LaCommunitas Siciliae more civitatum Lombardiae et Tusciae (trad. "Comunità siciliana, alla maniera delle città diLombardia eTuscia"[1]), chiamata ancheCommunitas Sicilie, fu un effimero esperimento politicobasso medievale, che nel1282, nella temperie deiVespri, interessò laparte insulare delRegno di Sicilia e vide quali protagoniste le città (definite, secondo l'ordinamento del regno,universitates demaniali)siciliane.
Ebbe una durata di poco più di cinque mesi: iniziò nella notte dopo il Vespro (quest'ultimo collocato, a seconda delle fonti, tra il 30 e il 31 marzo 1282) e si chiuse con l'ingresso aPalermo diPietro III di Aragona, il 4 settembre dello stesso anno[2].
Pur breve ed effimera, l'esperienza politica dellaCommunitas ebbe una «vita [...] complessa e singolare, la cui importanza trascende i confini dellastoria siciliana delDuecento»[2].
Ebbe luogo nel1282, nel frangente storico deiVespri siciliani, la violenta e sanguinosa rivolta anti-angioina scoppiata aPalermo, e deflagrata sull'isola il 31 marzo di quello stesso anno. I suoi promotori si proponevano di dotare la Sicilia di unostatus federativocomunale: così fondata e strutturata, laCommunitas sarebbe stata sottoposta alla protezione dellaSacrosancta Romana Ecclesia (Nomen Romanae Matris Ecclesie invocantes, statum communem firmant)[3], a riconoscimento della formale dipendenza feudale del regno dal papato, una condizione risalente ai re normanni, peraltro affievolita, di fatto, dalla condotta politica diFederico II di Svevia negli ultimi due decenni (1230-1250) delsuo regno.
Ma il connubio politico costituito tra il papafranceseMartino IV, eletto al soglio di Pietro appena l'anno prima, ilRegno di Francia, da cui Martino proveniva, eCarlo d'Angiò, fratello delre di FranciaLuigi IX condusse alla cosiddetta "soluzione dinastica" della rivolta, per cui ilparlamento siciliano caldeggiò l'ingresso nell'agone politico di un nuovo soggetto: si trattava diPietro III di Aragona, la cuilegittimità dinastica, proveniva dalla discendenza dagliHohenstaufen di sua moglieCostanza, ultima figlia diManfredi, morto nellaBattaglia di Benevento combattuta nel1266 proprio contro Carlo d'Angiò.
LaCommunitas Siciliae coinvolse un nucleo di città dellaSicilia, che si raccolsero inParlamento generale nella città diMessina, città che era stata favorevole a Carlo d'Angiò durante la rivolta del 1268[4]. Giurarono solenne fedeltà e sottomissione allaChiesa cattolica, affermarono il rifiuto di nuove sottomissioni a un re straniero, dichiarandosi al contempo una confederazione diliberi comuni, alla maniera delle realtà civiche fiorite nell'Italia medievalecentro-settentrionale. L'adesione di Messina portò a due amministrazioni dististinte, seppur federate: lastrogotia di Messina, conAlaimo da Lentini, nella parte orientale dell'isola, e Palermo, dove predomina la tesi legittimista, per il richiamo dell'ultima erede degliSvevi, Costanza, moglie di Pietro d'Aragona.
L'ostilità invece della Chiesa si concretizzò nella discesa in armi di Carlo d'Angiò che, giunto inSicilia, cinse in luglio d'assedio proprioMessina, strenuamente difesa da Alaimo da Lentini, considerato «il più autorevole esponente»[5] delle aspirazioni particolaristiche coagulatesi nellaComunità di Sicilia[5], mentre le altre forze dellaCommunitas non furono pronte al soccorso, fermandosi a Patti, solo a scopo difensivo.
Il precipitare degli eventi sul piano militare provocò il repentino accantonamento dell'estemporanea operazione politica. Dopo meno di quattro mesi, di fronte alla recrudescenza bellica, e al pericolo imminente di una riappropriazione francese dell'isola, anche gli stessi ispiratori di parte guelfa dellaCommunitas furono spinti a mettere da parte gli aneliti allalibertà comunale, per combattere insieme al blocco popolare-baronalelegittimista, una corrente che si riallacciava allatradizione sveva e, attraversoCostanza di Hohenstaufen, allacorona d'Aragona»[6].
Si rese necessario ricercare appoggio altrove, in un soggetto politico monarchico disposto a proporsi in chiave anti-angioina:Pietro III,re d'Aragona econte di Barcellona, e la moglie Costanza di Hohenstaufen, figlia diManfredi e ultima discendente diFederico II di Svevia avevano detto sì alla delegazione del parlamento siciliano giunta in Aragona.Agli ordini dell''almiranteRuggero di Lauria, La flotta di Pietro d'Aragona sbarcò aTrapani il 30 agosto1282. Carlo fu sconfitto il 26 settembre 1282 e, fece ritorno a Napoli, lasciando la Sicilia nelle mani di Pietro III. Pietro, nel maggio del 1283, lasciata la moglieCostanza II di Sicilia come reggente, tornò in Aragona, fino alla morte nel 1285.Con la discesa di Pietro d'Aragona si compiva la metamorfosi del Vespro da rivoluzione a guerra, dando l'avvio alleguerre del Vespro, con il primo accordo ufficiale, lapace di Caltabellotta, firmato solo il 31 agosto 1302.
La stagione dellaCommunitas Siciliae si esaurì in fretta, con il ritorno del regime feudale, mentre rapida si consumava anche quella del Vespro, la cui parabola politica travolse anche gli ispiratori siciliani della rivolta del Vespro:Alaimo da Lentini, infatti, avrebbe subito un destino di prigionia conclusosi con lamazzeratura presso l'Isola di Marettimo, mentre una fine infausta avrebbe falciatoGualtieri di Caltagirone, giustiziato nel 1283 proprio per mano delGran Giustiziere Alaimo; il terzoPalmiero Abate, sarebbe caduto in disgrazia e guardato con sospetto, messo in disparte per presuntaintelligenza col nemico[7][8]; infine il capopopolo delle prime ore della Rivolta del Vespro,Ruggero Mastrangelo, al fine di salvarsi la vita, spense il suo entusiasmo repubblicano eclissandosi definitivamente[9][10].
La precisa coscienza di quella imprevista metamorfosi può cogliersi nelle amare parole con cui l'avventurieraMacalda di Scaletta (moglie del capitanoAlaimo da Lentini), reclusa nel carcereMatagrifone di Messina, stigmatizzava dalla prigionia la piega inattesa assunta dagli eventi[7], rivolgendosi aRuggero di Lauria, ammiraglio italiano al servizio degli aragonesi[11], venuto a farle visita in carcere per rivendicare il feudo diFicarra che egli rivendicava. Apostrofando fieramente l'ammiraglio, Macalda esprimeva così la propria amarezza:
(Allocuzione diMacalda di Scaletta aRuggero di Lauria, riportata daBartolommeo di Neocastro inHistoria Sicula, cap.XCI)
Altro preciso segno di metamorfosi è possibile cogliere nel discorso diRuggero Mastrangelo dinnanzi alParlamento siciliano raccolto dal cronista catalanoBernat Desclot che assisteva ai lavori assembleari:
(Allocuzione diRuggero Mastrangelo riportata daBernat Desclot citato daFrancesco Renda in Storia della Sicilia - 1 dalle origini alla Rivoluzione del Vespro. Sellerio editore. Palermo.Pag441-442.)