Ilmetodo deduttivo odeduzione è il procedimentorazionale che fa derivare una certa conclusione da premesse più generiche, dentro cui quella conclusione è implicita. Il termine significa letteralmente «condurre da», perché etimologicamente proviene dallatino"de" (traducibile con «da», preposizione indicante provenienza, o moto di discesa dall'alto verso il basso) e"ducere" («condurre»).
Questo metodo parte dapostulati eprincìpi primi e, attraverso una serie di rigorose concatenazionilogiche, procede verso determinazioni più particolari attinenti allarealtà concreta. Si tratta della forma principale diinferenza, cioè di un procedimento che intende esplicitare un contenuto fino allora tacitamente implicito; un esempio impiegato nelle inferenze deduttive è ilmodus ponens.
Il ragionamento deduttivo umano assimilato a una serie di concatenazioni meccaniche.
Un esempio classico di deduzione come ilsillogismo, ricorrente nellastoria della filosofia, parte da premesse ritenute valide universalmente, per esempio "tutti gli uomini sono mortali", per arrivare a una proposizione conclusiva che attribuisce una proprietà a un soggetto individuale, per esempio "Socrate è mortale".
Una definizione di deduzione nellalogica moderna può essere:
Unadeduzione dellaformula α, dall'insiemeM di assunzioni, è un ragionamento articolato in un numero finito dipassi inferenziali che dà evidenza del fatto che α segue logicamente daM.
Oppure:
Unadeduzione è un insieme ordinato di formule (che ha come ultimo elemento la conclusione) ottenute per applicazione di un ragionamento formale basato su regole inferenziali prefissate.
La deduzione in senso moderno riguarda solamente illivello sintattico del linguaggio e si distingue quindi dal concettosemantico diconseguenza logica. Nellalogica del prim'ordine e nelle altre logiche per cui il teorema di adeguatezza generale vale, le inferenze deduttive sono tutte e solo quelle che sono logicamente valide. Viceversa, le conseguenze logicamente valide sono tutte e solo quelle di cui vi è una inferenza deduttiva.
L'introduzione del concetto di deduzione si deve adAristotele (384 a.C.-322 a.C.), il quale la identificò sostanzialmente con ilsillogismo. Da questa identificazione deriva l'interpretazione tradizionale, accettata fino ai tempi moderni, secondo la quale il procedimento di deduzione consente di partire da una leggeuniversale per giungere a conclusioni particolari. Il procedimento contrario viene chiamatoinduzione, che viceversa muove dal particolare all'universale.
Un esempio disillogismo aristotelico è il seguente: «Tutti gli uomini sono mortali;Socrate è un uomo; dunque Socrate è mortale». Si può notare come la conclusione (particolare) sia derivata da due affermazioni più generali: si tratta di un ragionamento esatto da un punto di vista della coerenza logica, che tuttavia non può in alcun modo garantire la verità dei princìpi primi, dato che proprio da questi deve partire la deduzione. Ecco allora che Aristotele riservava il compito di stabilire la validità e l'universalità delle premesse, da cui il sillogismo trarrà soltanto delle conclusioni necessariamente coerenti, all'intuizioneintellettuale (onoùs), distinta dalla sempliceragione (diànoia). L'intuizione è per Aristotele una facoltà sovra-razionale che ha la capacità di penetrare l'essenza della realtà oggetto di indagine, facendola passareall'atto, cogliendone cioè l'aspetto vero e immutabile, prescindendo dalle sue particolarità esteriori e contingenti.[2]
L'intelletto intuitivo si avvale all'inizio anche dell'induzione empirica (epagoghé), la quale tuttavia, a differenza del significato che assumerà presso l'epistemologia contemporanea, non ha per Aristotele la capacità di approdare alle essenze universali della realtà, ma è soltanto un grado preparatorio di avviamento verso l'intuizione. Basandosi su singoli casi particolari, infatti, il metodo induttivo non potrà che ottenere delle conoscenze puramente arbitrarie, prive di quella universalità vincolante che è propria invece del metodo deduttivo: la caratteristica principale di quest'ultima è data per l'appunto dalla sua necessità, dalla sua consequenzialità logica.[3]
La gnoseologia aristotelica, passata attraverso lascolastica medievale e fatta propria anche dalla logicametafisica eneoplatonica, che vedeva nella deduzione il metodo per eccellenza con cui riprodurre la realtà a partire dall'intuizione suprema dell'Idea, resterà valida almeno fino al Seicento. Da allora, con il progressivo abbandono dell'essenzialismo aristotelico che legava strettamente lalogica all'ontologia, la deduzione tenderà sempre più a configurarsi come una relazione fra oggetti puramente sintattici, a prescindere dal contenuto delle proposizioni di cui si parla.
Galileo Galilei (1564-1642) per primo rinunciò alla conoscenza dellequalità e delle essenze del reale in favore di un'analisi limitata ai suoi aspettiquantitativi.[4] Egli comunque, accanto al nuovo metodoinduttivo-sperimentale, continuò ad utilizzare il metodo deduttivo aristotelico, distinguendo così due momenti: da un lato la conoscenza parte per lui dall'esperienza, durante la quale l'intelletto accumula una certa mole di dati (indicati da Galileo con l'espressionesensate esperienze);[5] rielaborandoli con l'ausilio dellaragione, si perviene per induzione alla formulazione di leggi universalmente valide, che in quanto tali superano il momento dell'esperienza particolare e sensibile; da tali leggi universali sarà quindi possibile, a loro volta, ricavare per deduzione altre determinazioni particolari (processo che Galileo chiamanecessarie dimostrazioni).[6]
Filosofi che invece terranno ben distinti i due processi, nell'ambito della scienza moderna, furonoBacone, che prediligeva esclusivamente l'induzione,[7] eCartesio, che si affidava invece alla deduzione, ma rinunciando anch'egli alle essenze e incentrandosi soltanto sulla ricerca di un metodo; egli arriverà a considerare gli animali come pure macchine,[8] e d'altro canto a lui si deve l'invenzione del "piano cartesiano", elemento fondamentale per la matematica e le sue applicazioni specie in campo fisico ed economico. Alla metodologia di Cartesio farà capo ilrazionalismo diSpinoza, il quale tuttavia recuperò il valore dell'intuizione come fondamento supremo del metodo scientifico-deduttivo.
All'induttivismo di Bacone successe invece l'empirismo diLocke e poi quello diDavid Hume, il quale lo spinse alle sue estreme conseguenze fino a risolverlo nelloscetticismo. Hume infatti mise in dubbio la validità delle leggi scientifiche che vengono assegnate alla natura proprio perché attribuiva loro un'origine induttiva e quindi arbitraria. A lui reagìKant (1724-1804) che si propose allora di dimostrare l'origine deduttiva (e non induttiva) oa priori delle leggi scientifiche, per salvaguardarle dallo scetticismo humiano. Kant utilizzò il termineDeduzione proprio nel senso didimostrazione del carattere universale e necessario dei cosiddetti giudizisintetici a priori di cui fa uso la scienza:[9] sintetici perché unificano e sintetizzano lamolteplicità delle percezioni derivanti daisensi; maa priori perché non dipendono da queste ultime. Con la suaDeduzione trascendentale Kant sostenne che la nostra ragione svolge un ruolo critico e fortemente attivo nel produrre scienza, la quale è dedotta da un principio supremo dell'Io penso posto a fondamento di tutto il sapere. L'io penso si serve in proposito di appositecategorie dell'intelletto che sonotrascendentali, cioè si attivano solo quando ricevono informazioni da elaborare e giustificano il carattere di universalità, necessità e oggettività che diamo alla scienza; viceversa senza queste caratteristiche non si ha vera conoscenza.
L'idealismo tedesco riprese il concetto di deduzione elaborato da Kant, assegnandogli una funzione non soloconoscitiva ma ancheontologica: l'io, o l'Assoluto, sarà il principio primo da cui si produce per deduzionedialettica la realtàfenomenica. ConFichte eSchelling si ebbe così una riproposizione dellametafisica classica, soprattuttoneoplatonica. ConHegel invece la deduzione non venne più subordinata a un principio superiore ma diventò essa stessa Assoluto: Hegel rigettò quelle filosofie che ponevano a fondamento della deduzione un attointuitivo di natura sovra-razionale e trasformò il metodo deduttivo in un procedimento a spirale che giunge infine a giustificarsi da solo. Veniva così abbandonata la logica aristotelica; mentre quest'ultima procedeva in maniera lineare da A verso B, la dialettica hegeliana procede in maniera circolare: da B scaturisce C (sintesi) che è a sua volta la validazione di A.[10]
Questo nuovo modo di intendere la deduzione - che faceva coincidere il metodo col Fine stesso della filosofia, ripreso anche daMarx per giustificare la teoria della rivolta di classe sulla base del presuntoprocedere dialettico dellastoria - fu tuttavia oggetto di numerose critiche che portarono, con l'avvento delpositivismo, all'abbandono del metodo deduttivo in favore di quello induttivo.
Recentemente però il metodo deduttivo è stato rielaborato e rivalutato daKarl Popper (1902-1994), il quale ha sostenuto la fallacia di ogni approccio induttivo all'esperienza. Rifacendosi aKant e alla suarivoluzione copernicana del pensiero, Popper riteneva che da singoli casi particolari non si potrà mai ricavare una legge valida sempre e in ogni luogo, proprio perché noi non possiamo fare esperienza dell'universale. L'universalità è invece qualcosa dia-priori che noi proiettiamo sulla realtà; secondo Popper infatti ogni conoscenza scientifica che noi riteniamo ricavata per via empirica è in verità dedotta dai nostri schemi mentali e veicolata inconsciamente sui dati reali. Per onestà intellettuale occorre dunque ammettere che lascienza procede solo per deduzione; si tratta della cosiddetta "teoria del faro" o delmetodo per tentativi ed errori, comune anche agli animali, il quale parte da ipotesi iniziali, del tutto congetturali, in grado di prevedere delle conseguenze tangibili che di volta in volta vengono messe alla prova. Dai singoli fatti non si possono mai ottenere conferme della teoria ipotizzata, ma solo smentite.[11]
Una tipica disciplina che si avvale del pensiero deduttivo è lamatematica: il matematico infatti pone razionalmente che la somma degli angoli interni di untriangolo sia pari a 180 gradi sessagesimali e, nota l'ampiezza di due dei tre, è in grado didedurre l'ampiezza del terzo angolo, senza che un triangolo del genere si sia mai presentato ai suoi occhi. In questo senso si dice che il ragionamento deduttivo è un ragionamentoa priori in quanto capace di esprimere un giudizio sulla realtà in esame prima ancora di fare esperienza di una tale realtà: per tornare all'esempio del triangolo, ciascuno di noi è in grado di dire che se l'ampiezza di due angoli è 60 gradi, allora anche il terzo sarà di 60 gradi, e ciò indipendentemente dal fatto che il terzo angolo sia effettivamente stato misurato con un goniometro.
Il processognoseologico inverso alla deduzione è l'induzione (sempre dal latinoducere ma con prefissoin che indica moto a/in luogo, e quindi ingresso), secondo cui il pensiero si fonda sull'esperienza: i dati sensibili sono indotti, cioè introdotti, nell'intelletto, che a partire da essi elaborerebbe leggi universali e astratte; il procedimento è detto anchea posteriori in quanto l'espressione delgiudizio circa la realtà sarebbe possibile solo dopo l'esperienza.
A differenza della deduzione dunque esso non ha carattere di necessità, perché il contenuto informativo della conclusione indotta non è interamente incluso nelle premesse.
Poiché il metodo deduttivo parte sempre da unpostulato o da unassioma, cioè da unaverità assoluta che non ha bisogno di essere verificata, dalla qualededuce, attraverso un ragionamento, dei fattiparticolari, la validità di quanto dimostrato crollerebbe qualora si dimostrasse che l'affermazione di partenza fosse falsa o arbitraria. In questo modo crollerebbero proprio le premesse su cui il ragionamento stesso si era fondato. E questa è spesso assunta come una critica del metodo deduttivo da parte dei sostenitori delmetodo induttivo. Il dibattito tra deduttivisti e induttivisti è tuttavia ancora aperto tra i filosofi della scienza.
^Aristotele,Opere,Metafisica Z 15, 1039b28, Laterza, Bari 1973, pag. 225.
^«I possessi sempre veraci sono lascienza e l'intuizione, e non sussiste alcun genere di conoscenza superiore alla scienza, all'infuori dell'intuizione. Ciò posto, e dato che i princìpi risultano più evidenti delle dimostrazioni,[...] sarà l'intuizione ad avere come oggetto i princìpi» (Aristotele,Analitici Secondi II, 19, l00b).
^«Colui che definisce, allora, come potrà dunque provare [...] l'essenza? [...] non si può dire che il definire qualcosa consista nello sviluppare un'induzione attraverso i singoli casi manifesti, stabilendo cioè che l'oggetto nella sua totalità deve comportarsi in un certo modo [...] Chi sviluppa un'induzione, infatti, non prova cos'è un oggetto, ma mostra che esso è, oppure che non è. In realtà, non si proverà certo l'essenza con la sensazione, né la si mostrerà con un dito» (Aristotele,Analitici secondi II, 7, 92a-92b).
^«...e stimo che, tolti via gli orecchi le lingue e i nasi, restino bene le figure i numeri e i moti, ma non già gli odori né i sapori né i suoni, li quali fuor dell'animale vivente non credo che sieno altro che nomi, come a punto altro che nome non è il solletico e la titillazione, rimosse l'ascelle e la pelle intorno al naso» (G. Galilei,Il Saggiatore, cap. XLVIII).
^G. Galilei,Lettera a Madama Cristina di Lorena granduchessa di Toscana, inLettere/XIV (1610).
^Ibidem. AncheLettera a Don Benedetto Castelli in Pisa (1613).
^F. Bacone,Novum Organum (1620), dove sostiene che i princìpi della natura siano da ricavare «risalendo per gradi e ininterrottamente la scala della generalizzazione, fino a pervenire agliassiomi generalissimi».
^Così si esprimeva Cartesio nelLe Monde ou traité de la lumière (1667) parlando degli esseri viventi: «Tutte le funzioni di questa macchina sono la necessaria conseguenza della disposizione dei suoi soli organi, così come i movimenti di un orologio o di un altro automa conseguono dalla disposizione dei suoi contrappesi ed ingranaggi; sicché per spiegarne le funzioni non è necessario immaginare un'anima vegetativa o sensibile nella macchina».
^Kant riprende il termine "deduzione" dall'ambito giuridico, non da quello logico-matematico, per indicare la dimostrazione di un certodiritto (quid iuris) con cui si vuole giustificare una pretesa di fatto (quid facti).