Nell'età delRomanticismo e dellaRestaurazione si avanzava una nuovaconcezione della storia che intendeva valorizzare le specificità dei singolipopoli, con le loro peculiarivicende,tradizioni eidentità, in polemica con l'ugualitarismoilluminista ritenuto astratto e utopico.

La tendenza a riscoprire valori, istituzioni ed aspetti storici radicati nelpassato si presentò in maniera ambigua, potendo essere interpretata sia come difesa delsentimento nazionale nei confronti deldispotismo, unita all'anelito per lalibertà religiosa contro l'oppressionepolitica, ma dall'altro come un richiamo a formeconservatrici eautoritarie di governo, basate su unareazione all'idea in sé diprogresso.[1]
Le vicende dellaRivoluzione francese e ilperiodo napoleonico avevano dimostrato l'insufficienza del tentativo illuministico di penetrare il senso degli eventi storici con gli schemi astratti della puraragione. Gli alti e nobili fini perseguiti dagli intellettuali del secolo dei lumi erano infatti tramontati nelle stragi delTerrore, e il sogno dilibertà si era convertito nellatirannidenapoleonica, che mirando alla realizzazione di un'Europa collocata al di sopra delle singolenazioni ne aveva determinato invece la ribellione proprio in nome del loro sentimento dinazionalità che si mescolava ora allareligione.
L'insurrezione spagnola (1812) combatteva gli occupanti francesi in nome delcattolicesimo contro l'ateismo, la resistenza russa (1812) distruggeva l'armata napoleonica portando in processione lesacre icone, i Greci (1821) si battevano per la loro indipendenza e per la loro religione contro i musulmani turchi.Religione epatria si mescolavano nelle opere degli esuli polacchi che la fallita rivoluzione del1830 disperdeva come il popolo d'Israele in una biblica diaspora in tutta Europa. Chiedevano a Dio il perdono dei loro peccati che avevano suscitato la vendetta divina con lo smembramento della loro patria.
(Adolfo Omodeo,Scritti scelti, Mondadori, Milano, 1934)
Rinacque unafiducia che fosseDio a guidare la storia, al di là dei progetti che gli uomini ingenuamente si propongono di conseguire, inconsapevoli dell'operare nascosto di unaprovvidenza.[3] Il tentativogiacobino di sradicare ilcristianesimo portò in maniera controproducente alla rivalutazione di questo come fondamento dellaciviltà umana;[4] la sua sostituzione colculto della Ragione, nel nome paradossale dellatolleranza, apparve mosso da convincimenti puramente cerebrali e di parte,[4] determinando un cambio di prospettiva a cui contribuì larivoluzione filosofica che stava avvenendo inGermania sotto la spinta diKant edHegel.[4]
(Adolfo Omodeo,Il Cristianesimo medioevale e moderno, 1948[4])
L'idea dinazione sorge e trionfa così con ilRomanticismo che, contrapponendosi alrazionalismocosmopolita dell'Illuminismo, esaltò il sentimento, la fantasia, l'amore per l'arte, lapoesia e lanatura, l'individualità, il principio del particolare, delsingolo:
(Federico Chabod,L'idea di nazione, Roma-Bari, Laterza, 1967, pp. 17-23)
La presa di coscienza che ilprogresso non segue un percorso lineare ma tortuoso, in cui si alternano avanzamenti e regressioni, portò inItalia alla riscoperta della filosofia diGiambattista Vico, teorico di unaconcezione ciclica del tempo fatta di «corsi e ricorsi» storici, mentre inGermaniaJohann Gottfried Herder, su posizioni simili, sosteneva la dipendenza dellanatura umana dai concetti dispirito del popolo edel tempo, secondo cui non solo vi è una radicale differenza tra individui appartenenti apopoli diversi, ma la loro natura cambia anche nel corso delleepoche.[5]
Da questa nuova concezioneromantica dellastoria, in cui si ritenevano all'opera forze nascoste di caratteresoprannaturale, accanto a quelle umane, si promanano due visioni divergenti: la prima è una prospettiva tendenzialmentetradizionalista, segnata da un certopessimismo, mitigato però da unafiducia nell'intervento dellaProvvidenza, rivolta altrascendente.[6]
La presenza di Dio nella storia poteva comportare l'avvento di un'apocalisse, di cuiNapoleone era stato con le sue continue guerre la prefigurazione dell'Anticristo, ma i lutti e le sofferenze da questa provocate sembravano funzionali allarivelazione e realizzazione deidisegni divini, per eventualmente preservare e conservare quanto di buono era stato realizzato: la consapevolezza che non si potesse cancellare tutto ciò che era accaduto dallaRivoluzione in poi, restaurando semplicemente il passato, era infatti diffusa.[7] I sovrani restaurati dalCongresso di Vienna tenteranno di ripristinare le vecchie strutture politiche e sociali spazzate via dalla Rivoluzione francese e da Napoleone ma il loro sarà un compito impossibile. «L'aratro della Rivoluzione» scrive lo storico tedescoFranz Mehring «aveva sconvolto troppo in profondità il suo terreno, fino ai campi di neve dellaRussia; un ritorno alle condizioni che avevano dominato inEuropa fino al1789 era impossibile»[8].
È stato detto che, mentre Napoleone veniva sconfitto sui campi di battaglia, gli ideali di cui si era fatto portatore ispiravano quei sovrani reazionari che lo combattevano. Si erano visti sovrani conservatori pressati dai tempi nuovi comeFerdinando IV di Borbonere di Napoli eFerdinando VII di Spagna che fin dal1812 avevano concesso ai loro sudditi addirittura laCostituzione. Vero è che questi stessi sovrani, dopo la caduta di Napoleone, cancellarono con un tratto di penna quanto avevano concesso ma dovettero poi affrontare moti insurrezionali interni che riuscirono a fatica a controllare solo con l'intervento dellaSanta Alleanza.
Questa nuova visione della storia intesa come espressione misteriosa della volontà divina e quindi come base teorica della unione di politica e religione e della legittimità del potere politico pergrazia di Dio, aveva avuto, già prima della Restaurazione, i suoi principali teorici inEdmund Burke,François-René de Chateaubriand (1768–1848) e inLouis de Bonald.

Nelle "Riflessioni sulla Rivoluzione francese" (1790),Edmund Burke mettendo a confronto la rivoluzione inglese con quella francese vede nella prima una linea evolutiva che si era sviluppata per gradi nel rispetto delle tradizioni e questo «lascia libera la possibilità di nuovi acquisti, ma fornisce la garanzia assicurata di ogni acquisto»[9] mentre la seconda gli appare come un evento caotico in cui si mescolano «leggerezza e ferocia, confusione di delitti e di follie travolti insieme».[9] Nella stessa opera contesta il principio dellasovranità popolare e dellademocrazia a cui contrappone la supremazia dell'aristocrazia e dell'ordine socialelegittimati dalla loro natura divina. Per lui le massemiserabile massa di pecore, che esprimono una maggioranza che scioccamente pretende di prevalere sulla minoranza mentre non sa distinguere il suo vero interesse, sono il sostegno deldispotismo e la Rivoluzione francese era perciò destinata a fallire poiché si era allontanata dallagrande e diritta via della natura.

François-René de Chateaubriand fin dal1802 aveva attaccato con il suo "Génie du Christianisme" (Genio del Cristianesimo) le dottrine illuministiche accusandole di estremo razionalismo e difendendo la religione e il cristianesimo celebrato soprattutto per la sua benefica influenza nell'arte e per avere risvegliato quellanostalgia storica per il passato che diventa elemento fondamentale del romanticismo.
Louis de Bonald (1754-1840) ferventemonarchico ecattolico, questoaristocratico fu la voce più importante degli ultra-legittimisti. Aveva aderito all'inizio alle idealità rivoluzionarie che ripudiò dopo i provvedimenti anticlericali sanciti con laCostituzione civile del clero.
(Louis de Bonald, "Teoria del potere politico e religioso nella società civile",1796)

Nelle sue numerose opere,[10] attaccò laDichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, ilContratto sociale diJean-Jacques Rousseau e le innovazioni sociali e politiche portate dalla Rivoluzione sostenendo il ritorno all'autorità della monarchia e dellareligione. La rivoluzione stessa, egli sosteneva, è una specie di prova dell'esistenza di Dio, poiché mette in luce come l'eliminazione della religione conduca alla distruzione della società. L'ambito religioso e quello politico sono, agli occhi di Bonald, inseparabili.
Ma il vero ideologo della Restaurazione fuJoseph De Maistre. Sulla linea del tradizionalismo di Burke, nell'operaDu pape (1819) egli sostiene la concezione della storia come depositaria di valori etici trascendenti. NelMedioevo la Chiesa è stata il sostegno dell'ordine sociale e questo la rende superiore al potere civile. Le teorie illuministiche sulla libertà naturale dell'uomo sono semplici follie ediaboliche stranezze. L'uomo è troppo malvagio per poter essere libero, egli è invece natonaturalmente servo e tale è stato sino a quando il cristianesimo l'ha liberato. Il cristianesimo autentico è quello rappresentato dal papa romano che ha proclamato la libertà universale ed è l'unico nella generale debolezza di tutte le sovranità europee ad aver conservato la sua forza e il suo prestigio.
De Maistre condivide poi l'analisi di Burke sulla falsa pretesa della maggioranza di prevalere sulla minoranza mentre dovunque «il piccolissimo numero ha sempre condotto il grande» e per questo è buon diritto dell'aristocrazia assumere la guida del paese.[11]

Un'altra prospettiva, che nasce dalla stessa concezione della storia guidata dallaProvvidenza, è quella che potremo definireliberale che vede nell'azione divina una volontà diretta, nonostante tutto, al bene degli uomini, pur attraverso le difficoltà e le sofferenze, nella convinzione che «Dio non turba mai la gioia de' suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande» secondo le parole diManzoni.[12] Una concezione progressiva quindi che è presente inItalia nelpensiero politico di Gioberti con il progettoneoguelfo, e nell'ideologia mazziniana.
È questa una visione dinamica della storia che troviamo inSaint Simon con la concezione di un nuovo cristianesimo per una nuova società, o inLamennais (1782–1854) che fonda ilcattolicesimo liberale, ideologia che vede nel cattolicesimo una forza rigeneratrice della vita sociale e della storia degli uomini. Partito da posizioni reazionarie espresse contro la rivoluzione e le libertà e dalla riaffermazione dell'autorità centrale della Chiesa sui vescovi, nell'operaDei progressi della rivoluzione e della guerra contro la chiesa (1829) e nel giornalel'Avenir (1830) arrivò a sostenere laseparazione tra Chiesa e Stato dove la prima, abbandonando ogni alleanza e complicità con il potere politico, si rivolgeva direttamente ai popoli trasformando così la società civile in una società cristiana.
Dovette quindi scontrarsi con la reazione di papa Gregorio XVI che con l'enciclica Mirari vos (15 agosto 1832) condannava apertamente le posizioni del cattolici liberali e ogni loro idea di abolire il concordato.Con la pubblicazione delle Parole di un credente (1834) Lamennais approderà a concezioni radicali dove il cristianesimo è trasformato in pura dottrina sociale senza fondamento.