Nacque a Colle di Vespignano, un borgo situato nella valle delMugello (oggi unafrazione delcomune fiorentino chiamatoVicchio), con ogni probabilità nel 1267,[1] in una famiglia di piccoli possidenti terrieri (Bondone era appunto il padre)[2] che, come tante altre famiglie toscane del secolo, si trasferì solo in seguito aFirenze. Prive di qualsiasi fondamento sono le ipotesi di una nascita fiorentina o altrove, sovente basate su semplici congetture ignorando la vasta letteratura in materia. Secondo la tradizione letteraria, finora non confermata dai documenti, Giotto era stato affidato dai genitori alla bottega diCimabue. Il suo nome era forse unipocoristico diAmbrogio (da Ambrogiotto), oAngelo (Angiolotto),Parisio (Parigiotto),[3]Ruggero (Ruggerotto),[4] o ancora daBiagio (Biagiotto),[5] senza escludere l'ipotesi cheGiotto possa essere stato un nome autonomo.[3]
I primi anni del pittore sono stati oggetto di credenze quasi leggendarie fin da quando egli era in vita.Giorgio Vasari racconta che Giotto fosse capace di disegnare una perfetta circonferenza senza bisogno del compasso, la famosa "O" di Giotto. Si narra inoltre cheCimabue avesse scoperto la bravura di Giotto mentre disegnava delle pecore con del carbone su un sasso, aneddoto riportato daLorenzo Ghiberti e daGiorgio Vasari. Altrettanto leggendario è l'episodio di uno scherzo fatto da Giotto a Cimabue dipingendo su una tavola una mosca: essa sarebbe stata così realistica che Cimabue tornando a lavorare sulla tavola avrebbe cercato di scacciarla. Le novelle raccontano verosimilmente soprattutto la grande capacità tecnica e la naturalezza dell'arte di Giotto.
Giotto si sposò verso il 1287 con Ciuta (Ricevuta) di Lapo del Pela. La coppia ebbe quattro figlie e quattro figli, dei quali uno, Francesco, divenne a sua volta pittore. Giotto s'adoperò perché un altro dei suoi figli, di nome anch'egli Francesco, divenisse priore della chiesa di San Martino a Vespignano, oltre che suo procuratore inMugello, dove allargò le proprietà terriere della famiglia. Dette poi in sposa ben tre delle sue figlie a uomini nei dintorni del Colle Mugellano, segno inequivocabile di una sua fortissima "mugellanità" e dei profondi legami mantenuti dal pittore per tutta la vita col suo territorio d'origine. Recenti studi indicano come una dalle sue prime opere sia il frammento dellaMadonna conservato proprio in Mugello nella Pieve diBorgo San Lorenzo, databile intorno al 1290. La prima volta che Giotto venne ufficialmente nominato è in un documento recante la data 1309, nel quale si registra che Palmerino di Guido restituisce adAssisi un prestito a nome suo e del pittore.
Giotto aveva aperto una bottega dove era circondato da alunni; si occupava soprattutto di progettare le opere e di impostare le composizioni più importanti mentre agli alunni lasciava quelle secondarie.
Giotto superò la smaterializzazione dell'immagine, l'astrattismo propri dell'arte bizantina, si riappropriò magistralmente della realtà naturale di cui fu grande narratore, abile nell'organizzare le scene con realismo e nel creare gruppi di figure che dialogano fra di loro, inserite in uno spazio di cui egli ebbe grande padronanza aprendosi alla terza dimensione, cioè la profondità. Ilnaturalismo giottesco fa sì che i personaggi siano sempre caratterizzati da notevole espressività di sentimenti e stati d'animo, in una rappresentazione della figura umana resa con plasticità, con solido accento scultoreo. Giotto compie una profonda indagine dell'emozione umana, resa sempre con vivace realismo. Giotto compie un'attenta analisi dei sentimenti umani e riesce a rappresentarli con delicatezza e, nel contempo, con intensità. Ogni figura, dai volumi essenziali e ben definiti dalla luce, ha una precisa caratterizzazione fisica a cui corrisponde una precisa condizione emotiva.
Tornando allaMadonna di San Giorgio, l'opera mostra una solida resa della volumetria dei personaggi le cui attitudini sono più naturali che in passato. Il trono è inserito in una prospettiva centrale, formando quasi una "nicchia" architettonica, che suggerisce il senso della profondità.
La novità del linguaggio di questa tavola, relativamente piccola e decurtata lungo tutti i margini, si comprende meglio facendo un raffronto con gli esempi fiorentini di Maestà che lo avevano immediatamente preceduto, come quelli diCoppo di Marcovaldo.
LaBasilica di San Francesco era stata completata nel 1253 quale sede centrale dell'ordine e luogo di sepoltura delfondatore. L'inizio preciso dei lavori di decorazione ad affresco delle pareti interne rimane a tutt'oggi un mistero, a causa della distruzione degli antichi archivi avvenuta nelXIX secolo; a ogni modo si può ragionevolmente ipotizzare che risalga a poco dopo la metà delXIII secolo nel caso dellaBasilica inferiore e agli anni 1288-1292 nel caso dellaBasilica superiore.
È ancora molto dibattuto se Giotto sia intervenuto o meno per la decorazione a fresco dellaBasilica superiore. Molti studiosi ritengono certo l'intervento di Giotto dalleStorie di Isacco fino a quasi tutto il ciclo dellaVita di san Francesco. A tal proposito si sono espressi favorevolmenteLuciano Bellosi (1985),Miklós Boskovits (2000),Angelo Tartuferi (2004) eSerena Romano (2008). Di diverso avviso sono altri studiosi che ritengono molto più probabile l'intervento di un pittore di scuola romana, come ad esempioPietro Cavallini. In tal senso si sono espressi Richard Offner (1939), Millard Meiss (1960), Alastair Smart (1971),Federico Zeri (1997) eBruno Zanardi (1997).
Secondo la prima corrente di pensiero, Giotto avrebbe coordinato, in un arco di tempo di circa due anni compreso tra il 1290 e 1292 circa, un complesso stuolo di artisti che avrebbero dato impronte diverse al ciclo pur sotto una visione unitaria. Giotto si sarebbe allontanato dal cantiere assisiate prima di dipingere la prima e le ultime tre scene del ciclo (le ultime quattro a essere state dipinte) che sarebbero attribuibili alMaestro di Santa Cecilia.
Secondo la seconda ipotesi, invece, l'entrata in scena di Giotto sarebbe da rinviare al 1297 circa, quando vennero realizzati parte degli affreschi dellaCappella di San Nicola nellaBasilica inferiore, con l'Annunciazione sulla parete d'ingresso e le due scene deiMiracoli post mortem di San Francesco e dellaMorte e Resurrezione del Fanciullo di Suessa, che mostrerebbero evidenti affinità tecniche ed esecutive con laCappella degli Scrovegni e si differenzierebbero dal ciclo francescano.
I primi affreschi nellaBasilica superiore vennero realizzati nel transetto dapittori oltremontani e poi dalla bottega diCimabue, dove probabilmente doveva trovarsi anche il giovane Giotto (1288-1292 circa). L'intervento diretto di Giotto è stato insistentemente ravvisato da molti studiosi in due scene nella parte alta della navata destra con leStorie di Isacco (Benedizione di Isacco a Giacobbe edEsaù respinto da Isacco che si trovano nella terzacampata all'altezza della finestra). Il pittore di queste due scene aveva una particolare predisposizione alla resa volumetrica dei corpi, tramite un accentuato chiaroscuro, ed era capace di ambientare le proprie scene in un ambiente architettonico fittizio, disegnato secondo unaprospettiva e unoscorcio laterale.[6] Diversa è anche la tecnica usata: per la prima volta si usò l'affrescoa giornate, anzichéa pontate.
Secondo la teoria della paternità di Giotto di questi affreschi, Giotto avrebbe affrescato la fascia inferiore della navata con le ventottoStorie di san Francesco segnando una svolta nella pittura occidentale. Il ciclo francescano illustra puntualmente il testo dellaLegenda compilata dasan Bonaventura e da lui dichiarata unico testo ufficiale di riferimento per la biografia francescana. Sotto a ogni scena compare una didascalia descrittiva tratta dai diversi capitoli dellaLegenda via via illustrati.
Questo ciclo è da molti considerato l'inizio della modernità e deldipingere latino. La tradizione iconografica sacra, infatti, poggiava sulla tradizione pittorica bizantina e quindi su un repertorio iconografico codificato nei secoli; il soggetto attuale (un santo moderno) e un repertorio di episodi straordinari (solo per fare un esempio: nessuno mai, prima disan Francesco, aveva ricevuto lestigmate) fecero sì che il pittore negli affreschi dovesse creareex novo modelli e figure, attingendo solo in parte ai modelli di pittori che si erano già cimentati in episodi francescani su tavola (comeBonaventura Berlinghieri o ilMaestro del San Francesco Bardi). Accanto a ciò va registrato il nuovo corso degli studi biblici (portati avanti proprio dai teologifrancescani edomenicani) che prediligeva la lettura dei testi nel loro senso letterale (senza troppisimbolismi e rimandiallegorici) desiderando condurre il fedele a un incontro il più possibile vivo e immedesimativo con il testo sacro. Ciò favorì la scelta di rappresentazioni in abiti moderni e che sottolineassero l'espressione del vissuto.
Il primo capolavoro fiorentino è il grandeCrocifisso di Santa Maria Novella, citato come opera giottesca in un documento del 1312 da tale Ricuccio di Puccio del Mugnaio e anche daGhiberti, ma probabilmente databile attorno al 1290 contemporaneo, quindi, alleStorie di San Francesco dellaBasilica superiore.[7]
È il primo soggetto che Giotto affronta in maniera rivoluzionaria, in contrasto con l'iconografia ormai canonizzata daGiunta Pisano delChristus patiens inarcato sinuosamente a sinistra (per l'osservatore). Giotto invece dipinse il corpo morto in maniera verticale, con le gambe piegate che ne fanno intuire tutto il peso. La forma non più nobilitata dai consueti stilemi divenne così assolutamente umana e popolare.
In queste novità è contenuto tutto il senso della sua arte e della nuova sensibilità religiosa che restituisce al Cristo la sua dimensione terrena e da questa trae il senso spirituale più profondo. Solo l'aureola ricorda la sua natura divina, ma mostra le sembianze di un uomo umile realmente sofferente, con il quale l'osservatore potesse confrontare le sue pene.
In quegli anni Giotto era già un pittore affermato, capace di creare una schiera di imitatori in città, pur rappresentando soltanto l'anticipatore di una corrente d'avanguardia che si impose più tardi.
Il contesto toscano e fiorentino dell'epoca era animato da grandi fermenti innovativi, che influenzarono Giotto: aPisa la bottega diNicola Pisano e poi del figlioGiovanni aveva cominciato un percorso di recupero della pienezza della forma e dei valori dell'arte classica[romana o classica?] aggiornata con influssi gotici transalpini, mentreSiena, in contatto privilegiato con molti centri culturali europei, aveva visto l'innesto di novità gotiche sulla tradizione bizantina nella pittura di un artista del calibro diDuccio di Buoninsegna.
Di precoce datazione è considerata anche la tavola firmata proveniente daPisa e conservata alLouvre diParigi, raffigurante leStigmate di san Francesco in cui le storie della predella sono direttamente riprese dalle scene assisiati: questo da taluni viene considerato motivo a sostegno della attribuzione delCiclo francescano a Giotto.
Fino al 1300 c'è un vuoto di alcuni anni nella produzione di Giotto.Ferdinando Leopoldo Del Migliore menziona nelXVII secolo che Giotto lavorò aRoma ai tempi dipapa Bonifacio VIII, pontefice dal 1295 al 1303. IlLiber Benefactorum dellaBasilica di San Pietro in Vaticano, una fonte pressoché contemporanea del tempo, attesta che Giotto compose il mosaico dellaNavicella, opera più volte spostata e restaurata e oggi collocata nel portico della Basilica. Anche se la fonte non cita la data, la somiglianza di stile del mosaico dellaNavicella con i due tondi con busti di angeli conservati oggi nelleGrotte Vaticane e inSan Pietro Ispano aBoville Ernica permette di datare l'opera a fine Duecento, sia perché i due tondi hanno le caratteristiche della scuola romana di fine Duecento, sia perché la fonte del Torrigio (1618) colloca i tondi al 1298.
Quindi può darsi che Giotto abbia lavorato aRoma fino al 1300 circa, anno del Giubileo, esperienza della quale non rimangono altre tracce significative e per questo non è possibile ancora giudicare la sua influenza sui pittori romani o, al contrario, quanto il suo stile venne influenzato dallascuola romana.
Da documenti catastali del 1301 e 1304 si conoscono le sue proprietà inFirenze, che erano cospicue e per questo si ipotizza che, all'incirca verso i trent'anni, Giotto fosse già a capo di una bottega capace di ovviare alle più prestigiose commissioni del tempo.
L'attività riminese del maestro fiorentino dovrebbe attestarsi intorno al 1299; ciò è suggerito da una miniatura diNeri da Rimini conservata allaFondazione Cini diVenezia (inv. 2030), firmata e datata 1300, che nella figura delCristo Benedicente mostra una evidentissima similitudine col Redentore raffigurato nella Cimasa originale della croce (ritrovata daFederico Zeri nel 1957 nella collezione Jeckyll diLondra - non si hanno notizie dei terminali laterali raffiguranti i dolenti). Essa viene ricordata in fonti scritte contemporanee ed è testimoniata dalla precoce fioritura di una scuola riminese, chiaramente ispirata all'esempio giottesco.[8]
ARimini, come ad Assisi, lavorò in un contestofrancescano, nella chiesa già di san Francesco, oggi nota comeTempio Malatestiano, dove dipinse un ciclo di affreschi perduto, mentre resta ancora nell'abside laCroce.
L'autografia della Croce è attualmente condivisa da tutti gli studiosi.
In miglior stato di conservazione rispetto al precedente crocifisso diSanta Maria Novella, è già orientato verso le interpretazioni più mature di Giotto, ma ancora vicino a opere come il Polittico della Badia, oggi agliUffizi e ritrovato nelconvento di Santa Croce aFirenze.
La documentazione relativa alla costruzione e consacrazione dellaCappella degli Scrovegni a Padova, interamente affrescata da Giotto, permettono di stabilire con certezza che Giotto fu a Padova tra il 1303 e il 1305. Per la loro importanza e influenza nella pittura murale del tempo, questi affreschi nel 2021 sono stati dichiaratiPatrimonio UNESCO come parte diPadova Urbs Picta, ovvero deiCicli di affreschi del XIV secolo a Padova.[9]
Del soggiorno padovano sono perduti gli affreschi delPalazzo della Ragione e gran parte degli affreschi dellaBasilica di Sant'Antonio. Di quest'ultimi rimangono solo alcuni busti di sante nella Cappella delle Benedizioni e alcune scene nella Sala Capitolare (Stigmate di San Francesco,Martirio di Francescani a Ceuta,Crocifissione eTeste di Profeti).
Gli affreschi perduti delPalazzo della Ragione, commissionati molto probabilmente daPietro d'Abano, sono citati in un libello del 1340, laVisio Aegidii Regis Patavi del notaio Giovanni da Nono, che li descrive con toni entusiastici, testimoniando che il soggetto astrologico del ciclo era tratto da un testo molto diffuso nelXIV secolo, ilLucidator, che spiegava i temperamenti umani in funzione degli influssi degli astri. Padova era al tempo un centro universitario culturalmente molto fervido, luogo d'incontro e di confronto tra umanisti e scienziati e Giotto è partecipe di questa atmosfera.[10]
Resta invece intatto il ciclo di affreschi conStorie di Anna e Gioacchino, di Maria,di Gesù,Allegorie dei Vizi e delle Virtù eIlGiudizio Universale dellaCappella di Enrico Scrovegni, dipinta tra il 1303 e il 1305. L'intero ciclo è considerato un capolavoro assoluto della storia della pittura e, soprattutto, il metro di paragone per tutte le opere di dubbia attribuzione giottesca, visto che sull'autografia del maestro fiorentino in questo ciclo non ci sono dubbi.
Enrico Scrovegni, ricchissimo banchiere di Padova, acquistò il terreno dell'antica arena romana di Padova il 6 febbraio 1300 e verosimilmente nel 1301 cominciò la costruzione di un sontuoso Palazzo, di cui la cappella era l'oratorio privato, destinato un giorno ad accogliere la tomba sua e di sua moglie. La cappella ebbe una prima consacrazione il 25 marzo 1303. Nel 1304 papa Benedetto XI promulgava un'indulgenza in favore di coloro che avessero visitato la Cappella. L'edificio, completato, fu consacrato il 25 marzo 1305.
Giotto dipinse l'intera superficie con un progetto iconografico e decorativo unitario, ispirato da un teologoagostiniano di raffinata competenza, recentemente identificato daGiuliano Pisani inAlberto da Padova. Tra le fonti utilizzate ci sono molti testi agostiniani, tra cui ilDe doctrina Christiana, ilDe libero arbitrio, ilDe quantitate animae, ilDe Genesi contra Manicheos, ecc., i Vangeli apocrifi delloVangelo dello pseudo-Matteo e diVangelo di Nicodemo, laLegenda Aurea diJacopo da Varazze e, per piccoli dettagli iconografici, leMeditazioni sulla vita di Gesù delloPseudo-Bonaventura. Ma anche testi della tradizione medievale cristiana, tra cuiIl Fisiologo. Giotto dipinse, dividendolo in 40 scene, un ciclo incentrato sul tema della Salvezza.
Si parte dalla lunetta in alto sull'arco trionfale, dove Dio avvia la riconciliazione con l'uomo, si prosegue sul registro più alto della parete sud con le storie diGioacchino ed Anna. Si continua sulla parete opposta con le storie diMaria. Si torna sull'arco trionfale con la scena dell'Annunciazione e il riquadro dellaVisitazione. A questo punto sul secondo registro della parete sud iniziano le storie della vicenda terrena di Gesù, che si svolgono lungo i due registri centrali delle pareti, con un passaggio sull'arco trionfale nel riquadro delTradimento di Giuda. L'ultimo riquadro presenta laDiscesa dello Spirito Santo sugli apostoli (Pentecoste).
Subito sotto inizia il percorso del quarto registro, costituito da quattordici allegorie monocrome, alternate a specchi in finto marmo, che simboleggiano iVizi e leVirtù: la parete nord presenta le allegorie di sette vizi (Stultitia, Inconstantia, Ira, Iniusticia, Infidelitas, Invidia, Desperatio); lungo la parete sud sono raffigurate le allegorie delle sette virtù, le quattrocardinali (Prudencia, Fortitudo, Temperantia, Iusticia) e le treteologali (Fides, Karitas, Spes). Vizi e virtù si fronteggiano a coppia e sono ordinati per il raggiungimento del Paradiso, superando con la cura delle virtù corrispondenti gli ostacoli posti dai vizi.
L'ultima scena, che occupa l'intera controfacciata rappresenta ilGiudizio universale e la visione del Paradiso. Qui si inquadra la grande novità scoperta daGiuliano Pisani: le figure sotto il trono di Cristo Giudice non rappresentano i simboli dei quattro evangelisti, ma sono rispettivamente, partendo da sinistra, un'orsa con un luccio, un centauro, un'aquila/fenice e un leone, immagini interpretate come riferimento simbolico all'essenza di Cristo. «Orsa e pesce, centauro, aquila e leone sono simboli cristologici che la cultura medievale, specie dopo il Mille, in epoca romanica, riprende dalla più antica tradizione cristiana: rappresentano allegoricamente il battesimo, il dono dell'immortalità, la vittoria sulla morte, la giustizia».
Nella cappella, la pittura di Giotto dimostrò una piena maturità espressiva. La composizione rispettava il principio del rapporto organico tra architettura e pittura ottenendo il risultato di un complesso unitario. I riquadri sono tutti d'identica dimensione. I partimenti decorativi, le architetture simulate e i due finti coretti prospettici che simulano un'apertura sulla parete, sono tutti elementi che obbediscono a una visione unitaria, non solo prospettica ma anche cromatica; domina infatti il blu intensissimo della volta che si ripete in ogni scena.
Gli ambienti naturali e le architetture sono costruite come vere e proprie scatole prospettiche in prospettiva intuitiva, che a volte vengono ripetute per non contraddire il rispetto dell'unità di luogo, come la casa di Anna o il Tempio, la cui architettura è ripetuta identica anche se ripresa da diverse angolature.
Le figure sono solide e voluminose e rese ancora più salde dalle variazioni cromatiche, dove i toni dei colori si schiariscono nelle zone sporgenti. La resa delle figure umane è realistica e non stilizzata.
Le scene sono dotate di una vivace narrazione. Sono solenni senza fronzoli della composizione, ma non sfuggono particolari che rendono i personaggi realistici. Le emozioni e gli stati dell'anima sono evidenti, eloquenza di gesti e espressioni. È una pittura capace di rendere l'umanità dei personaggi sacri.
Alcuni accorgimenti tecnici arricchiscono di effetti materici tutto l'ambiente:stucco lucido o stucco romano per i finti marmi, parti metalliche nell'aureola del Cristo Giudice nelGiudizio, tavole lignee inserite nel muro, uso dell'encausto nelle figure a finto rilievo.
Ci sono numerose citazioni dall'arte classica e dallascultura gotica francese, incentivata dal confronto con le statue sull'altare diGiovanni Pisano, ma, soprattutto, una maggiore espressività negli sguardi intensi dei personaggi e nella loro gestualità.
Molte sono le notazioni narrative e i particolari, anche minori, di grande suggestione, gli oggetti, gli arredi, le vesti che rispecchiano l'uso, la moda del tempo. Alcuni personaggi sono veri e propri ritratti a volte caricaturali che danno il senso della trasposizione cronachistica della vita reale nella rappresentazione sacra. Si può quindi dire che Giotto ha attuato unariscoperta del vero (il vero dei sentimenti, delle passioni, della fisionomia umana, della luce e dei colori)nella certezza di uno spazio misurabile.
NelMuseo civico di Padova è conservata unaCroce dipinta risalente agli stessi anni (1303-1305), proveniente dall'altare della Cappella degli Scrovegni, raffinatissima per la ricchezza decorativa dei colori smaltati e per l'andamento sagomato del supporto dal disegno gotico, oltre che per il realismo nella figura del Cristo e nell'atteggiamento sofferente di Maria e diSan Giovanni nei tabelloni laterali.
Sposalizio di San Francesco con la Povertà, 1316-1318, volta nella Basilica inferiore di Assisi, attribuito al "Parente di Giotto", su disegno del maestro
La commissione fu del vescovoTeobaldo Pontano in carica dal 1296 al 1329, e il lavoro si protrasse per molti anni coinvolgendo numerosi aiuti:Parente di Giotto,Maestro delle Vele ePalmerino di Guido (quest'ultimo citato assieme al maestro in un documento del 1309 in cui s'impegna a pagare un debito). La storia è tratta dallaLegenda Aurea diJacopo da Varazze; per laMaddalena ifrancescani avevano un culto particolare. Giotto trasportò ad Assisi i progressi fatti a Padova, nelle soluzioni scenografiche e nella spazialità, nella tecnica e, soprattutto, nella qualità dei colori chiari e caldi.
LeAllegorie francescane occupano le vele della volta del transetto:Povertà, Castità, Obbedienza, laGloria di San Francesco e le scene del ciclo dellaVita di Cristo sono disposte lungo le pareti e le volte del transetto destro. La vivacità delle scene, le soluzioni scenografiche e spaziali di ampio respiro e alcune citazioni dirette del ciclo padovano hanno messo d'accordo studiosi e critici sull'appartenenza del progetto generale degli affreschi a Giotto, ma la realizzazione pittorica fu delegata ai membri della bottega.
Nel 1311 era già tornato a Firenze, ci sono anche documenti del 1314 relativi alle sue attività economiche extra pittoriche.
La presenza a Firenze è sicuramente documentata negli anni 1314, 1318, 1320, 1325, 1326 e 1327. Nel 1327, in particolare, si iscrisse all'Arte dei Medici e Speziali che, per la prima volta, accoglieva i pittori.
Lapulcra tabula che Riccuccio del fu Puccio, facoltoso fiorentino abitante nel popolo diSanta Maria Novella, aveva già commissionato a Giotto di Bondone per lachiesa di San Domenico aPrato nel giugno del 1312, fu distrutta forse nell'incendio della grande chiesa pratese del 12 settembre 1647[11].
La lunetta dellaNavicella, che apparteneva a un ciclo musivo più ampio profondamente danneggiato nel tempo, venne ampiamente rifatta. Oggi sembra che sia rimasto solo un angelo del mosaico originale di Giotto.
Una copia della scena fu disegnata da due artisti del Quattrocento,Pisanello eParri Spinelli, e si trova alMetropolitan Museum of Art diNew York. Due tondi con i volti di angeli, facenti parte del ciclo, sono conservati rispettivamente nellachiesa di San Pietro Ispano diBoville Ernica (Frosinone) e nelleGrotte Vaticane. Questi disegni, fatti prima della sua distruzione, permettono di ricostruirne la composizione: raffigurava la barca degli apostoli in piena tempesta, sulla destra Pietro salvato da Cristo e a sinistra una città turrita. Il soggetto era ispirato da operetardoantiche epaleocristiane, che Giotto aveva avuto sicuramente occasione di vedere a Roma, alimentando un rapporto di dialogo continuo col mondo classico.
I due tondi sono realizzati con una tecnica identica a quella delle botteghe romane della fine del Duecento e, probabilmente, sono stati eseguiti da maestranze locali su cartoni dell'artista fiorentino, il cui stile è riconoscibile dalla solidità del modellato dall'aspetto monumentale delle figure.
NellaDormitio Virginis riuscì a innovare un tema e una composizione antica grazie alla disposizione dei personaggi nello spazio. IlCrocifisso di Ognissanti, ancorain loco, fu dipinto per gliUmiliati ed è simile alle analoghe figure di Assisi tanto che si è pensato al cosiddettoParente di Giotto.
Dormitio Virginis (dettaglio)
LaMaestà dellaGalleria degli Uffizi va confrontata con due celebri precedenti diCimabue eDuccio di Buoninsegna, nella stessa sala del Museo, per comprenderne la modernità di linguaggio. Il trono di gusto gotico in cui si inserisce la figura possente e monumentale di Maria è disegnato con una prospettiva centrale, la Vergine è accerchiata da una schiera di angeli e da quattro santi che si stagliano evidenziandosi plasticamente dal fondo oro.
Nel 1318, secondo quanto attestaGhiberti, cominciò a dipingere quattro cappelle e altrettanti polittici per quattro diverse famiglie fiorentine nella chiesa dei francescani diSanta Croce: laCappella Bardi (Vita di San Francesco), laCappella Peruzzi (Vita di San Giovanni Battista e di San Giovanni Evangelista più il polittico conTaddeo Gaddi), e le perdute Cappelle Giugni (Storie degli Apostoli) e Tosinghi Spinelli (Storie della Vergine) di cui rimane l'Assunta delMaestro di Figline. Di queste cappelle tre erano situate nella zona alla destra della cappella centrale e una in quella alla sinistra: restano solo le prime due a destra: le Cappelle Bardi e Peruzzi.
Assunzione di san Giovanni Evangelista, Cappella Peruzzi
LaCappella Peruzzi, con gli affreschi dellaVita di San Giovanni Battista e di San Giovanni Evangelista, ebbe una grande considerazione anche nelRinascimento; lo stato di conservazione attuale è fortemente compromesso da diversi fattori succedutisi nel tempo, ma non impedisce di vedere la qualità delle figure rese plasticamente da un attento uso del chiaroscuro e caratterizzate dallo studio approfondito dei problemi di resa e rappresentazione spaziale.
I brani più suggestivi sono le stupende architetture degli edifici contemporanei dilatati in prospettiva che continuano, anche, oltre le cornici delle scene fornendo un'istantanea dello stile urbanistico del tempo di Giotto. All'interno di queste quinte prospettiche, si sviluppano le storie sacre composte in maniera calibrata nel numero e nel movimento dei personaggi. Le architetture sono inoltre disposte in maniera più espressiva, con vivi spigoli che forzano alcune caratteristiche delle scene.
Si nota un'evoluzione dello stile di Giotto, con panneggi ampi e debordanti come mai visto prima che esaltano la monumentalità delle figure.
La sapienza compositiva di Giotto divenne motivo di ispirazione per artisti successivi come ad esempioMasaccio per gli affreschi dellaCappella Brancacci nellaChiesa del Carmine (che copiò per esempio i vecchioni nella scena dellaResurrezione di Drusiana) eMichelangelo ben due secoli dopo, che ne copiò varie figure.
Dalla stessa cappella proviene ilPolittico Peruzzi che fu smembrato e disperso in diverse collezioni fino al ricongiungimento nell'attuale collocazione presso ilMuseo d'arte della Carolina del Nord diRaleigh che rappresenta laMadonna con figure di Santi tra cui i due Giovanni e San Francesco, lo stile figurativo è simile a quello della cappella anche se i santi sono inseriti in un contesto neutro e non ricco di elementi decorativi ma, comunque, molto saldi nella loro volumetria.
Completata la Cappella Peruzzi attese probabilmente ad altri lavori a Firenze, in massima parte perduti, come l'affresco della cappella maggiore dellaBadia Fiorentina, di cui restano alcuni frammenti, come laTesta di pastore allaGalleria dell'Accademia.
L'altra Cappella di Santa Croce è laBardi che narra episodi dellaVita di San Francesco e figure diSanti francescani. Fu recuperata nel 1852 dopo uno scialbo operato nel Settecento ed è interessante notare le differenze stilistiche con l'analogo ciclo assisiano di più di venti anni prima, a fronte di un'iconografia sostanzialmente identica.
Giotto preferì dare maggiore importanza alla figura umana, accentuandone i valori espressivi, probabilmente, per assecondare la svolta in senso pauperistico deiConventuali operata in quegli anni. Il santo appare insolitamente imberbe in tutte le storie.
Le composizioni sono molto semplificate (c'è chi parla di "stasi inventiva" del maestro), ed è la disposizione delle figure a dare il senso della profondità spaziale come nel caso delleEsequie di San Francesco. Più notevole è però la resa delle emozioni con gesti eloquenti, come quelli dei confratelli che si disperano davanti alla salma distesa, con gesti ed espressioni incredibilmente realistici.
Sull'altare dellaCappella Baroncelli (poi affrescata daTaddeo Gaddi) è situato ilPolittico databile al 1328, mancante della cuspide che si trova nellaTimken Art Gallery diSan Diego (California), mentre la cornice originale è stata sostituita da una quattrocentesca. Il soggetto rappresentato è l'Incoronazione della Vergine attorniata da un'affollataGloria di Angeli e Santi.
Nonostante la 'firma' (Opus Magistri Iocti; la formulaopus + genitivo è esemplata, come ha brillantemente argomentatoMaria Monica Donato, sulle sottoscrizioni apocrife di Fidia e di Prassitele apposte sulle basi deiDioscuri di Montecavallo[12]), il ricorso agli aiuti per l'esecuzione è ampio e c'è un accentuato gusto scenografico e cromatico, creato da un'infinità di tinte finissime. La profondità è invece minore, visto che lo spazio è riempito di figure, che sono varie sia per le tipologie dei volti sia per le espressioni.
Di questo periodo sono conservate molte altre tavole giottesche, spesso parti di polittici smembrati, nei quali si presenta sempre il problema dell'autografia che non è mai sicura.
Il polittico venne ideato dal maestro, ma dipinto insieme agli aiuti, ed è caratterizzato da una grande varietà cromatica a scopo decorativo; l'importanza del luogo a cui era destinata imponeva l'uso del fondo oro dal quale le figure monumentali si stagliano con grande sicurezza. Dipinto su entrambi i lati rappresenta sul verso ilCristo in trono con i martiri diSan Pietro e diSan Paolo (simboli della Chiesa stessa), sul rectoSan Pietro in Trono, negli scomparti e nelle predelle laVergine col bambino in Trono con diverse figure diSanti e Apostoli.
Secondo Vasari, Giotto sarebbe rimasto a Roma sei anni, eseguendo poi anche commissioni in molte altre città italiane, fino alla sede papale diAvignone. Il biografo aretino citò anche opere non giottesche, ma comunque descrisse un pittore moderno, impegnato su diversi fronti e circondato da molti aiuti.
In seguito tornò a Firenze, dove affrescò la già menzionataCappella Bardi. Poco prima della sua partenza da Firenze nel 1327, l'artista si iscrisse per la prima volta all'Arte dei Medici e Speziali insieme agli allievi più fedeliBernardo Daddi eTaddeo Gaddi che lo seguirono nelle ultime imprese.
Nel 1328, dopo aver terminato ilPolittico Baroncelli, venne chiamato dal reRoberto d'Angiò aNapoli e vi rimase fino al 1333, insieme alla nutrita bottega. Il Re lo nominò "famigliare" e "primo pittore di corte e nostro fedele" (20 gennaio 1330[13]), a testimoniare l'enorme considerazione che Giotto aveva ormai raggiunto. Gli assegnò anche uno stipendio annuo.
La sua opera è molto ben documentata (ne rimane il contratto, utilissimo per conoscere come era strutturato il lavoro nella sua bottega), ma a Napoli rimane oggi molto poco dei suoi lavori: un frammento di affresco raffigurante laLamentazione sul Cristo Morto inSanta Chiara e le figure diUomini Illustri dipinte negli strombi delle finestre della Cappella di Santa Barbara inCastelnuovo (purtroppo andati distrutti nelXVII secolo, durante i rimaneggiamentibarocchi della cappella avvenuti per volontàvicereale, e solo frammentariamente tornati alla luce dopo l'eliminazione delle superfetazioni barocche), che per disomogeneità stilistiche sono attribuibili ai suoi allievi. Sempre aCastelnuovo, nellaSala Major Roberto commissionò affreschi su tutte le pareti della sala del trono, che ritraessero sempreUomini Illustri, questa volta legati agli eroi dell'antichità e dell'Alto Medioevo (Alessandro Magno,Cesare,Carlo Magno) e le loro rispettive compagne, tema molto caro alle dinastie di origini francesi.
Dopo il 1333 si recò aBologna, dove rimane ilPolittico firmato proveniente dallachiesa di Santa Maria degli Angeli, su fondo oro, con lo scomparto centrale raffigurante laMadonna in trono e santi, tutte figure solide, come consuetudine in questa fase ultima della sua attività, dai panneggi fortemente chiaroscurati, dai colori brillanti e con un linguaggio che lo avvicina alla cultura figurativa padana come nella figura di Michele Arcangelo che ricorda gli angeli diGuariento.
Non resta traccia, invece, della presunta decorazione dellaRocca di Galliera del legato pontificioBertrando del Poggetto, ripetutamente distrutta dai bolognesi.
Trascorse gli ultimi anni lavorando anche come architetto, quasi sempre a Firenze dove è nominato il 12 aprile 1334Capomaestro dell'Opera diSanta Reparata (cioè dei cantieri aperti inpiazza del Duomo) e soprintendente delle opere pubbliche del Comune. Per questo incarico percepiva uno stipendio annuo di cento fiorini. SecondoGiovanni Villani cominciò il 18 luglio dello stesso anno il lavoro di fondazione delcampanile del Duomo che diresse fino alla costruzione dell'ordine inferiore con i bassorilievi.
Prima del 1337, data della morte, andò aMilano pressoAzzone Visconti, ma le opere di questa fase sono tutte scomparse. Rimase però traccia della sua presenza soprattutto nell'influenza esercitata sui pittori lombardi del Trecento, come laCrocifissione dellachiesa di San Gottardo in Corte.
L'ultima opera fiorentina terminata dagli aiuti è laCappella del Podestà nelpalazzo del Bargello, dove è presente un ciclo di affreschi, oggi in cattivo stato di conservazione (anche per errati restauri ottocenteschi), che raffiguraStorie della Maddalena eIl Giudizio Universale. In questo ciclo è famoso il più antico ritratto diDante Alighieri, dipinto senza il tradizionalenaso aquilino.
Morì l'8 gennaio 1337 (ilVillani riporta la data della morte avvenuta alla fine del 1336 secondo ilcalendario fiorentino) e venne sepolto inSanta Reparata con una cerimonia solenne a spese del Comune.
Giotto divenne già in vita un artista simbolo, un vero e proprio mito culturale, detentore di una considerazione che non mutò, anzi crebbe nei secoli successivi.
Giovanni Villani scrisse: "Il più sovrano maestro stato in dipintura che si trovasse al suo tempo, e quegli che più trasse ogni figura e atti al naturale".
PerCennino Cennini: "Rimutò l'arte del dipingere di greco in latino e ridusse al moderno"[14] alludendo al superamento degli schemi bizantini e all'apertura verso una rappresentazione che introduceva il senso dello spazio, del volume e del colore anticipando i valori dell'età dell'Umanesimo.
Berenson considera evidente la figura di Giotto come anticipatore delRinascimento[15]. Secondo questa visione egli per primo riveste di una corporeità realistica la rappresentazione pittorica delle figure umane andando oltre lo ieratismo bizantino e mostrando i sentimenti realisticamente espressi negli atteggiamenti e nei lineamenti del volto. Inoltre egli introduce (o reintroduce dopo la pittura greco-romana) lo spazio in pittura servendosi di una prospettiva non ancora evoluta ma efficace. Le architetture dipinte da Giotto assumono un valore realistico come concreti spazi abitabili e non più simbolici come erano con Cimabue. I personaggi dei suoi dipinti sono connotati psicologicamente e segnano i primi tentativi di una laicizzazione della pittura. Tutti questi temi, ripresi e sviluppati daMasaccio negli affreschi dellaCappella Brancacci, apriranno così le porte al Rinascimento vero e proprio.
Profittevoli in particolare furono per Giotto i soggiorni a Roma, che gli offrirono la possibilità di un confronto con la classicità, ma anche con artisti come lo scultoreArnolfo di Cambio e i pittori della scuola locale:Pietro Cavallini,Jacopo Torriti eFilippo Rusuti, animati dallo stesso spirito di innovazione e sperimentazione che avevano messo in atto lavorando nei cantieri delle grandi Basiliche inaugurati daNiccolò III e daNiccolò IV.
Mentre il sistema diDante Alighieri ha una struttura dottrinale modellata sul pensiero diSan Tommaso d'Aquino, il sistema di Giotto ha una struttura etica che ha la sua fonte inSan Francesco d'Assisi. Il linguaggio giottesco è gotico ed elimina dalla cultura gotica europea quanto di bizantino era rimasto. Per Giotto il fatto storico è quello che attua e rivela un disegno divino e il suo modo di pensarestorico è un modo antico e cristiano: per Giotto l'antico è esperienza storica da investire nel presente. Lanaturalezza, cifra caratteristica dell'artista, è recuperata dall'antico attraverso il processo intellettuale del pensiero storico.[16]
Suo allievo fuGiottino, figlio adottivo di Giotto. Il padre biologico di Giottino sembra essere Stefano Tolomelli, per questo secondo le fonti Giottino si sarebbe firmato come Giottino di Stefano. Rimangono a tutt'oggi dubbie le fonti che insinuerebbero che Giotto avrebbe ripudiato uno dei suoi figli in favore di Giottino, più abile e capace nel disegno.
IlVasari, nell'intestazione del libro dedicato a Giotto nelleVite, lo indicò come "pittore, scultore et architetto", accennando a vari progetti di edifici. Sebbene tale notizia trovi conferma anche nelle fonti trecentesche, è solo dal 1963 che si tentò di sistemare criticamente tale aspetto, grazie ai contributi di Gioseffi. Basandosi sul presupposto che le frequenti architetture dipinte nelle opere dell'artista potessero essere idee di edifici reali, si è cercato di trovare le caratteristiche stilistiche di possibili progetti architettonici di Giotto, al netto delle modifiche e delle aggiunte successive avvenute nei secoli[17].
Forse autore dell'edificio dellacappella dell'Arena a Padova, forse del primitivoponte alla Carraia a Firenze e della perdutaFortezza Augusta aLucca, il progetto che più è legato, anche nel nome, a Giotto è ilcampanile di Santa Maria del Fiore. Già riferito all'autore dall'anonimo commentatore fiorentino dellaCommedia (1395-1400 circa), è citato poi nelCentiloquio diAntonio Pucci, che gli attribuisce anche i primi rilievi decorativi, dalGhiberti e da altri, che parlano della sua ideazione e della conduzione del cantiere fino al primo ordine. Una pergamena nelMuseo dell'Opera del Duomo di Siena conserva uno schema del campanile che alcuni ritengono legato al progetto originario di Giotto, ipotesi però controversa e non accettata da tutti gli studiosi. Le idee di Giotto si baserebbero sull'esempio diArnolfo di Cambio e sarebbero improntate a un'audacia sul piano statico che tende a ridurre lo spessore delle parti portanti[17].
Ragghianti attribuì a Giotto il disegno dei primi rilievi diAndrea Pisano e altri, tra cui laCreazione di Adamo edi Eva, ilLavoro dei progenitori, laCaccia, laMusica e laVendemmia. In base a una nota diVasari è stato attribuito a Giotto anche il disegno del monumento e dei rilievi dellaTomba Tarlati nelDuomo di Arezzo[17].
Giotto aveva completato le numerose commissioni della sua bottega utilizzando un'organizzazione del lavoro impostata secondo una logica diremmo oggi "imprenditoriale", che prevedeva il coordinamento del lavoro di numerosi collaboratori. Questo metodo, prima usato solo nei cantieri architettonici e dalle maestranze di scultori e scalpellini attivi nelle cattedraliromaniche egotiche, fu una delle maggiori innovazioni apportate in pittura dalla suaéquipe, e spiega anche la difficoltà di lettura e di attribuzione di molte sue opere.
Vasari citò i nomi di alcuni dei più stretti aiutanti, non tutti celebri:Taddeo Gaddi,Puccio Capanna,Ottaviano da Faenza,Guglielmo da Forlì, attraverso cui, insieme con l'opera di un misteriosoAugustinus, l'influenza di Giotto arrivò allascuola forlivese. A questi bisogna aggiungere i molti seguaci e continuatori del suo stile che crearono delle scuole locali nelle zone dove era transitato.
L'influenza di Giotto si estese, poi, anche alle scuole settentrionali come dimostra l'arte, successiva di due generazioni, diAltichiero,Guariento eGiusto de' Menabuoi. Anche aNapoli la presenza di Giotto lasciò un'impronta duratura, come si evince dalle opere di artisti qualiRoberto d'Oderisio (attivo dagli anni trenta del Trecento e menzionato fino al 1382), che decorò lachiesa dell'Incoronata con affreschi di aristocratica eleganza (oggi staccati e conservati aSanta Chiara).
Non è ancora chiaro invece il rapporto tra Giotto e lascuola romana, in particolare gli studiosi non concordano se siano stati i romani (Pietro Cavallini,Jacopo Torriti, ecc.) a influenzare Giotto e i toscani o viceversa. Gli studi più recenti sembrano propendere maggiormente per la prima ipotesi. In ogni caso le attività artistiche a Roma decaddero inesorabilmente dopo il trasferimento delpapato adAvignone nel 1309.
In definitiva quindi Giotto, con i suoi numerosi viaggi, fu il creatore di uno stile "italiano" in pittura, che venne usato daMilano aNapoli, passando per varie regioni. L'influsso di Giotto è presente anche in autori di altre scuole, come la parallelascuola senese, come dimostrano le impostazioni architettoniche di alcune opere per esempio diPietro eAmbrogio Lorenzetti. L'esperienza giottesca fu inoltre alla base della successiva rivoluzione rinascimentale fiorentina.
Nel 1937 sono stati emessi dalRegno d'Italia due francobolli su Giotto e nel 1966, in occasione del 7º centenario della nascita di Giotto, fu emesso un francobollo da 40 lire.[20][21][22] Le opere di Giotto sono state rappresentate su moltissime emissioni filateliche.
^Pur non essendoci pervenuta una qualche forma di documentazione che ne attesti inequivocabilmente la data di nascita, l'anno è nondimeno desumibile da una verseggiatura del poetaAntonio Pucci sullaCronica diGiovanni Villani, da ritenersi a parer degli esperti piuttosto attendibile. Un'ipotesi alternativa, per quanto abbastanza minoritaria tra gli studiosi, ne colloca i natali nel 1276, assecondando la cronologia che, nella seconda metà delXVI secolo, offrì ilVasari nella sua biografia dedicata all'artista, la quale però sarebbe da ritenere inattendibile qualora si dia per assodato il fatto che Giotto era almeno ventenne attorno al 1290, quando dipinse le sue prime opere.
^Giotto, sustoriadellarte.com.URL consultato il 23 febbraio 2016.
^Brandi, p. 139. «A cui si è aggiunta la proposta di Gioseffi che fosse Biagio, in seguito a un documento di Santa Maria del Fiore, in cui si parla di unBlaxio Angeli, vocato Giotto».
^Studi matematico-prospettici erano tra le attività speculative cheWitelo, scienziato presente a Viterbo, alla corte pontificia dopo la metà del XIII secolo, aveva appreso dalla scienza araba.
^Da segnalare che comunque per la critica di matrice anglosassone, l'opera non apparterrebbe a Giotto, ma a un'anonima figura che Offner denominò "Santa Maria Novella Master" (R. Offner,Giotto non-Giotto, 1939).
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