Gaṇeśa (in sanscritoगणेश),[1] talora citato initaliano comeGanescia[2] e ininglese comeGanesha oGanesh, è uno degli dei più conosciuti della religioneinduista.
Figlio primogenito diSìva ePārvati, viene raffigurato con una testa di elefante provvista di una sola zanna, ventre prominente e quattro braccia, mentre cavalca o viene servito da un topo, suo veicolo. Spesso è rappresentato seduto, con una gamba sollevata da terra e ripiegata sull'altra, nella posizione dellaLalitasana. Tipicamente, il suo nome è preceduto dal titolo di rispetto induista,Śrī.
Il culto di Gaṇeśa è molto diffuso, anche al di fuori dell'India. I devoti di Gaṇeśa si chiamanoganapatya.
Formato dalle parolesanscritegana (tanti,tutti) eisha (signore), Gaṇeśa significa letteralmente "Signore deigana" dovegana può essere interpretato come "moltitudine", facendo assumere al nome il significato di "Signore di tutti gli esseri", ma con gana nella tradizione induista si possono intendere anche dei piccoli demoni deformi che corteggianoSiva.[3]
Gaṇeśa viene a volte chiamato ancheVighnesvara, "Signore degli ostacoli",Vinayaka, "colui che rimuove" o anchePillaiyar.[3]
Come per ogni altra forma con la quale l'Induismo rappresenta gli Dei, l'aspetto personale diBrahman (detto ancheĪśvara, il Signore), anche la figura di Gaṇeśa è unarchetipo carico di molteplici significati esimbolismi che esprimono uno stato di perfezione, e il modo per raggiungerla; Gaṇeśa è infatti ilsimbolo di colui che ha scoperto la Divinità in sé stesso. Egli rappresenta il perfetto equilibrio tra energia maschile (Siva) e femminile (Śakti), ovvero tra forza e dolcezza, tra potenza e bellezza; simboleggia inoltre la capacità discriminativa che permette di distinguere la verità dall'illusione, il reale dall'irreale.
Una descrizione di tutte le caratteristiche e gli attributi di Gaṇeśa si può trovare nellaGanapati Upaniṣad (unaUpaniṣad dedicata a Gaṇeśa) delṛṣiAtharva, nella quale Gaṇeśa è identificato con ilBrahman e conĀtman.[4] In questo inno, inoltre, è contenuto uno deimantra più famosi associati a questa divinità:Om Gam Ganapataye Namah (lett.Mi arrendo a Te, Signore di tutti gli esseri).
Nei Veda si trova anche una delle più salmodiate preghiere attualmente attribuite a Gaṇeśa, che costituisce l'inizio delGanapati Prarthana:
In termini generali, Gaṇeśa è una divinità molto amata e invocata, poiché è ilSignore del buon auspicio che dona prosperità e fortuna, ilDistruttore degli ostacoli di ordine materiale o spirituale; per questa ragione se ne invoca la grazia prima di iniziare qualsiasi attività, come ad esempio un viaggio, un esame, un colloquio di lavoro, un affare, una cerimonia, o un qualsiasi evento importante. Per questo motivo è tradizione che tutte le sessioni dibhajan (canti devozionali) comincino con un'invocazione a Gaṇeśa, Signore del "buon inizio" dei canti.
È inoltre associato con il primochakra, che rappresenta l'istinto di conservazione e sopravvivenza, la procreazione e il benessere materiale.
ilventreobeso è tale poiché contiene infiniti universi, rappresenta inoltre l'equanimità, la capacità di assimilare qualsiasi esperienza con sereno distacco, senza scomporsi minimamente;
lagamba che poggia a terra e quella sollevata indicano l'atteggiamento che si dovrebbe assumere partecipando alla realtà materiale e a quella spirituale, ovvero la capacità divivere nel mondo senza essere del mondo;
lequattro braccia di Gaṇeśa rappresentano i quattro attributi interiori delcorpo sottile, ovvero:mente,intelletto,ego,coscienza condizionata;
in una mano brandisce un'accetta, simbolo della recisione di tutti i desideri, apportatori di sofferenza;
nella seconda mano stringe unlazo e unfiore di loto (padma) simbolo della forza che lega il devoto all'eterna beatitudine del Sé;
la terza mano, rivolta al devoto, è in un atto dibenedizione (abhaya);
la quarta mano tiene unpiatto di dolci, che simboleggia l'abbondanza.
La zanna spezzata di Gaṇeśa, come si è visto, indica principalmente la capacità di superare o "spezzare" la dualità; tuttavia, questo è un simbolo che può assumere vari significati.
«Un elefante ha, di norma, due zanne. Anche la mente propone spesso due alternative: quella buona e quella cattiva, l'eccellente e l'espediente, il fatto e la fantasia che la porta fuori strada. Per fare qualsiasi cosa, la mente deve comunque diventare determinata. La testa di elefante del Signore Gaṇeśa ha quindi una sola zanna per cui Egli è chiamato "Ekadantha", che significa "Colui che ha una sola zanna", per ricordare ad ognuno che si deve possedere la determinazione mentale.»
La cavalcatura di Gaṇeśa è un piccolo topo (Mushika oAkhu), che rappresenta l'ego, lamente con tutti i suoi desideri, la bramosia dell'individuo; Gaṇeśa, cavalcando il topo, diviene padrone (e non schiavo) di queste tendenze, indicando il potere che l'intelletto e la discriminazione hanno sulla mente. Inoltre il topo (per natura estremamente vorace), viene spesso raffigurato a fianco di un piatto di dolci, con lo sguardo rivolto a Gaṇeśa mentre tiene un boccone stretto tra le zampe, come in attesa di un suo ordine; rappresenta la mente che è stata completamente assoggettata alla facoltà superiore dell'intelletto, la mente sottoposta a un ferreo controllo, che fissa Gaṇeśa e non si accosta al cibo se non ne riceve il permesso. C'è anche un altro significato di Akhu, l'astuzia del topo che accompagnata alla saggezza dell'elefante fa compiere grandi imprese e, inoltre, tanto l'elefante quanto il topo, passano dappertutto, quasi senza incontrare ostacoli: uno per via della sua mole e l'altro, per la sua minutezza. Gaṇeśa, infatti, è colui che aiuta a superare gli ostacoli e viene venerato prima di iniziare qualsiasi impresa.
È interessante notare come, secondo la tradizione, Gaṇeśa sia stato generato dalla madre Pārvati senza l'intervento del marito Śiva; infatti Śiva, essendo eterno (Sadashiva), non sentiva alcuna necessità di avere figli. Così Gaṇeśa nacque dall'esclusivo desiderio femminile di Pārvati di creare. Di conseguenza, la relazione di Gaṇeśa con la propria madre è unica e speciale.
Questa devozione è la ragione per la quale la tradizione dell'India del Sud lo rappresenta come celibe (v. l'aneddotoDevozione alla Madre). Si dice che Gaṇeśa, ritenendo sua madre Parvati la donna più bella e perfetta dell'universo, abbia esclamato: "Portatemi una donna bella come lei e io la sposerò".
Nell'India del Nord, invece, Gaṇeśa è spesso raffigurato sposato alle due figlie diBrahmā:Buddhi (intelletto) eSiddhi (potere spirituale). In altre raffigurazioni le sue consorti sono:Sarasvathi (dea della cultura e dell'arte) eLakshmi (dea della fortuna e della prosperità), a simboleggiare che queste qualità accompagnano sempre colui che ha scoperto la propria divinità interiore.
L'articolatamitologia induista presenta tante storie che spiegano in che modo Gaṇeśa ottenne una testa di elefante; spesso l'origine di questo particolare attributo si trova negli stessi aneddoti che riguardano la sua nascita. Nelle storie in questione, inoltre, si raccontano anche varie ragioni che rivelano l'origine dell'enorme popolarità del suo culto.
La storia più conosciuta è probabilmente quella tratta dalloŚiva Purāṇa: una volta madre Pārvati volle fare un bagno nell'olio, ma sentendosi offesa per una precedente visita improvvisa di suo marito mentre si stava lavando, creò un ragazzo dalla farina di grano di cui si era cosparsa il corpo e gli chiese di fare la guardia davanti alla porta di casa, raccomandando di non far entrare nessuno. In quel frangente Śiva tornò a casa e, trovando sulla porta uno sconosciuto che gli impediva di entrare, si arrabbiò e lo decapitò con il suotridente. Pārvati ne fu molto addolorata e Śiva, per consolarla, inviò le proprie schiere celesti (Gana) a trovare e prendere la testa di qualsiasi creatura avessero trovata addormentata con il capo rivolto anord. Essi trovarono un giovane elefante che dormiva in tal modo, e ne presero la testa; Śiva la attaccò al corpo del ragazzo, lo resuscitò e lo chiamòGanapathi, o capo delle schiere celesti, concedendogli di essere adorato da chiunque fosse in procinto di iniziare qualsiasi attività importante.
Un'altraleggenda riguardante l'origine di Gaṇeśa narra che, una volta, ci fosse unasura (demone), dalle sembianze di elefante, chiamatoGajasura, il quale eseguì una penitenza (otāpas); Śiva, soddisfatto di questa austerità, decise di concedergli in dono qualsiasi cosa desiderasse. Il demone voleva che dal suo corpo si emanasse continuamente delfuoco, in modo che nessuno osasse avvicinarlo; il Signore glielo concesse. Gajasura proseguì la sua penitenza e Śiva, che gli appariva davanti di tanto in tanto, gli chiese nuovamente che cosa desiderasse; il demone rispose:"Io desidero che Tu risieda nel mio stomaco". Śiva esaudì la richiesta e vi prese dimora. Infatti, Śiva è anche conosciuto come Bhola Shankara, poiché è una divinità facile da propiziare; quando è soddisfatto di un devoto gli concede qualunque cosa chieda, e questo a volte genera situazioni particolarmente intricate. Fu così che Pārvati, sua moglie, lo cercò ovunque senza risultato; come ultima risorsa si recò daVisnù, chiedendogli di trovare suo marito. Egli, che conosce tutto, la rassicurò:"Non preoccuparti, tuo marito è Bhola Shankara e concede prontamente qualunque grazia il Suo devoto Gli chieda, senza prenderne in considerazione le conseguenze; per cui penso che si sia cacciato in qualche guaio. Scoprirò cosa è accaduto". Allora Visnù, l'onnisciente regista del gioco cosmico, inscenò una piccola commedia: tramutòNandi (il toro di Śiva) in un toro danzatore e lo condusse al cospetto di Gajasura, assumendo nel contempo le sembianze di un suonatore di flauto. L'incantevole esecuzione del toro mandò in estasi il demone, il quale chiese al suonatore di flauto di esprimere un desiderio; ilVisnù musicante allora rispose:"Puoi darmi quello che ti chiedo?" Gajasura replicò:"Per chi mi hai preso? Io posso darti subito qualunque cosa tu chieda". Il suonatore quindi disse:"Se è così, libera dunque dal tuo stomaco Śiva che vi si trova". Gajasura capì allora come questi non fosse altri che Visnù Stesso, l'unico che potesse conoscere quel segreto, così si gettò ai suoi piedi e, liberato Śiva, gli chiese un ultimo dono:"Io sono stato benedetto da Te con molti doni; la mia ultima richiesta è che tutti mi ricordino adorando la mia testa quando sarò morto". Śiva condusse allora lì il proprio figlio, la cui testa venne sostituita con quella di Gajasura. Da allora, inIndia è viva la tradizione per cui qualunque iniziativa, per essere prospera, deve cominciare con l'adorazione di Gaṇeśa; questo è il risultato del dono di Śiva a Gajasura.
Statua di Gaṇeśa rinvenuta inCambogia risalente alla seconda metà del X secolo a.C.; si trova alMuseo di Arte indiana diDahlem, aBerlino
Una storia poco celebre riguardante le origini di Gaṇeśa si trova nelBrahma Vaivarta Purana: Pārvati, la quale desiderava avere un figlio, decise di compiere un particolare sacrificio (punyaka vrata) per un anno, in modo da appagareVisnù. Dopo il completamento del sacrificio, il Signore donò a Pārvati un figlio. Così Pārvati ebbe un bellissimo bambino, e con grande gioia volle celebrare la miracolosa nascita. Tutti gli dei e le dee si riunirono per gioire della nascita.Shani, figlio diSūrya (il dio del sole), era presente ma si rifiutò di guardare il neonato; disturbata dal suo comportamento, Pārvati gliene chiese la ragione, e Shani rispose che a causa di una maledizione, se avesse guardato il bambino lo avrebbe ferito. In seguito all'insistenza di Pārvati, Shani volse lo sguardo e, non appena i suoi occhi si posarono sul neonato, la sua testa si dissolse all'istante. Tutte le divinità presenti si disperarono, per cui Visnù si precipitò sulle rive del fiumePushpabhadra e tornò con la testa di un cucciolo di elefante, e la unì al corpo del bambino infondendogli nuova vita. Visnù benedisse il bambino, promettendogli che egli sarebbe stato adorato prima di qualunque altra divinità, e che sarebbe stato il migliore tra gliyogi; allo stesso modo Śiva lo pose a capo delle sue truppe e lo benedisse, affermando che qualsiasi ostacolo, di qualsiasi entità, sarebbe stato superato pregando Gaṇeśa.
La prima parte del poema epico delMahābhārata dichiara che il saggioVyāsa chiese a Gaṇeśa di trascrivere il poema sotto la sua dettatura; Gaṇeśa acconsentì, ma solo alla condizione che Vyāsa avrebbe dovuto recitare il poema ininterrottamente, senza alcuna pausa. Il saggio, allora, pose a propria volta un'ulteriore condizione: Gaṇeśa avrebbe non solo dovuto scrivere, ma comprendere tutto ciò che udiva ancor prima di scriverlo. In questo modo Vyāsa avrebbe potuto riprendersi un poco dal suo continuo parlare, semplicemente recitando un verso difficile da capire. La dettatura cominciò, ma nella foga della scrittura il pennino di Gaṇeśa si ruppe, così egli si spezzò una zanna e la usò come penna affinché la trascrizione potesse andare avanti senza interruzioni, così da permettergli di mantenere la parola data.[6]
Un giornoParashurama, unavatar diVisnù, si recò a fare visita a Śiva, ma lungo la strada fu bloccato da Gaṇeśa. Parashurama si scagliò contro di lui con la suaascia, e Gaṇeśa (sapendo che quell'ascia gli era stata donata da Śiva) acconsentì a farsi colpire, perdendo così una zanna che fu tagliata.
Si racconta che un giorno Gaṇeśa, dopo aver ricevuto da moltissimi adoratori una gran quantità di dolci (Modak), per digerire meglio quell'impressionante mole di cibo, decise di fare una passeggiata; salì sul topo che utilizza come veicolo e partì. Era una notte magnifica e la Luna splendeva. All'improvviso spuntò unserpente che spaventò a morte il topo, il quale sussultando fece cadere il suo cavaliere. Il grosso stomaco di Gaṇeśa venne schiacciato e, troppo pieno, scoppiò; tutti i dolci che aveva mangiato si sparsero attorno a lui. Tuttavia, egli era troppo intelligente per prendersela a causa di questo incidente, per cui senza perdere tempo in inutili lamentele, si preoccupò soltanto di risolvere al meglio la situazione: prese il serpente che aveva causato l'incidente e lo utilizzò come cintura per tenere chiuso il suo addome e bendare la ferita; e, soddisfatto, salì nuovamente sul topo e riprese il suo giro.Chandra, ildeva dellaLuna, nel vedere la buffa scena scoppiò a ridere e si prese gioco di Gaṇeśa; questi allora ritenne giusto punire ildeva per la sua arroganza, quindi si spezzò una zanna e la lanciò contro la Luna spaccandone a metà il viso luminoso. Egli la maledisse, decretando che chiunque l'avesse guardata sarebbe stato perseguitato dalla sfortuna. Chandra, rendendosi conto del proprio errore, chiese perdono e pregò Gaṇeśa di ritirare la maledizione; ma una maledizione non può essere revocata, soltanto attenuata, così Gaṇeśa condannò la Luna a crescere e calare in intensità secondocicli di 15 giorni, e stabilì che chiunque l'avesse guardata durante la festività diVinayaka Chaturthi sarebbe stato colpito dalla sfortuna. Così, in certi momenti la luce della Luna si sarebbe spenta, per poi ricominciare poco a poco ad apparire; ma la sua faccia sarebbe rimasta intera soltanto per un brevissimo periodo di tempo, perché poi si sarebbe nuovamente "spaccata" fino a scomparire.
Una volta fu indetta una grande gara tra iDeva per scegliere tra essi il capo deiGaṇa (le truppe di semidèi al servizio di Śiva). I concorrenti avrebbero dovuto fare velocemente il giro del mondo e ritornare ai Piedi di Śiva. Gli Dei partirono sui propri veicoli, ed anche lo stesso Gaṇeśa partecipò con entusiasmo alla gara; ma aveva una grossa corporatura, e per veicolo un topo. Naturalmente, procedeva con notevole lentezza e ciò gli era di grande svantaggio. Non aveva ancora fatto molta strada, quando gli apparve davanti il saggioNarada (figlio diBrahmā), che gli chiese dove fosse diretto. Gaṇeśa fu molto seccato e andò su tutte le furie, poiché era considerato infausto il fatto che, non appena s'iniziasse un viaggio, si incontrasse unBrahmino solitario. Nonostante Narada fosse il più grande dei bramini, figlio dello stesso Brahma, ciò rimaneva comunque di cattivo auspicio. Inoltre, non era considerato buon segno ricevere la domanda "Dove sei diretto?" quando ci si stava dirigendo da qualche parte; quindi Gaṇeśa si sentì doppiamente sfortunato. Tuttavia, il grande brahmino riuscì a calmare la sua collera. Il figlio di Śiva gli raccontò il motivo della sua tristezza e il suo desiderio di vincere; Narada lo consolò, esortandolo a non disperarsi, e gli diede un consiglio:
"Così come un grande albero nasce da un singolo seme, il nome diRāma è il seme da cui si è sprigionato quell'immenso albero chiamato Universo. Perciò, scrivi per terra il nome "Rama", fai un giro intorno ad esso, e precipitati da Śiva a reclamare il tuo premio."
Gaṇeśa tornò da suo padre, il quale gli chiese come avesse potuto fare così in fretta. Rispose, raccontandogli la storia ed il suggerimento di Narada; Śiva, soddisfatto della saggia risposta alla sua domanda, dichiarò vincitore suo figlio il quale da quel momento fu acclamato con il nome diGanapati (Conduttore delle schiere celesti) eVinayaka (Maestro di tutti).
Gaṇeśa è anche il distruttore della vanità, dell'egoismo e dell'orgoglio.
Un aneddoto tratto daiPurāṇa narra che il tesoriere diSvarga (il paradiso) e dio della ricchezza,Kubera, si recò un giorno sul monteKailāśā per ricevere ildarshan (la visione) diŚiva. Poiché era molto vanitoso, lo invitò a una cena nella sua sfarzosa città,Alakapuri, in modo da potergli esibire tutte le sue ricchezze. Śiva sorrise e gli disse:"Non posso venire, ma puoi invitare mio figlio Gaṇeśa. Ti avverto che è un vorace mangiatore!". Per nulla preoccupato, Kubera si sentiva pronto a soddisfare con la sua opulenza anche una fame insaziabile come quella di Gaṇeśa. Prese con sé il piccolo figlio di Śiva e lo portò nella sua città; lì gli offrì un bagno cerimoniale e lo rivestì di abiti sontuosi. Dopo questi riti iniziali, iniziò il grande banchetto. Mentre la servitù di Kubera si impegnava al massimo per servire tutte le portate, il piccolo Gaṇeśa si mise a mangiare, mangiare e mangiare... Il suo appetito non si arrestò neppure dopo aver divorato i piatti destinati agli altri ospiti; non c'era nemmeno il tempo di sostituire una portata all'altra, che Gaṇeśa aveva già divorato tutto e, con segni di impazienza, attendeva nuovo cibo. Divorato tutto quanto era stato preparato, Gaṇeśa prese a mangiare decorazioni, suppellettili, mobili, lampadari... Atterrito, Kubera si prostrò davanti al piccolo onnivoro e lo supplicò di risparmiargli il resto del palazzo. "Ho fame. Se non mi dài altro da mangiare, divorerò anche te!", disse a Kubera. Questi, disperato, si precipitò sul monte Kailasa per chiedere a Śiva un rimedio urgente. Il Signore gli diede allora una manciata diriso abbrustolito, dicendo che quello l'avrebbe saziato; Gaṇeśa aveva già ingurgitato quasi tutta la città, quando Kubera gli donò umilmente il riso. Con quel cibo, finalmente Gaṇeśa si saziò e si calmò.
Una volta, da bambino, il piccolo Gaṇeśa stava giocando con ungatto e inavvertitamente lo ferì. Quando tornò a casa, trovò la madreParvati dolorante e ferita; le chiese come si fosse fatta male, ed ella rispose che la responsabilità non era di altri se non dello stesso Gaṇeśa. Sorpreso, egli le domandò quando questo fosse successo. Parvati spiegò che, in quanto "Energia Divina" (oShakti), lei èimmanente in tutti gli esseri; quando Gaṇeśa ferì il gatto, anche Parvati fu ferita. Gaṇeśa si rese conto che tutte le donne erano unicamente manifestazioni di sua Madre, e decise di non sposarsi. Fu così che rimase unBrahmachari, ovvero "celibe a vita"; ma d'altronde, non avendo desideri, Gaṇeśa non sentiva alcuna necessità di avere delle mogli o dei figli.
Il Signore la cui forma è OM
Omkara Ganesha è anche definitoOmkara oAumkara, ovvero "avente la forma dellaOṃ (o Aum)". Infatti, la forma del suo corpo ricalca il contorno della letterasanscrita che indica il celeberrimoBija Mantra; per questo Ganesha è considerato l'incarnazione delCosmo intero, Colui che sta alla base di tutto ciò che è manifesto (Vishvadhara,Jagadoddhara).La sacra sillabaAum inlingua tamil.
Inlingua tamil, la sacra sillaba è indicata da un carattere la cui forma ricorda la sagoma della testa d'elefante di Ganesha. Questo particolare è simbolo dell'identificazione di Ganesha con la Om, l'identificazione diDio con ilVerbo ("In principio era il Verbo, / il Verbo era presso Dio / e il Verbo era Dio."Giovanni 1,1), ovvero il suono primordiale che da Lui scaturisce generando l'intero universo manifesto.
Statua di Gaṇeśa fotografata aLondra durante la festa diDipavali
Come per tutte le altreMurti induiste, anche Gaṇeśa è invocato attraverso innumerevoli appellativi che si riferiscono ai suoi attributi e caratteristiche. Alcuni di essi:
Un'altramurti molto amata è quella diBala Gajanana oBala Gaṇeśa (lett.piccolo Gaṇeśa oGaṇeśa bambino), in cui un giovanissimo Gaṇeśa dalla piccola proboscide e dai grandi occhi viene raffigurato in braccio ai Genitori Divini, oppure mentre abbraccia dolcemente ilLingam, simbolo di Śiva.
Nell'India del Sud, si festeggia un'importante festività in onore di Gaṇeśa. Anche se è particolarmente popolare nello stato delMaharashtra, la si esegue in tutta l'India. Si celebra in dieci giorni, cominciando daVinayaka Chaturti. Fu introdotta daBalgangadhar Tilak come mezzo per promuovere sentimenti nazionalistici quando l'India era occupata dagliInglesi. Questo festival si celebra e culmina nel giorno di Ananta Chaturdashi quando la murti diShri Gaṇeśa è immersa nella più vicina riserva d'acqua: aBombay la murti viene immersa nelMare Arabico, aPune nel fiume Mula-Mutha, mentre in varie città indiane del nord e dell'est, comeKolkata, le murti sono immerse nel sacro fiumeGange.
Statua relativamente recente di Gaṇeśa
Le rappresentazioni di Gaṇeśa si basano susimbolismi religiosi antichi migliaia di anni che culminano nella figura di una divinità dalla testa di elefante. In India le statue sono espressioni di significati simbolici e quindi non sono mai state spacciate comerepliche esatte di una figura vivente. Gaṇeśanon è visto come un'entità fisica, ma come un più elevato essere spirituale e le murti (rappresentazioni scultoree) hanno la funzione di simboleggiare la divinità come figura ideale. L'errore più comune per la concezionegiudaico-cristiana occidentale è scambiare il concetto dimurti con quello diidolo (culto ad oggetti fine agli oggetti di per sé stessi); c'è una profonda differenza tra i due, poiché presso la filosofia induista le murti sono punti di focalizzazione simbolica attraverso i quali è possibile raggiungere la Divinità. Per questa ragione si intraprende l'immersione delle murti di Gaṇeśa nei fiumi più vicini, poiché questo simboleggia il fatto che esse permettono una comprensione solo temporanea di un Essere superiore; questa concezione è pertanto opposta a quella di idolo, che tradizionalmente indica il culto ad un oggetto per l'oggetto stesso, considerato divino.
Il culto di Gaṇeśa inGiappone è stato datato all'anno806.
Celebrazioni a Gaṇeśa eseguite dalla comunità indiana aParigi,Francia
Recentemente, si è verificata una rinascita del culto di Gaṇeśa e si è sviluppato un interesse sempre crescente verso questa divinità nel mondo occidentale, in seguito ad un'"inondazione" di presuntimiracoli: secondo la rivistaHinduism Today ed il libroGaṇeśa, Remover of Obstacles (diManuela Dunn Mascetti), il 21 settembre1995 le statue di Gaṇeśa in India avrebbero cominciato spontaneamente a bere latte, ogni volta che un cucchiaio veniva posto davanti alla bocca di ogni statua per onorare il Dio-elefante. È riportato che il fenomeno si allargò e si verificò anche in altri luoghi, daNuova Delhi aNew York,Canada,Mauritius,Kenya,Australia,Bangladesh,Malaysia,Regno Unito,Danimarca,Sri Lanka,Nepal,Hong Kong,Trinidad e Tobago,Grenada eItalia. Questi avvenimenti furono considerati miracolosi da molte persone, e vennero interpretati come un ricordo della giocosità di Gaṇeśa, del suo amore per i giochi e gli scherzi.
Nel noto cartone animatoI Simpson, Gaṇeśa è una delle divinità venerate dal negoziante indianoApu con una statuetta nel suo market. Durante il matrimonio di Apu, Homer si traveste da Gaṇeśa per impedire le nozze, venendo però scoperto a causa della sua goffaggine (Tu non sei Gaṇeśa, Gaṇeśa è aggraziato!, esclamerà un ospite del matrimonio).
Gaṇeśa è il nome di un personaggio della serie di videogiochipicchiaduroBloody Roar, avente la capacità di assumere le sembianze di un elefante.
«Perciò non contavo su di me, quanto volgevo a chi mi protegge e talora mi guida: la serenità dell'Arcangelo, la potenza di Ganescia, l'amore di Magì.»
^Contrariamente all'opinione popolare, il vero Induismo non è népoliteista némonoteista, ma è propriamente una religioneenoteista: i diversi aspetti e forme diDio (tra cui gliAvatar e iDeva) sono considerati come infinite emanazioni delBrahman (principio impersonale e fondante di ogni realtà, da cui hanno origine tutti i mondi e gli esseri), create per rendere lo stesso Brahman accessibile all'uomo.
^"O Ganapati! Tra noi tuoi devoti, Tu sei il nostro maestro. Salve a te.Tra coloro che sono saggi, Tu sei il più saggio.Tra coloro che sono in alto, Tu sei il più alto Signore.Tra i gloriosi, Tu sei il più glorioso.Tra le anime, Tu sei la Suprema anima.Con questa preghiera, Signore, Ti chiediamo di benedirci con la tua presenza per darci la tua protezione.".
^Cfr. le altre tradizioni indeuropee nelle quali unamutilazione è conseguenza del mantenimento della parola data (ad es. il dioTyr nellamitologia norrena).
La maggior parte dei documenti su Gaṇeśa è in sanscrito. Una raccolta di documenti si trova sul sitoSanskrit Documents e sempre sullo stesso sito alcuni documenti etraduzioni in inglese.
Giuliano Boccali e Cinzia Pieruccini,I Dizionari delle Religioni: Induismo, a cura di Matilde Battistini, Verona, Mondadori Electa, 2008,ISBN978-88-370-4687-3.
Alain Daniélou,Le polythéisme hindou, Parigi, 1960, pp. 443–452.