Albert Einstein interpretò correttamente l'effetto fotoelettrico nel 1905, vincendo per questo il Premio Nobel per la fisica nel 1921
La scoperta dell'effetto fotoelettrico va fatta risalire alla seconda metà delXIX secolo e ai tentativi di spiegare la conduzione nei liquidi e nei gas. Nel1887,Hertz,[2] riprendendo e sviluppando gli studi diSchuster sulla scarica dei conduttori elettrizzati stimolata da una scintilla elettrica nelle vicinanze, si accorse che tale fenomeno è più intenso se glielettrodi vengono illuminati con luce ultravioletta. Nello stesso anno,Wiedemann eEbert stabilirono che la sede dell'azione di scarica è l'elettrodo negativo eHallwachs trovò che la dispersione delle cariche elettriche negative è accelerata se i conduttori vengono illuminati con luce ultravioletta.
Nei primi mesi del1888, il fisico italianoAugusto Righi, nel tentativo di capire i fenomeni osservati, scoprì un fatto nuovo: una lastra metallica conduttrice investita da una radiazione UV si carica positivamente. Righi introdusse, per primo, il termine "fotoelettrico" per descrivere il fenomeno. Hallwachs, che aveva sospettato ma non accertato il fenomeno qualche mese prima di Righi, dopo qualche mese, dimostrava, indipendentemente dall'italiano, che non si trattava di trasporto, ma di vera e propria produzione di elettricità.
Sulla priorità della scoperta tra i due scienziati si accese una disputa, riportata sulle pagine delNuovo Cimento. Lacomunità scientifica tagliò corto e risolse la controversia chiamando il fenomenoeffetto Hertz-Hallwachs. Fu poiEinstein, nel1905, a darne l'interpretazione corretta, intuendo che l'estrazione deglielettroni dalmetallo si spiegava molto più coerentemente ipotizzando che laradiazione elettromagnetica fosse costituita da pacchetti dienergia oquanti, poi denominatifotoni.
L'ipotesi quantistica di Einstein non fu accettata per diversi anni da una parte importante della comunità scientifica, tra cuiHendrik Lorentz,Max Planck eRobert Millikan (vincitori delPremio Nobel per la fisica, rispettivamente, nel1902,1918 e1923), secondo i quali la reale esistenza dei fotoni era un'ipotesi inaccettabile, considerato che nei fenomeni diinterferenza le radiazioni elettromagnetiche si comportano comeonde.[3] L'iniziale scetticismo di questi grandi scienziati dell'epoca non deve sorprendere dato che perfinoMax Planck, che per primo ipotizzò l'esistenza dei quanti (anche se con riferimento agliatomi, che emettono e assorbono "pacchetti di energia"), ritenne, per diversi anni, che i quanti fossero un semplice artificio matematico e non un reale fenomeno fisico.[4] Ma, successivamente, lo stesso Robert Millikan dimostrò sperimentalmente l'ipotesi di Einstein sull'energia del fotone, e quindi dell'elettrone emesso, che dipende soltanto dallafrequenza della radiazione,[5] e nel1916 effettuò uno studio sugli elettroni emessi dalsodio che contraddiceva la classica teoria ondulatoria diMaxwell.[6]
L'aspetto corpuscolare della luce fu confermato definitivamente dagli studi sperimentali diArthur Holly Compton. Infatti il fisico statunitense nel1921 osservò che, negli urti con gli elettroni, i fotoni si comportano comeparticelle materiali aventienergia equantità di moto che si conservano;[7] nel1923, pubblicò i risultati dei suoi esperimenti (effetto Compton) che confermavano in modo indiscutibile l'ipotesi di Einstein: la radiazione elettromagnetica è costituita da quanti (fotoni) che interagendo con gli elettroni si comportano come singole particelle.[8] Per la scoperta dell'effetto omonimo, Compton ricevette ilpremio Nobel nel1927.
Per i suoi studi sull'effetto fotoelettrico e la conseguente scoperta dei quanti diluce, Einstein ricevette il Premio Nobel per la fisica nel1921.[9]
L'effetto fotoelettrico fu rivelato daHertz nel1887 nell'esperimento ideato per generare e rivelare le ondeelettromagnetiche;[2] in quell'esperimento, Hertz usò unospinterometro in un circuito accordato per generare onde e un altro circuito simile per rivelarle. Nel1902Lenard studiò tale effetto, trovando che la luce incidente su unasuperficie metallica provoca l'emissione di elettroni, la cuienergia non dipende dall'intensità della luce, ma dal suo colore, cioè dalla frequenza.[10]
Quando la luce colpisce una superficie metallica pulita (ilcatodoC) vengono emessi elettroni. Se alcuni di questi colpiscono l'anodoA, si misura unacorrente nelcircuito esterno. Ilnumero di elettroni emessi che raggiungono l'anodo può essere aumentato o diminuito rendendo l'anodo positivo o negativo rispetto al catodo.
DettaV ladifferenza di potenziale traA eC, si può vedere che solo da un certo potenziale in poi (dettopotenziale d'arresto) la corrente inizia a circolare, aumentando fino a raggiungere un valore massimo, che rimanecostante. Questo massimo valore è, come scoprì Lenard, direttamente proporzionale all'intensità della luce incidente. Il potenziale d'arresto è legato all'energia cinetica massima degli elettroni emessi dalla relazione
Ora, la relazione che lega le due grandezze è proprio quella indicata perché se è negativo, gli elettroni vengono respinti dall'anodo, tranne se l'energia cinetica consente loro, comunque, di arrivare su quest'ultimo. D'altra parte si notò che il potenziale d'arresto non dipendeva dall'intensità della luce incidente, sorprendendo lo sperimentatore, che si aspettava il contrario. Infatti, classicamente, ilcampo elettrico portato dallaradiazione avrebbe dovuto mettere in vibrazione gli elettroni dello strato superficiale fino a strapparli al metallo. Usciti, la loro energia cinetica sarebbe dovuta essere proporzionale all'intensità della luce incidente e non alla suafrequenza, come invece sembrava risultare sperimentalmente.
Come compreseEinstein, riprendendo la teoria diPlanck, l'effetto fotoelettrico evidenzia la natura quantistica dellaluce. Nellaradiazione elettromagnetica, l'energia non è distribuita in modo uniforme sull'intero fronte dell'onda ma è concentrata in singoliquanti (pacchetti discreti) di energia, ifotoni. Un solo fotone per volta, e non l'intera onda nel suo complesso, interagisce singolarmente con unelettrone, al quale cede la sua energia. Affinché ciò si verifichi è necessario che il singolo fotone abbia un'energia sufficiente a rompere il legame elettrico che tiene legato l'elettrone all'atomo. Questa "soglia minima" di energia delfotone si determina in base alla relazione diPlanck
In altri termini, l'elettrone può uscire dal metallo solo se l'energia delfotone è almeno uguale al “lavoro di estrazione” (). Esiste, pertanto, una “soglia minima” di estrazione per ognimetallo, che fa riferimento o alla lunghezza d'onda o allafrequenza delfotone incidente e, quindi, alla sua energia, la quale coincide con il “lavoro di estrazione”.
Il valore di soglia varia in base al tipo di materiale considerato (in generemetalli) e dipende, pertanto, dalle sue caratteristiche atomiche; anche il grado di purezza del metallo influisce sul valore di soglia (per tale motivo i testi o i siti specializzati riportano spesso valori di soglia differenti per lo stesso metallo).
Nella tabella che segue sono riportati i valori di soglia di alcuni metalli. Il dato iniziale noto è quello dellavoro di estrazione ineV (col. 2)[11], che equivale al valore di soglia delfotone (in eV) incidente sul metallo considerato; i valori di soglia riportati nelle colonne 3, 4 e 5 sono stati ricavati dalle rispettive formule.
VALORI DI SOGLIA PER L'EMISSIONE DI ELETTRONI DA UN METALLO
dalla relazione consegue che (col. 5). Da notare che viene espressa generalmente innanometri, ma nei calcoli va espressa inmetri.
Spesso il parametro di soglia iniziale noto è:
la lunghezza d'onda (in nm); in tal caso occorre determinare anzitutto e successivamente l'energia utilizzando la legge di Planck.
l'energia deifotoni incidenti inJoule (uguale a); in tal caso occorre determinare anzitutto la frequenza, poi (uguale a) e infine l'energia deifotoni in eV.
Con l'aumentare dell'energia deifotoni incidenti (ossia quando aumenta oppure quando diminuisce) aumenta anche l'energia cinetica degli elettroni estratti.
Va in proposito sottolineato che aumentando l'intensità dellaradiazione elettromagnetica (ossia il numero difotoni al secondo, di pari energia, che colpiscono l'unità di superficie) aumenta il numero deglielettroni estratti ma non la loroenergia cinetica, la quale dipende esclusivamente dall'energia deifotoni incidenti. Questa è una conseguenza dellateoria quantistica diEinstein, in base alla quale ognifotone incidente interagisce soltanto con un singoloelettrone. Infatti secondo la teoria ondulatoria classica diMaxwell l'estrazione di elettroni dal metallo dipende dall'intensità dell'irradiamento per unità di superficie (che deve raggiungere un valore sufficiente) e prescinde, quindi, dalla frequenza della radiazione incidente (ipotesi, questa, smentita dalle evidenze sperimentali).
L'effetto fotoelettrico, oggetto di studi da parte di moltifisici, è stato fondamentale per comprendere la naturaquantistica della luce.
Einstein, nel lavoro del1905 che gli fruttò ilPremio Nobel per la fisica nel1921, fornisce una spiegazione dei fatti sperimentali partendo dal principio che la radiazione incidente possiede energia quantizzata. Infatti i fotoni che arrivano sul metallo cedono energia agli elettroni dello strato superficiale delsolido; gli elettroni acquisiscono così l'energia necessaria per rompere illegame: in questo senso l'ipotesi più semplice è che il fotone ceda all'elettrone tutta l'energia in suo possesso. A questo punto l'elettrone spenderà parte dell'energia per rompere il legame e parte incrementerà la sua energia cinetica che gli permetterà di arrivare in superficie e abbandonare il solido: da qui si può capire che saranno gli elettroni eccitati più vicini alla superficie ad avere la massima velocità normale alla stessa. Per questi, posto il lavoro (che varia da sostanza a sostanza) utile all'elettrone per uscire, si avrà che l'energia cinetica è pari a:
A questo punto detta la carica dell'elettrone e il potenziale positivo del corpo e tale da impedire perdita dielettricità allo stesso (ilpotenziale di arresto), si può scrivere:
oppure, con i simboli consueti
che diventa
dove è la carica di ungrammo-equivalente di unoione monovalente e il potenziale di questa quantità.
Se si pone allora rappresenterà il potenziale involt del corpo in caso di irradiazione nelvuoto.
Ora, ponendo e (limite dellospettrosolare dalla parte ultravioletta),, si ottiene: il risultato trovato è così in accordo, per quanto riguarda gli ordini di grandezza, con quanto trovato da Lenard.
Si può concludere che:
l'energia degli elettroni uscenti sarà indipendente dall'intensità della luce emettente e anzi dipenderà dalla sua frequenza.
sarà il numero di elettroni uscenti a dipendere dall'intensità della radiazione.
I risultatimatematici cambiano se si rifiuta l'ipotesi di partenza (energia trasmessa totalmente)
Se poi la formula è corretta, riportata sugli assi cartesiani risulterà una retta con pendenza indipendente dalla sostanza. Nel1916Millikan eseguì la verifica sperimentale di tale fatto, misurando il potenziale d'arresto e trovando che questo è una retta di con pendenza, come previsto.[12][13]
Le normali cellule fotelettriche dei cancelli automatici funzionano basandosi sull'effetto fotoelettrico: una sorgente elettromagnetica di una cellula sorgente irradia elettromagneticamente a distanza una cellula ricevente che funge da ricevitore trasformandosi ininterruttore per il sistema elettromeccanico.[14]
^I valori di col. 2 (lavoro di estrazione in eV = energia dei fotoni in eV) sono stati rilevati da: " La fisica di Amaldi ", vol. 3, elettromagnetismo, fisica atomica e subatomica, ed. Zanichelli, 2012, pag.204.