| Chiesa di San Domenico Maggiore | |
|---|---|
| Stato | |
| Regione | Campania |
| Località | Napoli |
| Coordinate | 40°50′55.43″N 14°15′15.87″E40°50′55.43″N,14°15′15.87″E |
| Religione | cattolica dirito romano |
| Titolare | San Domenico |
| Ordine | Ordine dei frati predicatori |
| Arcidiocesi | Napoli |
| Consacrazione | 1255 |
| Fondatore | Carlo II d'Angiò |
| Stile architettonico | goticoangioino, rimaneggiata pesantemente in età barocca,barocco |
| Completamento | 1324 |
| Modifica dati su Wikidata ·Manuale | |
Labasilica di San Domenico Maggiore,chiesa monumentale diNapoli, sorge nellapiazza omonima, prossima al centro deldecumano inferiore.
Voluta daCarlo II d'Angiò e eretta tra il 1283 e il 1324, divenne la casa madre deidomenicani[1] nelregno di Napoli e chiesa della nobiltà aragonese.
La basilica, tipico esempio di architettura gotico-angioina costituisce, assieme al convento adiacente, uno dei più importanti complessi religiosi della città, sotto il profilo storico e artistico-culturale.
I domenicani, con a capoFra Tommaso Agni da Lentini, giunsero a Napoli nel 1231. Non disponendo di una sede propria, si stabilirono nell'antico monastero della chiesa di San Michele Arcangelo a Morfisa, gestita dai padribenedettini, prendendone possesso.[2][1]
La basilica venne consacrata aSan Domenico nel 1255 per volere dipapa Alessandro IV, come attestato dalla lapide posta a destra dell'ingresso principale. La costruzione della basilica fu volontà di reCarlo II[1] a compimento del voto fatto allaMaddalena durante la prigionia patita durante ivespri siciliani. La prima pietra fu posta il 6 gennaio del 1283, e i lavori, seguiti dagli architetti francesiPierre de Chaul ePierre d'Angicourt[2] si protrassero fino al 1324.
La basilica fu eretta secondo i canoni dello stile gotico, con trenavate, cappelle laterali, ampiotransetto eabside poligonale, e venne realizzata in senso opposto alla chiesa preesistente, con l'abside ora rivolto verso la piazza. Un ingresso secondario fu aperto durante il periodo aragonese.
Nel corso dei secoli importanti personalità hanno avuto legami con il complesso; vi insegnòsan Tommaso d'Aquino, la cui cella è tutt'oggi visitabile[3]; tra gli alunni illustri i filosofiGiovanni Pontano,Giordano Bruno[3] eTommaso Campanella.[2]
Numerosi interventi hanno alterato la struttura e le originarie forme gotiche: nel periodorinascimentale terremoti e incendi obbligarono i primi rifacimenti; nonostante tutto nel 1536Carlo V ricevette accoglienza nel tempio. Ancora più incisivi furono i rifacimenti barocchi del Seicento, tra i quali la sostituzione del pavimento con quello progettato daDomenico Antonio Vaccaro, completato nel XVIII secolo.
Con l'avvento a Napoli diGioacchino Murat il complesso fu destinato tra il 1806 e il 1815 a opera pubblica, provocando danni alla biblioteca e al patrimonio artistico. Un tentativo di ripristino fu messo in atto con i restauri ottocenteschi diFederico Travaglini, che portarono però a un complessivo snaturamento dell'originale spazialità della basilica.
Quando i padri domenicani dovettero nuovamente abbandonare il convento (1865-1885) per la soppressione degli ordini religiosi, ulteriori danni furono causati dall'utilizzo delle strutture come palestra, istituto scolastico, ricovero per mendicanti e sede del tribunale.
Nel febbraio del 1921papa Benedetto XV elevò la chiesa al rango dibasilica minore.[4] I restauri del 1953 eliminarono i segni deibombardamenti del 1943, ripristinando il soffitto a cassettoni, i tetti, le balaustre delle cappelle, la pavimentazione e l'organo settecentesco e riportando alla luce anche gli affreschi delCavallini, mentre interventi più recenti (1991) si sono avuti sulla scala esterna in piperno e sulla porta marmorea.

L'accesso al convento è su vico san Domenico, accanto a quello che è di fatto l'ingresso principale della basilica. Restaurato nel 2012 in rispetto alle forme dategli dall'architettoFrancesco Antonio Picchiatti durante i lavori di rifacimento eseguiti verso la fine del XVII secolo, il convento si sviluppa su tre piani: a quello di terra si affacciano il chiostro delle statue e la sala di insegnamento di sanTommaso D'Aquino, al primo, invece, la biblioteca, il refettorio, la sala del Capitolo e quella di San Tommaso, nei due superiori invece sono collocati gli ambienti privati dei frati domenicani.
Ichiostri di San Domenico Maggiore in origine erano tre, tali da rendere il complesso talmente tanto esteso da arrivare fino a via San Sebastiano,[5] quasi nei pressi diSanta Chiara. Dei tre chiostri tuttavia però solo uno è rimasto di competenza del complesso religioso: il seicentesco chiostro piccolo (o delle statue).[3] Il chiostro di san Tommaso invece è divenuto sede di una palestra comunale mentre quello grande, che un tempo ospitava la sala in cui ha vissuto Giordano Bruno, è sede del liceo Casanova.
Una volta entrati nell'edificio, il primo ambiente visibile a destra è l'antica sala in cui insegnava San Tommaso, oggi utilizzata ancora per alcune lezioni di teologia, caratterizzata dalla conservazione di diversi libri storici, da un pregevole pavimento maiolicato e da un affresco diMichele Ragolia nella facciata. Immediatamente fuori la sala, al lato è un'incisione che ricorda qual era il compenso dovuto al santo per le sue lezioni: un'oncia d'oro al mese.[2]
Immediatamente dopo l'ambiente un corridoio conduce al piccolo chiostro delle statue, detto così per la presenza di quattro statue provenienti dallachiesa di San Sebastiano, attraverso il quale è possibile raggiungere la monumentale scala in piperno che porta ai livelli superiori.
Al primo piano sono disposte alcune delle più importanti sale dell'antico convento: le celle dei domenicani, tra cui quella di San Tommaso d'Aquino, due refettori, la sala del Capitolo ed infine la biblioteca storica.

La stanza di san Tommaso d'Aquino, il cui ingresso monumentale è caratterizzato da un mezzo busto raffiguranteSan Tommaso, opera diMatteo Bottiglieri,[3] è formata da soli due ambienti, dentro i quali il santo viveva la sua vita conventuale, eseguiva i suoi ricevimenti con gli studenti e svolgeva i suoi studi liturgici: queste funzioni le fece nell'ultimo periodo della sua vita, tra il 1272 ed il 1273. Dopo la partenza di san Tommaso, l'ambiente fu trasformato in cappella con la conseguente aggiunta marmorea del portale esterno.[2]
Sopra l'altare è posto l'originale dipinto duecentesco dellaCrocefissione, quello, secondo la tradizione, che Tommaso avrebbe pregato e con il quale avrebbe parlato, sollevato in aria,[6] che era dal 1753 nelcappellone del Crocifisso della basilica stessa. Il restauro eseguito tra 2017 e 2018 ha confermato la grande raffinatezza ed eleganza e l'alta qualità della tavola, che mostra un'elegante linearismo unito ad una gamma cromatica luminosa e ricercata, è riferibile ad un maestro campano o comunque meridionale che mostra influssi orientali ed è databile al terzo quarto del XIII secolo.[7]
A lato di essa è una reliquia contenente un osso di Tommaso (un omero), donato al convento dai frati domenicani diTolosa, dove san Tommaso è sepolto. Nella sala accanto invece sono infine arredi sacri, la scrivania e la sedia utilizzata dal santo, alcuni libri storici e una pagina di un'opera scritta di pugno da san Tommaso.[2]
I refettori, uno grande e uno piccolo, vennero eretti tra il 1668 ed il 1672 durante i lavori di ampliamento e ristrutturazione avviati su volontà diTommaso Ruffo, duca diBagnara, sugli spazi che occupava prima l'infermeria. Nel grande refettorio oggi sostanzialmente rimangono dell'antico ambiente i due affreschi posti nelle pareti di fondo.[2] In quella anteriore è presente un'opera eseguita negli elementi prospettici di contorno daArcangelo Guglielmelli, mentre nell'Ultima cena posta al centro, l'attribuzione cade suDomenico Antonio Vaccaro e nell'Andata al calvario, posta come elemento di sfondo, l'attribuzione ricade a un autore del XIX secolo.[2] Nella controfacciata è invece presente ilSan Tommaso in preghiera di fronte al crocefisso firmato e datato 1727 daAntonio Rossi d'Aversa. Gli arredi interni invece furono dispersi nel corso degli ultimi secoli.[2]

La sala del Capitolo è la sala del convento che meglio si è conservata ed è una delle più rilevanti tra quelle edificate nei lavori di ampliamento avviati da Tommaso Ruffo sul finire del XVII secolo.[2] La sala è caratterizzata da pregevoli decorazioni in stucco presenti in tutte le pareti laterali eseguite da maestranze dell'ambito diCosimo Fanzago e da decorazioni pittoriche eseguite da Michele Ragolìa durante il 1678 circa. I lavori eseguiti dal pittore siciliano furono: sulla parete di fondo, la scena delCalvario; nella volta, quattro riquadri raffigurantiScene della Passione di Cristo e otto scene più piccole raffiguranti invece iMisteri della Passione; infine, dieci tondi raffiguranti putti con iSimboli del martirio di Cristo.[2]
La biblioteca di san Domenico (chiamata all'epoca Libraria di san Domenico) fu considerata fin dal XV secolo una tra le più importanti biblioteche di Napoli, grazie soprattutto a donazioni ed acquisizioni di privati o dei frati domenicani del convento stesso.[2] Già nel Cinquecento la raccolta possedeva importanti testi come quattro scritti diGiovanni Pontano (donati dalla stessa nipote dell'umanista), opere diSenofonte eAristotele, ilDe arte amandi diOvidio, leEpistole diSeneca, testi diCicerone ed altre ancora. Nel 1685 fu chiamatoPicchiatti per eseguire lavori di rifacimento dell'intera sala.[2] Nel corso del XIX secolo i testi della biblioteca furono soppressi e destinati in altri luoghi, alcuni dei quali dispersi, altri confluiti nelle biblioteche universitarie ed in quellaNazionale.
Ai piani superiori al primo sono gli ambienti privati dei frati domenicani e una cappella utilizzata per alcune funzioni religiose. Tra i corridoi e le sale, sono comunque esposti alcuni manoscritti storici, libri corali in pergamena del Cinquecento e numerosi dipinti, alcuni esposti ed altri in deposito, tra i quali si citano due tele del 1656-1660 diMattia Preti,San Giovanni Battista ammonisce Erode eDecollazione di San Giovanni Battista; unaMaddalena diCesare Fracanzano; infine diverse pitture delSolimena,Giordano e di altri autori dellascuola napoletana del Seicento.[2]
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La facciata principale della basilica è sulla piazza, di fronte all'obelisco di San Domenico. Su essa tuttavia non si apre l'ingresso primario all'edificio, bensì, uno (chiuso al pubblico) posto al centro della facciata, sotto il balcone quattrocentesco con stemmi deiCarafa e sul livello della strada, che conduce alla cappella Guevara di Bovino (o Succorpo) sottostante l'abside.[8] Un altro invece, in assoluto di più frequente e facile utilizzo, è posto sulla grande scalinata sul lato occidentale, voluta daAlfonso I d'Aragona[1] per la chiesetta romanica di San Michele Arcangelo a Morfisa, e che conduce al transetto destro della basilica; il portale gotico-rinascimentale che decora quest'ultimo accesso risale alla metà del Quattrocento.[1]
L'ingresso principale alla basilica è invece rivolto a nord e vi si giunge attraverso un ampio cortile posto sul vico San Domenico, sulla cui parte alta dell'arco esterno di accesso allo spazio aperto è collocato in una lunetta un affresco raffiguranteLa Vergine che offre lo scapolare domenicano al beato Reginaldo della scuola diPompeo Landulfo, pittore vissuto nella seconda metà del XV secolo. Il lato interno dell'arco presenta invece un'iscrizione che testimonia la munificenza di Carlo II d'Angiò nei confronti dei frati; lo stesso sovrano è raffigurato in una statuetta di marmo posta in una nicchia nello stesso cortile, dov'è anche l'accesso all'oratorio della Confraternita del Santissimo Sacramento.
L'ingresso principale avviene dunque attraverso la facciata "secondaria" della basilica, caratterizzata da unpronao aggiunto nel settecento, posto prima del portale marmoreo gotico ad arco acuto e della porta lignea originali, voluti entrambi daBartolomeo di Capua.[1] In origine la facciata presentava tre ingressi, oltre al principale centrale, anche due minori ai lati poi eliminati nel corso del Cinquecento con le aggiunte delle rinascimentali cappelle dei Carafa e Muscettola scavate nella controfacciata della basilica. La loro architettura è visibile pertanto anche esternamente, sporgendo in profondità nella facciata esterna; lo spazio centrale in corrispondenza del portale d'ingresso alla basilica fu così riempito nel corso del settecento dal pronao, in modo da allineare la facciata esterna della basilica.
Sul lato destro della facciata si innalza il campanile settecentesco mentre accanto ad esso è l'accesso al convento di San Domenico. Lungo vico San Domenico, infine, una scalinata apre il quarto ed ultimo ingresso alla basilica, che avviene lungo la navata sinistra, in corrispondenza della settima cappella.
L'interno è molto vasto (76×33×26,5 m)[1] e presenta una pianta acroce latina suddivisa in trenavate.
La basilica è ricca di opere d'arte sia scultoree che pittoriche, nonostante i diversi furti che si sono susseguiti nel corso del tempo e nonostante gli spostamenti che hanno visto alcune di queste trovare esposizione definitiva neipoli museali cittadini o esteri.
Un quadro in tondo raffiguranteSan Domenico è esposto sulla controfacciata, opera diTommaso De Vivo, autore anche dei tondi conSanti domenicani posti tra gli archi della navata centrale.[1]
Il soffitto a capriate originario fu sostituito nel 1670 da quello a cassettoni e dorature, di gusto barocco; al centro è lo stemma domenicano mentre agli angoli sono collocati stemmi vicereali. In corrispondenza della quinta arcata di sinistra è il pulpito della metà del XVI secolo; il pavimento risale invece ai lavori diDomenico Antonio Vaccaro, che lo rifeceex novo nel 1732.[1]
Le cappelle della basilica sono in totale ventisette, di cui nelle navate laterali ce ne sono quattordici, sette per lato. Nella settima cappella a destra è l'accesso allasacrestia di San Domenico dalla quale si accede a sua volta allasala del Tesoro di San Domenico. Altre otto sono invece collocate nel transetto (quattro per lato). Quest'ultimo è caratterizzato da altari e sepolcri databili dal Trecento al Cinquecento e vede nella seconda cappella sul lato destro l'accesso agli antichi ambienti dellaex chiesa di San Michele Arcangelo a Morfisa, nella quale è presente tra l'altro anche l'ingresso/uscita che dà su piazza San Domenico Maggiore. Nella controfacciata sono invece collocate due cappelle aggiunte dopo l'edificazione della basilica e poste ai lati dell'ingresso principale centrale, chiudendo quindi i vecchi accessi laterali della facciata sul cortile esterno.
Sul lato destro è la cappella di san Martino, edificata nel 1508 e dedicata al santo vescovo diTours. La cappella è appartenuta aiCarafa Santa Severina e presenta diversi elementi decorativi marmorei, alcuni dei quali che raffigurano lo stemma della famigliaCarafa, altri che rappresentano trofei militari, elementi vegetali ed altri celebranti le virtù della nobile famiglia partenopea, in particolare diAndrea, luogotenente diCarlo V e di fatto anche il committente dell'arco rinascimentale che dà accesso alla cappella, questo scolpito dagli scultori toscaniRomolo Balsimelli daSettignano eAndrea Ferrucci. Sono inoltre presenti sulla parete di fondo altre opere, come il dipintoVergine col Bambino su un trono e i Santi Domenico, Caterina e Martino, di fine XVI secolo attribuito al fiammingoCornelis Semet. Ancora, si trovano nella cappella: latomba di Galeotto Carafa (1513) diRomolo Balsimelli[9] e latomba di Filippo Saluzzo (1846) diGiuseppe Vaccà, oltre alle quattro grandi tele del De Vivo di inizio Ottocento,Creazione della luce,Adorazione dei magi,Visita della regina di Saba a Salomone eIngresso della famiglia di Noè nell'arca.
Sul lato sinistro è invece la cappella Muscettola, risalente anch'essa agli inizi del XVI secolo, quando furono chiusi i due ingressi laterali alla basilica. La cappella vide nel corso del Seicento il passaggio della proprietà alla famiglia Muscettola, la quale aveva la proprietà fino ad allora un'altra cappella della basilica, poi scomparsa nei lavori di ristrutturazione seicenteschi. I Muscettola possedevano un cospicuo numero di opere d'arte, anche di particolare valore, che fecero immediatamente collocare nella cappella non appena avvenuto il passaggio di proprietà di quella che fino ad allora era la cappella di san Giuseppe. Nell'interno sono visibili decorazioni in marmo bianco databili dalla prima metà del XVI secolo alla prima metà del secolo successivo. Sull'altare sono presenti due pitture di scuola napoletana quali ilSan Giuseppe incoronato dal Bambino Gesù retto dalla Vergine diLuca Giordano e più in alto l'Eterno Padre diBelisario Corenzio. Un'altra tela presente nella cappella è quella diGirolamo Alibrandi, ilRedentore (1524). Altre due non più presenti in loco invece erano una di dubbia attribuzione (contesa traRaffaello eFra' Bartolomeo della Porta) sottratta durante il decennio francese 1805-1815, poi sostituita da una copia di epoca ottocentesca, ed un'Adorazione dei Magi di anonimo pittorefiammingo del Cinquecento, oggi esposta alMuseo nazionale di Capodimonte.
La prima cappella della navata destra è dedicata a Santa Maria Maddalena[10]. La cappella, i cui proprietari furono i Brancaccio Glivoli, presenta tracce di un affresco, coevo alla costruzione della basilica, raffigurante laMadonna col Bambino ed attribuito alla scuola pittorica della fine del XIV secolo, le trecentesche tombe diTommaso Brancaccio eTrani da Bartolomeo Brancaccio ed infine la tela diFrancesco SolimenaMadonna col Bambino e santi domenicani del 1730. Altre opere pittoriche e scultoree sono presenti nella cappella, tra cui unSan Domenico diGiovanni Filippo Criscuolo[9] e sculture marmoree raffiguranti elementi decorativi e lo stemma della famiglia, nonché un crocifisso ligneo settecentesco posto sull'altare.

La seconda cappella, ancora di proprietà dei Brancaccio, è chiamata anche "cappella degli affreschi" per via delle opere a fresco che ne decorano le pareti. Prezioso scrigno della pittura giottesca nella città partenopea, si tratta di una delle più importanti della basilica, a cui lavorò il pittore romanoPietro Cavallini[11] che operò a Napoli nel periodo in cui fu ospite remunerato di reCarlo II. Gli affreschi, commissionati dal cardinaleLandolfo Brancaccio nel 1308 circa, raffigurano:Storie di San Giovanni Evangelista, unaCrocifissione con la Vergine e san Giovanni dolenti e al loro fianco i santi maggiori dell'ordine domenicano, san Domenico e Pietro martire,Storie di Andrea e infine leStorie della Maddalena.[11]
La cappella del Crocefisso dei Capece è la terza della navata destra. Essa nacque come cappella di San Giorgio finché poi non appartenne alla famiglia Capece nel 1549, quando per lo stesso ambiente fu eseguito un dipinto raffigurante ilCrocifisso, il cui anonimo autore venne tradizionalmente identificato come un membro dellafamiglia Capece. Altre opere che caratterizzano la cappella sono i monumenti funebri di inizio Seicento eseguiti daLudovico Righi e dedicati uno aBernardo e l'altro aCorrado Capece, quest'ultimo scolpito con la collaborazione diGirolamo D'Auria alla cui mano spetta sicuramente la statua del defunto.[11] Altri elementi decorativi della cappella invece raffigurano gli stemmi della famiglia, i trofei militari e le armi.
La quarta cappella è intitolata a san Carlo Borromeo. Nella cappella, già di San Antonio Abate, oltre alla tela che raffigura il santo (attribuita per un certo tempo erroneamente aGiotto) è alle pareti laterali unBattesimo di Cristo del seneseMarco Pino del 1564. con evidenti influssimichelangioleschi, e un'Ascensione del fiammingoTeodoro d'Errico.[11] Inoltre è presente un'opera diFilippo Vitale coadiuvato daPacecco De Rosa,Madonna del Rosario che appare a san Carlo Borromeo e a san Domenico, e due tele diMattia Preti,Nozze di Cana eCena in casa di Simone.
Segue poi la cappella di santa Caterina da Siena, la cui appartenenza spetta, sin dal Trecento, ai Dentice delle Stelle. I monumenti funebri databili al XIV secolo sono dedicati alle mogli di Ludovico e Carlo Dentice, Dialta Firrao e Feliciana Gallucci. Altri elementi decorativi nella cappella raffigurano gli stemmi delle famiglieDentice eFirrao, lastre tombali trecentesche, un tombino sepolcrale del 1564 di Carlo Dentice e Giovanna della Tolfa e un'Adorazione dei pastori diMatthias Stomer.[11]

Ilcappellone del Crocifisso costituisce la sesta cappella di destra ed è di fatto una delle più grandi della basilica, formando un vero e proprio ambiente a parte rispetto al complesso religioso, dentro la quale, oltre il vestibolo, sono presenti altre due cappelle. Lo spazio interno ha custodito alcune importati opere che nel corso dei secoli sono state poi spostate in diversi importanti musei d'Europa, come laMadonna del Pesce diRaffaello, poi confluita alMuseo del Prado diMadrid, o come la tavola duecentesca dellaCrocifissione sull'altare, oggi sostituita da una riproduzione fotografica, proveniente dall'antecedente spazio dedicato alla chiesa di San Michele Arcangelo a Morfisa e poi spostata nella cella disan Tommaso d'Aquino al primo piano del convento, o come quella al lato sinistro della parete frontale, dov'era unaDeposizione delColantonio poi spostata alMuseo nazionale di Capodimonte.[11] Gli affreschi sulla volta sono di Michele Ragolia mentre sulla parete di destra sono collocati alcuni monumenti sepolcrali ai Carafa (o comunque a personalità a loro collegati) e la tela dellaResurrezione del fiammingoWenzel Cobergher.[11] Sul lato sinistro del cappellone, oltre alsepolcro di Francesca Carafa, opera del Malvito, si aprono infine due cappelle finemente decorate con affreschi e monumenti funebri rinascimentali e dov'è collocato in una di queste il pregevole presepe con statue del primo decennio del Cinquecento eseguite daPietro Belverte.[11]
La settima ed ultima cappella della navata destra è quella di san Tommaso d'Aquino. Essa è patronata dai d'Aquino già dal Trecento. L'altare risale al Seicento ed è attribuibile aJacopo Lazzari eAntonio Galluccio; su di esso era collocata unaMadonna col Bambino e san Tommaso d'Aquino di Luca Giordano, poi trafugata nel 1975. Altri monumenti presenti sono due sepolcri del XIV e XVI secolo ed i monumenti funebri aGiovanna,Cristoforo eTommaso d'Aquino.[11] Una porta all'angolo della parete frontale, infine, funge da passaggio per la sacrestia.[11]
Lasacrestia di San Domenico Maggiore, preceduta da un passeggetto che espone alcune sculture e targhe commemorative, è un'ampia sala di forma rettangolare, decorata in forme barocche del XVIII secolo su disegno diGiovan Battista Nauclerio. Diverse sono le decorazioni rilevanti, tra queste l'affresco nella volta diFrancesco Solimena,Trionfo della fede sull'eresia ad opera dei Domenicani, la pala d'altare dell'Annunciazione diFabrizio Santafede, un pregevole pavimento marmoreo e arredi mobiliari settecenteschi. Sul ballatoio intorno alla volta si trovano invece 45 feretri con le spoglie imbalsamate di nobili, per la maggior parte appartenenti alladinastia aragonese. Questa serie di mummie è unica in Italia, non solo per l’antichità e per l’ottimo stato di conservazione dei corpi, ma anche perché si tratta di personaggi storici di primaria importanza, tra i quali spiccano i reFerrante I eII d'Aragona,Isabella d'Aragona, duchessa di Milano eFernando Francesco d'Avalos, capitano generale delle truppe diCarlo V e vincitore nel 1525 dellabattaglia di Pavia, contro il reFrancesco I di Francia. Attualmente in Europa è nota una sola serie di mummie di questo tipo aVienna, quella delleCatacombe dei Cappuccini, dove giacciono numerosi corpi di imperatori e principiAsburgici.[12] Negli anni 1984-1987 laisaDivisione di Paleopatologia dell'Università di Pisa,[13]in accordo con la Soprintendenza ai Beni Storici ed Artistici di Napoli, esplorò tutte le tombe, con importanti risultati paleopatologici: da segnalare ben tre casi di cancro, due di sifilide (Maria d'Aragona[14]), un caso di cirrosi e un rarissimo caso di epatite B con esantema varioliforme scambiato per vaiolo nei precedenti studi[15]. Da una porta posta a destra dell'altare maggiore si accede invece allasala del Tesoro, dove sono conservate le ricchezze della nobiltà napoletana e dei frati domenicani che hanno soggiornato nel convento; sono qui esposti gli abiti dei sovrani, gli oggetti sacri utilizzati durante le processioni e altre argenterie varie.
La prima cappella della navata sinistra è la cappella di Zi' Andrea.[8][16]La cappella vide nel corso della sua storia diversi passaggi di proprietà, dai marchesi di Taviano di casa Spinelli aide' Franchis, che qualche anno dopo l'acquisto dell'ambiente avvenuto agli inizi del Seicento, decisero di trasformare la cappella donandole l'aspetto tipico barocco. Furono chiamati per l'occasione i due scultoriAndrea Malasomma eCostantino Marasi, i quali iniziarono i lavori nel 1637 e li terminarono nel 1652. Nel frattempo, nella volta vi lavorò ilCorenzio che eseguì degli affreschi oggi perduti, mentre nell'altare maggiore fu collocata la tela diCaravaggioFlagellazione di Cristo, commissionata proprio da Tommaso de' Franchis (proprietario della cappella) nel 1607.[8] Già nel 1675, però, l'opera in questione subì degli spostamenti in altre cappelle della basilica, fino ad essere esposta nel museo di Capodimonte. Proprio in sostituzione della tela del Merisi, nel 1675 fu posta sull'altare un'opera lignea conosciuta comeMadonna di Zi' Andrea, che poi ha dato il nome alla cappella. L'opera è diPietro Ceraso e vedeva tra le braccia della Madonna anche la figura del Bambino, trafugato quest'ultimo nel 1977. Nelle due pareti laterali, infine, sono i monumenti funebri a Iacopo e Vincenzo de' Franchis, eseguiti sempre dal Malasomma.
La seconda cappella è intitolata a san Giovanni Evangelista. La cappella appartenne anch'essa alla famigliaCarafa, ramo Stadera. Gli elementi decorativi interni alla basilica vanno dal XVI secolo al XIX e riguardano busti a basso rilievo raffigurantiSan Giovanni Evangelista,San Domenico eSan Tommaso, tele cinquecentesche diAgostino Tesauro eScipione Pulzone e due monumenti funebri quattrocenteschi dedicati aRinaldo Carafa e al figlioAntonio eseguiti daJacopo della Pila.[8]

La terza cappella è quella di san Giovanni Battista. La cappella cinquecentesca propone diverse opere pittoriche e scultoree di scuola napoletana. Infatti sono ivi presenti lavori diGirolamo D'Auria come ilSan Giovanni Battista, posto sulla parete frontale, e ilmonumento funebre a Bernardino Rota, quest'ultimo eseguito con l'aiuto del fratelloGiovan Domenico e collocato sulla parete di sinistra.[8] Di scuola diTino di Camaino è invece la scultura dellaMadonna col Bambino posta sulla trabeazione dell'altare frontale, in cui è collocato ilSan Giovanni, mentre di fine XV secolo sono i sepolcri dedicati ai coniugi Antonio Rota e Lucrezia Brancia, ai lati dello stesso altare.[8] Sulla parete destra è invece collocato ilmonumento funebre ad Alfonso Rota, sempre di fine Cinquecento attribuito aGiovanni Antonio Tenerello.
La cappella di san Nicola costituisce la quarta della navata sinistra: voluta da Nicola Fraezza, dopo diversi passaggi di proprietà, la cappella giunge intorno al XVII secolo ai Marchese d'Andrea. Risulta presente in loco una tela raffiguranteSan Nicola di Bari di fine Seicento, diverse incisioni ed un monumento funebre ottocentesco eseguito daGaetano Travone dedicato aGiovan Francesco d'Andrea.
La quinta cappella è quella di san Bartolomeo ed è appartenuta sin dal Trecento alla famigliaCarafa della Spina. Sopra l'altare maggiore settecentesco è collocata una tela attribuita aJusepe de Ribera raffigurante ilMartirio di san Bartolomeo.[8] Ai lati della tela sono imonumenti scultorei di Alfonso eMaurizio Carafa, entrambi sovrastati dallo stemma della famiglia. Ilmonumento scultoreo ad Ettore Carafa, posto sulla parete di destra, fu disegnato daDomenico Antonio Vaccaro ed eseguito daFrancesco Pagano nel 1738. Sulla sinistra invece è ilmonumento funebre a Letizia Caracciolo, risalente alla metà del Trecento. Altri elementi decorativi della cappella sono gli stemmi familiari, lapidi commemorative settecentesche, una tela di fine Cinquecento raffigurante ilMartirio di san Lorenzo di autore anonimo e due dipinti attribuiti al fiammingoWenzel Cobergher.
La cappella di santa Caterina d'Alessandria è la sesta; ospita diversi sepolcri monumentali databili tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento, dedicati alla famiglia Tomacelli, proprietaria questa della cappella. Ilmonumento a Leonardo Tomacelli, in particolare, fu una delle ultime opere diTommaso Malvito.[8] Altri elementi decorativi sono gli stemmi della nobile famiglia, armi, il dipinto cinquecentesco diGiovanni Angelo D'AmatoMartirio di santa Caterina, una lapide decorata con teschi ed altri ancora. Va infine ricordato che nella cappella è presente anche il sepolcro ottocentesco diFabrizio Ruffo, cardinale che guidò unesercito popolare contro quello francese e partenopeo repubblicano, con scolpito lo stemma dei Ruffo di Bagnara.
L'ultima cappella della navata è quella della Madonna della Neve. Le opere che caratterizzano questa cappella dono, sulla parete frontale, l'altare marmoreo di Santa Maria della Neve (1536) diGiovanni da Nola,[8] a destra è il busto bronzeo del poetaGiovan Battista Marino, spostato in loco solo nel 1813, e sulla parete sinistra invece sono i monumenti sepolcrali diBartolomeo eGirolamo Pepi, entrambi datati 1553.
Il transetto destro vede l'apertura di quattro cappelle, due sulla parete frontale e due in quella presbiteriale al lato dell'abside.
Nella parete frontale la prima cappella è quella di San Giacinto, la quale ospita una tavola tardo cinquecentesca sull'altare dellaMadonna che appare a san Giacinto diGiovanni Vincenzo da Forlì con attorno tavolette ritraentiStorie della vita di san Giacinto. Nella parete immediatamente fuori la cappella, invece, è collocato l'altare Dottonoroso, con un bassorilievo del Cinquecento ritraenteSan Girolamo nel deserto.[17]
La seconda cappella frontale costituisce invece l'accesso allaex chiesa di San Michele Arcangelo a Morfisa.[17] L'antica chiesa romanica fu poi inglobata nella basilica di San Domenico Maggiore, costituendone appunto la seconda cappella sulla parete frontale del transetto destro, il cui accesso fu consentito dalla scalinata voluta da Ferrante d'Aragona che parte direttamente dapiazza San Domenico Maggiore, costituendo nel tempo quella che di fatto è l'entrata principale alla basilica. In quest'ambiente sono presenti diversi monumenti funebri, su tutti si ricorda il gruppo sepolcrale cinquecentesco della famiglia Rota con al centro ilmonumento sepolcrale a Porzia Capece datato 1559 di Giovanni Domenico e Girolamo D'Auria presente sulla parete di sinistra[17] ed inoltre, nella facciata, il trecentesco monumento funebre a del Giudice. Su lato destro invece sono collocate due cappelle, la prima di San Bonito, la seconda di San Domenico.[17] La cappella di San Domenico ha ospitato per lungo tempo una tavola duecentesca raffigurante una delle primi immagini disan Domenico (oggi nelcappellone del Crocifisso), mentre conserva ancora ilmonumento funebre a Tommaso Brancaccio, opera di Jacopo della Pila di fine Cinquecento, frammenti di altri sepolcri del Quattro-Cinquecento collocati alle pareti e sul pavimento maiolicato ottocentesco, e, sulla facciata principale, lamacchina delle Quarantore. La cappella di San Bonito appartenne al segretario diFerrante I,Antonello Petrucci, il cuipalazzo di famiglia è adiacente alla cappella ed alla basilica. Dopo i fatti relativi allacongiura dei baroni, la cappella passò ai Bonito i quali chiamarono per l'occasione ilcarrareseGiuliano Finelli per eseguire la scultura disan Bonito presente sull'altare maggiore. Alla parete sinistra è invece ilsepolcro di Alessandro Vicentini diMatteo Bottiglieri.[17]
La cappella di san Domenico Soriano è la prima a destra dell'abside. La cappella apparteneva ai Carafa della Stadera sin dal Quattrocento. Il nome è attribuito dalla presenza sopra il settecentesco altare di un dipinto raffiguranteSan Domenico Soriano. Nella cappella sono inoltre presenti altre tele, tra le quali due diLuca Giordano presenti sulle pareti laterali e raffigurantiSan Tommaso d'Aquino eSan Vincenzo Ferrer.[17] Gli affreschi del Settecento sono invece opera diGiovanni Cosenza.
La seconda cappella presbiteriale è invece quella dell'Angelo Custode, una volta intitolata a san Tommaso, che prende il nome dall'opera lignea di fine XVI secolo presente sull'altare maggiore e raffigurante un angelo custode. Nella cappella sono presenti inoltre affreschi di Michele Ragolia, un pavimento maiolicato del Settecento ed alcuni bassorilievi marmorei. Infine, sono conservati nella cappella i resti disan Tarcisio. La cappella è anticipata all'esterno, nell'angolo destro del transetto, dalsepolcro di Galeazzo Pandone del 1514, sul cui vertice è alto è collocata unaVergine col Bambino diGiovanni da Nola mentre ancora più in alto è il fronte delsarcofago di Giovanni d'Angiò, opera diTino di Camaino.[17]
Anche nel transetto sinistro si aprono quattro cappelle, due lungo la parete presbiteriale e due su quella frontale.
La cappellaPinelli è la prima sulla parete frontale del transetto; questa venne acquistata nel 1545 dal banchiere genovese Cosimo Pinelli[18], il quale, risiedeva a Napoli oramai già da un ventennio. Elementi di pregio della cappella sono il pavimento in marmo con al centro lo stemma della famiglia ed i sepolcri laterali di Cosimo Pinelli e Giustiniana Pignatelli, moglie di Galeazzo Francesco Pinelli. La cappella ospitava al suo interno la tela diTiziano dell'Annunciazione, commissionata dal Pinelli e collocata nell'ambiente poco dopo il 1557.[8] La suddetta opera è esposta al museo di Capodimonte. Immediatamente fuori la cappella, addossata alla parete di destra è l'altare san Girolamo, attribuito alla cerchia di Tommaso Malvito. Questo è tutto ciò che rimane della Cappella Riccio, esistente sino alle trasformazioni ottocentesche[19].
Ilmonumento consta di una mensa d’altare, conbassorilievo delCristo, il quale risorge per metà figura con le braccia aperte[20], una fascia marmorea con iscrizione funebre del patrizio di Nido Michele Riccio (m. 1515[21]), incorniciata tra duestemmi nobiliari, indi il prima citatobassorilievo di San Girolamo nel deserto, euna lunetta, recante un'Annunciazione alla Vergine[22]. Sulla parete esterna di sinistra, prima della successiva cappella Blanch, è invece il monumentalesepolcro a Rainaldo Del Doce, eseguito da Tommaso Malvito e Giovanni da Nola, prima presente nelcappellone del Crocifisso; sopra di esso è un'ancona marmorea databile a cavallo tra il XV e XVI secolo al cui lato è infine la lastra sepolcrale trecentesca diFilippo d'Angiò, opera diTino di Camaino.[8]
La seconda cappella sulla parete frontale è invece quella Blanch (o di San Vincenzo), la cui proprietà passò nel corso del tempo daiCarafa agliSpinelli. Essa custodisce nella parete sinistra ilsepolcro di Tommaso Blanch eseguito daAndra Falcone, mentre nella parete frontale un dipinto ottocentesco su san Vincenzo.[8]
La cappella del Rosario è la prima a sinistra dell'abside. La cappella venne intitolata alla Vergine del Rosario nel 1692 e dopo diversi passaggi di proprietà, venne acquistata nel corso del Settecento daVincenzo Carafa che avviò i lavori di restauro nel 1779 commissionando all'esecuzione degli stessiCarlo Vanvitelli.[8] DiFedele Fischetti è la tela eseguita nel 1788 e posta sull'altare maggiore raffigurante laMadonna del Rosario.[8] Sempre dello stesso autore sono gli affreschi che abbelliscono la cappella, mentre sulla parete destra è la copia diAndrea Vaccaro dellaFlagellazione di Cristo di Caravaggio, collocata per un certo periodo di tempo, dopo diversi spostamenti, in questa cappella. Sotto la cappella si apre inoltre una cripta che ospita le sepolture di diversi esponenti del casato Carafa e dei loro familiari, tra i quali è ancheIppolita Gonzaga, morta a Napoli nel 1563, moglie del duca diMondragoneAntonio Carafa nonché figlia diFerrante I Gonzaga,signore di Guastalla eViceré di Sicilia.[23][24][25]
La seconda cappella lungo il presbiterio, infine, è dedicata a Santo Stefano (o anche all'Immacolata). Essa ospita al centro un affresco trecentesco diRoberto d'Oderisio raffigurante l'Immacolata, un dipinto dello stesso soggetto realizzato daPaolo Finoglio nelXVII secolo, una statua cinquecentesca disanto Stefano, un monumento sepolcrale aFilippo Spinelli del XVI secolo realizzato daBernardino Moro ed infine un monumento funebre dedicato aCarlo Spinelli, opera diGiovanni Marco Vitale.[8]

La zona absidale, ideata daNicola Tagliacozzi Canale, vede insistere alle spalle dell'altare maggiore la sontuosa cassabarocca dell'organo[17] (databile 1715) che ha occupato lo spazio in cui erano collocate prima le sepolture dei re aragonesi, andate quasi distrutte durante l'incendio del 1506, e sostituendo altri due organi preesistenti. Sulle pareti laterali, in sostituzione a due dipinti di Michele Ragolia del 1680 andati persi durante i lavori di restauro del XVIII secolo, sono posti due grandi affreschi ottocenteschi diMichele De Napoli raffigurantiSan Tommaso tra i dottori eSan Domenico che disputa con gli eretici. Il coro ligneo nella tribuna risale infine al 1752 ed è opera di un padre domenicano,Giuseppe Parete.
L'altare maggiore e la balaustra marmorea è opera diCosimo Fanzago, databile al 1652, seppur vi sono stati dei lavori di adeguamento successivi alterremoto del 1688 che videro interessati gli scultoriFerdinando de Ferdinandi,Giovan Battista Nauclerio ed infineLorenzo Vaccaro, che eseguì nel 1695 i dueputti laterali dell'altare.[17] Il crocifisso è risalente all'Ottocento, mentre altri elementi decorativi scultorei sono databili intorno al XVI secolo.
Sullacantoria alle spalle dell'altare maggiore posta a ridosso della parete fondale dell'abside, si trova l'organo a canne della basilica, costruito nel 1973 dalladitta organaria deiFratelli Ruffatti riutilizzando la cassa barocca dell'organo costruito nel 1715 dall'organaroFabrizio Cimino. Lo strumento è atrasmissione elettrica, ed haconsolle indipendente avente due tastiere di 61 note ciascuna epedaliera concavo-radiale di 32 note. La cassa lignea barocca, riccamente decorata con sculture e rilievi, presenta la mostra divisa in tre campi, all'interno di ciascuno dei quali si trova una cuspide dicanne diprincipale con bocchea mitria.
Ai lati della balaustra marmorea del Fanzago, sono collocati due leoni trecenteschi con vicino a quello di sinistra, un gruppo di treVirtù che fungendo da cariatidi, innalzano il candelabro del tardo Cinquecento. Questi elementi provengono dallo smembratomonumento funebre di Filippo d'Angiò diTino di Camaino.[8] Dalla balaustra, infine, due scale elicoidali poste ai lati conducono alla cappellaGuevara diBovino sottostante l'abside, databile intorno alla fine del XVI secolo e su cui è l'accesso centrale della basilica che dà su piazza San Domenico.[8]
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