GliIbaditi (in araboالاباﺿﻴﻮﻥ?,al-Ibāḍiyyūn) costituiscono l'unico ramo oggi esistente deikharigiti, quella corrente religiosaislamica che costituisce una "terza via" trasunniti esciiti, le cui origini risalgono ai primi tempi dell'Islam.
Mentre in passato il Kharigismo ibadita ha conosciuto momenti di grande espansione (all'epoca del regnorustumide diTahert, che tra il761 e il909 giunse a comprendere gran parte delNordafrica), attualmente esso è la confessione maggioritaria in un unico Paese: il sultanato dell'Oman, mentre altrove sussiste solo in piccole comunità, aZanzibar e in alcune regioni dell'Algeria (Mzab), dellaTunisia (isola diGerba) e dellaLibia (Gebel Nefusa eZuara).[1]
Come gli altri kharigiti (da cui si distinguono per una particolare moderazione e per il ripudio della violenza), anche gli Ibaditi ritengono che il comando della comunità non spetti necessariamente ad un discendente delProfeta, ma solo al più degno dal punto di vista religioso, indipendentemente dalla sua parentela, dalla sua appartenenza etnica e dal colore della sua pelle.
Anche se gli Ibaditi non sono propensi a considerarsikharigiti, sembra indubbio che essi ebbero origine proprio all'interno di questo gruppo di ex-partigiani diʿAlī b. Abī Ṭālib, fuoriusciti dalle schiere dei suoi sostenitori quando questi accettò un arbitrato con il suo rivale, invece di ricorrere al "giudizio di Dio" costituito dallabattaglia.
Colui che diede il nome allo scisma fuʿAbd Allāh ibn Ibāḍ al-Tamīmī, che intorno al685 si pose a capo della parte moderata dei kharigiti, i quali poterono così rimanere aBassora mentre i kharigiti più estremisti — tra cui gliAzraqiti — dovettero abbandonare la città. Fu comunque un suo successore, Jābir ibn Zayd al-Azdī, di Nizwa (Oman), colui che diede al gruppo la sua fisionomia, raccogliendo gliḥadīth da essa accettati e definendone la dottrina, tanto che molti lo considerano il vero fondatore dell'ibadismo.
Area di diffusione dell'Islam: in viola il territorio degli Ibaditi.
A causa di scontri con l'energico governatore dell'Iraq,al-Ḥajjāj ibn Yūsuf, Jābir ed i suoi seguaci si trasferirono ben presto nell'Oman, ed in breve l'Ibadismo si diffuse in gran parte dell'Arabia meridionale. Nel747 ʿAbd Allāh ibn Yaḥyā ricevette la sottomissione delHaḍramawt, e nello stesso anno ancheṢanʿāʾ diventò kharigita. Dal sud dell'Arabia, divenuto un bastione dell'Ibadismo, l'ibadismo si diffuse in seguito anche all'Africa orientale e aZanzibar.
Nell'Oman la presenza ibadita si è protratta, tra alterne vicende, fino al giorno d'oggi. Nel752 i califfiabbasidi conquistarono l'Oman uccidendo il primoImām ibadita, al-Jundala ibn Masʿūd. Altri Imām presero il suo posto, ma il loro controllo si estese solo nell'interno, dal momento che le città costiere, strategiche per i commerci con laPersia e l'Oriente, erano saldamente mantenute sotto il controllo deicaliffisunniti. Questa duplice presenza perdurò nel Paese fino al giorno d'oggi: le regioni costiere sono più aperte agli influssi anche religiosi esterni, mentre quelle dell'interno conservano un atteggiamento chiuso verso gli estranei e mantengono la confessione ibadita.
Gli Ibaditi dell'Oman elessero i loroImām fino al1154, quando si costituì la dinastia ereditaria dei Banū Nabhān. Nel1428 venne però ripreso l'uso di eleggere gli Imām da parte della comunità.
Ma la diffusione maggiore avvenne, ben presto, inNordafrica, dove il Kharigismo in generale riscuoteva grandi consensi, soprattutto per la sua apertura agli apporti di popoli diversi, che permetteva aiBerberi di non farsi necessariamente governare dagliArabi. Va ricordato che, mentre sunniti esciiti hanno sempre sottolineato l'esigenza di un unico capo della comunità dei Credenti (califfo oImām), la tradizione ibadita al contrario consente ad ogni regione di avere un proprioimām locale, per cui si sono avuti simultaneamenteimām ibaditi inIraq,Oman e Nordafrica.
Il primoimām ibadita in Africa del Nord fuAbū al-Khaṭṭāb, che nel758, conquistataQayrawān e estesa l'influenza ibadita su tutto il Maghreb centrale, nominò governatore della cittàʿAbd al-Raḥmān ibn Rustum. In seguito, perduta Qayrawān dopo massicce offensive dall'Egitto, Ibn Rustum si trasferì ad occidente, dove fondò la città diTāhert (attualeTiaret), capitale di un nuovo Stato ibadita, di cui egli fu il primo califfo (776).
Lo Statorustumide a occidente si scontrò con altre formazioni statali di origine kharigita ma di tendenzasufrita (i regni diTlemcen e quello diSigilmassa), mentre ad oriente attrasse a sé anche le popolazioni della Tunisia (Gerba) e della Tripolitania (Gebel Nefūsa).
Il regno ibadita di Tahert finì improvvisamente nel909, quando la città venne conquistata dai berberi Kutama, che sostenevano la nascente dinastia deiFatimidi. Alla caduta di Tahert, le comunità ibadite cercarono rifugio nel deserto, prima a Sedrata (vicino aOuargla), e poi nella regione delloMzab, dove fondarono cinque città (Ghardaïa,Melika,Beni Isguen,Bou Noura eEl-Atteuf) che sono ancor oggi rette secondo le consuetudini ibadite, con un governo formato da un consiglio di religiosi, detti 'Azzaba.
Altre comunità ibadite esistono oggi aGerba (Tunisia), aZuara e nelGebel Nefusa (Libia). Anche in queste località, gli abitanti conservano, insieme alla fede ibadita, l'uso dellalingua berbera, nella quale sono anche state composte opere religiose sia in epoche antiche sia in tempi più recenti[2].
A differenza di altri gruppi kharigiti, gli Ibaditi considerano gli altri musulmani non comekāfir "miscredenti", bensì comekuffār al-niʿma "coloro che rinnegano la grazia di Dio". Per loro il comportamento che un vero credente deve tenere nei confronti degli altri deve esprimersi in tre modi:
walāya: amicizia ed unità con i veri credenti e praticanti, nonché con gliimām ibaditi.
barāh: dissociazione e ostilità nei confronti dei non credenti e dei peccatori, e di quanti sono destinati all'inferno.
wuqūf: riserva (lett. "sospensione") nei confronti di coloro di cui non è chiara la situazione.
Come i kharigiti, anche gli Ibaditi distinguono tra califfi "buoni" e "cattivi". I primi due califfi,Abū Bakr eʿUmar, sono considerati "ben guidati", diversamente dal terzo califfo,ʿUthmān, che introdusse elementi di corruzione (bidʿa). Anche la prima parte del califfato diʿAlī è considerata buona, e come gli sciiti anche gli Ibaditi disapprovano la rivolta diMuʿāwiya. Ma l'accettazione dell'arbitrato successivo allabattaglia di Ṣiffīn rese ʿAlī inadatto al ruolo di imām, e piena è la condanna della successiva battaglia di Nahrawān dove egli sterminò i primi kharigiti.
La teologia ibadita ha molti punti di contatto con quellamutazilita per quel che riguarda il concetto ditawḥīd (unità e unicità di Dio). Essi rigettano ogni descrizione antropomorfica di Dio, arrivando a negare che i beati, nell'Aldilà, possano goderne la vista.Rifiutano anche di riconoscere a Dio degli attributi che siano distinti dalla Sua essenza (come per esempio, un Corano increato e distinto da Dio).
Un aspetto dottrinale che ha concrete conseguenze nella vita quotidiana degli Ibaditi è il fatto che per essi la salvezza non viene solo dal credere in Dio e nel Profeta, ma anche dalle opere. Per questo, gli Ibaditi sentono come forte dovere morale quello di impegnarsi seriamente nelle proprie attività lavorative (per lo più artigianato e commercio).
Un aspetto interessante della dottrina ibadita è la sua concezione delCorano. Per essa, infatti, il Corano non è increato ed eterno, come ritiene la maggioranza dei musulmani, tanto sunniti quanto sciiti. Eterno infatti è solo Dio e se anche il Corano fosse eterno, ciò equivarrebbe ad "associare" altri a Dio, minandone il dogma dell'unicità.
Gli Ibaditi hanno un proprio sistema legale (madhhab), basato in gran parte su proprie raccolte diḥadīth.
Gli Ibaditi accettano molti, ma non tutti, iḥadīth sunniti, e inoltre accettano alcuniḥadīth non accolti dai sunniti. La giurisprudenza ibadita è basata solo suiḥadith ammessi dall'Ibadismo, che sono molto meno numerosi di quelli ammessi dai sunniti. Molte personalità dei primi tempi dell'Ibadismo - in particolareJābir ibn Zayd - furono note per le loro ricerche nell'ambito deiḥadith, e Jābir ibn Zayd è considerato un narratore affidabile anche da molti dotti sunniti.
La principale raccolta diḥadīth ammessa dagli Ibaditi è l'al-Jāmiʿ al-Ṣaḥīḥ[3], detto ancheMusnad al-Rābiʿ ibn Ḥabīb, nella rielaborazione fatta da Abū Yaʿqūb Yūsuf b. Ibrāhīm al-Warijlānī. Una gran percentuale delle narrazioni è stata trasmessa da Jābir ibn Zayd o da Abū Yaʿqūb; la maggior parte è riportata anche dai sunniti, ma molti no. Il numero complessivo diḥadīth in esso contenuti è di 1005, e una tradizione ibadita riportata da al-Rābiʿ sostiene che vi sono solo 4000ʾaḥādīth del Profeta autentici. Le norme per determinare l'affidabilità di unḥadīth sono state fornite da Abū Yaʿqūb al-Warijlānī, e sono in gran parte simili a quelle adottate dai sunniti; in particolare, essi criticano alcuni deiCompagni del Profeta (Ṣahāba ), ritenendo che alcuni di loro fossero corrotti dopo il regno dei primi due califfi. I giuristi ibaditi accettano iḥadīth che riportano le parole dei Compagni del Profeta come terza fonte di diritto, dopo ilCorano e iḥadīth che riportano le parole diMaometto.
In generale, gli Ibaditi hanno molti rituali analoghi a quelli dei sunniti, probabilmente a seguito di una lunga convivenza con essi.
Tra le piccole differenze che si osservano nei rituali vi è il fatto che gli Ibaditi quando pregano non sollevano mai le braccia ma le lasciano lungo il corpo (bisogna però tener conto del fatto che questo viene fatto anche dagli sciiti e da alcuni dei sunniti). Essi affermano che questa sarebbe stata la maniera consueta di pregare del Profeta, che sollevò le mani solo in un'occasione, quando aveva ragione di temere che qualcuno celasse delle armi per ferirlo: sollevando le braccia, egli avrebbe così scoperto il congiurato, costretto a tradirsi e a lasciar cadere a terra l'arma.
Nellapreghiera del venerdì, essi non accettano la pratica delqunūt in cui si maledicono i nemici. Gli Ibaditi non hanno difficoltà a pregare insieme a musulmani di altra confessione, possono condividere il cibo con essi, ed anche sposarsi con loro.
^Si veda per esempio Vermondo Brugnatelli, "Un nuovo poemetto berbero ibadita",Studi Magrebini n.s. III (2005) p. 131-142(testo);id., "Littérature religieuse à Jerba. Textes oraux et écrits", in: M. Lafkioui, D. Merolla (eds.),Oralité et nouvelles dimensions de l'oralité. Intersections théoriques et comparaisons des matériaux dans les études africaines, Paris, Publications Langues'O, 2008, pp. 191-203(testo);id., "D'une langue de contact entre berbères ibadites", in: M. Lafkioui, V. Brugnatelli (eds.)Berber in Contact: linguistic and socio-linguistic perspectives, Köln, Köppe, 2008, pp. 39-52.
Tadeusz LEWICKI, "Les subdivisions de l'Ibadiyya", inStudia Islamica 9 (1958), pp. 71–82
A. de Calassanti MOTYLINSKI, "Le nom berbère de Dieu chez les Abadhites",Revue Africaine 59 (1905), pp. 141–148
A. de Calassanti MOTYLINSKI, "Bibliographie du Mzab. Les livres de la secte abadhite",Bulletin de Correspondance Africaine, Algeri, 3 (1885), pp. 15–72
Martino Mario MORENO, "Note di teologia ibadita", inScritti in onore diFrancesco Beguinot per il suo 70º compleanno (AION, n.s. 3), Napoli 1949, pp. 299–313
Enrico INSABATO, "Gli Abaditi del Gebel Nefusa e la politica islamica in Tripolitania", inRivista Coloniale anno XIII, n. 3 (marzo 1918), pp. 77–93
G. H. BOUSQUET, "Les deux sectes kharédjites de Djerba", inRevue Africaine 86 (1942), pp. 156–160
Kharijism and Ibadism: Shedding Light on Forgotten Histories', numero speciale delBulletin of the Royal Institute for Inter-Faith Studies (BRIIFS),Amman, Vol. 7 N° 1 Spring/Summer 2005