Bernari nacque aNapoli nel 1909 da una famiglia di piccoli imprenditori d'originefrancese. Ragazzo dal carattere difficile, non amante delle regole fu espulso da tutte le scuole e proseguì la sua formazione culturale da autodidatta. Lavorò da sarto iniziando contemporaneamente la sua attività di romanziere egiornalista firmando articoli sotto vari pseudonimi e guadagnandosi da vivere vendendolibri antichi. Fondò a Napoli, dove era in contatto conFrancesco Flora, insieme aGuglielmo Peirce e Paolo Ricci il movimento culturale d'opposizioneUdaismo (Unione Distruttivisti Attivisti).[1]
Carlo Bernari
Nel 1930 lo troviamo aParigi, attirato dal gran movimento di cultura e arte che agitava all'epoca la capitale francese, con le tanteavanguardie e in particolare con ilsurrealismo diAndré Breton. Ritornato in Italia, sentì l'esigenza di dar voce alle problematiche che provenivano dal mondo operaio e nel 1934 scrisse ilromanzo di ampio respiro dal titoloTre operai dove riuscì, con magistrale perizia, a non cedere alle lusinghe delpopulismo.[1] L'opera descriveva una classe operaia impossibilitata a condurre una vita dignitosa e in rapporto sempre critico con il potere dominante. A causa degli argomenti in essa trattati,Tre operai assunse per la classe dirigente del tempo un certo sapore di eversione riuscendo ad allarmareMussolini, tanto da far calare sullo scrittore e sul libro il bavaglio dellacensura fascista.
Bernari fu anche collaboratore di riviste. Nel 1939 entrò nella redazione del settimanale «Tempo», firmandosi «Carlo Bernard». Dal n. 5 furedattore capo, succedendo aIndro Montanelli. Scrisse, come tanti altri intellettuali e scrittori, su «Primato», la rivista diGiuseppe Bottai che si pubblicò dal 1940 al 1943. Il suo primo scritto su questa rivista risale al 1º luglio del 1941.[2].
Dopo alcuni libri anticipatori della letteratura contemporanea (come "Quasi un secolo" del 1943 che, fin dal titolo, ma anche nella struttura narrativa, è il modello diCent'anni di solitudine diGabriel García Márquez) e chiusa la parentesi della lotta clandestina al regime, la produzione letteraria del Bernari riprende prolifica nel dopoguerra conSperanzella 1949, romanzoneorealista che vincerà nel 1950 ilPremio Viareggio.
Con i successivi romanzi, Bernari affronterà temi scottanti sempre in forte e visionario anticipo sui tempi: la questione meridionale viene vista in tutta la sua inestricabilità nel romanzo del 1964Era l'anno del sole quieto proprio mentre veniva inaugurata laCassa del Mezzogiorno. E mentre ilPCI diBerlinguer trionfava alle elezioni politiche, Bernari vedeva il tramonto dell'ideale marxista attraverso la storia di un intellettuale comunista che, inTanto la rivoluzione non scoppierà (1974), si trasforma in una sorta di clown per movimentare le cene dei "comendatur" milanesi. La stagione del terrorismo è alle porte e conIl giorno degli assassinii (1980), romanzo che scatena un putiferio perché partendo dal caso delMostro di Napoli, un triplice omicidio negli ambienti della Napoli-bene della metà degli anni settanta, contribuisce alla assoluzione del presunto colpevole Domenico Zarrelli. In questa opera Bernari anticipa la connessione terrorismo-Camorra (l'asseBR-Raffaele Cutolo) che rappresentò il completo tradimento e la dissoluzione degli ideali rivoluzionari.
Il Consiglio Comunale diGaeta (città che amava e dove si ritirava a scrivere) gli conferì la cittadinanza onoraria il 13 ottobre 1979. Lo scrittore volle essere sepolto in questa città.[8]
^Si tratta di un lavoro pubblicato in quattro puntate: dal n. 13 al n. 16 (luglio-agosto 1941). Nel 1942, invece, sul n. 17 del 1º settembre uscì “Il rumore”. L'anno successivo sul n. 1 (1º gennaio 1943) uscì “la morte del milionario”, mente sul n. 4 (15 febbraio) pubblicò “Il treno del milionario”.