Francesco Mastriani (Napoli,23 novembre1819 –Napoli,6 gennaio1891) è stato unoscrittoreitaliano, autore diromanzi d'appendice di grande successo. Fu inoltredrammaturgo egiornalista.
Mostrò fin dagli esordi letterari grande attenzione nei confronti delleclassi subalterne napoletane. Benché la suanarrativa, pittoresca e consolatoria (ma non corriva), non abbia quasi spessorepolitico (per lui si è parlato di un genericosocialismocristiano e di «bassoromanticismo»), diede un grande contributo alla nascita delmeridionalismo e gettò le basi per la nascita delverismo.
Nacque da agiata famigliaborghese. I suoi genitori erano Filippo M. e Teresa Cava, che aveva avuto già due figli (Vincenzo e Gennaro) da una precedente unione con Raffaele Giardullo; Francesco fu il terzo dei sette figli che la Cava diede a Filippo M. (gli altri erano ilprimogenito e il secondogenito Giuseppe e Ferdinando, cui seguirono Francesco, appunto, Giovanni, Raffaele, Marianna e Rachele).
La sua formazioneletteraria consistette, oltre che nel regolare corso di studi (dal1825 fu allievo dell'istituto di don Raffaele Farina), nelle più disparate e voraci letture; nel1835 pare avesse terminato di leggere tutta labiblioteca di classici, tra cui moltifrancesi espagnoli, del maestro, 400 volumi; tra le sue letture, non tutte di prim'ordine, si accavallanoLa nouvelle Eloise diJean-Jacques Rousseau,I martiri diFrançois-René de Chateaubriand, tutti iromanzi di D'Arlincourt, laMathilde diSophie Cottin, letragedie diVittorio Alfieri, laCommedia diDante Alighieri, le opere diWilliam Shakespeare. Nello stesso anno intraprese lo studio delgreco e deltedesco.Tra gli scrittori napoletani, concorsero alla sua formazioneBasilio Puoti,Francesco de Sanctis eSaverio Costantino Amato (pel quale ebbe speciale affetto ed ammirazione)[1].
Nel1836 Teresa Cava morì. Nello stesso anno Mastriani si piegò al volere del padre impiegandosi presso laSocietà Industriale Partenopea diretta daCarlo Filangieri.
Nel1837 si iscrisse allafacoltà di medicina, che avrebbe frequentato per qualche anno, interrompendo tuttavia gli studi per dedicarsi ad un'intensa collaborazione giornalistica con varigiornali, già cominciata alla fine deglianni trenta, ma destinata ad intensificarsi dopo la morte del padre, avvenuta il 21 aprile1842. In seguito a questo lutto lasciò l'abitazione paterna in via Concezione Montecalvario al numero 52, trasferendosi alla Salita Infrascata (oggi via Salvator Rosa) 271.
Il 30 agosto1840 aveva conosciuto in casa di un cugino la cugina e futura moglie Concetta Mastriani, con cui si sarebbe fidanzato il 4 agosto1844, sposandola verosimilmente tra la fine del 1844 e l'inizio del1845. Nello stesso periodo lasciò laSocietà Industriale Partenopea, dedicandosi esclusivamente all'insegnamento privato di lingue straniere. Come ricordaLuigi Russo (neI narratori) la frenetica attività letteraria degli anni seguenti (il figlio ebiografo Filippo Mastriani ha censito 900 titoli, di cui 107 romanzi), per cui provvedeva personalmente a procurarsi la ricca e disordinata documentazione necessaria ai suoi romanzi (in questo differenziandosi dagli omologhi scrittori "industriali" d'Oltralpe, che ricorrevano anègres), non gli avrebbe mai consentito di affrancarsi completamente da un lavoro remunerato, innanzitutto le lezioni private, e poi un modesto impiego alladogana.
Matilde Serao, nel suoarticolo commemorativo per la scomparsa del Mastriani (1891), fa compiaciuto riferimento alla sua totale indipendenza dai circoliaccademici edartistici, e all'energia con cui diede vita al proprio smisurato mondo letterario. Nelle ore libere arrotondava il magrostipendio facendo anche daguida turistica per gli stranieri di passaggio, un mezzo per perfezionare e apprendere ilfrancese, l'inglese, iltedesco e lospagnolo.
Cominciò nel 1837 a scrivere articoli dicostume per "Il Sibilo", giornale napoletano "di mode e di teatri" (che cessò la pubblicazione nel1846). Dopo un profluvio diprose e articoli di costume, nel1838 stampò su quelle pagine la sua prima operanarrativa, lanovellaIl diavoletto. Parte della sua prima produzionegiornalistica, in particolare quella relativa ai primissimi anni di collaborazione (1837-'39), sarà da lui stessoantologizzata nei due volumi diNovelle Scene Racconti (1869-'70): si tratta di unaletteratura ancora sostanzialmente ancorata ai modi di unromanticismo manierato, aperto albizzarro e alpittoresco. Nel1845 si trasferisce in un casinetto allo Scudillo, dove, il 27 aprile1846 vede la luce la primogenita Sofia; qui si dedica alla stesura del primo romanzo,Sotto altro cielo (1847), digeneregotico. Dello stesso 1847 è la pubblicazione diLazzaro. Racconto, e l'impiego presso ladirezione delquotidianoIl Tempo, specialmente cometraduttore dal francese e dall'inglese.
Molto forte, parallelamente, fu l'interesse del Mastriani per ilteatro, una passione che coltivò sino alla fine; molto spesso si trattava di rielaborazioni delle sue opere narrative, come nel caso diVito Bergamaschi, novella in due capitoli per "Il Sibilo", adattata per le scene in collaborazione con Francesco Rubino,rappresentata nel1840 al Teatro Fiorentini dallacompagnia Monti e Alberti, e stampata (nella sua versione scenica) in volume nel1841. Un tipicodrammaborghese èUn'ora di separazione.Scherzocomico in unatto, pubblicato in data ignota (ma dopo il 1840), la sua prima opera astampa in volume che sia pervenuta. Altri adattamenti scenici entrarono nelrepertorio tipico di alcuni attori, come F. Stella, C. di Mario, il «guappo» Del Giudice. Lo stesso Mastriani, occasionalmente, partecipò alle rappresentazioni in veste d'attore.
Un ruolo importante ha sempre occupato nella vita dello scrittore ilmalocchio. Mastriani affronta tracredenze etradizione nera tutta partenopea il fenomeno con serietà edrammaticità dichiarando che "ci credo, anzi ci stracredo"[2]. Contro quello che considera un vero flagello suggerisce gliantidoti che chiama "preservativi" come ilcorno e ilferro di cavallo. In proposito cita ilgiureconsultoNicola Valletta, autore della famosaCicalata sul fascino volgarmente detto jettatura. Mastriani parla diffusamente dellaiettatura alla quale dedica un interocapitolo deLa cieca di Sorrento. Agli "occhi avvelenatori" ilromanziere napoletano attribuisce buona parte delle sue disgrazie (dalcolera da cui fu colpito alla morte di tre dei suoi sette figli, aglisfratti, almeno una trentina)[3].
Questi primi anni sono economicamente i più disagiati. Una costante della vita del Mastriani saranno i numerosi traslochi. Nel1848 si trasferisce in via Teatro Nuovo al 54; il 16 novembre dello stesso anno, incapace di far fronte allespese per l'affitto, è costretto ad accettare l'ospitalità del suocero, nella cui casa nasce ilfiglio Filippo. Entro la fine di quest'anno riesce a trasferirsi con la moglie e i due figli in un casinetto al Vico Lieto a Capodimonte. All'inizio del1849, essendo l'alloggio troppo angusto, trova una sistemazione meno scomoda alla Salita Tarsia nº 18. I ripetuti cambi di abitazione, almeno una trentina, non finiscono qui.
Una relativa ventata dibenessere è rappresentata dalla nomina, nel gennaio1851, acompilatore delGiornale delle Due Sicilie e deL'ordine,giornaleministeriale. A giugno nasce il figlio Edmondo.
Sono le opere dove lo scrittore fa le prime denunce sulle problematiche sociali e la diffusa emarginazione dei poveri cristi.
Il Mastriani stampa nel1852La cieca di Sorrento, il suo romanzo più noto e ristampato (nel suosecolo e per tutto ilNovecento), oscillante tra romanzo d'ambienteborghese e un primo ma sensibile affiorare di tematiche sociali, affrontate con una forteempatia per i deboli e i diseredati. Gli fa seguitoFederico Lennois, 2 voll.,1853 (nello stesso anno, il 9 ottobre, un altro figlio vede la luce, Adolfo).
Altri romanzi, più o meno su questa scia, in questa fase della carriera del Mastriani sono:Il conte di Castelmoresco (1853, 3 voll.);Il mio cadavere, pubblicato con dispense a puntate (la prima uscì nel dicembre1851) e nel1852 in volume dall'editore Rossi diGenova.Il mio cadavere ha importanza storica perché è considerato il primo romanzonoir scritto in Italia[4];Matteo l'idiota (nel quale il tema sociale diventa preponderante,1856-'57, 4 voll.);Acaja (1860);La poltrona del diavolo (1861, 3 voll.); il «romanzo comico»Quattro figlie da maritare (1861); eLe anime salvate (1862).
Nel frattempo, nel1854, era scoppiata un'epidemia di colera, che aveva colpito anche loscrittore. Ad ottobre ebbe nuovamente bisogno dell'ospitalità del suocero. A dicembre, nuovo trasloco (Santa Teresa degli Spagnuoli). Del1857 è la dolorosa perdita di Adolfo, l'ultimo nato, all'età di 3 anni e 7 mesi. Nel 1861 i Mastriani si trasferiscono in via Mandato 78.
Feci qualche protesta ad Augusto, il quale seguitò...
- Il meccanismo di questo miracolo - egli disse - sta in questo: quel giovinotto forma parte della paranza o della società...
Non faccia meraviglia di ritrovare anche qui la paranza; e questa mi sembra assai più pericolosa di quelle che si stabiliscono nei camorristi di bassa mano...
Questi camorristi co' guanti paglini si ficcano nelle imprese de' teatri, e prendono aggi scandalosi in su le scritture da essi procurate. Questa classe pericolosa non può vivere che nelle febbrili commozioni del giuoco. Non conoscendo il valore del danaro, perché avvezzi a vedersene le tasche ripiene»
(Francesco Mastriani,I Vermi. La Camorra elegante)
Con la venuta diGaribaldi a Napoli nel1860, si nota nella letteratura e nelgiornalismo locali un forte accentuarsi delle istanzesociali, anche in termini rivendicativi.Mastriani, in una fase della sua vita non meno critica del solito[5], giunge al termine della sua lunga evoluzione con una serie diromanzi-saggio, perlopiù organizzati come «nebulose» di episodi indipendenti tenuemente legati tra loro, che costituiscono un imponente ed esaustivo affresco delpopolo basso napoletano.EscludendoLa figlia del croato (dopo il 1866) eUn martire (1868-69, 5 voll.), formano un gruppo a sé - non per nulla chiamato «trilogiasocialista», benché non siano pensati comecorpus unitario -I vermi. Studi storici su le classi pericolose in Napoli (1863-64, 10 voll.), sullacamorra napoletana;Le ombre. Lavoro e miseria (1868), sullo sfruttamento femminile; e il celeberrimoI misteri di Napoli. Studi storico-sociali (1869-70[6]), l'opera più ambiziosa e complessa del Mastriani, oltreché una delle sue più vive.
Il titoloI misteri di Napoli riecheggiaI misteri di Parigi diEugène Sue, ma è più un omaggio ad unamoda letteraria che il segno di una vera e propria filiazione. Bisogna ricordare che ilromanzo sociale aveva avuto il proprio atto di nascita a Napoli già nel1839, qualche anno prima dei primi esempieuropei (diBenjamin Disraeli e, appunto, di Eugène Sue), che risalgono ai primianni quaranta, conGinevra o l'orfana della Nunziata diAntonio Ranieri; immediatamentesequestrato, il romanzo aveva avuto un'enorme circolazione clandestina. Il Mastriani, anche nell'inserzione dell'enorme materiale digressivo, segue maggiormente questo esempio locale rispetto alla coeva letteratura europea.Non si tratta diromanzi, ma, come recitano i sottotitoli, distudi: tutto quello che c'è di nota di costume o dicronaca è rigorosamente tratto dal vero, e, come confermerà Matilde Serao nel suo articolo di commemorazione per ilCorriere di Napoli (9 gennaio 1891), Mastriani non esitava, quando li conosceva, a chiamare i suoi personaggi con i loro veri nomi e cognomi. Anche per questo lo scrittore, noto e regolarmente riconosciuto mentre correva tra l'ufficio della dogana, iltipografo e le case dei "signorini", era additato argutamente come «l'autore dei romanzi di Francesco Mastriani».
Con la nascita delmeridionalismo il «romanzo-saggio» dalla struttura incerta, capace di profonde indagini ma aperto anche a cadute di gusto e distile, perde a mano a mano l'interesse delpubblico. Dal 1875 Mastriani (che nel frattempo, dal 1874, ha ottenuto il primo e ultimo impiego fisso della sua vita, comeprofessore dilettere presso ilginnasio "Cirillo" diAversa) comincia a collaborare con il quotidianoRoma, diNapoli. Si tratta di un periodo fecondissimo di opere quasi tutte sensazionalistiche; inoltre scrive per ilteatroNerone in Napoli. Dramma storico in cinque atti e in versi (1876) eValentina. Dramma in un prologo e quattro atti (1878), e iromanzi storiciLo zingaro (1870, 2 voll.),Giambattista Pergolesi (1874?),Messalina,La Medea di porta Medina (1882) eIl barcaiuolo di Amalfi (1883).
Questi ultimi anni sono funestati da altre due dolorose perdite, quella del figlio Edmondo (13 novembre 1875) e quella della primogenita Sofia (1878). Nel1880 si trasferisce alla Strada Fonseca 80; nel 1883 al Palazzo Sant'Agostino alla Sanità 97; tra il 1883 e il1889 passa dalla Salita Scudillo 4 alla via di Capodimonte alla Penninata San Gennaro dei Poveri 29; il 4 novembre 1889 va in un quartino al Moiariello a Capodimonte, a maggio1890 torna alla casetta in San Gennaro dei Poveri; in agosto va a Largo Amoretti; il 5 ottobre torna di nuovo a San Gennaro dei Poveri.
Qui, esattamente tre mesi e due giorni dopo, (7 gennaio 1891), muore.
Nel suo corsivo dedicato alla morte dello scrittore Matilde Serao attesta che il Mastriani attese alla compilazione degli ultimi romanzi sul letto di morte. Diversi uscirono postumi:La comare di borgo Loreto (1894),Il figlio del forzato (1906),I delitti di Napoli (1907),La sonnambula di Montecorvino (1915), ecc.
La qualità simpatica nell'opera di Francesco Mastriani, specialmente nei romanzi scritti con calma, conserenità, nel suo buontempo, la qualità che più lo fa amare dalpubblico popolare, la qualità che tanti artisti, di lui cento volte migliori, non possiedono, è l'emozione. O voi che mi leggete, rammentate, rammentate nella Cieca di Sorrento, in quella istoria semplice e dolente, lascena in cui il dottor Oliviero Blackmann fa la operazione della cateratta alla infelicissima fanciulla; rammentate ilbrivido di sgomento e diansietà, provato da chiunque ha cuore, innanzi aldubbio della riescita e all'agitazione dell'operatore: rammentate il grande grido di salvazione, di ringraziamento, di tenerezza che sgorga dal petto della creatura a cui è stata ridata lavista, e dite se tutti voi, come me, come chiunque ha letto, non ha pianto di quellaemozione. E lamalinconica figura di Ugo Ferraretti nel Federico Lennois e nel Mio cadavere che languisce e agonizza, circondata da un'aureola di mortaletristezza [...]; e la misera Blandina dei Vermi che emerge da quell'atmosfera di vergogna e di delitto, come una vittima rassegnata [...]; tutte queste figure e tante altre hanno per sé l'attrazione del dolore, hanno per sé la profonda pietà di cui le circonda l'autore, hanno la pietà di chi legge: e non possono essere dimenticate e non può essere dimenticato illibro che le racchiude [...].
Tutti sorrisero, allora, quando Francesco Mastriani, nel solo momento diorgoglio della sua umile esistenza di romanziere, scrisse di aver voluto, prima diEmilio Zola, fare il romanzo popolare, verista, come si diceva: tutti sorrisero alla spacconata del povero don Chisciotte della romanzeria napoletana, ma egli non aveva assolutamente torto. Aveva torto di volersi misurare con Emilio Zola; ma attraverso tutta larettorica delle sueidee e delle suenarrazioni, attraverso quel concetto ristretto del bene e del male, fiorisce una certaverità popolare che sarà, poi, il punto di partenza onde isociologi e gliartisti trarranno il grande materiale del romanzo napoletano. Piccola verità popolare, invero, e che consisteva soltanto nel chiamare coi loro veri nomi i tetri frequentatori dellebettole, col loro nome esatto e con la lorotopografia ivicoli sordidi e lugubri dove si annida, in Napoli, l'onta, lacorruzione, lamorte; piccola verità affogata nella frondosità fastidiosa del romanziere che ha cominciato a vedere, ma che non ha forza, coraggio, tempo di vedere molto, di vedere tutto: piccola verità, dirò così, esteriore, che la falsità bonaria del resto annega, ma che è uno spiraglio di luce, attraverso la tenebra, ma che è la fioca lampada nellanotte profonda che altri vedrà e che li condurrà alla loro strada, e tutta quanta la verità come è, nuda, schietta, tutta piena di strazio ma non senza conforto.»
(Matilde Serao, dalCorriere di Napoli, Napoli, 7 gennaio 1891)
Francesco Mastriani fu il più popolare degli scrittori napoletani,Benedetto Croce neLa vita letteraria a Napoli dal 1860 al 1900, inLa letteratura della nuova Italia, Bari 1915, lo definisce «letto un po' da tutti all'infuori della gente letterata».
L'interesse del Mastriani, infatti, era quasi esclusivamentedocumentario.Jessie White Mario, nel suoMiseria in Napoli (1877) scrive: «chi vuole apprezzare i lavori del Mastriani deve prima veder Napoli, poi leggerli» (p. 157).
Il primo a trattare dell'opera mastrianesca con una certa autorevolezza fuFederigo Verdinois nei suoiProfili letterari napoletani (Napoli, Morano1882): fu l'unico tentativo di inquadramentocritico durante la sua vita. Verdinois ironizza sul primato vantato dal Mastriani neI vermi, laddove sostiene di aver precedutoÉmile Zola nell'invenzione delnaturalismo; ma puntualizza che Mastriani non è un cattivo scrittore (La cieca di Sorrento, secondo lui, poteva passare ancora per un buon romanzo); le sue deficienze devono essere piuttosto imputate alla frettolosità con cui cerca di far fronte agli impegni assunti con gli editori. Gli riconosce, in generale, una certa «bontà degli ingranaggi». Complessivamente «egli è oggi il primo, anzi il soloromanziereitaliano, se si può dire che in Italia vi siano romanzieri e romanzi» (p. 200).
Nel gennaio 1891 Matilde Serao ha appena pubblicato il suo romanzo socialeIl paese di cuccagna quando è raggiunta dalla notizia (7 gennaio) della morte del Mastriani. Il 9 gennaio pubblica sulCorriere di Napoli un ricordo affettuoso e commosso del vecchio scrittore, che ella vede come unprecursore dell'attuale giornalismo e dell'attualenarrativa didenuncia.
Nel1894 George Hérelle, traduttorefrancese diGabriele D'Annunzio, pubblica sulla "Revue de Paris" unsaggio abbastanza articolato sul Mastriani, "Un romancier socialiste à Naples" ("Un romanziere socialista a Napoli").
Nel1909Benedetto Croce rivolge agli studiosi italiani l'invito ad occuparsi costruttivamente dell'opera del Mastriani. L'invito, come notaGiuliano Innamorati prefacendo un'edizione recente (1972) deI misteri di Napoli, non si può dire sia stato fino ad oggi raccolto, nonostante l'opera del Mastriani rivesta un grande interesse, non solo per il suo valorestorico edocumentario, ma anchelinguistico: laprosa mastrianea, in contrasto con le condizioni di disperata frettolosità in cui erano compilati i suoi molti lavori, è singolarmente corretta, accurata e ricercata, e mescola, con disinvoltura e non senza eleganza, i più ricercati ribobolitoscani con voci e movenze tipicamente napoletane; le descrizioni, a conferma della natura innanzitutto letteraria delle sue opere, sonovirtuosistiche e sfoggiate, e richiamano certorealismobarocco. Sempre neglianni settantaDomenico Rea introduce un'edizione (Milano,1973) deLa cieca di Sorrento; hanno avuto ristampe recenti ancheLe ombre,La Medea di porta Medina e pochi altri titoli.
Attualmente l'opera del Mastriani è dispersa tra molte biblioteche. Manca unabibliografia esaustiva. Le ricerche svolte a Napoli e nell'Italia meridionale hanno dato risultati deludenti. La più ricca raccolta nota di scritti mastrianeschi era posseduta dallaBiblioteca Nazionale Centrale di Firenze, ma durante l'alluvione del1966 la gran parte dei testi è andata distrutta.
Come ricorda Napoli Francesco Mastriani? Con uno spazio di una ventina di metri tra due palazzi, che va da via Bernardo Tanucci a via Sant'Eframo Vecchio, senza numeri civici, quindi una strada di fatto inesistente perché non può essere citata.
L'articolo è parzialmente rifuso con l'introduzione all'ed. Vallecchi, Firenze 1972, deI misteri di Napoli.
AnalizzaL'ossesso. Cronaca napolitana del secolo XVII (Gargiulo, Napoli 1872), romanzo storico rivolto ad un pubblico popolare la cui trama si svolge sullo sfondo della Campania devastata dal terremoto del1631; in particolare concentra l'attenzione sulle fantasie gotiche e negromantiche, e sui motivi mutuati daI promessi sposi diAlessandro Manzoni.
Analizza romanzi ottocenteschi che narrano di fanciulli abbandonati e trovatelli, tra cui anche l'Angiolina del M..
Analizza ancheLa Medea di porta Medina del M..
Ripropone un brano dei "Mystères de Paris" di Sue in una traduzione ottocentesca del1848 e 3 brani dalla I edizione dei "Misteri di Napoli" (Napoli, Stabilimento Tipografico di G. Nobile, 1869). Introduzione (pp. 9–26) del curatore; nota ai testi pp. 27–28.
Tratta della presenza della figura diMedea nella letteratura italiana del XIX e XX secolo, soffermandosi in particolare sulle fonti deLa Medea di porta Medina del M., pubblicato postumo nel1915, diCorrado Alvaro perLa lunga notte di Medea, tragedia del1949, e del filmMedea (1970) diPier Paolo Pasolini.
M. è compreso tra gli "scrittori di città".
Fa una storia della fortuna del romanzo "nero" dagli inizi del Novecento, concentrandosi particolarmente sugli autori stranieri pubblicati da Bemporad, e più ancora sulle edizioni Nerbini e sul fumetto, fino a "Dylan Dog".
Documenta che conIl mio cadavere, nel 1852 M. inaugura a Napoli il primo esempio di giallo italiano. Tratta poi l'argomento della iettatura per come era sentita e fu descritta da M. in particolare neLa cieca di Sorrento.
Documenta l'evoluzione del linguaggio narrativo deLa cieca di Sorrento (1851) con una dettagliata analisi condotta seguendo le differenti edizioni del romanzo, che fu ripubblicato a lungo con numerose e significative varianti linguistiche operate dallo stesso Mastriani.
Analizza lo stilema retorico-linguistico tipico del codice tragico, rintracciabile già neLa cieca di Sorrento (1851), e più evidente nelle trasposizioni teatrali dei romanziNerone in Napoli (1875), da cui l'omonima tragedia del 1877, eI vermi (1863), riscritti in versione tragica nel dramma in prosaValentina (1878),
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