Nel 1943, dopo l'armistizio dell'8 settembre, rientrò inBasilicata, iniziando a intraprendere il suo impegno politico, nell'ottica di una ricostruzione da fondare sulle basi dell'antifascismo e dei principicattolici edemocratici. Dal 1944 al marzo 1947 è stato segretario generale della Gioventù di Azione Cattolica.
Il 2 e 3 giugno 1946, Colombo fu eletto all'Assemblea Costituente come capolista dellaDemocrazia Cristiana (DC) per lacircoscrizionePotenza-Matera, risultando uno dei membri più giovani delParlamento italiano, da poco ventiseienne, e ottenendo circa 26 000 voti di preferenza[1]; in seguito a questo successo elettoraleFrancesco Saverio Nitti, che in passato aveva definito il giovane Colombo un "sagrestanello"[3], sarà costretto ad ammettere: «è un colombo che volerà»[4]. Durante lafase costituente ha ricoperto il ruolo di componente e segretario della «4ª commissione per l'esame dei disegni di legge». Emilio Colombo è stato uno dei più giovani padri costituenti, e da allora è stato riconfermato allaCamera dei deputati in tutte lelegislature per la DC nella circoscrizionePotenza-Matera, che resterà la sua roccaforte fino alle dimissioni da deputato il 9 settembre 1992. Membro storico dellaDemocrazia Cristiana, fu ancheeuroparlamentare dal 1976 al 1980 e dal 1989 al 1992.
Nel 1950, in qualità di deputato, venne incaricato dalPresidente del ConsiglioAlcide De Gasperi di studiare undisegno di legge finalizzato al risanamento deiSassi di Matera.[6] La proposta di legge di Colombo venne consegnata a De Gasperi nel 1951, presentata in parlamento come disegno di legge n. 2141 "Risanamento dei Sassi di Matera", e infine approvata all'unanimità il 17 maggio del 1952 come la "Legge speciale per il risanamento dei Sassi" (n. 619)[6] che, in virtù del suo propositore, divenne nota anche come "Legge Colombo".[7]
Sottosegretario ai Lavori pubblici e Ministro dell'agricoltura
Durante questo periodo si è occupato del varo di alcune importanti opere, facendo sì che il consiglio comunale deliberasse lacostruzione di edifici scolastici,acquedotti,case popolari,linee elettriche per le zonerurali, affrontò anche il tema del risanamento dellefinanze comunali, prevedendo una revisione a rialzo di alcuneimposte etariffe, e l'implementazione del servizio dinettezza urbana nelleperiferie[1]. Sotto la suaamministrazione comunale furono anche deliberate la ricostruzione del Rione Libertà e l'allargamento di «Piazza 18 agosto», attraverso la costruzione della terrazza belvedere.[1]
Durante il suo mandato da ministro dell'Industria e del commercio, nel 1959 costituì una commissione di giuristi e alti funzionari, della quale fu presidente avendo come viceFrancesco Santoro Passarelli, con l'incarico di redigere una proposta di riforma del diritto delle società. A questa commissione ne seguiranno altre due nominate dal ministro di Grazia e Giustizia e il cammino della riforma si concluderà quindici anni più tardi con l'emanazione della legge n. 216 del 7 giugno 1974.
In quegli anni da ministro si consolidò in lui la visione volta ad assicurare, nelle scelte compiute, l'armonizzazione traquestioni sociali ed esigenze legate almercato e alle logiche delprofitto: quella che, nelle letture di Colombo, sarebbe tornata più volte con i termini di «economia sociale di mercato»[1]. In quella scia si collocò innanzitutto la legge per le piccole e medieindustrie, con la quale furono concessi incentivi a favore delle medie e piccole industrie dell'artigianato.[1]
In tale veste, operò a stretto contatto con laBanca d'Italia governata daGuido Carli[1], che non si discostò ad applicare una linea politica diortodossiafinanziaria (opposta allalinea keynesiana preconizzata daAntonio Giolitti,Ministro del bilancio dal 4 dicembre 1963 al 22 luglio 1964). Questa scelta non lo mise al riparo da durepolemiche, anche interne alla DC, circa i possibili risvolti politici e sociali di un tale orientamento, ma tuttavia nell'estate del 1963, la linea intransigente del Tesoro e della Banca d'Italia riuscì ad arginare in breve tempo l'improvvisa e vertiginosa impennata dell'inflazione, che rappresenterà un primo inquietante segnale di quello che avverrà dieci anni più tardi, in occasione dellaprima crisi petrolifera.[1]
Nel 1970, la decisione di assegnare allacittà diCatanzaro la funzione dicapoluogo dellaRegioneCalabria, innescò moti di piazza aReggio Calabria[1]. La rivolta, che durò da luglio 1970 a febbraio 1971, è stata caratterizzata da un ricorso costante allaviolenza con uso diarmi e diesplosivo[1]. Il gruppo promotore, inizialmente, si è contraddistinto da una sostanziale eterogeneità: in esso vi erano esponenti locali della DC, dell'associazionismo cattolico epopolare, deipartitilaici di governo, deisindacatiCISL eUIL e persino della Chiesa[1]. Anche il localePCI reggino assunse verso i moti un atteggiamento non sempre lineare, avvicinandosi alla protesta, seppure per un brevissimo periodo, nell'ottobre del 1970[1]. Ad assumere, però, una funzione nevralgica nell'organizzazione dei moti furonocomitati civici egemonizzati dalladestra[1]. In sede giudiziaria è stato poi denunciato il contributo dellemafie all'organizzazione degli attiterroristici, nei quali vi è stato un uso massiccio deltritolo, come nel caso delderagliamento dellaFreccia del Sud avvenuto il 22 luglio 1970, che provocò sei morti e settanta feriti.[1]
La risposta, di Colombo e del governo, alla rivolta di Reggio Calabria non è stato solo di tipomilitare, ma anche, e soprattutto, di tipopolitico edeconomico[1]. La consapevolezza che dietro l'adesione di massa alle proteste vi fossero problematiche di tipo sociale e occupazionale, spinse il governo a varare un nuovo piano di sviluppo della Calabria, attento ad assegnare a ciascunaprovincia un ruolo strategico e a industrializzarne alcune aree.[1]
Il 30 ottobre 1971 ha inaugurato lo stabilimento dell'Alfasud diPomigliano d'Arco[1]. Nel corso della cerimonia – e in particolare durante il discorso inaugurale tenuto da Colombo – vi furono imponenti contestazioni dovute, in primo luogo, al piano assunzioni, ridimensionato di circa cinquemila unità[1]. Al momento dell'apertura dell'industria, infatti, gli occupati furono circa settemila a fronte dei circa dodicimila previsti.[1]
Colombo partecipò attivamente alla trasformazione della Democrazia Cristiana nel nuovoPartito Popolare Italiano (PPI), avvenuta nel 1994. In occasione del primo congresso del partito, nel luglio del 1994, fu tra i principali sostenitori della candidatura alla segreteria diRocco Buttiglione. Tuttavia, nella competizione che nel 1995 divise il PPI tra i favorevoli a un'alleanza dicentro-destra conBerlusconi (guidati dal segretarioRocco Buttiglione) e i favorevoli a un'alleanza dicentro-sinistra conProdi (guidati daGerardo Bianco eGiovanni Bianchi), sostenne quest'ultima posizione, prendendo le distanze da Buttiglione e venendo scelto come uno dei due relatori contro il segretario durante il congresso popolare del 1995 che sfiduciò Buttiglione. Furono quelli anche gli anni del processo per mafia aGiulio Andreotti, che rappresentò un pesante contraccolpo per la Democrazia Cristiana, favorendone la fine.
Pur senza incarichi di partito e uscito dalParlamento dall'agosto 1992 per effetto della decisione del partito di rendere incompatibili le cariche di ministro e di parlamentare, militò nel PPI fino al 2001, quando abbandonò il partito in polemica con la dirigenza che non gli aveva riservato un collegio alSenato per leelezioni politiche del 2001. Passò quindi aDemocrazia Europea diSergio D'Antoni che lo candidò al Senato in un collegio dellaBasilicata, dove tuttavia non venne eletto.
Colombo durante la cerimonia in suo onore, in occasione della sua nomina asenatore a vita nel 2003
Nel febbraio 2003 viene nominatosenatore a vita dal Presidente della RepubblicaCarlo Azeglio Ciampi avendoillustratolapatriaperaltissimimeritinelcamposcientifico,sociale,artisticoeletterario. Nello stesso anno è stato coinvolto in un'ampiainchiesta che ha portato all'arresto di numerose persone accusate di traffico di stupefacenti. In particolare furono arrestati due finanzieri della sua scorta in quanto avevano acquistato la cocaina per il senatore a vita. Colombo confermerà allamagistratura di essere assuntore dicocaina, ma non fu indagato in quanto il consumo non costituisce reato, mentre i finanzieri sono stati processati e condannati in primo grado a un anno e un mese e a un anno e tre mesi di reclusione[9]. Diversi anni dopo lo stesso Colombo ha porto le scuse alla Nazione.
In un articolo scritto sul giornaleL'Espresso del 27 febbraio 2007Eugenio Scalfari criticò la sua contrarietà per il disegno di legge suiDICO, considerandola incoerente con la sua presunta omosessualità, ma da lui mai confermata.[11]
Il 15 marzo 2013, a seguito della rinuncia del senatore a vitaGiulio Andreotti, Colombo ha svolto le funzioni dipresidente provvisorio del Senato della Repubblica dal momento che era il senatore a vita più anziano. Colombo ha diretto le votazioni che hanno portato all'elezione diPietro Grasso alla seconda carica dello Stato. Dal 6 maggio 2013 (giorno della morte di Andreotti) fino alla sua morte fu per poco più di un mese l'unicocostituente ancora in vita[12].
Colombo è morto nella sua abitazione aRoma il 24 giugno 2013, due mesi dopo aver compiuto 93 anni. I funerali si sono svolti nellaChiesa di Santa Emerenziana a Roma, alla presenza di numerosi esponenti politici dellaDemocrazia Cristiana e di altre alte cariche dello Stato; la sua salma venne poi tumulata all'interno del cimitero comunale diPotenza.[13] Nel 2018, la stessa città gli intitola una strada ed un monumento,[14] dopo che già a dieci mesi dalla morte era stata apposta una targa sulla casa divia Pretoria in cui il politico ha vissuto.[15]
Il 24 novembre2003 Emilio Colombo fu coinvolto nell'inchiesta sul giro di droga detta "operazione Cleopatra". In tale occasione Colombo ammise di essere consumatore di cocaina, sostenendo che il suo consumo avveniva per fini terapeutici[18][19]. Il politico porgerà, in seguito, le sue scuse alla Nazione.[3]
Il gruppo di canto popolareTerracantoArchiviato il 24 luglio 2020 inInternet Archive. spiega così come il Ministro Colombo sia stato un personaggio spesso citato da Giuseppe Miriello nei testi delle canzoni che ha scritto:
«Secondo il racconto di Giovanna Marini, che registrò il canto durante le sue ricerche in Basilicata, Giuseppe Miriello era solito cantare le sue composizioni davanti alla chiesa, all’uscita dalla messa, per denunciare la disonestà della classe politica e lo scandalo dello sfruttamento.
Spesso le sue invettive erano indirizzate al suo conterraneo Emilio Colombo, che aveva fatto carriera in politica fino a diventare Ministro nel Governo della Democrazia Cristiana, cosa che lo rendeva, agli occhi di Miriello e dell’immaginario popolare, responsabile di ogni nefandezza compiuta dal Governo.»