Domenichino, pseudonimo diDomenico Zampieri (Bologna,21 ottobre1581 –Napoli,6 aprile1641), è stato unpittoreitaliano.Fervente fautore delclassicismo, nei suoi dipinti, dove ildisegno, appreso daLudovico Carracci, assume un ruolo preponderante, tende a realizzare composizioni di semplicità e chiarezza narrativa, trasfigurate in un ideale di bellezza classica.
Figlio del calzolaio Giovan Pietro e di Valeria, dapprima si dedica a studi umanistici, digrammatica eretorica, ma mostra subito tali interessi artistici che il padre gli permette di frequentare un apprendistato nell'atelier bolognese diDenijs Calvaert insieme col fratello maggiore – che rinuncerà ben presto alla pittura per tornare nella bottega paterna.[1] Domenichino ha per compagni di studioGuido Reni eFrancesco Albani, quest'ultimo col quale si lega in fraterna amicizia e di cui condivide l'orientamento classicista.
Quando il collerico Calvaert lo sorprende a copiare stampe diAgostino Carracci, lo caccia dalla bottega nel 1595. Domenichino trova accoglienza nell'Accademia degli Incamminati retta, in assenza diAnnibale Carracci allora operoso aRoma nel cantiere di palazzo Farnese, dal fratello Agostino e il cuginoLudovico.[1] Si è detto che fosse chiamato Domenichino per la piccola statura; è però più probabile che il nomignolo si riferisse alla sua ingenuità e alla morbosa timidezza della sua indole.[1]
Nel periodo di formazione a Bologna il Domenichino non riceve nessuna commessa autonoma, tuttavia com'era solito fare per gli allievi dell'Accademia, figura tra i collaboratori dei lavori commissionati ai maestri.[1] Questo è il caso delle decorazioni dell'oratorio di San Colombano, per il quale il Domenichino figurò nell'entourage di Ludovico Carracci, assieme al Reni e all'Albani, realizzando la scena dellaDeposizione nel sepolcro; tale assunto è tuttavia frutto esclusivamente di indagini stilistiche successive, poiché l'unico pittore meritevole di menzione nella schiera di collaboratori dei Carracci fu l'Albani.[1]
Successivamente il pittore intraprese viaggi aParma per studiare ilCorreggio, e secondo ilPasseri e ilBellori anche aMantova eVenezia per apprendere le tonalità e le prospettive della pittura locale.[1]
Così come avvenne perGuido Reni prima e perFrancesco Albani poi, anche il Domenichino lascia l'Accademia per raggiungere nel 1601Annibale Carracci aRoma, dove darà una svolta decisiva alla sua carriera.[1]
A Roma il Domenichino visse nel Rione Monti[2] presso ilconvento di Santa Prassede, insieme aGuido Reni all'amicoFrancesco Albani (partito appena sei mesi prima), per studiare le opere diRaffaello e collaborare conAnnibale Carracci, di cui restò allievo fino alla morte del maestro (avvenuta nel 1609), al tempo forse il più apprezzato pittore operante nella città pontificia.
I primi lavori vedono dunque il Domenichino facente parte dello staff di collaboratori del Carracci, dove coadiuva nella realizzazione delle numerose commesse di cui fu investito in quel periodo il maestro: secondo il Passeri pare abbia collaborato infatti nellelunette Aldobrandini per il cardinalePietro, dove in realtà sarebbe stato tra gli aiutanti dell'Albani, a cui fu subappaltata tacitamente la commessa, mentre di certo ha lavorato per iFarnese, dove partecipa ai lavori di completamento della decorazione dellaGalleria di palazzo incampo de' Fiori (1604-1605) dipingendo laFanciulla e l'unicorno (1604–1605) per la serie degliAmori degli dei, e tre paesaggi mitologici, tra cui laMorte di Adone, nella Loggia del Giardino, o infine nel ciclo per lacappella Herrera, dove compie alcuni interventi minori.[3] Con gli affreschi farnesiani il pittore si può dire che il Domenichino abbia finito l'apprendistato presso la scuola di Annibale Carracci, avendo il maestro espressamente apprezzato il lavoro svolto dal suo aiutante.
Il legame col Giovanni Battista Agucchi e le prime commesse autonome
Le prime opere del Domenichino, chieste personalmente a lui e non realizzate per il tramite di altri destinatari, vengono acquistate dal cardinalePietro Aldobrandini, "cardinal nepote" dell'allora pontefice in carica,Clemente VIII, nel cui primissimo inventario figurano opere per lo più di scuola emiliana, soprattutto diAnnibale Carracci, diLudovico e dei loro scolari, quindiAlbani,Reni,Viola e per l'appunto il Domenichino.[4] Tra le prime opere che figurano nellacollezione, giunte per il tramite del suo segretario,Giovanni Battista Agucchi, nonché futuro protettore del pittore, vi sono ilSan Girolamo nel deserto (oggi aLondra) e il piccolo rame conAbramo e Isacco (aFort Worth), nel quale si dà già prova dell'arte di paesaggista del Domenichino.[4]
Dello stesso anno sono anche ilCristo alla colonna della raccolta Hazlitt diLondra, laSusanna dellacollezione Pamphilj (oggi all'omonimaGalleria diRoma, che tuttavia la critica moderna propende nel ritenerla un'opera autografa di Annibale) laPietà di Brocklesby Park, inGran Bretagna e ilRitratto di giovane del museo diDarmstadt, il quale benché in passato fosse considerato un autoritratto, non corrisponde ai tratti somatici dell'artista descritti nelle fonti letterarie, forse si tratta del ritratto diAntonio Carracci, figlio diAgostino.[5] Mentre le prime due testimoniano l'espressione dei sentimenti vicini allo stile carraccesco, e quindi l'evoluzione stilistica che stava attuando il pittore, le ultime due così come le prime dell'inventario Aldobrandini testimoniano un'influenza ancora legata alle tendenze bolognesi. Al 1605 risale invece laSant'Agnese (oggi allaGalleria nazionale di palazzo Barberini) che fu eseguita su modello dellaFanciulla e l'unicorno dipalazzo Farnese.
Dal 1604 il Domenichino vive a casa diGiovanni Battista Agucchi, con cui era entrato in contatto già in occasione delle immissioni delle prime opere nellacollezione Aldobrandini, per il quale il pittore dipinge laLiberazione di san Pietro da collocare nellachiesa di San Pietro in Vincoli, occasione che risulta propizia per diventare suo amico e protetto, dai cui colloqui prende parte la formulazione teorica del movimento classicista.[6]
La relazione tra i due fu particolarmente proficua per entrambi, dove se il Domenichino ricevette svariate commesse per intercessione dell'Agucchi, questi contribuì attraverso gli sviluppi dei suoi studi alla formulazione delTrattato sulla pittura (1609-1612) che il diplomatico stava scrivendo in quegli anni.[6] L'Agucchi nutre profonda ammirazione per il Domenichino, che lo seguirà per tutta la sua vita, poiché vede in lui ciò che è il suo pensiero sull'estetica, dove il bello non è frutto del semplice dipinto dal vero, ma bensì dell'imitazione dell'ideale.[6]
Il risultato della pala di San Pietro trovò elogi anche dal fratello dell'Agucchi, il cardinaleGirolamo, grazie al quale ottiene la commessa per i tre affreschi nella chiesa di Sant'Onofrio al Gianicolo (1604-1605) e nel 1605 quella del proprioritratto ufficiale (oggi agli Uffizi).[6] Per lo stesso cardinale il Domenichino disegna e progetta l'anno seguente, su commessa di Giovanni Battista, anche ilmonumento funebre (1605-1606) nellachiesa di San Pietro in Vincoli, che costituisce il primo lavoro di architettura-scultura dell'artista, sul cui timpano realizza anche il piccolo tondo colRitratto di Girolamo.
La protezione di monsignorGiovanni Battista Agucchi consente al Domenichino di ricevere la meritata considerazione nel palcoscenico romano e di conseguenza molte commissioni, in particolare grandi cicli di affreschi, che saranno nella sua carriera la sua peculiarità artistica.
Nel 1608 inizia l'affresco con laFlagellazione di sant'Andrea nell'oratorio dellachiesa di San Gregorio al Celio, dove inserisce le piccole figure in una piazza romana chiusa da un muro e dalle colonne di un tempio con nello sfondo a sinistra una città antica e collabora con l'Albani alle decorazioni dipalazzo Mattei di Giove aRoma, affrescando unaRachele al pozzo.[7] Ottiene poi il compito di affrescare con leStorie di San Nilo la cappella dei Santissimi Fondatori nell'abbazia di San Nilo aGrottaferrata (1608-1610), il cui abate commendatario èOdoardo Farnese.[7] Questo lavoro, che rappresenta l'ultimo contatto che il pittore ha con Annibale Carracci, il quale fornì due disegni per due evangelisti dei pennacchi, prima della sua morte nel 1609, costituisce il trampolino di lancio definitivo del Domenichino sul palcoscenico nazionale, rendendolo tra i maggiori pittori del tempo.[7] L'occasione fu inoltre chiarificatrice di quelle inclinazioni (già avvertibili nelle opere precedenti) stilistiche che saranno il fulcro dell'arte del Domenichino, ossia dell'attenzione verso il mondo antico e la l'architettura classica.[7]
A luglio del 1609 Annibale Carracci muore; sul palcoscenico romano dominano la scenaGuido Reni su tutti, con ancheFrancesco Albani e il Domenichino, mentre ilLanfranco, ilBadalocchio eAntonio Carracci lasciarono (chi più, chi meno temporaneamente) la città romana per fare ritorno per qualche anno in Emilia.
Il 30 settembre 1609 Domenichino riceve un pagamento dal marcheseVincenzo Giustiniani, potente banchiere e uomo d'affari genovese di stanza aRoma, che per la sua villa fuori porta (aBassano Romano) chiamò il pittore alla realizzazione delleStorie di Diana.[7] Anche in questo si consolida quanto già manifestato a Grottaferrata, ossia con la composizione che sintetizza in maniera eccelsa il colorismo, l'attenzione verso il classicismo e la sensibilità sotto il piano emotivo-espressivo dei personaggi.[7]
All'inizio del secondo decennio del secolo il pittore riceve dagli eredi diPierre Polet la commissione della decorazione della cappella della propria famiglia inSan Luigi dei Francesi, che concluderà nel giro di tre anni, realizzando nelle pareti laterali e nel riquadri della volta scene sulleStorie di santa Cecilia, con le figure che derivano direttamente da statue classiche e dall'opera diRaffaello, che costituiranno l'apice del classicismo del Domenichino.[7]
Parallelamente agli affreschi il pittore esegue a partire dal secondo decennio del Seicento anche una serie di capolavori su tela per collezioni private e pubbliche. Non si trovò mai a lavorare direttamente per Paolo V Borghese, poiché questi vedeva in Guido Reni l'autore più idoneo a soddisfare le proprie richieste. Intorno al 1610 dipinge, eccezionalmente su tavola, ilPaesaggio con san Girolamo, ora nelKelvingrove Art Gallery and Museum diGlasgow, di cui la figura del leone, secondo la leggenda guarito da Girolamo, è derivata da unaxilografia diTiziano, confermando lo sguardo all'arte veneziana nella pittura di paesaggio dei Carracci e di Domenichino.
Nel 1614 realizza la grandeComunione di san Girolamo per lachiesa di San Girolamo della Carità, oggi neiMusei Vaticani. Eseguito per l'altare maggiore, il dipinto mostra riferimenti evidenti con latela eseguita da Agostino Carracci per lachiesa di San Girolamo alla Certosa aBologna, riprendendone il colorismo raffinato e l'attenzione agli effetti psicologici dei personaggi; rispetto al dipinto di Agostino, Domenichino inverte la composizione e diminuisce il numero dei personaggi.[8] Il Lanfranco utilizzerà queste similitudini per screditare il Domenichino più avanti, nel 1621, in occasione dell'investitura della commessa degli affreschi di Sant'Andrea della Valle, asserendo che il collega fosse tacciabile di plagio.[9]
Nel 1615 termina l'Angelo custode per lachiesa di San Francesco d'Assisi diPalermo, commissionata dalla famiglia Vanni, successivamente che verrà mutilata della parte superiore, oggi almuseo di Capodimonte diNapoli.[9] Un anno dopo il pittore subentra nella serie con leStorie di Alessandro commissionate dal cardinaleAlessandro Peretti a vari pittori di scuola emiliana e non, realizzando l'undicesimo tondo con la scena diTimoclea prigioniera portata davanti ad Alessandro, oggi alLouvre diParigi.[9]
Nel 1616 il pittore realizza ilRitratto del cardinale Jean de Bonsy (oggi aMontpellier), con cui pare sia entrato in contatto per il tramite diGiovanni Battista Agucchi che doveva conoscere già dal 1600 quando il cardinale Pietro Aldobrandini cerimoniò a Lione il matrimonio tra Enrico IV e Maria de' Medici.
Ancora grazie all'Agucchi il Domenichino instaura un rapporto lavorativo proficuo conPietro Aldobrandini, per il quale realizzò comunque già la pala diSan Girolamo della Carità di cui il prelato era protettore della congregazione appartenente, oltre alle opere dei primi del Seicento che furono acquistate dal prelato una volta che il pittore giunse aRoma. Domenichino riceve quindi l'incarico di eseguire una serie dipaesaggi ad affresco nellavilla Aldobrandini aFrascati (1616-1618), tra cui alcuni riprendentiStorie di Apollo, di cui diversi di questi oggi staccati e conservati nellaNational Gallery diLondra.[10] Nel 1617 per volere dello stesso Aldobrandini viene collocata nella volta della chiesa diSanta Maria in Trastevere (di cui l'Agucchi assunse il ruolo di supervisore ai lavori) la tela ottagonale dell'Assunta, inserita al centro di un prezioso soffitto ligneo decorato con gli stemmiAldobrandini e progettato dallo stesso pittore (che rappresenta quindi a quella data la seconda opera non pittorica della sua carriera).[9]
Domenichino riceve nello stesso 1617 il pagamento daScipione Borghese per laCaccia di Diana e per laSibilla Cumana, entrambe oggi nellaGalleria omonima. I due quadri erano in realtà stati commissionati anch'essi dal cardinale Aldobrandini per lacollezione sita nel palazzo a Magnanapoli, tuttavia Scipione ne apprezzò particolarmente l'esecuzione al punto da farseli consegnare dal pittore con la forza, trattenendolo per alcuni giorni in prigione così da per poter far cedere al "ricatto" il cardinale Aldobrandini.[10]
Al 1617-1618 risale invece la commessa diLudovico Ludovisi dellaSanta Cecilia che suona il violino (oggi al Louvre di Parigi), prima di una copiosa serie di opere che giungeranno nellacollezione Ludovisi allorquando un cardinale della famiglia diverrà nuovo pontefice (Alessandro nel 1621, col nome di Gregorio XV).
Particolare della volta della cappella Nolfi conStorie della Vergine (1618-1619),duomo di Fano
L'artista lascia Roma nel 1618, il Domenichino fa un breve soggiorno aFano nel gennaio dello stesso anno, dove lavora per Guido Nolfi alla decorazione con leStorie della Vergine della cappella familiare nelduomo cittadino.[11] La remunerazione era particolarmente elevata, prevedendo l'esecuzione di ben sedici scene affrescate, di cui erano pronti i cartoni preparatori già un anno prima, nel 1617.[11] Il ciclo fu completato nell'aprile 1619, dove si registra l'ultimo pagamento, riscuotendo particolare successo, tant'è che il Passeri lo appella eseguito "con gusto e con amore".[11]
Intanto già nel 1618 il pittore fa ritorno aBologna per iniziare la pala dellaMadonna del Rosario, commissionata daLorenzo Retta per lachiesa di San Michele in Bosco, e ilMartirio di sant'Agnese, commissionata daPietro Martire Carli per il convento di Sant'Agnese (entrambe le opere oggi alla Pinacoteca di Bologna), che però sarà completata solo l'anno dopo, quando il pittore fu rientrato a Roma.[11]
Nel 1620 il domenichino sposaMarsibilia Barbetti. A Bologna il pittore, di cui il prestigio della sua attività romana era giunto anche fino a lì, trova i dovuti elogi dagli artisti locali nonché dall'antico maestro, Ludovico Carracci.[11]
Tra il 1619 e il 1621, prima rientrare aRoma, il pittore lavora per il marcheseGiacomo Filippo Spada (forse ancora per il tramite dell'Agucchi), fratellastro del più noto cardinaleBernardino, realizzando per lachiesa di Santa Caterina martire diFaenza (oggi alla Pinacoteca di Bologna)[12] il grande dipinto delMartirio di san Pietro da Verona, che costituisce probabilmente l'opera qualitativamente più alta del periodo bolognese, eseguito su un prototipo diTiziano già nellachiesa dei Santi Giovanni e Paolo aVenezia andato distrutto nel 1867, anche se nelle figure, lineari e asciutte, non vi è nulla di tizianesco, mentre il prevalente paesaggio può ricordare ilVeronese.[13]
Il primo figlio del Domenichino viene battezzato nel 1621 nellachiesa di San Petronio a Bologna dal cardinaleAlessandro Ludovisi, che tre giorni dopo (il 9 febbraio) diventerà papa, col nome di Gregorio XV.[13] Il regno diPaolo VBorghese si chiuse quindi a vantaggio di quello di un pontefice bolognese, che favorì il rientro a Roma degli artisti emiliani più famosi, tra cui per l'appunto il Domenichino.[13]
Il ritorno a Roma al seguito di papa Gregorio XV (1621)
Chiamato nel 1621 a Roma dal nuovo pontefice, il primo aprile è nominatoarchitetto generale dellaCamera apostolica, seppur non progetterà alcun edificio anche per via della breve durata del pontificatoLudovisi.[13]
Nella lacollezione Ludovisi confluiscono tuttavia molte opere del pittore, che realizza pressoché tutto nel breve giro di anni che lo vedono iniziare i lavori al cantiere di Sant'Andrea della Valle. Il cardinaleLudovico commissionò in prima istanza il proprio ritratto ufficiale che accompagna quello dello zio pontefice (oggi a Béziers), cui seguirono una serie dipaesaggi, tra cui i due constorie di Ercole, ilPaesaggio con Caco e quello conla Fuga in Egitto, tutti alMuseo del Louvre diParigi e infine ilPeccato originale (oggi allaGalleria Pallavicini diRoma).
Nel 1626 partecipa inoltre al concorso bandito dal cardinale Ludovisi per il progetto dellachiesa di Sant'Ignazio, che tuttavia non fu accolto dai padri gesuiti che gli preferirono quello diOrazio Grassi.
Tra il 1621 e il 1622 Domenichino completa per il cardinaleCostanzo Patrizi il ciclo delCarro di Apollo eIl Tempo che svela la Verità, avviato già nel 1614 e collocato nella volta di una sala al piano nobile delpalazzo Patrizi Costaguti di Roma.[14] L'opera costituisce uno dei momenti più alti del pittore, collocandosi stilisticamente tra la versione diGuido Reni, che dà il via al concetto narrativo, quando già nel 1614 compie la grande scena delCarro dell'Aurora per la volta del casino diScipione Borghese aMontecavallo, attualepalazzo Pallavicini Rospigliosi, che diverrà modello per tutti gli artisti successivi, e ilGuercino che compirà un anno prima del Domenichino la sua versione nel casino Ludovisi (a quella data tuttavia il tema centrale del soggetto del Domenichino doveva essere già concluso).[15]
In questo ciclo il Domenichino si colloca sì temporalmente all'ultimo posto rispetto ai suoi colleghi emiliani, ma stilisticamente si pone in una posizione intermedia tra le altre due versioni, dove alla stesura a mo' di quadro riportato secondo lo stile reniano, si associa un'unità d'insieme rispetto alle altre figure allegoriche poste ai margini della finta architettura marmorea (realizzata daAgostino Tassi) che è invece presente nell'opera guercina.[15]
Il cantiere di Sant'Andrea della Valle (1622-1628)
Nel 1622 il Domenichino ottenne l'incarico più vasto e importante della sua attività fino a quel momento, ossia di affrescare i pennacchi e il coro dellabasilica di Sant'Andrea della Valle, a cui qualche anno dopo si aggiunsero i cicli sulleStorie della vita del santo nell'abside.[16] Si trattò di un lavoro complesso, il più importante cantiere attivo in quel periodo aRoma, su cui si impegnò il pittore per sei anni dedicandosi all'impresa fino al febbraio del 1628.[17]
Il cardinaleAlessandro Peretti Montalto fu il committente dell'opera, che scelse per la sua esecuzione il Domenichino seppur in prima istanza avrebbe promesso l'esecuzione dei lavori, quantomeno interni alla cupola, alLanfranco.[17] Questo fatto causò non pochi dissapori tra i due pittori, i cui rapporti già erano tesi da anni prima, tant'è che il Lanfranco riuscì ad ottenere l'incarico solo dopo alcune pressioni fatte al cardinale, che decise quindi di dividere il lavoro tra i due, dove il Domenichino avrebbe compiuto glievangelisti nei pennacchi.[17]
La prima parte completata fu la decorazione dei pennacchi, che furono completati intorno al 1625 con quattroevangelisti.[17] Nell'insieme l'artista forza il suo linguaggio classico verso una composizione più ariosa e verso un recupero della resa atmosferica del maestroLudovico Carracci in aperta competizione colLanfranco. Lo stile degli evangelisti vede alle reminiscenze raffaellesche emichelangiolesche l'aggiunta di una forte notacorreggesca, mentre nei singoli episodi della vita del santo, ancora rigorosamente separati da costoloni decorati, lo scenario è allargato e nei modi ricorda ancora una volta alcuni assunti di Ludovico Carracci.
Dopo la morte del cardinaleAlessandro Peretti Montalto e del papa Gregorio XV, avventa per entrambi nel 1623, seguì il cantiere viene seguito dal nipote il cardinaleFrancesco Peretti.[15] Tuttavia il cambio di pontefice a favore del toscanoMaffeo Barberini, divenuto papa Urbano VIII, crea non poco imbarazzo al Domenichino, che deve ritrovare l'energia per riuscire ad accaparrarsi commesse cittadine.[15] Ancor di più a complicare la faccenda fu il fatto che anche l'antico protettore,Giovanni Battista Agucchi, lasciòRoma in quel frangente, venendo inviato dal nuovo papa a svolgere il ruolo di nunzio apostolico aVenezia.[15]
La chiesa di Sant'Andrea della Valle inoltre era di fatto il pantheon della famigliaBarberini, pertanto diventava importante instaurare un rapporto di stima reciproco tra le due parti.[15] Il Domenichino per avvantaggiare il buon esito delle relazioni chiamò il cardinaleFrancesco Barberini a fungere da padrino per un'altra sua figlia, cosa che gli procurò la commessione di una pittura su muro (ilMartirio di san Sebastiano, 1625-1630) addirittura per labasilica di San Pietro, poi staccata ricollocata inSanta Maria degli Angeli.[15]
Tra il 1627 e il 1628 si conclude il ciclo per lachiesa della Valle con la decorazione ad affresco della calotta absidale, dove furono realizzate altre cinque scene sulleStorie di sant'Andrea (San Giovanni Battista indica Cristo ai futuri apostoli Andrea e Giovanni nel riquadro sotto l'arcone presbiteriale, laGloria di sant'Andrea, immediatamente in basso, laVocazione dei fratelli Pietro e Andrea, al centro del catino absidale,Sant'Andrea condotto al martirio, nel riquadro a destra e laFlagellazione di sant'Andrea, nel riquadro a sinistra) e, negli spicchi del registro inferiore, le personificazioni dellevirtù.[15]
Gli ultimi anni romani sotto il pontificato Barberini (fino al 1630)
Nel 1623 Domenichino compie la pala d'altare dellaConversione di San Paolo delduomo di Volterra e inizia ilRimprovero ad Adamo ed Eva, che sarà donato dall'architettoAndré le Nôtre aLuigi XIV nel 1693. Eseguita surame con una forte attenzione ai contrasti cromatici, l'opera ricorda la produzione diAdam Elsheimer e, soprattutto, diPaul Brill. La figura del Padreterno è una citazione michelangiolesca dalla volta dellaCappella Sistina, mentre gli animali in primo piano simboleggiano - illeone e l'agnello, secondo citazioni bibliche e virgiliane - la pacifica convivenza dell'età dell'oro, mentre ilcavallo che, daGeremia, simboleggia la lussuria, annuncia la fine, colpeccato originale, di quella mitica età.
Nel 1625 disegna la cappella della Madonna di Strada Cupa commissionata da monsignor Cecchini per lachiesa di Santa Maria in Trastevere, l'altare della cappella Porfirio dellachiesa di San Lorenzo in Miranda, mentre risale agli ultimi anni romani il progetto architettonico del portale dipalazzo Lancellotti aiCoronari.[18][19] Nel 1628 inizia invece gli affreschi per i pennacchi diSan Carlo ai Catinari che termina nel 1630 con la realizzazione delle quattro virtù cardinali (Prudenza,Giustizia,Fortezza eTemperanza).
Nel 1629 intanto realizza, grazie alla raccomandazione dell'Agucchi (che intanto si era trasferito a Venezia) a cui la confraternita si rivolse, la grande pala d'altare per lachiesa dei Bolognesi a Roma, laMadonna col Bambino e i santi Petronio e Giovanni Evangelista. Stando alle parole del biografoCarlo Cesare Malvasia il pittore ha messo nella scena le proprie competenze musicali, di cui la passione sarebbe sorta tra il secondo e terzo decennio del secolo, rappresentandovi il complesso strumentale degli angeli (un’arpa, un cornetto, un violino e una viola da gamba) che ricalca quello dellasonata in trio tipica del periodo barocco.[20] Oltre a questo aspetto la tela mostra altre innovazioni che il pittore stava sperimentando in quel periodo, come le tonalità rischiarate e l'uso di una composizione strettamente connessa agli assunti matematici geometrici, sollecitati dal rapporto col maestroMatteo Zaccolini, che danno al quadro una connotazione ancor più classicista.[20]
La sua grande attività romana di questi anni lo porta all'elezione, per l'anno 1630, alla massima carica della prestigiosaAccademia nazionale di San Luca, la più importante istituzione artistica dell'epoca a Roma.[20] Tuttavia la nomina non ebbe effettivo seguito poiché, già arrivato in realtà secondo dietro aGuido Reni nella lista stilata a novembre 1629, che però questi fu squalificato poiché non viveva più a Roma, il Domenichino dovette sottostare anche al volere del cardinaleFrancesco Barberini, il quale attraverso una disposizione ufficiale diede mandato aCassiano dal Pozzo di manifestare le sue volontà di nominare principe dell'Accademia il protettoGian Lorenzo Bernini, cosa che effettivamente avvenne a far data dal 1º gennaio del 1630.[21]
Nonostante i successi individuali e la fama oramai raggiunta, anche in ambito imprenditoriale arrivando a formare una interessante bottega dove vi prese parte persino il giovane (dicannovenne)Sassoferrato, il Domenichino sentì che l'aria era cambiata rispetto agli anni addietro. Non trovando più l'appoggio dei vecchi amici di un tempo il pittore coglie l'occasione per lasciare la casa dove abitava in piazza dei Signori nei pressi dellachiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio a Roma, per la volta diNapoli, dove fu chiamato a realizzare affreschi al più importante cantiere della città di quel tempo, lacappella di San Gennaro.
Patrocinio dei santi Gennaro, Agrippina e Agnello Abate (1638-1641), uno dei pennacchi dellacupola di San Gennaro,Napoli
Il 23 marzo del 1630 accetta, in una lettera inviata aMuzio Capece aNapoli, uno dei componenti della Deputazione dellacappella del Tesoro nelduomo, l'incarico di eseguire un complesso schema decorativo comprendente sia affreschi che dipinti oli su rame sulleStorie di san Gennaro.[21] Terminati nel giugno gli affreschi di San Carlo ai Catinari, nel novembre il pittore si trasferisce nella città partenopea.
Il lavoro era complesso e articolato, dovendo affrescare svariate parti dell'ambiente, tra lunette, sott'archi, pennacchi e cupola.[21] L'artista inoltre non trovò un cammino facile: contrastato da artisti napoletani, qualiBelisario Corenzio,Jusepe de Ribera eBattistello Caracciolo, gelosi della sua fortuna che costituirono un gruppo intimidatorio definitocabala di Napoli, non apprezzato dal viceré e angustiato, per motivi di interesse, da suoi familiari, nell'estate del 1634 abbandona la città perFrascati, dove è ospitato nella già conosciutavilla Aldobrandini.[21] I deputati del Tesoro di San Gennaro fanno di tutto per far tornare il Domenichino così da poter completare il cantiere, arrivando a sequestrare la moglie e la figlia che erano rimaste intanto a Napoli, cosicché, all'inizio dell'anno successivo, il pittore fa ritorno in città per proseguire i lavori.
Nel 1637 riceve il pagamento per nove dei dodici affreschi sui sott'archi e lunette, che rappresentano decisamente quelli di maggior spessore stilistico che risultano in armonia con il suo personale percorso artistico.
Nel mese di giugno 1638 comincia a dipingere anche la cupola della cappella, dove affresca i pennacchi (terminati nel 1641) alterando le tendenze sviluppate in quelli diSant'Andrea della Valle, non raggiungendo infatti gli stessi risultati qualitativi, a differenza dei quali riempie in questo caso gli spazi con una moltitudine di figure gesticolanti che sembrano pietrificate, come a voler dare loro un significato prettamente iconografico.[21] Inoltre, l'uso della tonalità argentea e il riempimento della scena con il volto di svariati cherubini che sbucano tra le nubi sembrano, sotto il profilo stilistico, esser eseguiti in continuità con la pala deisanti Petronio e Giovanni per la chiesa dei Bolognesi aRoma.
Nel 1640 vengono completati quattro su sei oli su rame commissionati per gli altari. Così come accaduto per i pennacchi, anche in questi dipinti il pittore si è scostato dai suoi modi pittorici più noti, abbandonando un contenuto classicista-paesaggista per ritornare a uno stile più vicino all'antico maestroLudovico Carracci, e nel contempo ad adeguarsi probabilmente alla tendenza che ancora era in voga nella città partenopea in quegli anni, ossia a una pittura più naturalista e chiaroscurale.[21] Furono diverse le opere che non furono terminate dal pittore per la sopraggiunta improvvisa morte: un dipinto mai iniziato fu quindi riassegnato aJusepe de Ribera, mentre un altro che non fu ultimato (San gennaro che libera un'ossessa) venne affidatoex-novo aMassimo Stanzione (che tuttavia realizzò una versione che comunque non fu preferita a quella del Domenichino).[21]
La serie di dipinti sulleStorie di san Gennaro (1640)
Il Domenichino muore il 6 aprile 1641, tre giorni dopo aver steso il suo testamento. Le circostanze del suo decesso sono sin dal principio state poco chiare, tant'è che ilPasseri sospettò addirittura che il pittore fosse stato avvelenato.
La calotta dellacupola di San Gennaro fu fatta in tempo ad esser solo iniziata dal pittore, pertanto dopo la sua morte venne chiesto da parte della Deputazione un parere sullo stato dell'arte ancora una volta alRibera e alloStanzione, che questi la giudicarono non eccelsa e quindi non da completare, ma bensì da rimpiazzare con un nuovo ciclo.[21] Così come avvenne più di dieci anni prima in Sant'Andrea della Valle a Roma, l'affresco della cupola inizialmente realizzato dal Domenichino viene cancellato del tutto e ricoperto con nuovo intonaco, mentre al rivaleGiovanni Lanfranco ne viene commissionato uno nuovo.[21]
Cresciuto nella bottega e influenza deiCarracci, il Domenichino si manifesta sin dal principio come pittore paesaggista di eccelsa fattura, che inserisce nelle sue composizioni in maniera pressoché dominante rispetto alle figure ritratte, o comunque come parte incisiva dell'intera storia dipinta. Dopo l'incontro con l'Agucchi nel 1604, con cui stringerà un legame di amicizia fino alla morte del critico, il suo stile si consolida verso i suoi principi teorici, ossia nella ricerca del bello ideale mediante una pittura classicista e allontanandosi da quella naturalista.
Il pittore ha all'attivo un elevato numero di opere realizzate, tra i pochi assieme al maestroAnnibale Carracci a non lasciare fuori dal proprio catalogo alcun tipo genere (paesaggi, quadri storici, ritratti, bambocciate). Oltre a pitture da cavalletto e pale per chiese pubbliche il Domenichino fu particolarmente incisivo nella pittura ad affresco, grazie alla quale sin dalle grandi decorazioni di cappelle e palazzi della nobiltà romana degli anni giovanili, lo hanno reso tra i pittori più ricercati del panorama locale.
John Pope-Hennessy,The Drawings of Domenichino at Windsor Castle, Londra, 1948
Maurizio Fagiolo Dell'Arco,Domenichino, ovvero Classicismo del Primo-Seicento, Roma, 1963
Evelina Borea,Domenichino, Milano, 1965
Richard E. Spear,Studies in the Early Art of Domenichino, tesi di laurea, Princeton University, 1965
Id.,Domenichino, I e II tomo, Yale-New Haven-Londra, 1982
Domenichino, storia di un restauro. Gli affreschi di Domenichino nella Cappella del Tesoro nel Duomo di Napoli; restauro dal giugno 1986 al dicembre 1987, Napoli, 1987
Anna Coliva,Domenichino - Art Dossier n. 118, Firenze, 1992
AA. VV.,Domenichino 1581-1641, a cura di Claudio Strinati e Almamaria Tantillo, Milano, Electa, 1997,ISBN9788843555499.
Classicismo e natura: la lezione di Domenichino catalogo della mostra a cura di Sergio Guarino e Patrizia Masini, Roma, 1996
Julian Kliemann,Il bersaglio dell'arte: la caccia di Diana di Domenichino nella Galleria Borghese, Roma, 2001
Elizabeth Cropper,The Domenichino affair: novelty, imitation, and theft in seventeenth-century Rome, New Haven, 2005