Portatori di un'originale e articolata cultura, furono soggetti a partire dalII secolo a.C. a una crescente pressione politica, militare e culturale da parte di altri due gruppi indoeuropei: iGermani, danord, e iRomani, da sud. Furono progressivamente sottomessi e assimilati, tanto che già nella tarda antichità l'uso delle loro lingue appare in netta decadenza e il loro arretramento come popolo autonomo è testimoniato proprio dalla marginalizzazione della loro lingua, presto confinata alle sole Isole britanniche. Lì infatti, dopo i grandi rimescolamentialtomedievali, emersero gli eredi storici dei Celti: le popolazioni dell'Irlanda e delle frange occidentali e settentrionali dellaGran Bretagna, parlantilingue brittoniche ogoideliche, le due varietà dilingue celtiche insulari.
I Celti[1] sono menzionati dagli storici dilingua greca comeKeltòi (Κελτοί) dal milesioEcateo e daErodoto[2], oKéltai (Κέλται) daAristotele ePlutarco, da cui deriva illatinoCeltae. Probabilmente il termineCelti era unetnonimo proprio di una singola tribù dell'area della colonia greca diMarsiglia, il primo luogo dove i Greci vennero in contatto con il popolo dei Celti; in seguito, tale termine fu applicato per estensione a tutte le genti affini[3]. Questo etnonimo proviene probabilmente dallaradice indoeuropea*kelh₂- ‘"colpire" allo stesso modo come l'irlandese mediocellach "conflitto, contesa"[4].
Sempre presso i Greci, a partire dalIII secolo a.C.[5] è attestato il nuovo etnonimoGalátaiΓαλάται), corrispondente al latinoGalli[6]. Di questa denominazione è stata ipotizzata una derivazione dallaradiceceltica*gal- ("potere", "forza") o dallaradice indoeuropea*kelH ("essere elevato")[7]. In entrambi i casi, trattandosi di un attributo positivo, potrebbe essere stato unendoetnonimo, anche se probabilmente riferito ancora più al singolo gruppo spintosi nei Balcani e in Anatolia che all'intero popolo dei Celti[3].
Non si conosce l'endoetnonimo con il quale i Celti indicavano se stessi in quanto popolo condividente la stessa origine, cultura e fondo linguistico, e nemmeno se sia mai esistito un simile etnonimo generale, al di là di quelli indicanti i vari gruppi etribù[3].
Archeologi elinguisti concordano, a larga maggioranza, nell'identificare i Celti con il popolo portatore della cultura di La Tène, sviluppatasi durante l'età del ferro dalla precedentecultura di Hallstatt. Tale identificazione consente di individuare lapatria originaria dei Celti in un'area compresa tra l'altoReno (daRenos, vocabolo di origine celtica il cui significato è "mare"[9]) e le sorgenti delDanubio (dal celticoDanuvius, il cui significato è "che scorre veloce"[9]), tra le attualiGermania meridionale,Francia orientale eSvizzera settentrionale: qui iProtocelti si consolidarono come popolo, con una proprialingua, evoluzione lineare di un vastocontinuumindoeuropeo esteso inEuropa centrale fin dall'inizio delIII millennio a.C.[10].
Nell'area di La Tène si registra una continuità nell'evoluzione culturale sin dai tempi dellacultura dei campi di urne (a partire dalXIII secolo a.C.[12]). All'inizio dell'VIII secolo a.C. si affermò la cultura di Hallstatt, la civiltà protoceltica che mostrava già le prime caratteristiche culturali che poi saranno proprie della cultura celtica classica. Il nome deriva da unimportante sito archeologico austriaco distante una cinquantina di chilometri daSalisburgo. La Cultura di Hallstatt, con base agricola ma dominata da una classe di guerrieri, era inserita in una rete commerciale piuttosto ampia che coinvolgevaGreci,Sciti edEtruschi. È da questa civiltà dell'Europa centro-occidentale che, intorno al V secolo a.C., si sviluppò, senza soluzione di continuità, la cultura celtica propriamente detta: nella terminologia archeologica, la Cultura di La Tène.
L'identificazione dei Celti con la cultura di Hallstatt-La Tène consente, sulla base dei ritrovamenti archeologici, di tracciare un quadro del loro processo espansivo a partire dalla ristretta area dell'Europa centro-occidentale nella quale si cristallizzarono come popolo. La penetrazione nella Penisola iberica e lungo le coste atlantiche dell'attuale Francia risale quindi all'VIII-VII secolo a.C., ancora in epoca hallstattiana. Più tardi, quando già avevano sviluppato la Cultura di La Tène, raggiunserola Manica, la foce del Reno, l'attuale Germania nord-occidentale e le Isole britanniche; ancora successiva fu l'espansione verso le attualiBoemia,Ungheria eAustria. Contemporanei a questi ultimi movimenti furono gli insediamenti, già registrati dalle fonti storiche, inItalia settentrionale e, in parte diquella centrale (inizioIV secolo a.C.) e nellaPenisola balcanica. NelIII secolo il gruppo dei Galati passò dallaTracia all'Anatolia, dove si stanziò definitivamente[13]. L'avanzata fu favorita principalmente dalla superiorità tecnica delle armi in possesso della bellicosa aristocrazia guerriera, che guidò questi popoli durante le migrazioni.
La diffusione dei Celti in Europa all'epoca dell'apogeo della loro civiltà (III secolo a.C.[14])
I Celti toccarono il loro apogeo tra la seconda metà delIV e la prima metà delIII secolo a.C. In quell'epoca, la lingua e la cultura celtica costituivano l'elemento più diffuso e caratteristico dell'intera Europa[13], interessando una vasta e ininterrotta area che andava dalle Isole Britanniche all'Italia settentrionale e dalla Penisola Iberica al bacino del Danubio. Gruppi isolati, inoltre, si erano spinti ancor più a sud, come iGalli Senoni nell'Italia centrale e - soprattutto - i Galati in Anatolia.
Le varie popolazioni costituivano un'unità culturale e linguistica, ma non politica; al loro interno, già le fonti antiche individuavano diversi gruppi principali di tribù: iBritanni (Isole britanniche), iCeltiberi (Penisola iberica), iPannoni (Pannonia), iGalati (Anatolia) e iGalli (Gallie); questi ultimi erano a loro volta ripartiti in vari gruppi, tra i quali spiccavano iBelgi, almeno in parte mescolati con elementigermanici, gliElvezi, posti all'estremità orientale della Gallia e a contatto con iReti, popolo non indoeuropeo della regionealpina orientale, e iGalli cisalpini dell'Italia settentrionale.
Vestigia dell'antica presenza celtica sono state rinvenute in quasi tutta Europa, in un'area quindi ancor più estesa di quella, già ampia, occupata dai Celti in epoca storica. A testimonianza della fitta rete di scambi culturali e commerciali tra le antiche popolazioni europee, manufatti celtici sono stati rinvenuti tanto nelle regionimediterranee non direttamente raggiunte dalle tribù celtiche, tanto in vaste aree dell'Europa centro-settentrionale, dalla regionebaltica allaScandinavia. Tra itoponimi che denunciano una chiara origine celtica, spiccano non solo la"Galizia" iberica e la "Galazia" anatolica, ma anche la"Galizia" sub-carpatica, un'area che in passato fu al margine estremo della penetrazione celtica[15].
I Celti stanziati nella Penisola iberica erano indicati, fin dall'antichità, con il nome di Celtiberi. Il termine è stato a lungo inteso come sintomo di un'ibridazione tra gruppi celtici e gruppiiberici, secondo quanto indicato nell'antichità daDiodoro Siculo,Appiano,Marziale eStrabone, che specificava come i Celti fossero il gruppo dominante; tra gli studiosi moderni, tale interpretazione è stata sostenuta daJohann Kaspar Zeuss. Più recentemente, tuttavia, l'ipotesi di una popolazione mista è stata progressivamente scartata, e con il termine Celtiberi si indicano semplicemente i Celti stanziati in Iberia[16].
Il nucleo centrale dell'insediamento celtiberico corrisponde a un'area dell'odiernaSpagna centrale, a cavallo tra le regioni diCastiglia,Aragona eLa Rioja e compresa tra il medio bacino dell'Ebro e l'alto corso delTago. La penetrazione in quest'area risale all'VIII-VII secolo a.C., anche se è possibile che alcune infiltrazioni fossero avvenute anche in epoche precedenti, fin dalX secolo a.C.; in un secondo momento, i Celtiberi si espansero verso sud (nell'attualeAndalusia) e verso nord-ovest, fino a toccare le coste atlantiche della penisola (Galizia). A indicare i confini esatti della penetrazione celtica nella Penisola iberica sono latoponomastica, con i caratteristici prefissiseg- e i suffissi-samo e, soprattutto,-briga[17], e la diffusione delcorpus delleiscrizioni inceltiberico, all'interno del quale spiccano iBronzi di Botorrita.
NelII secolo a.C. i Celtiberi furono sottomessi daRoma attraverso una serie di campagne militari, leGuerre celtibere; la capitolazione fu segnata dalla caduta della loro ultima roccaforte,Numanzia, espugnata nel133 a.C. daPublio Cornelio Scipione Emiliano. A partire da quel momento i Celtiberi, come tutte le altre popolazioni della Penisola iberica, subirono un intenso processo dilatinizzazione, dissolvendosi come popolo autonomo.
Galli era il nome con cui iRomani indicavano i Celti che abitavano la regione delle Gallie. Dall'originaria area della Cultura di La Tène i Celti si espansero verso le coste atlantiche e lungo il corso del Reno tra i secoliVIII eV a.C.; più tardi, a partire dal400 a.C. circa, penetrarono nell'odierna Italia settentrionale. Continuarono a premere verso sud, tanto che nel390 a.C., secondo la tradizione[18], o più probabilmente nel386 a.C.[19], la tribù deiSenoni guidata daBrenno mise asacco la stessa Roma, per stanziarsi infine sul medio versante adriatico (Piceno)[10].
Come tutte le popolazioni celtiche, i Galli erano frazionati in numerose tribù, che solo in rari casi riuscirono a coalizzarsi per far fronte a un nemico comune: come quando, nel52 a.C., numerose tribù guidate daVercingetorige si ribellarono allaconquista cesariana della Gallia. Tra le popolazioni galliche, alcuni insiemi di tribù erano accomunati da una propria sotto-identità condivisa: iBelgi, stanziati tra la Manica e il Reno e variamente mescolati a elementigermanici; gliElvezi, collocati nell'area dell'alto Reno e dell'alto Danubio e a contatto con iReti; gliAquitani, tra laGaronna e iPirenei, mescolati a popoli paleo-baschi; e iGalli cisalpini, l'insieme delle tribù penetrate nella Gallia cisalpina, al di qua delleAlpi. Tra le popolazioni della regione centrale della Gallia,Cesare attesta che al momento delle sue campagne si distinguevano due fazioni, capeggiate rispettivamente dagliEdui, tradizionalmente filoromani fin dalII secolo a.C., e daiSequani, questi ultimi presto scalzati daiRemi[20].
La sottomissione dei Galli a Roma si avviò nelIII secolo a.C.: una serie di iniziative militari contro i Galli cisalpini portò alla loro completa sottomissione, attestata dalla creazione della provincia della Gallia cisalpina intorno al90 a.C. A quella data nel territorio un tempo dei Celti erano già numerose le presenze romane, sotto forma dimunicipi e, soprattutto, dicolonie. La conquista della Gallia transalpina iniziò attorno al125-121 a.C., con l'occupazione di tutta la fascia mediterranea fra leAlpi liguri e i Pirenei, costituita successivamente nella provincia dellaGallia Narbonense. La Gallia settentrionale passò sotto il dominio di Roma in seguito alle campagne condotte da Cesare tra il58 e il50 a.C.
Grazie soprattutto alla testimonianza resa da Cesare nel suoDe bello Gallico, la civiltà gallica è di gran lunga la più conosciuta tra quelle sviluppate dai Celti nell'antichità, anche se le osservazioni dello statista romano sono verosimilmente estendibili - almeno nelle linee generali - a tutte le popolazioni celtiche. Cesare descrive la società gallica come articolata in gruppi familiari e divisa in tre classi: quella dei produttori, composta da agricoltori provvisti di diritti formali, ma politicamente sottomessi ai ceti dominanti; quella dei guerrieri, detentori dei diritti politici, cui era affidato l'esercizio delle funzioni militari; e quella deidruidi, sacerdoti, magistrati e custodi della cultura, delle tradizioni e dell'identità collettiva di un popolo frammentato in numerose tribù[21].
Popolazioni celtiche raggiunsero laGran Bretagna, superando La Manica, nell'VIII-VI secolo a.C.. Dall'attualeInghilterra meridionale si espansero in seguito rapidamente verso nord, colonizzando l'intera Gran Bretagna e l'Irlanda, sebbene nell'attualeScozia sia a lungo sopravvissuto ilpopolo pre-indoeuropeo deiPitti[13].Cesare attesta gli stretti legami, non solo culturali ma anche economici e politici, tra i Britanni e i Galli: i domini diDiviziaco, per esempio, si estendevano su entrambe le sponde della Manica[22] e sull'isola scampavano esuli dalla Gallia[23], che a sua volta otteneva, in caso di necessità, aiuto militare dalla Britannia[24].
Una prima spedizione romana, condotta dallo stesso Cesare nel55 a.C., non comportò un'immediata sottomissione dei Britanni. Questa fu compiuta circa un secolo dopo, nel43 d.C., dall'imperatoreClaudio. I Romani occuparono l'area degli attuali Inghilterra eGalles, erigendo a nord unlimes fortificato: ilVallo di Adriano (122), in seguito spostato ancora più a nord (Vallo di Antonino,142). Al di là del Limes (nell'attuale Scozia e in Irlanda) rimasero sia tribù britanniche, sia i Pitti.
La latinizzazione delle tribù celtiche soggette a Roma fu intensa, ma meno di quella subita dai Galli e dai Celtiberi: alla cessazione del controllo romano della Gran Bretagna (fineIV-inizioV secolo) l'identità etnica e linguistica dei Celti era ancora viva, e sopravvisse a lungo anche alle successive invasionigermaniche. Dalla fusione dei tre elementi — celtico, latino e germanico — si sarebbero formate, durante l'alto Medioevo, le moderne popolazioni di Gran Bretagna e Irlanda[25]. Gli unici eredi diretti degli antichi Celti, tra i popoli moderni, saranno proprio quelli delle Isole britanniche[26], che avrebbero conservato ininterrotta la tradizione linguistica dando origine allelingue celtiche insulari, nei due ramigoidelico ebrittonico[27].
Il processo di espansione dei Celti verso est, a partire dalla culla originaria della Cultura di La Tène, è storicamente assai meno attestato di quello avvenuto verso leGallie. Comunque, si ritiene che la penetrazione in quella regione dell'Europa centrale poi individuata con il nome di Pannonia risalga agli inizi delIV secolo a.C.[13]. In quell'area, sul medio corso del Danubio, i Celti vennero a contatto con le tribùilliriche già presenti; in parte si mescolarono a essi, in parte rimasero separati in gruppi autonomi, etnicamente e linguisticamente omogenei.
Quello dei Pannoni è il ramo della famiglia celtica sul quale le testimonianze sono più scarse e incerte; nulla resta della loro lingua (certo una varietà dellelingue celtiche continentali), salvo forse qualche elemento isolato che funse dasostrato per le lingue sviluppatesi successivamente in quella regione. Tra le tribù celtiche presenti in Pannonia spicca quella deiBoi, probabilmente il ramo orientale di una tribù presente anche nelle Gallie e penetrata in Europa centrale in un secondo momento, forse nel50 a.C. A essi si deve iltoponimo "Boemia".
A partire dal35-34 a.C. i Pannoni iniziarono a entrare nella sfera di influenza dei romani, che in seguito eressero la Pannonia aprovincia, anche se una porzione significativa dei Pannoni rimase tuttavia inclusa nella vicina provincia delNorico. Sottoposti a latinizzazione e, più tardi, agermanizzazione,slavizzazione emagiarizzazione, i Pannoni — sia di ceppo celtico, sia di ceppo illirico — si dissolsero come popolo autonomo fin dai primi secoli delI millennio.
La penetrazione dei Celti nella Penisola balcanica è attestata dalle fonti greche, che testimoniano di una migrazione che sommerse laTracia nel281 a.C. I Greci, forse adattando un termine impiegato da quelle stesse tribù celtiche, denominarono gli invasoriγαλάται anzichéκελτοί oκέλται, termine con il quale identificavano gli abitanti autoctoni delle aree grecizzate presso la colonia diMarsiglia[3].
Incursioni galate si spinsero fin nel cuore dellaGrecia. Un'orda, guidata dal condottieroBrenno[28], attaccòDelfi, rinunciando solo all'ultimo minuto a profanare iltempio di Apollo: allarmato da portentosi tuoni e fulmini, rinunciò anche a riscuotere un riscatto. Sempre nelIII secolo a.C., un'altra frazione del popolo, composta da tre tribù e forte di diecimila combattenti accompagnati da donne, bambini e schiavi, mosse dalla Tracia all'Anatolia su espresso invito diNicomede I diBitinia, che aveva chiesto il loro aiuto nella lotta dinastica che lo opponeva a suo fratello (278 a.C.).
I Galati si stabilirono definitivamente in un'area compresa tra laFrigia orientale e laCappadocia, in Anatolia centrale; in seguito al loro insediamento la regione assunse il nome di "Galazia".San Girolamo attesta la sopravvivenza della loro lingua (ilgalato, varietà diceltico continentale) fino alIV secolo d.C.[29]; dopodiché si completò il processo diellenizzazione dei Galati.
Latinizzazione e germanizzazione (II secolo a.C.-V secolo d.C.)
La fase di apogeo dei popoli celtici, tra ilIV e ilIII secolo a.C., sembrava preludere a una forte presenza delle loro lingue e della loro cultura nell'intero continente europeo. Invece, proprio a partire da quell'epoca ebbe inizio il loro declino, sotto la pressione combinata di altri duepopoli indoeuropei: iGermani, che premevano da nord e da est, e iRomani, che premevano da sud sul vasto ma poco coesocontinuum celtico, come «due macine del mulino che, stringendo in mezzo i Celti, li avrebbe fatti scomparire dal continente impadronendosi della maggior parte dei loro immensi domini»[30].
Celtiberi e Galli furono interamentelatinizzati nei primi secoli dell'era volgare; l'assimilazione dei vinti interessò sia il versante linguistico, tanto da portare alla scomparsa dellelingue celtiche continentali, sia quello socio-culturale, con l'estensione dellacittadinanza romana e l'integrazione nelle strutture politiche imperiali[31]. Identica sorte toccò ai Galati, anche se nel loro caso l'agente assimilatore fu piuttosto di matrice greca.
I Pannoni e i Britanni furono invece soltanto parzialmente latinizzati e nelle regioni da loro abitate presero il sopravvento - già a partire dalIII secolo - elementi germanici. Se inPannonia l'assimilazione delle popolazioni preesistenti fu completa, anche a causa delle successive ondate migratorieslave emagiare, nelleIsole britanniche il processo seguì una strada differente.
Unacroce celtica. Questo tipo di croce, tipicamente irlandese, è uno dei simboli ripresi dall'antica cultura celtica e adattati alla religionecattolica.
La latinizzazione delle Isole britanniche era stata solo parziale, e limitata alla pur vasta parte centro-meridionale della Gran Bretagna (odierni Inghilterra e Galles). La lingua e la cultura celtica pertanto sopravvissero al ritiro romano (IV-V secolo) e poterono così confrontarsi direttamente con le nuove istanze storiche che, in etàaltomedievale, interessarono Gran Bretagna e Irlanda: l'arrivo di vari popoligermanici e il processo dicristianizzazione che, specie in Irlanda, assunse caratteri specifici e peculiari.
La Gran Bretagna subì, fin dal IV secolo, un processo di re-celtizzazione da parte di gruppi provenienti dalla vicina Irlanda, mai entrata nei domini di Roma[32]. A partire dalla missione disan Patrizio in Irlanda (432), l'isola conobbe una fioritura religiosa che, attraverso loslancio missionario, tutelò l'eredità celtica, anche se integrandola ora con nuovi elementi di matricecristiana. A questi anni risalgono le prime testimonianze dellelingue celtiche insulari, una ripresa delle attestazioni dellelingue celtiche dopo l'oblio che aveva fatto seguito all'estinzione, almeno nelle testimonianze, dellelingue celtiche continentali.
La fase espansiva dei Celti irlandesi caratterizzò gli ultimi secoli delI millennio e interessò principalmente la Scozia e l'Isola di Man. Tale attività fu però esclusivamente culturale e religiosa: dal punto di vista politico, infatti, l'Irlanda fu invasa e controllata daiVichinghi germanici dall'VIII alIX secolo, generando unsincretismo culturalevichingo-gaelico.
Nonostante la vivacità culturale, i Celti superstiti delle Isole britanniche furono - salvo rari momenti, come dopo laBattaglia di Carham vinta nel1018 da reMalcolm II di Scozia - sempre soggetti a nuovi dominatori, tutti dilingua germanica: gliAnglosassoni prima e i Vichinghi poi. L'identità specifica celtica subì un forte processo di arretramento, testimoniata dalla progressiva riduzione dell'area occupata dai parlanti madrelingua delle diverse varietà dellelingue celtiche insulari[32].
IlII millennio ha registrato una costante regressione dei superstiti elementi celtici, sottoposti a un continuo processo dianglicizzazione sia linguistica, sia politica, sia culturale. Dalla fusione dell'elemento celtico, latino e di quello germanico (vichingo e anglosassone) sono derivate, etnicamente e culturalmente, le moderne popolazioni di Gran Bretagna e Irlanda: non più quindi - e fin dalMedioevo - popolazioni celtiche in senso stretto, ma eredi moderne degli antichi Britanni, variamente ibridati - come ogni altro popolo europeo - con numerosi apporti successivi.
La società celtica ricalcava le strutture fondamentali di quellaindoeuropea, imperniata sulla "grande famiglia"patriarcale. Tale modello è stato preservato dai Celti anche in età storica; il gruppo familiare (clan, terminescozzese entrato nell'italiano) includeva non solo la famiglia in senso stretto, ma anche antenati, collaterali, discendenti e parenti acquisiti, comprendendo varie decine di persone. Più clan formavano unatribù (tuath in scozzese), a capo della quale era posto un re (in gallicorix). Alla famiglia - e non all'individuo - spettava anche la proprietà della terra[33].
La struttura sociale, nota principalmente grazie alla testimonianza resa daCesare suiGalli nei suoiCommentarii, prevedeva una notevole articolazione in classi. L'aristocrazia guerriera assolveva i compiti di difesa e di offesa ed eleggeva, secondo uno schema consueto tra gli Indoeuropei, un re dalle funzioni principalmente militari mentre prerogativa del popolo libero erano le attività economiche, imperniate sull'agricoltura e l'allevamento; si ha notizia poi dell'esistenza dischiavi. Infine vi erano idruidi, sacerdoti, magistrati e maghi, depositari delle tradizioni comunitarie, del sapere collettivo e dell'identità intertribale nella quale tutti i Celti si riconoscevano[33]. Tale identità non si limitava ai singoli sottogruppi della grande famiglia celtica, ma l'abbracciava nella sua totalità; Cesare, infatti, attesta più volte i vincoli che i Galli celtici erano consapevoli di avere, non solo tra di loro, ma anche con i viciniElvezi,Belgi,Galli cisalpini eBritanni[34].
La società celtica (o almeno quella gallica) si presentava quindi come nettamente articolata in tre "funzioni": quella sacrale e giuridica, quella guerriera e quella produttiva. Tale struttura ispirò, accanto ad altri elementi provenienti soprattutto dalle mitologieromana,persiana evedica, la teoria della tripartizione dell'intero immaginario indoeuropeo, formulata daGeorges Dumézil. Secondo tale schema, la divisione in tre funzioni era rigida, discendeva direttamente dal sistema originario degli Indoeuropei e coinvolgeva tanto la sfera sociale delle tre classi, quanto quella ideale e religiosa. La teoria, sostenuta soprattutto in area francese, è stata tuttavia recentemente ridimensionata e considerata il frutto dell'idealizzazione di un insieme di fattori peculiari e specifici di alcuni gruppi indoeuropei[35].
La donna godeva di uguali diritti all'interno della società dei Celti. Poteva ereditare come gli uomini ed essere eletta a qualsiasi carica, comprese quelle di druido o di comandante in capo degli eserciti; quest'ultima possibilità è attestata dalle figure diCartimandua della tribù deiBriganti o diBoudicca degliIceni al tempo dell'imperatore romanoClaudio[36].
I druidi svolgevano, genericamente, le funzioni sacerdotali. Essi tuttavia non si limitavano a essere il collegamento tra gli uomini e gli dei, ma erano anche responsabili delcalendario e guardiani del "sacro ordine naturale", oltre che filosofi, scienziati, astronomi, maestri, giudici e consiglieri del re. Un'iscrizione gallica rinvenuta inGallia meridionale (ilPiombo di Larzac) conferma l'esistenza anche di donne insignite del ruolo di druide[37].
Cesare riferisce il carattere elitario della sapienza all'interno della società celtica, che proibiva l'uso della scrittura per la registrazione dei precetti religiosi[38]. L'educazione di un druido durava circa vent'anni e comprendeva insegnamenti diastronomia (disciplina della quale possedevano una padronanza tale da stupire Cesare), scienze, nozioni sulla natura; il lungo percorso educativo era dedicato in buona parte all'acquisizionemnemonica delle loro conoscenze[38]. Queste conoscenze erano poi applicate all'elaborazione di un proprio calendario: il più antico calendario celtico che si conosca èquello di Coligny, databile alI secolo a.C. Esso era molto più elaborato e sofisticato diquello giuliano, e prevedeva un complesso sistema di sincronizzazione dellefasi lunari con l'anno solare[39].
L'armatura dei Celti comprendevascudi in legno con rifiniture in bronzo e ferro decorati in vario modo[40]. Su alcuni di questi si trovavano animali in bronzo scolpiti, con funzioni sia decorative sia di difesa. Sulla testa portavanoelmi di bronzo con grandi figure sporgenti come corna, parti anteriori di uccelli o quadrupedi, che facevano apparire giganteschi coloro che li indossavano. Le lorotrombe di guerra (carnyx) producevano un suono assordante e terrificante per il nemico. Alcuni indossavano sul petto piastre di ferro, mentre altri combattevano nudi. Non utilizzavano soltantospade corte simili aigladi romani, ma anche lunghe, ancorate a catene di ferro o bronzo, che pendevano lungo il loro fianco destro, oltre alance dalle punte di ferro della lunghezza di uncubito e di poco meno di due palmi di larghezza, e i lorodardi avevano punte più lunghe delle spade degli altri popoli[41].
Di loro si racconta, inoltre, che preferivano risolvere le battaglie con duelli tra i capi o tra i più abili guerrieri di ognuno degli schieramenti opposti, piuttosto che scontrarsi in battaglia. Essi avevano anche l'abitudine di appendere le teste dei nemici uccisi al collo del proprio cavallo, e, in alcuni casi, di imbalsamarle, quando il vinto era un importante guerriero avversario; consideravano infatti la testa, e non il cuore, la sede dell'anima[42].
La vocazione guerriera di questo popolo, unitamente alla prospettiva di ottenere un soldo regolare o bottini occasionali, sfociò infine in un'attività praticata da molte sue tribù: diventare soldatimercenari. Il primo indizio di una simile scelta risale al480 a.C., quando sembra che alcuni soldati celti abbiano partecipato, a fianco deiCartaginesi, allabattaglia di Imera. Altre partecipazioni di mercenari celtici sono ricordate durante la spedizionesiracusana in Grecia del369-368 a.C.; nel307 a.C., quando tremila armati galli si unirono adAgatocle di Siracusa, insieme aSanniti edEtruschi, per condurre una campagna in Africa settentrionale; nelle lotte che seguirono tra gli eredi diAlessandro Magno (iDiadochi). Tale pratica generò non solo un mercato in espansione per parecchie decine di migliaia di militari coraggiosi, esperti e meno cari dei Greci, ma permise anche, al ritorno dei soldati da guerre combattute un po' ovunque nel bacino mediterraneo, di introdurre la monetazione all'interno delle comunità celtiche[43].
Polibio racconta anche che alcuni di loro combattevano completamente nudi, come avvenne nel225 a.C. aTalamone:
«[…] I Romani […] erano terrorizzati per la fine del loro comandante e dal terribile frastuono dei Celti, che avevano numerosi suonatori di corno e trombettieri, e contemporaneamente tutto l'esercito alzava alto il grido di guerra. […] Molto terrificante era anche l'aspetto di alcuni guerrieri celti, nudi davanti ai Romani, tutti nel pieno vigore fisico della vita, dove i loro capi apparivano riccamente ornati contorque e bracciali d'oro. […] E quando glihastati avanzarono, come è consuetudine, e dai ranghi dellelegioni romane cominciarono a lanciare i lorogiavellotti in modo adeguato, i Celti delle retroguardie risultavano ben protetti dai loro pantaloni e mantelli, ma il fatto che cadessero lontano non era stato previsto dalle loro prime file, dove erano presenti i guerrieri nudi, i quali si trovavano così in una situazione molto difficile e indifesa. E poiché gli scudi dei Galli non proteggevano l'intero corpo, ciò si trasformò in uno svantaggio, e più erano grossi e più rischiavano di essere colpiti. Alla fine, incapaci di evitare la pioggia di giavellotti a causa della distanza ravvicinata, ridotto al massimo il disagio con grande perplessità, alcuni di loro, nella loro rabbia impotente, si lanciarono selvaggiamente sul nemico [romano], sacrificando le loro vite, mentre altri, ritirandosi passo dopo passo verso le file dei loro compagni, provocarono un grande disordine per la loro codardia. Allora fu lo spirito combattivo delGesati ad avanzare verso glihastati romani, ma il corpo principale degliInsubri,Boi eTaurisci, una volta che glihastati si erano ritirati nei ranghi (dietro iprincipes), furono attaccati dai manipoli romani, in un terribile combattimento "corpo a corpo". Infatti, pur essendo stati fatti quasi a pezzi, riuscivano a mantenere la posizione contro il nemico, grazie ad una forza pari al loro coraggio, inferiore solo nel combattimento individuale per le loro armi. Gliscudi romani, va aggiunto, erano molto più utili per la difesa e le lorospade per l'attacco, mentre la spada gallica va bene solo di taglio, non invece [nel colpire] di punta. Alla fine, attaccati da una vicina collina sul loro fianco dallacavalleria romana, guidata alla carica in modo assai vigoroso, la fanteria celtica fu fatta a pezzi dove si trovava, mentre la cavalleria fu messa in fuga.»
Dai loro contemporaneiGreci eRomani i Celti erano descritti alti, muscolosi e robusti; gli occhi erano generalmente chiari, la pelle chiara, i capelli erano di frequente rossi o biondi[44] anche per via dell'usanza descritta da Diodoro Siculo di schiarirsi i capelli con acqua di gesso[45]. L'altezza media fra gli uomini si aggirava sul metro e settanta[46]. Dal punto di vista caratteriale, le stesse fonti descrivono i Celti come irascibili, litigiosi, valorosi, superstiziosi, leali, grandi bevitori e amanti della musica[33].
La principale testimonianza sulle credenze e sugli usi religiosi dei Celti è ancora una volta quella fornita daCesare nelDe bello Gallico, la quale, pur essendo riferita specificamente aiGalli, attesta verosimilmente una situazione in larga parte comune all'intero gruppo celtico all'epoca dei fatti narrati (I secolo a.C.).
I Celti, probabilmente[47], condividevano una medesima visione religiosapoliteista e adoravano divinità legate alla natura, con una peculiare valenza religiosa attribuita allaquercia, e alle virtù guerriere. Cesare riferisce anche della credenza nellatrasmigrazione delle anime, che si traduceva in un'attenuazione della paura della morte tale da rafforzare il valore militare gallico[38]. È nota anche l'esistenza, sempre presso i Galli, di sacrifici umani, ai quali accadeva anche che le vittime si offrissero volontariamente; in alternativa si faceva ricorso a criminali, ma in caso di necessità si immolavano anche innocenti[48].
Nel pantheon gallico, Cesare testimonia il particolare culto attribuito a un dio che egli assimila al romanoMercurio, forse il dio celticoLugus[49] oLúg. Era l'inventore delle arti, la guida nei viaggi e la divinità dei commerci. Altre figure di rilievo tra gli dei gallici erano "Apollo" (Belanu, il guaritore), "Marte" (Toutatis, il signore della guerra), "Giove" (Taranis, il signore del tuono), "Minerva" (Belisama, l'iniziatrice delle arti)[49] eCernunnos, il dio cornuto.
La religione gallica fu oggetto di dura repressione ai tempi della dominazione romana;Augusto proibì i cultidruidici aicittadini romani delle Gallie e in seguitoClaudio estese il divieto all'intera popolazione[50].
Sono molto scarse le testimonianze sul diritto celtico.Cesare testimonia, parlando deiGalli, di un diritto matrimoniale che prevedeva l'amministrazione congiunta tra gli sposi del patrimonio familiare, costituito in parti uguali al momento delle nozze[51]. La giustizia veniva amministrata dai druidi, che avevano piena discrezionalità sulla segretezza delle sentenze[52].
Popolo frazionato in tribù dall'elevata mobilità, i Celti praticavano abitualmente lacaccia e ilsaccheggio ai danni delle città e delle popolazioni sulle quali si abbattevano le loro scorrerie; tale abitudine è attestata nell'intera area occupata dai Celti nell'antichità, come testimoniano, per esempio, le incursionigalliche in Italia (sacco di Roma,390 a.C.) e quellegalate in Grecia (sacco di Delfi,279 a.C.).
Oreficeria celtica:torque gallici in bronzo conservati al Museo diÉpernay
Benché lacaccia fosse ampiamente praticata, sembra che laselvaggina non avesse un ruolo fondamentale nell'alimentazione dei Celti. La caccia alcervo o alcinghiale costituiva più che altro una forma di passatempo, in sostituzione delle prodezze militari. Era praticata anche lapesca, in prossimità di fiumi, laghi e litorale marino; sembra che i Celti fossero ghiotti difrutti di mare, come risulterebbe dai rifiuti culinari raccolti nella regione dell'Armorica[53].
Abiliagricoltori, i Celti coltivavano campi di forma quadrangolare, non molto grandi: la dimensione media era di dieci-quindiciare, corrispondenti a quanto era possibilearare in un solo giorno. I campi erano delimitati da siepi per proteggerli dal calpestio degli animali selvatici.
Fondamento dell'agricoltura erano le colturecerealicole. I dati archeologici attestano che i Celti coltivavano un'antica varietà difarro piccolo (Triticum monococcum) oltre afrumento,segale,avena,miglio, perfettamente adatti ai terreni di queste regioni con rendimenti molto elevati (fino a tre tonnellate perettaro); ma coltivavano anchegrano saraceno (cereale particolarmente adatto a terreni poveri e a una coltura in altitudine)[54] eorzo, usato soprattutto per produrre una forma primitiva di birra, denominata in gallicocervesia (secondo la trascrizionelatina).[55]
Il bestiame aveva un ruolo fondamentale nell'alimentazione delle genti celtiche. Di riflesso, il rango dei vari capitribù dipendeva più dal numero dei capi di bestiame da essi posseduti che dall'estensione dei terreni di loro proprietà adibiti a coltivazione. Venivano allevatibovini di piccola taglia e dalle lunghe corna (Bos longifrons). Imaiali domestici erano di dimensioni assai più piccole rispetto alcinghiale o ai maiali attuali, ma la loro carne era particolarmente apprezzata, soprattutto nei banchetti. I ritrovamenti archeologici di resti ossei, rinvenuti nelle lorocittadelle, confermano che era certamente la carne maggiormente consumata. Lecapre, al contrario, erano allevate soprattutto per il lorolatte; nei loro villaggi erano inoltre presentioche egalline[53].
Già a partire dall'VIII secolo a.C., la capacità di lavorare ilferro permise ai Celti di fabbricareasce,falci e altri attrezzi al fine di effettuare sgombri di territori su vasta scala, prima occupati da foreste impenetrabili, e di lavorare la terra con facilità. La crescente abilità nella lavorazione dei metalli permise inoltre la costruzione di nuovi equipaggiamenti, comespade elance, che li resero militarmente superiori rispetto alle popolazioni loro vicine e li misero in grado di potersi spostare con relativa facilità, giacché poco temevano gli altri popoli. Estratto sotto forma spugnosa, il ferro era sottoposto ad una prima lavorazione difucina e distribuito in lingotti, pesanti cinque-sei chilogrammi e a formabipiramidale. In un periodo successivo, i lingotti furono sostituiti da lunghe barre piatte, già pronte per essere lavorate in lunghe spade; tali barre erano tanto apprezzate da essere utilizzate perfino come moneta, insieme alrame e allemonete d'oro[56].
L'uso dellamoneta si diffuse nei territori celtici a partire dalle aree colonizzate dai Greci e dagli Etruschi, lungo la costa mediterranea della Gallia: fin dalIII secolo a.C. i Galli utilizzarono lemonete greche, per passare in seguito aquelle romane. I Celti coniarono anche proprie monete, sia in Gallia che nella Penisola iberica (parte della cosiddettamonetazione hispanica), ispirate a quelle in uso nella penisola italica.
Anche presso i Celti, la moneta costituiva un comodo mezzo per la quantificazione di un metallo prezioso come oro o argento, in transizioni di una certa importanza. La sua introduzione va ricercata nel soldo che veniva dato come compenso aimercenari celti (come iGesati). Non sarebbero, pertanto dovute a una mera coincidenza le prime apparizioni di emissioni locali, nel bacino delfiume Rodano, in seguito al rientro da parte dei mercenari gesati della prima metà del III secolo a.C. Le successive variazioni, in particolare a partire dalII secolo a.C., furono un mezzo per marcare la differenza tra le diverse comunità territoriali, con l'affermazione progressiva dellecittà-Stato. L'obbligo di distinguere ogni emissione successiva di uno stessooppidum, mantenendone i tratti principali e distintivi, portò gli incisori a sviluppare una rara capacità di variazione nell'elaborazione di immagini sempre più originali[57].
Oltre che in direzione delMediterraneo, i rapporti commerciali dei Celti si svilupparono anche verso l'interno delcontinente europeo; manufatti di fattura celtica sono stati rinvenuti in una vasta area dell'Europa centrale, all'epoca abitata daGermani e altre popolazioni. Per esempio, uno dei più raffinati esempi della metallurgia celtica, ilCalderone di Gundestrup (fineII secolo a.C.), è stato ritrovato nelloJutland[58].
Ai Celti si deve anche l'apertura di gran parte delle strade dell'Europa nord-occidentale:Cesare, nel suo resoconto sullaconquista della Gallia, ripete più volte che le sue truppe si potevano muovere rapidamente attraverso ilterritorio gallico, il che sottintende l'esistenza di strade in eccellenti condizioni.[59] Nuova conferma dell'eccellenza delle reti viarie celtiche è avvenuta nel1985 con la scoperta, nellacontea irlandese di Longford, di un tratto di strada lungo più di novecento metri e larga 4 metri circa, datata tramite carbonio 14 al148 a.C. Aveva fondamenta di travi diquercia poste l'una accanto all'altra, sopra sbarre difrassino, quercia edontano. Nelle aree da loro sottomesse, iRomani non fecero altro che sostituire al legno la pietra, sopra i tracciati preesistenti costruiti dai Celti[60].
Tratto principale dell'identificazione dei popoli celtici è l'appartenenza a una medesima famiglia linguistica, quella dellelingue celtiche. Tale famiglia è parte del più ampio insieme indoeuropeo, dal quale si distaccò nelIII millennio a.C. Tre sono le principali ipotesi che precisano meglio il momento della separazione delceltico comune o protoceltico.
Secondo la prima, il protoceltico si sarebbe sviluppato nell'area dellaCultura di La Tène a partire da un più ampio "insieme europeo". Questocontinuum linguistico, esteso in gran parte dell'Europa centro-orientale, si formò in seguito a una serie di penetrazioni digenti indoeuropee in Europa, giunte dallapatria originaria indoeuropea (le steppe a nord delMar Nero, culla dellacultura kurgan); il distacco dal tronco comune di questo insieme europeo viene fatto risalire ai primi secoli del III millennio a.C., approssimativamente tra il2900 e il2700 a.C.[61].
La seconda ipotesi, che comunque muove dalla medesima visione d'insieme dell'indoeuropeizzazione dell'Europa, postula una penetrazione secondaria in Europa centrale (sempre nell'area di La Tène, e sempre a partire dalle steppe kurganiche). Tale movimento di popolazione, in questo caso esclusivamente proto-celtico, sarebbe collocabile intorno al2400 a.C. Questa posticipazione della separazione del proto-celtico dall'indoeuropeo è motivata da considerazionidialettologiche, che sottolineano alcune caratteristiche che le lingue celtiche condividono con le lingue indoeuropee più tarde tra cui, in particolare, ilgreco[62].
La terza ipotesi muove invece da un'impostazione radicalmente differente. Si tratta di quella, avanzata daColin Renfrew, che fa coincidere l'indoeuropeizzazione dell'Europa con la diffusione della Rivoluzione agricola delNeolitico (V millennio a.C.). Il protoceltico sarebbe, in tal caso, l'evoluzione avvenutain situ, nell'intera area occupata storicamente dai Celti (Isole britanniche,Penisola iberica,Gallie,Pannonia), dell'indoeuropeo. Tale ipotesi è sostenuta in ambito archeologico (insigne archeologo è lo stesso Renfrew), ma contestata dai linguisti: l'ampiezza dell'area occupata dai Celti, l'assenza di unità politica e il lungo periodo di separazione delle diverse varietà di celtico (tremila anni dal celtico comune alle prime attestazioni storiche) sono un insieme di fattori ritenuto incompatibile con la stretta affinità tra le varie lingue celtiche antiche, assai simili le une alle altre[63].
Le lingue celtiche attestate nell'antichità, primo e diretto frutto della frammentazione dialettale delceltico comune, sono definite lingue celtiche continentali[64], a causa dell'assenza in quest'epoca di testimonianze sulle varietà parlate daiBritanni[65]. Indirettamente, tuttavia, è possibile ipotizzare che le differenze tragallico ebritannico non fossero particolarmente profonde:Cesare, infatti, testimonia degli stretti contatti - culturali, commerciali e politici - traGalli e Britanni, descrivendoli come estremamente affini, anche se non riferendosi esplicitamente alla loro lingua[66]. Le lingue celtiche antiche di cui si conservano attestazioni (gallico,celtiberico,leponzio,galato e, in misura limitatissima,paleoirlandese[67]) sono testimoniate da una serie di iscrizioni e glosse inalfabeto greco,latino e - limitatamente al celtiberico -iberico, datate grosso modo tra ilIV secolo a.C. e il IV secolo d.C.
I caratteri principali che caratterizzano tutte le lingue celtiche, e che le differenziano dalle altre famiglie linguistiche indoeuropee, sono:*p > Ø in posizione iniziale e intervocalica;*l̥ e *r̥ > /li/ e /ri/;*gʷ > /b/;*ō > /ā/ o /ē/[68].
Le parlate dei Celti nell'Europa continentale si estinsero tutte in etàromana imperiale, sotto la pressione dellatino, dellelingue germaniche e, nel caso del galato, delgreco. Le lingue celtiche continentali agirono dasostrato nella formazione dei nuovi idiomi, germanici oneolatini, che si svilupparono nelle regioni che ospitavano i loro parlanti.
Fin dalbasso Medioevo la pressione sulle lingue celtiche superstiti esercitata soprattutto dall'inglese (ma anche, in Bretagna, dalfrancese) è stata costante, portando a una lenta ma continua riduzione del numero dei parlanti e delle aree madrelingua. Attualmente tutte le lingue celtiche, nonostante gli sforzi delle istituzioni statali e locali delle regioni in cui ancora sopravvivono, sono a rischio di estinzione[71].
I Celti crearono una proprialetteraturaeroica, della quale tuttavia scarsissime sono le testimonianze. Tale tradizione letteraria, infatti, era trasmessa solo oralmente, per opera deibardi e deidruidi, secondo quanto testimoniato daCesare per iGalli. L'uso della scrittura - inalfabeto greco,latino oiberico - era riservato alle funzioni pratiche, poiché presso i Celti era ritenuta illecita la trascrizione della sapienza (poetica e religiosa); volendone preservare la segretezza, i sapienti la tramandavano esclusivamente per via orale, dedicando a questo compito molti anni di studio e l'impiego dimnemotecniche[38]. In età più tarda, tuttavia, parte delcorpus poetico celtico fu comunque messo per iscritto: le testimonianze più antiche, inirlandese, risalgono alVI-VII secolo[33].
Le strutture metriche e alcuni stilemi dell'epica celtica presentano, secondo alcuni studiosi, analogie con iVedasanscriti e con lalirica greca. In tal caso, le coincidenze costituirebbero una comune eredità da un'antica poesia oraleindoeuropea[33]. Un espediente stilistico di questo genere è costituito, per esempio, dalla formula che coniuga l'affermazione di un concetto con la negazione del suo contrario: l'espressione celtica «che mi giunga la vita, che non mi giunga la morte» ha esatte corrispondenze in numerose tradizioni poetiche indoeuropee (sanscrito,avestico,persiano antico,greco egermanico)[72]. Di diretta ascendenza indoeuropea sarebbero poi altri espedienti stilistici, come la "composizione anulare", e la stessa figura delpoeta orale professionista: figure analoghe al bardo celtico, infatti, si rintracciano sia nella tradizioneindiana, sia in quellagreca[73].
L'elmo di Agris (ca. 350 a.C.), capolavoro dell'arte celtica di influsso greco.
L'apogeo dell'arte celtica, collocabile tra ilIV e ilIII secolo a.C., corrisponde a un livello molto elevato raggiunto dagli artigiani di questo popolo nel creare con il fuoco oggetti di grande valore, con esempi di vero virtuosismo. La lavorazione ornamentale del ferro delle spade, con l'incisione diretta, lacesellatura, lafucinatura a stampo e altri procedimenti, hanno rivelato, soprattutto dopo i recenti progressi moderni nelle tecniche di restauro archeologico, che non si trattava di opere isolate di singoli artisti di quel periodo, ma costituivano uno standard abituale sia in termini di qualità artistica sia tecnica esecutiva[74].
L'insediamento abitativo tipico dei Celti è quello comunemente indicato dagli archeologi come "fortezza di collina": si tratta di città, in genere di modeste dimensioni, costruite sulla sommità di un'altura che ne rende facile la difesa. Tale schema, tipicamenteindoeuropeo, è riscontrabile in quasi tutte le aree occupate storicamente da popolazioni di tale filiazione[75]. Due erano i nomi utilizzati dai Celti per indicare le loro cittadelle. NellaPenisola iberica iCeltiberi (ma anche altri popoli, non indoeuropei, da essi influenzati) le chiamavanobriga[76]; nelleGallie, prevale il termineδοῦνον (dalle prime iscrizioni galliche, inalfabeto greco), reso inlatino condūnum[77].
La tecnica costruttiva impiegata dai Celti nelle fortificazioni delle loro cittadelle era quella definita dai Romanimurus gallicus.Cesare, nelDe bello Gallico, lo descrive come una struttura composta da un'intelaiatura lignea e riempimenti di sassi[78].
Rari sono i manufatti celtici di età antica sopravvissuti fino ai nostri giorni. Più frequenti, invece, le opere scultoree realizzate dai popoli celtici delleIsole britanniche in etàmedievale, come leCroci celtiche.
L'oreficeria è la branca artistica degli antichi Celti della quale sono sopravvissute le maggiori testimonianze. Tipici dell'artigianato celtico,gallico in particolare, sono itorque, collane o bracciali propiziatori realizzati inoro,argento obronzo. Altri manufatti artistici celtici conservati sono gioielli, coppe e paioli.
Gli oggetti metallici, al termine della lavorazione, venivano abbelliti mediante applicazioni di materiale colorato. Su numerosi manufatti si hanno infatti, a partire dalIV secolo a.C., testimonianze di fusioni dismalti, ottenuti con una particolare pasta divetro. Questo smalto di colore rosso era inizialmente fissato tramite una fine reticella di ferro, unitamente alcorallo mediterraneo, direttamente sugli oggetti, quasi rappresentassero una forma magica di sangue, "pietrificato del mare" e uscito dal fuoco. A partire dalIII secolo a.C., con l'evoluzione della tecnica di fusione, furono sviluppati nuovi oggetti, quali braccialetti di vetro policromo, e sviluppate nuove tecniche come l'applicazione diretta e fusione dello smalto su spade e parure, senza l'utilizzo di strutture di supporto. Nuovi colori, come il giallo e il blu, furono introdotti a partire dalII-I secolo a.C. anche se il rosso rimase il colore predominante[79].
I Celti avevano notevole gusto per i colori accesi anche sui tessuti che usavano per confezionare i loro abiti, come ancora oggi testimoniano i modernitartan scozzesi.Diodoro Siculo racconta che «i Celti indossavano abiti sorprendenti, tuniche tinte in cui fioriscono tutti i colori, e pantaloni che chiamano "brache". Sopra portano dei corti mantelli a righe multicolori, stretti da fibule, di stoffa pelosa d'inverno e liscia d'estate»[80].
Benché i Celti avessero sviluppato una propria produzione musicale, coltivata soprattutto daibardi, nessuna testimonianza concreta è sopravvissuta fino ai nostri giorni. L'attualemusica celtica è uno stile musicale moderno, sviluppato a partire dallamusica folclorica nei Paesi che ospitano lelingue celtiche contemporanee.
Assimilati principalmente da popoli dilingua latina ogermanica, i Celti si dissolsero come popolo autonomo nei primi secoli dopo Cristo. La loro eredità - linguistica e culturale - entrò in piccola parte nelle nuove sintesi che si crearono nei territori da loro un tempo occupati. Un influsso più ampio si registrò soltanto nelleIsole britanniche, dove insieme alla lingua furono conservate anche alcune tradizioni popolari. Tuttavia, a partire dalMedioevo non è più possibile parlare di "Celti", quanto piuttosto di popoli, lingue e tradizioni moderne eredi di quelle celtiche, siano esse irlandesi, gallesi, bretoni o scozzesi. Oggi il termine "celtico" è comunque anche impiegato per descrivere lingue e culture di matrice celtica presenti inIrlanda,Scozia,Galles,Cornovaglia,Isola di Man eBretagna.
Esiste anche una forma di ripresa dell'eredità (vera o presunta) dei Celti, che a volte assume anche connotazioni religiose (celtismo odruidismo),nazionalistiche (pan-celticismo) o semplicemente culturali (come la già citata musica celtica); tuttavia, il nesso storico con i Celti dell'antichità è spesso flebile, quando non del tutto pretestuoso[81].
Un gruppo di moderni druidi britannici a una cerimonia per la celebrazione delsolstizio, aStonehenge. Il complesso megalitico di Stonehenge non è tuttavia opera degli antichi Celti, ma di popoli pre-indoeuropei, che lo eressero almeno mille anni prima dell'insediamento deiBritanni, datatoVIII secolo a.C.
Una rappresentazione vivida ed efficace dei Celti, anche se storicamente non attendibile, è quella realizzata daRené Goscinny eAlbert Uderzo nelle loro avventure afumetti dedicate adAsterix il gallico. A partire dalla prima avventura (1959), i due autori hanno sviluppato una lunga serie di creazioni, affiancando ai fumetti, fin dal1967, numerose trasposizioni cinematografiche (animazioni) delle vicende dei personaggi. I protagonisti sono tuttiGalli, ma in diverse storie compaiono (sempre rappresentati umoristicamente e traendo spunto più dai moderni popoli europei che da quelli dell'antichità) anche altri popoli celtici, daiCeltiberi agliElvezi, daiBelgi aiBritanni.
A partire dal1999 ha avuto inizio una nuova serie di trasposizioni cinematografiche delle avventure diAsterix, questa volta non più animata ma con attori in carne e ossa.
^Inlingua italiana, al plurale "Celti" (sostantivo) corrispondono due possibili forme di singolare: "celta" e la meno diffusa "celto", definite rispettivamente daTullio De Mauro come "tecnico-specialistica" e "di basso uso". L'aggettivo corrispondente, assai più frequente, è "celtico". Cfr. Tullio De Mauro,Il dizionario della lingua italiana, Paravia, lemmi "celta", "celto" e "celtico".
^Villar 1997, p. 518. Il suffisso "-briga", derivato dalla diffusaradice indoeuropea*bhrgh, indica inceltiberico lo stesso tipo di insediamento identificato ingallico condunon/-dunum/-dun: una cittadella fortificata in un luogo elevato (fortezza di collina, nota inlatino comeoppidum).
^Polibio,Storie, II, 18, 2; Tito Livio,Ab Urbe condita libri,V, 35-55; Diodoro Siculo,Bibliotheca historica, XIV, 113-117; Plutarco,Vite Parallele,Vita di Furio Camillo, 15, 32.
^Marta Sordi,Sulla cronologia liviana del IV secolo, inScritti di storia romana, pp. 107-116.
^Anche se l'Irlanda aveva subito un'influenza soltanto indiretta dell'elemento latino, questa era stata tuttavia decisiva specie in campo culturale, attraverso il processo dicristianizzazione.
^Presso gli abitanti dellaBretagna francese la sopravvivenza di unalingua celtica è dovuta a insediamenti secondari di elementi provenienti proprio dalla Gran Bretagna (V-VII secolo), e non da una sopravvivenza dei Galli autoctoni.
^La divisione tralingue celtiche continentali elingue celtiche insulari, a dispetto del nome, non è geografica, bensì cronologica: le prime sono quelle attestate in età antica non esistendo infatti testimonianze anteriori alIV secolo d.C. delle lingue celtiche parlate nelle Isole britanniche; le seconde sono quelle attestate a partire dall'alto Medioevo e presenti proprio ed esclusivamente sulle Isole britanniche (Villar 1997, p. 450). A riprova vi è il fatto che molte delle prime iscrizioni inalfabeto ogamico rinvenute inIrlanda offrono tratti linguistici affini a quelli delle lingue celtiche continentali, come per esempio l'assenza dellalenizione (Villar 1997, p. 458).
^Cfr. ad esempio, per questi ultimi, Cesare,De bello Gallico,IV, 20.
^Villar 1997, p. 163. Anche gli studiosi più propensi ad accogliere lo schema di Dumézil, comeEnrico Campanile, tendono a limitare la tripartizione alla sfera sociale e materiale, mostrando invece scetticismo su una sua possibile estensione all'ambito ideologico; cfr. Enrico Campanile,Antichità indoeuropee, inRamat e Ramat 1993, p. 24.
«Alti di statura, con i muscoli guizzanti sotto la pelle chiara; i loro capelli sono biondi e non solo di natura, perché se li schiariscono anche artificialmente lavandoli con acqua di gesso e pettinandoli poi all'indietro sulla fronte e verso l'alto. Taluni si radono la barba, altri ostentano sulle guance rasate dei grandi baffi che coprono l'intera bocca e fungono da setaccio durante in pasto, per cui vi restano imprigionati pezzi di cibo e quando bevono, la bevanda passa attraverso una specie di filtro. Quando prendono il pasto, sono tutti seduti non su sedie, ma sulla terra, usando per cuscini le pelli di volpe e di cane»
«[Claudius] druidarum religionem apud Gallos dirae immanitatis et tantum civibus sub Augusto interdictam penitus abolevit»
(italiano) «[Claudio] abolì completamente in Gallia la religione dei druidi, che era estremamente crudele e che Augusto aveva proibito soltanto ai cittadini»
^Il termine deriva dalla parola indoeuropea*kerəwos ("cervo"), utilizzato per designare la bevanda a causa del suo colore, simile a quello dell'animale.Cervesia si è trasmesso allospagnolocerveza, alcatalanocervesa e anche all'italiano anticocervogia.Villar 1997, pp. 169-170.
^«È importante dirlo. Il druidismo è morto, definitivamente morto in quanto istituzione, in quanto religione» (Markale 1991, p. 260). EGianfranco de Turris aggiunge: «Inutili sono gli sforzi delle organizzazioni neo-druidiche, specie in Francia e in Gran Bretagna, tese a farlo rivivere sul piano pratico» (Markale 1991, Introduzione).
Olivier Buchsenschutz,I Celti. Dal mito alla storia, Torino, Lindau, 2008,ISBN978-88-7180-737-9.
Pierluigi Cuzzolin,Le lingue celtiche, inEmanuele Banfi (a cura di),La formazione dell'Europa linguistica. Le lingue d'Europa tra la fine del I e del II millennio, Scandicci, La Nuova Italia, 1993,ISBN88-221-1261-X.
Miranda J. Green,Dizionario di mitologia celtica, Milano, Bompiani, 2003,ISBN88-452-9268-1.