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Dio

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Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vediDio (disambigua).
The Ancient of Days, incisione del pittoreingleseWilliam Blake (1794).

Undio (odivinità) è un essere supremo oggetto divenerazione da parte degli uomini[1][2], che credono sia dotato di poteri straordinari; nelle diverse culturereligiose viene variamentedenominato e significato.[3] Lo studio delle sue differenti rappresentazioni e del loro procedere storico è oggetto dellascienza delle religioni e dellafenomenologia della religione mentre l'esistenza, la natura e l'esperienza del divino sono oggetto di riflessione delleteologie e di alcuni ambitifilosofici come lametafisica, ma si riscontra anche in altri ambiti culturali, come laletteratura o l'arte, non necessariamente collegati con la pratica religiosa.

A seconda del fatto che il credo siamonoteista opoliteista, il dio oggetto di venerazione può essere uno oppure gli dèi venerati possono essere plurimi.

I nomi della divinità: i loro significati e le loro origini

Ideogramma sumero per esprimere il sostantivodingir, termine che indica una divinità e per questo veniva utilizzato come classificatore grafico, anteponendolo al nome della divinità
Evoluzione deltetragramma biblicoYHWH, nome personale del dio dellaBibbia, dall'alfabeto fenicio all'attualeebraico
Il nome di Dio scritto nellacalligrafia araba. Nell'Islam è considerato peccatoantropomorfizzare Dio

I nomi utilizzati per indicare questa entità sono numerosi quanto numerose sono le lingue e le culture.

  • Nelle lingue di origine latina come l'italiano (Dio), il francese (Dieu) e lo spagnolo (Dios), il termine deriva dallatinoDeus (a sua volta collegato ai termini, sempre latini, diDivus, "splendente", eDies, "giorno") proveniente dal termineindoeuropeo ricostruito*Deiwos. Il termine "Dio" è connesso quindi con la radice indoeuropea: *div/*dev/*diu/*dei, che ha il valore di "luminoso, splendente, brillante, accecante", collegata ad analogo significato con ilsanscritoDyáuh. Allo stesso modo si confronti ilgreco Δῖος e ilgenitivo di Ζεύς [Zèus] è Διός [Diòs], ilsanscritodeva, l'aggettivo latinodivus, l'ittitašiu.
  • Nelle lingue di origine germanica come l'inglese (god), il tedesco (Gott), il danese (gud), il norvegese (gud), lo svedese (gud), sono relazionati all'antico frisone, all'antico sassone e all'olandese medievalegot; all'antico e al medievale alto germanicogot; al goticogut; all'antico norvegeseguth egoth nel probabile significato di "invocato".Maurice O'Connell Walshe[4] lo relaziona al sanscrito-hūta quindi*ghūta (invocato). Quindi forse da relazionare al gaelico e all'antico irlandeseguth (voce) e all'antico celtico*gutus (radice*gut).[5]
  • Nella lingua greca, antica e moderna, il termine ètheós (θεός; pl. θεοίtheòi). L'origine è incerta.[6]Émile Benveniste, tuttavia, nel suoLe Vocabulaire des institutions indo-européennes[7] collegatheós athes- (relazionato sempre al divino)[8] e questo a*dhēs che si ritrova nel plurale armenodikc (gli "dèi",-kc è il segno plurale). Quindi perÉmile Benveniste: «è del tutto possibile - ipotesi già avanzata da tempo - che si debba mettere in questa serieTheós 'Dio' il cui prototipo più verosimile sarebbe proprio*thesos. L'esistenza dell'armenodikc 'dèi' permetterebbe allora di formare una coppia lessicale greco armena[9]».
  • In ambitosemitico il termine più antico èʾEl (inebraico אל), corrispondente all'accadicoIlu(m) (cuneiforme accadico) e al cananaicoʾEl oʾIl (fenicio), la cui etimologia è oscura anche se sembrerebbe collegata alla nozione di "potenza".[10]
  • Nell'ambito della letteratura religiosa ebraica i nomi con cui viene indicato Dio sono: il già citatoʾEl;ʾEl ʿElyon (ʿelyon nel significato di "alto" "più alto");ʾEl ʿOlam ("Dio Eterno");ʾEl Shaddai (significato oscuro, forse "Dio Onnipotente");ʾEl Roʾi (significato oscuro, forse "Dio che mi vede");ʾEl Berit ("Dio dell'Alleanza");ʾEloah, (plurale:ʾElohim, meglioha-ʾElohim il "Vero Dio" anche al plurale quindi;ha per distinguerlo dalle divinità delle altre religioni o ancheʾElohim ḥayyim, con il significato di "Dio vivente");ʾAdonai (reso come "Signore"). Il nome che appare più spesso nella Bibbia ebraica è quello composto dalle lettere ebraiche י (yod) ה (heh) ו (vav) ה (heh) otetragramma biblico (la scrittura ebraica è da destra a sinistra): traslitterato quindi comeYHWH, il nome proprio del Dio di Israele.[11] Gli ebrei si rifiutano di pronunciare il nome di Dio presente nella Bibbia, cioèי*ה*ו*ה (tetragramma biblico) per tradizioni successive al periodo post-esilico e quindi alla stesura dellaTōrāh. L'Ebraismo insegna che questo nome di Dio, pur esistendo in forma scritta, è troppo sacro per essere pronunciato. Tutte le moderne forme di Ebraismo proibiscono il completamento del nome divino, la cui pronuncia era riservata al sommo sacerdote, nelTempio di Gerusalemme. Poiché il Tempio è in rovina, il nome non è attualmente mai pronunciato durante riti ebraici contemporanei. Invece di pronunciare il tetragramma durante le preghiere, gli ebrei diconoAdonai, cioè "Signore". Nelle conversazioni quotidiane diconoHaShem (in ebraico "il nome", come appare nel libro del Levitico XXIV,11) quando si riferiscono a Dio. Per tale ragione un ebreo osservante scriverà il nome in modo modificato, ad esempio come D-o. Gli ebrei oggi durante la lettura delTanakh (Bibbia ebraica) quando trovano il tetragramma (presente circa 6000 volte) non lo pronunciano.
  • Nell'ambito della letteratura religiosa arabo musulmana il nome di Dio èAllāh (الله) riservando il nome generico diilāh (إله; nel caso del Dio unico alloraal-Ilāh il-Dio) per le divinità delle altre religioni. Il termine araboAllāh viene probabilmente dall'aramaicoAlāhā[12]). NelCorano, il libro, sacro dell'Islam, l'Essere supremo rivela che i suoi nomi sonoAllāh eRahmān (il "Misericordioso"). La cultura islamica parla di 99 "Bei Nomi di Dio" (al-asmā‘ al-husnà), che formano i cosiddetti nomi teofori, abbondantemente in uso in aree islamiche del mondo: 'Abd al-Rahmān, 'Abd al-Rahīm, 'Abd al-Jabbār, o lo stesso 'Abd Allāh, formati dal termine "'Abd" ("schiavo di"), seguito da uno dei 99 nomi divini.
  • Nellalingua sumera il grafema distintivo della divinità è (dingir), probabilmente inteso come "centro" da cui la divinità si irradia.[13]
  • Nella cultura religiosa sanscrita, fonte delvedismo, delbrahmanesimo e dell'induismo, il nome generico di un dio èdeva (देवता) riservando, a partire dall'induismo, il nome diĪśvara (ईश्वर, "Signore", "Potente", dalla radicesanscritaīś "avere potere") alla divinità principale.[14] Il terminedeva è correlato, come ad esempio il termine latinodeus, alla radice indoeuropea già citata richiamante lo "splendore", la "luminosità". In tale alveo la divinità femminile si indica con il nome didevī, termine che indicherà con laMahādevī (Grande Dea) un principio femminile primordiale e cosmico di cui le singole divinità femminili non sono che manifestazioni.[15]
  • Nella cultura religiosa iranica preislamica il termine utilizzato è l'avesticoAhura ("Signore") che corrisponde alsanscritoAsura;[16] acquisendo il nome diAhura Mazdā ("Signore Saggio"persiano اهورا مزدا) l'unico dio del monoteismozoroastriano.[17]
  • Nell'ambito della fedebahá’í, nelKitáb-i-Íqán, la principale opera teologicabaha’í, Dio viene descritto come “Colui Che è l’Orbe centrale dell’universo, sua Essenza e suo Fine ultimo”.Bahá’u’lláh insegna che Dio non è mai stato e mai sarà direttamente conoscibile ai comuni mortali, ma che i suoi attributi le sue qualità e i suoi insegnamenti si possono apprendere, e si sono gradualmente evoluti nella nostra comprensione, imparandoli dalle sue manifestazioni divine (che nella teologiabahá’í sono ravvisabili lontanamente anche negli avatar induisti o nei profeti antecedenti Abramo). Le più recenti e tuttora onorate e amate manifestazioni sono i grandi profeti ed insegnanti delle principali tradizioni religiose e includono Krishna, Buddha, Zoroastro, Maometto, Bahá’u’lláh... La fede bahá’í è in sé prettamente monoteistica, predica dunque l’unità di tutte le religioni e insegna che queste antichissime, antiche e molteplici rivelazioni sono state necessarie per soddisfare i bisogni dell'uomo e dell’umanitá, furono adatte ai diversi tempi storici dello sviluppo umano e alle sue varie culture, e tutte loro fanno parte di un unico piano divino dirivelazione progressiva per l’educazione dell’umanitá.
  • Il caratterecinese per "dio" è 神 (shén). Esso si compone al lato sinistro di 示 (shì "altare" oggi nel significato di "mostrare") a sua volta composto da 丁 (altare primitivo) con ai lati 丶 (gocce di sangue o di libagioni). E a destra 申 (shēn, giapp.shin omōsu) sta per "dire" "esporre" qui meglio come "illuminare", "portare alla luce". Quindi ciò che dall'altare conduce alla chiarezza, alla luce, dio. Rende il sanscritodeva e da questo deriva sia il lemmagiapponese di carattere identico ma pronunciato comeshin sia quellocoreano 신 (sin) e il terminevietnamitathân. Anche iltibetanolha. Quindi 天神 (tiānshén, giapp.tenjin,tennin, coreano 천신ch'ŏnsin vietnamitathiên thần: dio del cielo) dove al già descritto carattere 神 si aggiunge 天 (tiān, giapp.ten) col significato di "cielo", "celeste", dove si mostra ciò che è in "alto" è "grande" (大 persona con larghe braccia e grandi gambe ad indicare ciò che è "largo", "grande").

Fenomenologia della religione

Il termine "dio" si applica ad ambiti storicamente e culturalmente diversi e non è quindi facilmente definibile. Nellafenomenologia della religione viene individuato un'origine condivisa di tali significati,collocabile nella comune esperienza del sacro e della straordinarietà della sua potenza[senza fonte]. La complessità della definizione, così come la tensione dell'esperienza religiosa verso qualcosa di "totalmente altro" rispetto a ciò che è ordinariamente percepito, è efficacemente descritta dallostudioso delle religioni olandeseGerardus van der Leeuw[18]:

«Quando diciamo cheDio è l'oggetto dell'esperienza religiosa vissuta, dobbiamo tener presente cheDio è spesso una nozione assai poco precisa; molte volte questa nozione non si identifica affatto con quel che abitualmente intendiamo per Dio. L'esperienza religiosa vissuta si riferisce a qualche cosa: in molti casi è impossibile dire più di questo, e perché l'uomo possa a attribuire a questoqualche cosa un qualsiasi predicato, è necessario che venga costretto a rappresentarselo come qualche cosa didiverso. Sull'oggetto della religione quindi si potrà dire anzitutto questo: è qualche cosa didiverso,che sorprende. ConSöderblom, è il caso di trovare la meraviglia all'inizio non solo della filosofia, ma anche della religione. Finora non si parla affatto di soprannaturale o di trascendente, anzi si può parlare diDio soltanto in modo improprio; abbiamo soltanto un'esperienza vissuta, collegata al diverso che stupisce. Lungi dal prospettare la minima teoria e neppure la più elementare generalizzazione, ci contentiamo della constatazione empirica: quest'oggetto esce dall'ordinario. E ciò risulta dallapotenza che l'oggetto sprigiona.»

(Gerardus van der Leeuw.Phänomenologie der Religion (1933). In italiano:Fenomenologia della religione. Torino, Boringhieri, 2002, pagg.7-8)

«Infine, la relazione degli uomini con questa potenza è caratterizzata dallo stupore, dal timore, in casi estremi dallo spavento (Marett usa qui la bella parola ingleseawe). Questo perché la potenza è considerata non soprannaturale ma straordinaria,diversa. Gli oggetti e le persone investiti di potenza hanno una natura specifica, quella che noi chiamiamosacra

(Gerardus van der Leeuw.Op.cit. pagg.11-2)

Sempre in ambito fenomenologico-religioso si è ritenuto di individuare delle costanti nei significati e nelle rappresentazioni attribuite al "dio" inteso come essere supremo nelle differenti culture:

«Quel che non ammette alcun dubbio è la quasi-universalità della credenza in un Essere divino celeste, creatore dell'Universo e garante della fecondità della terra (grazie alle piogge che versa). Questi Esseri sono dotati di prescienza e sapienza infinite, hanno instaurato le leggi morali, spesso anche rituali del clan, durante la loro breve dimora sulla terra; sovrintendono all'osservanza delle leggi, e fulminano con la folgore chi le viola.»

(Mircea Eliade.Traité di historie des religions (1948). In italiano:Trattato di storia delle religioni. Torino, Boringhieri, 1984, pag.42)

«Una delle maggiori conquiste dell'attuale ricerca storico-religiosa va senz'altro considerata la dimostrazione che quasi tutti i popoli, quelli senza scrittura e quelli civilizzati, hanno una fede in Dio. La fede in Dio rappresenta dunque il punto centrale della religione. Questa fede presenta, com'è ovvio, i caratteri più disparati da una religione all'altra; ma si possono osservare delle tipiche varianti che ricorrono con sorprendente regolarità nel corso della storia delle religioni. Grosso modo avviene questo: le specie principali di fede in Dio a noi note si distribuiscono attraverso l'intero spettro delle varie religioni storiche, cosicché non è in base a una diversa forma di fede nella divinità che l'una religione si distingue dall'altra. È dato invece di rilevare che spesso in una stessa religione coesistono diverse immagini e concezioni della stessa divinità.»

(Geo Widengren.Religionsphänomenologie (1969). In italiano:Fenomenologia della religione. Brescia. EDB, 1984, pag.121)

Analisi filosofica

Lo stesso argomento in dettaglio:Teologia, Teodicea e Filosofia della religione.

Filosofia greca

Zeus diSmirne 250 d.C.,Museo del Louvre,Parigi. Nella religione greca Zeus è considerato il Re degli dèi
Lo stesso argomento in dettaglio:Teologie della civiltà classica.

IGreci si posero anche il problema dell'esistenza di Dio. Numerosi filosofi si occuparono, più o meno indirettamente, della questione. Neipresocratici ad esempio lafilosofia naturalistica, che dominava sulle altre, spesso condusse alla ricerca di un principio primo oarchè, sia nei filosofi diMileto che inEraclito, oppure ad unEssere come neglieleati (Parmenide su tutti).Anassagora riteneva l'universo mosso da un'intelligenza suprema (Nous), mentreDemocrito sembrava non contemplare l'idea di un disegno divino nel cosmo.

Socrate, come riportaSenofonte neiMemorabili, fu particolarmente votato all'indagine suldivino: svincolandolo da ogni interpretazione precedente, lo volle caratterizzare come "bene", "intelligenza" e "provvidenza" per l'uomo.[19] Egli affermava di credere in una particolare divinità, figlia degli dèi tradizionali, che indicava comedáimōn: uno spirito-guida senza il quale ogni presunzione di sapere è vana. In Socrate infatti ricorre spesso il tema della sapienza divina più volte contrapposta all'ignoranza umana.[20] Concetto ribadito anche a conclusione della suaApologia:

«Ma ecco è l'ora di andare, per me di andare a morire, e per voi di continuare a vivere; chi di noi vada verso un migliore destino è oscuro a tutti, fuori che a Dio.»

(Platone,Apologia di Socrate, 42 a)

Platone parla del divino in molti dei suoiDialoghi. NellaRepubblica, per esempio, fa una critica alle visioni del tempo, secondo le quali il Dio (o gli dèi) era presentato con molti vizi umani. Nel libro X delleLeggi tenta di articolare una prova dell'esistenza del divino partendo dal movimento e dall'anima, e difende in modo preciso l'idea di una provvidenza divina rispetto al mondo umano.Aristotele giungerà a dimostrare la necessità filosofica di un dio come motore immobile,causa prima non causata. Egli suddivideva le scienze in tre rami:

  • fisica, in quanto studio della natura;
  • matematica, o studio dei numeri e delle quantità;
  • eteologia, da lui giudicata la più eccelsa delle scienze,[21] dato che il suo argomento, il divino e le sostanze separate, rappresenta l'essere più alto e degno di venerazione.

SecondoAristotele solo il divino èvero essendo «fisso e immutabile»; l'essere vero, come già inParmenide ePlatone, è ciò che è «necessario», perfetto, quindi stabile, non soggetto a mutamenti di nessun genere. Ildivenire invece è una forma inferiore di realtà che si può anche studiare, ma non conduce ad alcun sapere universale.

«Se esiste qualcosa di eterno ed immobile separabile dalla materia, è evidente che la conoscenza di esso concerne una scienza teoretica che non è la fisica né la matematica, ma di una scienza superiore, lateologia. [...] Se la divinità è presente in qualche luogo, essa è presente in una natura siffatta [eterna e immutabile], ed è indispensabile che la scienza più veneranda si occupi del genere più venerando.»

(Aristotele,Metafisica, Libro VI, 1º, 1026 a)

Lafilosofia nel senso più alto era quindi da lui intesa solo come "scienza del divino", ovvero «scienza dell'essere in quanto essere»,[22] distinto dall'«essere per accidente»[23] che concerne la semplice realtà naturale e percepibile. Ad esempio la filosofia naturalistica come quella di Talete e Anassimandro, di Leucippo e di Democrito, era per lui solo una forma di sotto-conoscenza dell'accidentale, del precario e del particolare.

«Il primo motore dunque è un essere necessariamente esistente e in quanto la sua esistenza è necessaria si identifica col Bene, e sotto tale profilo è principio assoluto. [...] Se perciò Dio è sempre in uno stato di beatitudine, che noi conosciamo solo qualche volta, un tale stato è meraviglioso, e se la beatitudine di Dio è ancora maggiore essa deve essere oggetto di meraviglia maggiore. Ma Dio è appunto in tale stato!»

(Aristotele,Metafisica, XII, 7, 10-12[24])

Deismo

La visionedeista della divinità sottintende la convinzione di poter giustificare razionalmente l'esistenza di un dio, tipo di visione diffusasi soprattutto nell'età dell'Illuminismo. Deista era, per esempio,Voltaire. Il deismo ritiene che l'uso corretto dellaragione consenta all'uomo di elaborare una religione naturale e razionale completa ed esauriente, capace di spiegare il mondo e l'uomo. Esso prescinde completamente da ogni rivelazione positiva e le si oppone, basandosi su alcuni principi elementari, primo fra tutti quello dell'esistenza della divinità come base indispensabile per affermare e spiegare l'ordine, l'armonia e la regolarità nell'universo.

Il concetto alla base del deismo, quello di una divinità eminentemente creatrice, ma anche ordinatrice e razionalizzatrice, è immediatamente utilizzabile, nell'ambito della classificazione tra teoetotomie e religioni ed in ottica etnologica, per identificare questi secondi modelli rispetto alle prime. In una religione rivelata infatti la divinità non esplica solo una funzione creatrice ma anche quella di censore/supervisore etico dell'uomo. Questa modalità di intendere il profilo della divinità è una modalità contingente che si può ritrovare solo su sistemi di culto connessi con modelli sociali di tipo classistico. Il passaggio da modelli deistici a modelli teoetotomistici, corroborato da varie evidenze antropologiche, è stato invocato per spiegare il mito delpeccato originale.

Questa trasformazione socio culturale può essere infatti invocata per interpretare il passaggio dalla condizione anteriore alla manducazione del pomo dell'albero, detto dall'agiografo della conoscenza del bene e del male, in cui l'uomo, vivendo in contesti deistici non era in grado di sperimentare la condizione di conoscenza di eventuali gesti e scelte da intendere quale opposizione alla volontà della divinità (male) da gesti e atteggiamenti graditi alla stessa (bene). Le forme deistiche, non teoetotomistiche, non contemplano infatti alcun concetto di peccato/corruzione/impurità. Questo implica che in esse la sfera etica sia sottratta dall'ambito confessionale, di fede. L'uomo dunque non può conoscere il bene e il male. È immediata la possibilità di identificare questa valenza nel nome dato all'albero in questione.

La conoscenza del bene e male, vere e proprie categorie teologiche, è infatti possibile solo in un contesto dove la divinità emani norme e leggi o principi etici a cui l'individuo si deve attenere, pena l'incorrere in sanzioni/condanne. La concezione deistica, nata in un'epoca fortemente segnata dalle guerre di religione, intende così, mediante il solo uso della ragione, porre fine ai contrasti fra le varie religioni rivelate in nome di quell'univocità della ragione, sentita, in particolare nell'ottica dell'illuminismo, come l'unico elemento in grado di accomunare tutti gli esseri umani.

Influenza culturale

Letteratura

La figura di Dio è il tema centrale di molte opere della letteratura mondiale.

Note

  1. ^Dio, inTreccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  2. ^Dio, inTreccani.it –Vocabolario Treccani on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  3. ^Cfr. ad es.Mario Bendiscioli.Dio inEnciclopedia di filosofia. Milano, Garzanti, 2007, pag.266
  4. ^Maurice O'Connell Walshe,A Concise German Etymological Dictionary. London, Broadway House, 1952.
  5. ^Eric Partridge.God inOrigins. Londra e NY, Routledge, 2007
  6. ^Dopo una disamina sulle possibili connessioni,Pierre Chantraine nel suoDictionnaire étymologique de la langue grecque tomo II, Parigi, Klincksieck, 1968 pag. 430, così conclude
    «Finalement l'ensemble reste incertain»
  7. ^2 voll.,1969, Paris, Minuit. Ed. italiana (a cura di Mariantonia Liborio)Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, Torino, Einaudi, 1981
  8. ^Quindithésphatos (stabilito da una decisione divina),thespéios ('meraviglioso' inerente al canto dellesirene, "enunciato di origine divina"),théskelos (più incerto, "prodigioso o divino")
  9. ^Crf. Volume II, pag. 385.
  10. ^
    «The oldest Semitic term for God is ʾel (corresponding to Akkadian ilu(m), Canaanite ʾel or ʾil, and Arabic ʾel as an element in personal names). The etymology of the word is obscure. It is commonly thought that the term derived from a root ʾyl or ʾwl, meaning “to be powerful” (cf. yesh le-el yadi, “It is in the power of my hand,” Gen. 31:29; cf. Deut. 28:32; Micah 2:1). But the converse may be true; since power is an essential element in the concept of deity, the term for deity may have been used in the transferred sense of “power.”»

    (Marvin Fox.Encyclopaedia Judaica, vol.7. NY, Gale, 2007 pag.672)

  11. ^Per le diverse ipotesi sul suo significato cfr.tetragramma biblico.
  12. ^Louis Gardet.Allah inEncyclopaedia of Islam vol.1. Leiden, Brill, 1986, pag.406
  13. ^
    «il grafema rappresenta un punto da cui si irradiano delle linee in otto direzioni dello spazio (ovvero: le bisettrici dei quattro punti angoli del mondo): esso è quindi da riferire al concetto studiato da Eliade e indicato con l'espressione "ombelico del mondo", ovvero il concetto di un centro di irradiazione da cui scaturisce una realtà, così come il feto si forma attorno all'ombelico [...]. I significati "spiga", "grappolo" per il grafema AN corroborano questa interpretazione: infatti le spighe e il grappolo di datteri si dipartono rispettivamente dallo stelo e dal picciolo in maniera analoga al feto dell'ombelico (ovvero come appare il neonato rispetto al cordone ombelicale). [...] An era concepito come realtà divina celeste che costituiva la fonte, il principio delle divinità.»

    (Pietro Mander.La religione dell'antica Mesopotamia, Roma, Carocci, pag. 70)

  14. ^H.P. Sullivan.Īśvara inEnciclopedia delle Religioni, vol.9. Milano, Jaca Book, 2006, pag.185
  15. ^Cfr. ad es.David Kinsley inEnciclopedia delle religioni, vol.9. Milano, Jaca Book, 2006 (1988) pag.86 eRachel Fell Mcdermott.Encyclopedia of Religion vol.6. NY, Macmillan, 2006, pag. 3608
  16. ^Jacques Duchesne-Guillemin. inDictionnaire des Religions (a cura diPaul Poupard). Parigi, Presses universitaires de France, 1984. In italiano:Dizionario delle religioni. Milano, Mondadori, 2007, pag.31.Gherardo Gnoli.Ahuras inEncyclopedia of Religion vol.1. NY, Macmillan, 2004, pag.205
  17. ^Nei versi 7 e 8 dello "Yašt ad Ahura Mazdā", contenuto nellaKhordah Avestā, Ahura Mazdā elenca i nomi con cui egli può essere indicato:
    (avestico)
    «âat mraot ahurô mazdå, fraxshtya nãma ahmi ashâum zarathushtra bityô vãthwyô thrityô ava-tanuyô tûirya asha vahishta puxdha vîspa vohu mazdadhâta ashacithra xshtvô ýat ahmi xratush haptathô xratumå ashtemô ýat ahmi cistish nâumô cistivå, dasemô ýat ahmi spânô aêvañdasô spananguhå dvadasô ahurô thridasô sevishtô cathrudasô imat vîdvaêshtvô pañcadasa avanemna xshvash-dasa hâta-marenish haptadasa vîspa-hishas ashtadasa baêshazya navadasa ýat ahmi dâtô vîsãstemô ahmi ýat ahmi mazdå nãma»
    (italiano)
    «Così rispose Ahura Mazdā: "Il mio nome è Ahmi (Io sono). Io sono l'Interrogabile, colui che può essere interrogato, o santo Zarathuštra. Il mio secondo nome è Vanthvyō (il Pastore), il Datore e protettore del gregge. Il mio terzo nome è Ava-tainyō, il Forte che tutto pervade. Il mio quarto nome è Aša Vahišta, la perfetta santità, l'ordine e la rettitudine, la verità assoluta. Il mio quinto nome è Vispa Vohu Mazdadhātā, tutte le cose buone create da Mazdā, che discendono da Aša Cithra (Santo Principio). Il mio sesto nome è Xratuš, intelletto e divina saggezza. Il mio settimo nome è Xratumāo, colui che ha comprensione, che è posseduto dalla divina saggezza diffusa su tutto il creato. Il mio ottavo nome è Cištiš, conoscenza, divina intelligenza ricolma di conoscenza. Il mio nono nome è Cistivāo, possessore della divina intelligenza. Il mio decimo nome è Spānō, prosperità e progresso. Il mio undecimo nome è Spananghauhao, colui che produce prosperità. Il mio dodicesimo nome è Ahura, il Signore creatore della vita. Il mio tredicesimo nome è Sevišto, il più benefico. Il mio quattordicesimo nome è Vīdhvaēštvō, colui in cui non c'è danno. Il mio quindicesimo nome è Avanemna, l'inconquistabile. Il mio sedicesimo nome è Hāta Marēniš, colui che conta le azioni dei mortali. Il mio diciassettesimo nome è Vispa Hišas, l'onniveggente. Il mio diciottesimo nome è Baēšazayā, colui che risana o dona buona salute. Il mio diciannovesimo nome è Dātō, il creatore. Il mio ventesimo nome è Mazdā, l'onnisciente, colui che crea con il pensiero.»

    (Yašt, I,7-8. Traduzione diArnaldo Alberti inAvestā. Torino, UTET, 2008, pag.283)

  18. ^Su van der Leeuw cfr. anche Roberto Cipriani,Manuale di Sociologia della Religione, Borla, 1997, pagg. 140-142.
  19. ^Senofonte.Memorabili I, 4.
  20. ^«Ma la verità è diversa, o cittadini: unicamente sapiente è il dio; e questo egli volle significare nel suooracolo, che poco vale o nulla la sapienza dell'uomo» (Platone,Apologia di Socrate, 23 a).
  21. ^Aristotele,Metafisica, VI, 1, 1026 a, 18-22.
  22. ^Ivi, 2-21.
  23. ^Ivi, 30-32.
  24. ^Aristotele,Metafisica, Laterza, Roma-Bari 1982, pp.356-358.
  25. ^II, 31; inMistici indiani medievali (a cura diLaxman Prasad Mishra). Torino, Utet, 1971, pag.236
  26. ^Da intendere come "Anima Suprema", Dio.
  27. ^Postilla conclusiva non scientifica alle briciole di filosofia, 1846 (tr. it. in S. Kierkegaard,Le grandi opere filosofiche e teologiche, Milano, Bompiani, 2013, p. 1211.)

Bibliografia

  • Walter Burkert,La religione greca di epoca arcaica e classica, Jaca Book, Milano 1984.
  • Hans Küng,Existiert Gott?, R. Piper e Co. Verlag, München 1978, (Dio esiste? Risposta al problema di Dio nell'età moderna a cura di Giovanni Moretto, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1979.)
  • Lindsay Jones (a cura di),Encyclopedia of Religion. Second Edition, Detroit, Thomson Gale, 2005, vol. 5, voce:God, pp. 3537-3579.
  • Lindsay Jones (a cura di),Encyclopedia of Religion. Second Edition, Detroit, Thomson Gale, 2005, vol. 6, voce:gods and goddesses, pp. 3616-3624.
  • Mary Lefkowitz,Dèi greci, vite umane. Quel che possiamo imparare dai miti, a cura di G. Arrigoni, A. Giampaglia, C. Consonni, UTET Università, 2008.
  • Gerardus van der Leeuw,Phanomenologie der Religion (1933). (Fenomenologia della religione, Boringhieri, Torino, 2002.)
  • Alan W. Watts,Il Dio visibile. Cristianesimo e misticismo, trad. di A. Gregorio, Bompiani, Milano, 2003.

Voci correlate

La nozione di divinità nella storia e nelle culture religiose

Altre voci

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