
Ilgiureconsulto (in latinoiurisconsultus, daius,iuris: "diritto" econsulere: "consultare") ogiurisperito è storicamente un esperto deldiritto che fornisce pareri su questioni legali e che non di rado si dedica anche all'insegnamento delle discipline del diritto comescienza[1].
Quella dei giureconsulti fu una figura professionale che ebbe notevole rilevanza in epoca romana, quando essi rivestivano un ruolo nella formazione delle leggi, almeno fino al IV secolo; la loro importanza proseguì anche in seguito, durante ilMedioevo[1] e ilRinascimento, come consulenti.
NellaRoma antica il giureconsulto aveva una posizione predominante nellasocietàpolitica ed amministrativa per il ruolo di creatore delle leggi oltre che esperto delle stesse. Fino al periodo diAlessandro Severo (III secolo), infatti, ildiritto romano aveva una veste giurisprudenziale e di esso solo una minima parte era versata in norme scritte e principi codificati (o che in qualche modo potessero rendere l'idea del moderno concetto di "codificazione"): era infatti prevalentemente frutto dell'interpretazione giuridica dei giureconsulti, operata perlopiù applicando ilmetodo induttivo.
Nei periodi arcaici romani, con le forti connessioni tra diritto ereligione, i giureconsulti (in quel periodo sacerdotipatrizi che potevano interpretare ilfas, "lecito per volontà divina", e ilius, diritto vero e proprio) apparivano come consiglieri, dei veri e proprioracoli, di chiunque dovesse avere a che fare con la giustizia e potevano interpretare consuetudini e costumi liberamente, cambiandone i contenuti a seconda degli interessi dei patrizi. Ciò portò ad una prima ribellione deiplebei a cui seguì la creazione di un corpo di giureconsultilaici.[2]
I due più importanti giureconsulti di questa epoca furonoQuinto Muzio Scevola eServio Sulpicio Rufo, intorno ai quali si formarono due scuole: da un lato i muciani, in cui confluì ancheGaio Aquilio Gallo, dall'altro i serviani, conGaio Elio Gallo eAlfeno Varo.[3]
Dall'epoca di Augusto in poi, il potere dei giureconsulti fu notevolmente ridotto con l'introduzione di unjus publice respondendi ex auctoritate principis, cioè un diritto di formulareresponsa (pareri e consigli in casi giuridici controversi) privilegiati, che dovevano essere ratificato con un sigillo concesso dall'autorità del Cesare.[4]
Durante l'epoca di Augusto i giureconsulti si divisero in due scuole: la scuola deisabiniani (o scuola cassiana) e quella deiproculiani.Pomponio fa risalire alla rivalità dei due giuristiLabeone eCapitone la nascita delle due scuole, e conseguentemente viene data una diversa qualificazione unitaria alle due scuole partendo dalla diversa personalità dei due fondatori: innovatrice in Labeone, conservatrice in Capitone. Probabilmente le due scuole si distinguevano principalmente per i luoghi (stationes) dove veniva insegnato il diritto e solo in un secondo tempo per l'autorità di coloro che ivi insegnavano.[5] Gellio infatti scrive:quesitum esse memini in plerique Romae stationibus ius publice docentium aut respondentium... (Noctes att. 13.13.1).
Durante l'epoca di Adriano, queste controversie tra scuole diverse furono superate da una nuova generazione di giureconsulti, influenzati daSalvio Giuliano.[6] Tra i maggiori giureconsulti di questa epoca si trovano:Prisco Giavoleno,Alburno Valente,Tusciano.[7]
NelIV secolo, la figura del giureconsulto scomparve. Nel426,Valentiniano III emanò lalegge delle citazioni, che imponeva ai giudici di dover tenere conto unicamente delle opinioni di alcuni giureconsulti del passato:Papiniano,Paolo,Gaio,Ulpiano eModestino. Ai pareri di questi potevano essere aggiunti ulteriori pareri legislativi di altri giuristi di indubbia fama a patto che questi fossero stati citati da almeno uno dei cinque precedenti con relativa esibizione del manoscritto.[8]
La classe di giureconsulti si dedicò, quindi, esclusivamente all'insegnamento e alla compilazione diepitomi (iura epitomatica) e riassunti delle opere dei loro predecessori.
L’attività deiGlossatori, cioè dei giuristi di scuola che tra la fine dell’XI e la prima metà del XIII secolo si preoccuparono di corredare l’intero testo delCorpus iuris civilis giustinianeo di un apparato continuo di glosse marginali, partì dall’interpretazione puramente letterale (ladeclaratio verborum) per addivenire allo «svolgimento di una vera e propria elaborazione del testo, che per i Glossatori è l'auctoritas, la base autoritativa per la costruzione di una più complessa e autonoma disciplina»[9].
Solo in quell’età di crisi delle istituzioni politiche e della coscienza dell’Europa che fu ilTrecento, conBartolo da Sassoferrato emerse una "delle maggiori testimonianze della nuova propensione delgiurista, alla fine del Medioevo, alla costruzione di una dottrina morale e politica con i materiali della tradizione teologico-giuridica, pur nella riaffermata distinzione dei territori del giurista e del teologo"[10].
NelDe commodisLeon Battista Alberti parla "dei libri voluminosissimi (amplissimi codices), della non dominabile profusione di libri («tanta tanque amplissima librorum congeries») che rappresenta l’officina, lo strumentario faticoso del giureconsulto"[11], offrendo una descrizione critica degli appigli autoritativi del diritto canonico e del diritto romano giustinianeo, su cui si era andata formando la tradizione dei giusperiti ereditata dal Rinascimento.
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