lo spirito, quando ripassa da una forma all'altra, vi torna arricchito e quindi su un piano sempre più alto.
La dialettica hegeliana degli opposti, in tal modo, rimane reale ed operante all'interno di ciascuna forma dello Spirito (bello-brutto nell'Estetica,vero-falso nella Logica,utile-dannoso nell'Economia,bene-male nell'Etica), ma viene evidenziato anche il nesso dei distinti o dei gradi che stabilisce il rapporto di ciascuna forma con le altre.
Ognuno dei quattro momenti condiziona inoltre il successivo, poiché non c'è azione pratica che non sia stata preceduta dalla conoscenza teorica, come non c'è universale senza particolare. Essi tuttavia non comportano alcuna separazione nello Spirito, perché questo è sempre presente e operante in ognuno nella sua totalità.[21]
Attraverso processi di mediazione dal concreto all'astratto, laconoscenza scaturisce così per Croce dalgiudizio storico, nel quale universale e individuale si fondono come nellasintesia priori diKant e nellostoricismo diGiambattista Vico, suo altro filosofo di riferimento.
(Benedetto Croce,Teoria e storia della storiografia [1917], pag. 97, Bari, Laterza, 1963)
Ricercando le motivazioni profonde dell'ispirazione artistica, Croce rivendica la piena autonomia dell'arte oestetica, che per lui si configura in primo luogo come attività teoretica relativa al sensibile, riferita alle rappresentazioni e alleintuizioni che noi abbiamo della realtà.
Essa non è semplicepercezione del reale, perché prescinde dalla categoria logica del vero, privilegiando non tanto l'oggetto, quanto la suaimmagine.[33] L'arte va distinta quindi dalconcetto che è conoscenza dell'universale appartenente alla filosofia, e dalle altre due forme della vita pratica (economia e morale). Quale espressione di un valore autonomo dello spirito, l'arte non può né deve essere giudicata secondo criteri diverità,edonismo,utilità, omoralità.
Essendointuizione che in un certo senso produce da sè il suo oggetto, l'arte viene da Croce identificata con l'espressione, in cui rientra illinguaggio, che nella sua natura spirituale fa tutt'uno con lapoesia. Croce considera l'arte come essenzialmentelirica, cioè pervasa da unsentimento, «che si è fatto rappresentazione nitidissima».[33] L'intuizione artistica è cioèsintesia priori di sentimento ed espressione: il primo senza l'altro è cieco, il secondo senza il primo è vuoto. L'uno non può prescindere dall'altro, diventando insieme «contenuto formato o forma riempita», «sentimento figurato o figura sentita».[33]
Dall'estetica deriva lacritica letteraria crociana, espressa in numerosi saggi.[35]

Il secondo momento dell'attività teoretica non è più affidata alla sola intuizione, ma partecipa dell'elementorazionale, approdando all'elaborazione delconcetto puro, universale e concreto, che esprime la veritàuniversale di una determinazione. Questa per Croce è essenzialmentestorica, nella misura in cui analizza lagenesi e lo sviluppo (storico) degli oggetti di cui si occupa.[33]
La ricerca della verità, affidata allalogica filosofica, si configura quindi come "storiografia", di carattere decisamente superiore rispetto allafilosofia delle scienze fisiche, matematiche e naturali, che non rappresentano una vera forma di conoscenza, essendo adatte solo agli «ingegni minuti» degli scienziati e dei tecnici, ai quali Croce contrapponeva le «menti universali» degli idealisti. I concettiscientifici sono piuttosto deglipseudoconcetti, o falsi concetti, degli strumenti pratici ma fittizi, brandelli di notizie incapaci di cogliere il compiuto organismo dello Spirito storico-filosofico.[36]
Rifacendosi aGiambattista Vico, Croce identifica la filosofia con la storia, che non è una sequela capricciosa di eventi, ma l'attuazione dellaRagione, alla luce della quale diventa possibile la comprensione storica della genesi dei fatti, e la loro simultanea giustificazione con il suo stesso dispiegarsi.
(Benedetto Croce,Teoria e storia della storiografia [1917], pag. 98, Milano, Adelphi, 2001)
Il compito dellostorico è dunque di superare ogni forma di emotività nei confronti dell'oggetto studiato e presentarlo in forma diconoscenza, senza fare riferimento al bene o al male. Essendo forma di conoscenza autonoma e universale, la storia razionalmente compresa è sempre contemporanea, ovvero non è mai passata, ma viva in quanto il suo studio è motivato da interessi del presente.[37]
D'altra parte nella storia è implicito unprogresso ineluttabile, in virtù del quale essere e dover-essere,realtà erazionalità, coincidono sempre.[38] Ma il positivo destinato a superare storicamente la negatività dei periodi bui della storia non è una certezza su cui adagiarsi: questa consapevolezza del progresso storico deve essere confermata da un impegno costante degli uomini in azioni i cui risultati non sono mai scontati né prevedibili.
Quanti pretendono invece di individuare degli assoluti che regolino la storia o la trascendano, non tengono conto della «vitalità» dellastoria, che è lavita stessa, la quale si svolge autonomamente secondo i propri ritmi e le proprie ragioni.[25]
Croce, del resto, fa proprio il detto hegeliano secondo cui «la storia è storia di libertà», chiarendo come lalibertà non sia una fase in divenire, ma il soggetto stesso di ogni storia, la sua eterna formatrice. Come tale essa è per un verso, il principio esplicativo del corso storico e, per l'altro, l'«ideale morale dell'umanità».
La libertà viene tradotta da Croce, sul piano politico, inliberalismo: una sorta di religione della libertà, o di metodo interpretativo della storia e insieme di orientamento dell'azione. Egli distingueva in proposito la «storia che si fa» (res agendae), dalla «storia che si pensa» (res actae):[21] esiste una relazione fra teoria e prassi, ma in entrambe opera una logica autonoma dall'altra. Vi è la razionalità dell'agire, dettata dallacoscienza morale, e la razionalità del reale, che opera nell'interpretazione oggettiva della storia.
(Benedetto Croce,La storia come pensiero e come azione, 1938[39])
L'etica dunque non ha contenuti «naturali» o dettati dalla teoria: essa è la volizione pratica dell'universale, mentre l'economia lo è del particolare. Oggetto di questa è l'utile, una categoria recuperata da Croce dallo studio diMarx, che non ha connotati di moralità, essendo semmai pre-morale, indifferente all'etica come lo è lapolitica.[19] In tal senso egli motivava il proprioantifascismo con la condanna della concezioneetica dello Stato.[33]

Muovendo dalla medesima esigenza crociana di concretezza, ma giungendo ad esiti completamente differenti, è l'idealismo diGiovanni Gentile,[40] che a partire dal 1911 conL'atto del pensare come atto puro, seguito nel 1913 dallaRiforma della dialettica hegeliana, operava una revisione della dottrina di Hegel apportandovi i motivi della tradizioneontologica espiritualisticarisorgimentale, in particolare diSpaventa, filtrati attraversoJaja, suo maestro di filosofia.[24]
Gentile infatti portò a termine il lavoro di «kantianizzazione» o «mentalizzazione» diHegel, avviato da Spaventa, dando valore al momento hegeliano dellasintesi tra gli opposti nello Spirito pensante, ponendolo non alla fine, bensì come sintesioriginaria.[24]
Il processo con cui ilPensiero spirituale giunge a prodursi, secondo il filosofo diCastelvetrano, non può essere anteriore all'atto con cui il pensiero si pensa, ma è questo medesimo atto, perché non si possono formulare pensieri privi dellacoscienza di formularli. Solo identificandosi nella consapevolezza di questo atto vivo del pensare, l'idealismo può dirsiassoluto:
(Giovanni Gentile,Teoria generale dello spirito come atto puro, cap. XVII, § 1[41])
Gentile denominò pertanto la sua filosofiaattualismo oidealismo attuale, perché in esso l'unica vera realtà è l'atto puro del soggetto umano nell'atto in cui pensa.[42] Non vi è nulla fuori dell'atto del pensiero, cioè della suaautocoscienza, in cui si manifesta lospirito che comprende tutto l'esistente.
Lo Spirito èPensiero, ed il Pensiero è attività perenne, un costantedivenire senza inizio né fine, in cui non c'è distinzione tra soggetto e oggetto. Non vi sono presupposti oggettivi esterni al pensiero, quali laNatura e la stessaLogica di Hegel, da costui concepiti come "altro" dallo Spirito, come dei «pensati» anziché dei momenti di un medesimo atto pensante.
Gentile contestò adHegel, in modo diverso da Croce, di avere costruito la suadialettica con elementi propri del «pensato», ovvero quello del pensiero determinato e delle scienze. Per Gentile, invece, solo nel «pensare in atto» consiste l'autocoscienza dialettica che tutto comprende, mentre il «pensato» è un fatto illusorio.[43]Egli respinse in tal modo ogni forma didualismo e dinaturalismo, rivendicando l'unità di natura e spirito (monismo), cioè di spirito e materia all'interno della coscienza pensante delSoggettotrascendentale. Avvicinandosi aFichte, attribuiva a quest'ultima un primatognoseologico edontologico.[44]
Larealtà dunque non è un fatto, un dato fattuale e statico, bensì unatto, unagire delloSpirito, un'attività dinamica dotata dipotenza infinita nel suo perpetuo «farsi».[45]
Contro ilrealismo, Gentile sostenne che qualunque realtà pensata come «presupposto del pensiero», cioè pensata come «non pensata» (essendo esterna, precedente al pensiero), è un concetto contraddittorio,dogmatico e arbitrario, che corrisponde al punto di vista empirico. L'empirismo è un punto di vista astratto, perché separa l'oggetto dall'Io, dal soggetto che lo pone, e quindi "astrae" una parte dal tutto, dalla sintesi unitaria di soggetto-oggetto, che Gentile chiamaautocoscienza.
Presupporre il non-io come opposto all'Io è, all'inizio, un porre astratto e quindi immediato del pensiero che non vede se stesso negli oggetti del mondo, un porre privo dimediazione. Viceversa, l'Iotrascendentale (autocosciente) è una coscienza mediata di sè, perché non può sussistere senza coscienza dell'altro da sè, cioè delmondo.[43]
QuestoIo trascendentale è l'unico Soggettouniversale, impossibile da guardare dall'esterno, perché pur presumendo di oggettivare l'attoappercettivo del suo «Io penso», lo si abbasserebbe ad uno dei tanti oggetti finiti della conoscenza, riducendolo ad un meroio empirico. Per questo è un atto che non si può maitrascendere: la sua naturatrascendentale (non trascendente) non può essere compresa come un atto compiuto, ma solo come «atto in atto», ossia unatto mai definitivamente concluso, costantemente attuantensi e in continuodivenire.
Ilpensare così è al contempo unagire, un processo costante di auto-creazione o, come dice Gentile, diautoctisi,[46] con cui pensando esso pone se stesso e insieme anche il mondo, prendendo in tal modocoscienza di sè.
In quest'atto risiede quella concretezza che permane come esigenza fondamentale avvertita da Gentile anche nell'atto dell'educare, inteso come autoeducazione dello spirito basata non sull'alterità di insegnante e allievo, dettata da astratte teorie psicologiche, ma sull'unità di uno stesso processo che èsintesia priori discuola evita,pedagogia efilosofia,teoria eprassi.
Si tratta di un atto eternamentepresente, che non è contenuto tra ilpassato e ilfuturo, ma comprendente la totalità deltempo, che quindi racchiude in sè anche lastoria. Ne consegue l'identità di filosofia e storia:
(Giovanni Gentile,Concetti fondamentali dell'attualismo, cit. inLudovico Geymonat,Storia della filosofia, vol. III, pag. 315, Garzanti, 1976)

Gentile analizzò in dettaglio l'autoctisi dello Spirito: esso si produce nel momento in cui nega l'essere come natura, negando cioè qualcosa che non esiste (ritenuto erroneamente esistente dal naturalismo), e in questa negazione realizza se stesso.[47]
In tal modo avviene il superamento e insieme l'assimilazione dellalogica astratta, formale e ontologica, da parte della logica del concreto, come già aveva fattoHegel nellaFenomenologia dello spirito, ma a differenza di quest'ultimo, Gentile sostenne che tale processo non può mai concludersi, altrimenti si approderebbe ad un risultato definitivo e immutabile, che contraddirebbe il perenne fluire dello Spirito.
La logica astratta, pertanto, resterà sempre qualcosa di indispensabile, in quanto gradino e alimento del logo concreto:
(Giovanni Gentile,Sistema di logica come teoria del conoscere, parte prima, cap. VII, § 9)
Astratto e concreto trovano così la loro sintesi effettiva nell'unità attuale della coscienza, che è la veraunione degli opposti.
Ripercorrendo lastoria dello Spirito come eterna presenza di sè a se stesso, Gentile la vedeva come una progressiva presa di coscienza dell'attualismo medesimo: con l'idealismo tedesco ilPensiero aveva finalmente preso coscienza che non esistevano altre realtà al di fuori di sè, ma Hegel lo concepiva ancora come realtà già costituita, fuori del suo svolgimento concreto nel soggetto umano.
Per Gentile, invece, ladialettica dell'atto puro è possibile esclusivamente all'interno del pensieropensante, non come unione di momenti «pensati». Essa si attua in particolare nell'opposizione tra la soggettività rappresentata dall'arte (tesi) e l'oggettività rappresentata dallareligione (antitesi), cui fa da soluzione lafilosofia (sintesi).
Come per Croce, l'arte è per Gentileintuizionelirica, che però non èespressione di un sentimento, ma ilsentimento medesimo. In quanto tale essa investe non un solo aspetto, bensì tutta la vita dello spirito e della personalità umana, in maniera simile alla visioneromantica.[25] Concependo inizialmente l'intuito come vuota e primitiva potenzialità, Gentile tenderà a rivalutarlo sempre più come energia motrice del pensiero, fino ad approdare a una vera e propria "svolta" a partire dal 1928 con la pubblicazione del saggio sulSentimento, che lo avrebbe portato a elaborare una sorta di "estetica" attualista.[48]
Opposta all'arte è la religione che esalta l'oggetto, slegato dall'idealità del soggetto, per ricongiungerli infine nella filosofia, che li coglie non come momenti separati, ma nell'unicità dell'atto finale autocosciente. Gentile riconosceva in particolare nelCristianesimo l'inizio di questo processo di evoluzione dello spirito.
Tra l'arte e la religione si trova invece lascienza, che condivide i limiti di entrambe senza partecipare della loro validità. Essa infatti si arresta in maniera astratta e dogmatica ai fenomeni, incapace di elevarsi all'autoconcetto, cioè al riconoscimento dell'autocoscienza nella genesi dei propri concetti.[49]
La concretezza dell'atto, che è infinitalibertà ecreatività, investe anche la dimensioneetica epolitica, dove esso si traduce inliberalismo, vissuto da Gentile come religione civile, con cui lo Spirito si attua non sopprimendo leindividualità, ma superando gli interessi particolari in un'eticitàsuper partes che tutti li comprenda e al contempo li realizzi. Quest'etica dunque è quella delloStato, inteso dinamicamente come organismo vivente, per realizzare il quale Gentile motivò la propria adesione alfascismo, in cui vedeva la naturale prosecuzione dei valoririsorgimentali.[50]
Accanto all'affermazione del neoidealismo nella sua accezione ufficiale, varie forme dispiritualismo ad esso collegate si erano sviluppate in parallelo, alimentate in gran parte dalla diffusione sin dai primi del Novecento dei movimentiteosofici e poiantroposofici, accomunati dalla critica almaterialismo da un lato, e allareligiosità istituzionalizzata dall'altro.[51] Mirando anche alla riscoperta delle radicirinascimentali della tradizioneesoterica italiana,[56] tali correnti spiritualiste si proponevano di recuperare il nucleo di un'anticaSapienza primordiale a quella sottesa, ritenuta perenne e universale.[51]

Principale esponente del «perennialismo» in Italia fuJulius Evola (1898–1974),[57] che nella sua fase giovanile si confrontò in particolare con l'idealismo gentiliano,[59] il quale a suo avviso avrebbe anzi accentuato i problemi lasciati irrisolti da quellotedesco.[60] L'atto puro delpensiero a cui Gentile riconduce tutta la realtà, infatti, resta per Evola un principio soltanto teorico esolipsistico, privo di risvolto pratico, perché non basta sostenere lalibertà incondizionata dell'Io Assoluto rispetto al non-io, se ilsoggettoempirico continua a subirne passivamente ildeterminismo negli eventi della vita.[61] Tramutare la teoria filosofica in prassi realizzativa può avvenire solo nella dimensionemagico-ermetica, cioè appunto pratica:[62] perciò l'idealismo di Evola è dettomagico.[58]
(Julius Evola,L'idealismo magico, pag. 83, a cura diG. de Turris, Mediterranee, 2006)
Altri tentativi di superamento dell'attualismo in senso esoterico si ritrovano inMassimo Scaligero (1906–1980),[63] dove il primato filosofico attribuito da Gentile all'atto pensante assume una valenzainiziatica, diventando esercizio diesperienzaocculta del pensierovivente, anteriore alla manifestazione dialettica delpensato.[64]
Dopo aver caratterizzato lacultura italiana per oltre un quarantennio, nelsecondo dopoguerra il neoidealismo entrò in crisi sostituito da nuove correnti filosofiche come l'esistenzialismo, ilneopositivismo, lafenomenologia e ilmarxismo.Con questi nuovi influssi provenienti dall'estero interagiranno gli eredi dell'idealismo, che veniva intanto attaccato in Italia sia da forme alternative dispiritualismo, espresse daPantaleo Carabellese ePiero Martinetti, sia da esponentineotomistici, tra cui spiccavano ad esempioAgostino Gemelli, oGustavo Bontadini. La scoperta del pensiero diAntonio Gramsci portò inoltre ad abbandonare lostoricismo di Croce in sostituzione di uno più radicale.[21]
Benedetto Croce, a ogni modo, fu definito dallo stesso Gramsci «papa laico della cultura italiana».[65] La sua eredità fu raccolta principalmente daVittorio Enzo Alfieri (1906–1997), oltre che da critici letterari comeLuigi Russo (1892–1961),Francesco Flora (1891–1962),Manara Valgimigli (1876–1965),Augusto Rostagni (1892–1961), o da storici comeFederico Chabod (1901–1960),Carlo Antoni (1896–1959),Nino Cortese (1896–1972),Adolfo Omodeo (1889–1946).[66]
Croce fu un intellettuale rispettato anche al di fuori dell'Italia: la rivistaTime gli dedicò la copertina negli anni '30,[67] e neglianni 2000, contestualmente alla rivalutazione del pensiero crociano, si è registrato l'interesse della collana editoriale dell'Università di Stanford, mentre la rivista statunitense di politica internazionaleForeign Affairs lo inserì nel2012 tra i pensatori più attuali tra quelli del '900, riconoscendolo, in maniera analoga a pensatori comeKarl Popper, come uno dei più eminenti teorici del liberalismo europeo e un autorevole oppositore di ognitotalitarismo.[67]
Tra gli alievi diGiovanni Gentile invece si è soliti distinguere due orientamenti, denominati «destra» e «sinistra» gentiliane, come per iseguaci di Hegel.[68] In quello di sinistra viene annoverato principalmenteUgo Spirito (1896–1979), che difese l'immanentismo della filosofia attualista, fino ad approdare alproblematicismo, mentre altri svilupparono un'attitudine comunque critica o anti-metafisica, tra cuiGuido Calogero (1904–1986),Vladimiro Arangio-Ruiz (1887–1952),Cleto Carbonara (1904–1998),Franco Lombardi (1906–1989),[69]Giuseppe Saitta (1881–1965).[70] La destra, più attenta ai motivi religiosi e spiritualistici dell'idealismo di Gentile, ha rivendicato piuttosto l'esigenza di aprirsi allatrascendenza, con le rielaborazioni in ambitocattolico diArmando Carlini (1878–1959),Augusto Guzzo (1894–1986),Michele Federico Sciacca (1908–1975),Augusto del Noce (1910–1989),[31] oltre aGaetano Chiavacci (1886–1969),Vincenzo La Via (1895–1982),Felice Battaglia (1902–1977).[71]
Altri allievi dell'attualismo gentiliano, ma con esiti variegati,[72] furonoGiuseppe Lombardo Radice (1879–1938),Angelo Ermanno Cammarata (1899–1971),Mario Casotti (1896–1975),Ernesto Codignola (1885–1965),Cecilia Motzo Dentice d'Accadia (1893–1981),Guido De Ruggiero (1888–1948),Vito Fazio Allmayer (1885–1958),Giuseppe Maggiore (1882–1954),Camillo Pellizzi (1896–1979), il già citatoAdolfo Omodeo molto legato anche a Croce,[2]Arnaldo (1892–1968) eLuigi Volpicelli (1900–1983).[72]
Recentemente, infine, il filosofoEmanuele Severino ha tenuto a evidenziare, da un lato, «l'essenziale solidarietà traattualismo etecno-scienza; dall'altro la capacità dell'attualismo di portare oltre l'intera tradizione dell'Occidente: ciò significa che il pensiero di Gentile è destinato a essere riconosciuto come uno dei tratti più decisivi della cultura mondiale».[73]