L'idealismo britannico oinglese, chiamato ancheidealismo di Oxford,[2] è stato un movimento filosofico predominante inInghilterra tra la seconda metà dell'Ottocento e i primi decenni delNovecento.
La sua denominazione deriva dalle posizioniidealistiche dei suoi rappresentanti che, attratti dalRomanticismo tedesco, si richiamavano aKant e soprattutto aHegel, seppur modificandone in parte i contenuti, divenendo fautori di unidealismo assoluto.[1]
Figure di spicco del movimento sono statiThomas Hill Green,Francis Herbert Bradley eBernard Bosanquet.[3] Al di fuori dei confini isolani, in ogni caso, l'idealismo britannico suscitò scarso interesse.[4]

Le fonti dell'idealismo britannico possono essere fatte risalire, da un lato, alneoplatonismo seicentesco dellascuola di Cambridge, portato avanti nelSettecento daBerkeley,Norris, eCollier, dall'altro all'idealismo tedesco introdotto daSamuel Taylor Coleridge (1772–1834).[5] Nonostante quest'ultimo abbia poi finito per imporsi, «nel suo fondo l'idealismo inglese» secondoPucelle «rimaneplatonico».[6]
Non è da trascurare inoltre la predominanza dei risvoltipragmatici e delle tematichereligiose che da sempre caratterizzano la filosofia anglosassone.[7] In questa prospettiva l'idealismo britannico, in contrapposizione all'imperantepositivismo, mirava soprattutto a soddisfare la necessità di un'etica basata su valoriideali ereligiosi contrapponendola allamoraleutilitaristica imperniata sullasociologia.[3]
Nella storia dell'idealismo britannico si possono distinguere varie fasi, di cui la prima fu caratterizzata da saggisti comeThomas Carlyle (1795–1881) e lo stessoColeridge, che fecero in un certo senso da precursori ispirandosi aKant e aFichte.[4]
Seguì un periodo di assimilazione degliidealisti tedeschi da parte diJames Frederick Ferrier (1808–1864),John Grote (1813–1866), e soprattutto diJames Hutchison Stirling (1820–1909),[4] che nel 1865 con l'operaIl segreto di Hegel,[8] diffuse per primo inInghilterra ilpensiero di Hegel, presentato come l'evoluzione dellafilosofia trascendentale diKant.
Una terza fase è quella in cui l'idealismo fu coltivato prevalentemente da poeti, tra cuiWilliam Wordsworth (1770–1850),Robert Browning (1812–1889), ancora Coleridge, e da teologi comeMaurice (1805–1872),James Martineau (1805–1900),John Henry Newman (1801–1890).[4]

Nella quarta fase si sviluppava lafilosofia della religione diThomas Hill Green (1836–1882),Edward Caird (1835–1908),William Wallace (1844–1897), oltre alpersonalismo diAndrew Seth (1856–1931),[9] che approdarono a una sintesi del sistemadialetticohegeliano con l'applicazione deiprincipi religiosi cristiani.
Green, in particolare, contestò dell'empirismo diHume non solo la riduzione dellacoscienza ad un insieme di idee e percezioni, ma anche il riconoscimento di connessioni puramente esteriori tra quest'ultime, al posto delle quali pose la «Coscienzauniversale» a fondamento dell'attivitàconoscitiva.[10]
L'ultima fase, la più importante, si distingue per ilmonismo assoluto diFrancis Herbert Bradley (1846–1924), che con l'operaApparenza e realtà del 1893 affermava l'aspetto contraddittorio dell'esperienzasensibile, e da qui la necessità di andare oltre lacontingenza, elevando l'idealismo assoluto hegeliano a sintesi di finito ed infinito. Quello del Bradley sembra tuttavia un hegelismo rovesciato laddove egli rileva la natura illusoria e inconsistente dellacontraddizione,[11] che per Hegel aveva all'opposto un carattere di realtà.

In effetti l'Assoluto come lo presentava Bradley appariva con un'impostazione quasineoplatonica, come la negazione di tutte quelle (apparenti) mediazioni razionali che danno luogo a dellerelazioni, mentre esso resta un Tutto «non-relazionale».In tal senso il suo idealismo, sia pure pervaso da tensioneromantica, può dirsiscettico perché risale all'Assoluto pervia negativa, per progressivi gradi di minoreapparenza relazionale e sempre maggiore «realtà» unitaria, colta nondialetticamente ma semmai nell'esperienzaetica oestetica.[1]
La concezione di Bradley diede adito perciò ad accese polemiche da parte di quanti rivendicavano la funzione essenziale dellacontraddizione nella dialettica hegeliana, comeBernard Bosanquet (1848–1923), che pure ne seguiva l'impostazione di fondo, e così l'ultimo importante esponente del neoidealismo inglese,John Ellis McTaggart (1866–1925), che ne rigettò il monismo nell'operaLa natura dell'esistenza (1921): questi, pur richiamandosi agli aspettispirituali delpensiero hegeliano, lo reintepretava in sensopersonalistico, facendo dell'individuo umano non un semplice modello finito dell'Assoluto, ma un essere irriducibile ad ogni mediazione.[1]
Discepolo di Bradley fuHarold H. Joachim (1868–1938), il quale opponendosi airealisti ribadiva come laverità, essendo un «Intero»,[12] non possa essere data da una relazione cognitiva, mentre l'idealista americanoJosiah Royce cercava di superare le difficoltà poste da Bradley alla pensabilità di ogni relazione.[1]
Joachim e McTaggart possono essere ricompresi in una seconda generazione di idealisti inglesi, composta anche daJohn H. Muirhead (1855–1940),Robin G. Collingwood (1889–1943),John Watson (1847–1939),Henry Jones (1852–1922),John Stuart Mackenzie (1860–1935) e altri, molti dei quali formarono un nuovo gruppo aGlasgow, dove peraltro aveva insegnatoEdward Caird con suo fratelloJohn.[13]
Un ulteriore passo verso l'abbandono del monismo assoluto in favore di un idealismo sempre più personalistico si ebbe conJames Black Baillie (1872–1940), che con lo scrittoStudi sulla natura umana, di fronte al dramma dellaprima guerra mondiale, ripudiò l'ottimismo dellostoricismo hegeliano, e tornò di fatto alla tradizionale filosofiaempiristica inglese, incentrata sull'uomo singolo e la concretezza dell'esperienza.[1]
La crisi del neoidealismo inglese fu accentuata dalle posizioni avverse diGeorge Edward Moore eBertrand Russell, i quali erano stati giovani allievi aCambridge del primo idealismo britannico, ma che essi rigettarono per dar vita alla nuova corrente dellafilosofia analitica: questa si sarebbe in seguito imposta a livello nazionale e nelmondo anglosassone in generale.[14]
Verso la fine deglianni 50, tuttavia, vari aspetti della filosofia analitica furono contestati daG. Mure (1893–1979) nel suoRetreat From Truth (Oxford, 1958), che prese le difese del punto di vistaidealistico, ed è pertanto considerato l'ultima grande figura di questa tradizione.
Complessivamente, l'idealismo britannico vede un innesto dell'Assolutohegeliano sui contenuti moralistici e personalistici desunti daKant.[4]Alla tematica dell'Io inteso comelibertà, prevalente inColeridge, succede quella dell'unione indissolubile disoggetto eoggetto che diventa centrale inFerrier.[4]
Si approda infine ad una visioneorganica del Tutto,[4] in cui consiste l'unità delleidee, che non sono singole entità definite da nessi esteriori, ma risultano interiormente collegate per formare una totalitàmonistica che è appunto l'oggetto dellafilosofia, ed in cui anche le variescienze, nonché lareligione e lapoesia, non possono venire separate l'una dall'altra, poiché piuttosto ognuna rivolge semplicemente uno sguardo diverso su tale unica realtà.[15]
Sul pianoetico-sociale, strettamente legato alla dimensionegnoseologica, prevale il presupposto che l'individuo non possa essere compreso senza la società in cui è inserito. LoStato non dovrebbe solo tutelare lalibertà, ma anche aiutare gli individui a realizzare se stessi al suo interno. Analogamente ildiritto non è qualcosa che sussiste indipendentemente nellanatura, ma contribuisce al raggiungimento degli obiettivi dello Stato, in un'unità di teoria e prassi.[16]
In opposizione alpositivismo e all'evoluzionismo, emerge inoltre soprattutto inThomas Green una critica alliberalismocontrattualista e all'edonismo.[17][10] Per questa sua caratteristica l'idealismo britannico è stato a lungo «dimenticato» a causa del lungo predominio della filosofia analitica, sebbene negli ultimi anni abbia conosciuto un rinnovato interesse per la possibilità di fondarvi un liberalismo maggiormentesocialdemocratico.[17]
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