Figlio di Silleo (o Illeo) e di Rode, compì i suoi studi ad Alessandria, dove fu discepolo diCallimaco e compagno di studi diEratostene, divenendo, all'età di circa 30 anni, bibliotecario dellaBiblioteca di Alessandria dal reTolomeo II Filadelfo, succedendo aZenodoto[2]; contemporaneamente ebbe l'incarico dell'educazione del figlio di Tolomeo II Filadelfo, il futuroTolomeo III Evergéte.
Secondo il lessico bizantinoSuda dovette andare in esilio aRodi per la scarsa considerazione che i suoi concittadini diedero alla sua opera principale, dove sarebbe vissuto fino alla sua morte, intorno al 215; per via di questa vicenda fu soprannominato "Rodio". A questo suo trasferimento, secondo la tradizione, non sarebbe estranea la sopraggiunta inimicizia conCallimaco, che affermava che l'unico requisito della poesia era l'essenzialità lirica e per questo condannava tutta l'epica antica per la sua incapacità di mantenere una continuità di tono e di ispirazione. Queste, e altre affermazioni non meno rivoluzionarie, fra cui ricordiamo la celebre «Μέγα βιβλίον, μέγα κακόν» (grande libro, grande male), avrebbero visto contrapposto Apollonio, spalleggiato daAsclepiade ePosidippo, ed eruditi comePrassifane di Mitilene.
Occorre però ricordare che, come sostiene una buona parte di critica, non è possibile che nell'Alessandria di quel tempo fra Callimaco ed Apollonio non ci sia stato alcun rapporto, ma è eccessivo intendere questi rapporti come quelli maestro-allievo, e si fonda su basi incerte e spesso erronee il mito della rivalità con l'altro poeta. Infatti la maggioranza delle allusività reciproche sono state trovate nelle loro opere a torto; non la prova la supposizione della Suda, secondo cui l'Ibis (un poemetto calunnioso di Callimaco) avesse per bersaglio Apollonio; non la prova la dubbia paternità dell'epigramma "Contro Callimaco" dell'Antologia Palatina; infine, circa il Prologo degliAitia, gli scoli fiorentini sostengono che non colpiva Apollonio.
Fu autore del poema epico "Le Argonautiche", in quattro libri, che narra il viaggio diGiasone e della sua nave "Argo". Durante il soggiorno a Rodi, è possibile che Apollonio abbia scritto una seconda edizione de "Le Argonautiche", in quanto le fonti antiche parlano di unaproèkdosis (edizione preliminare) ed unaèkdosis (edizione).
Apollonio Rodio scrisse poemetti eruditi che non ci sono giunti, specie sul tema dellaktìseis (fondazione) di città, come Alessandria[3], Cauno[4], Naucrati[5], Rodi, Lesbo[6], Canòpo, che secondo il mito fu intitolata al timoniere diMenelao, arrivato in Egitto dopo la guerra di Troia.
Gli erano attribuiti anche degli epigrammi, non giunti, tranne uno, dubbio, controCallimaco[7]ː
«Callimaco, sozzura, bagattella, testa vuotaː
Callimaco è il colpevole (aitios) che scrisse gliAitiaǃ»
(trad. A. D'Andria)
Testimonianza del suo lavoro critico su Omero è una proposta dellalezione κεφαλάςkephalàs (teste) al verso 3 del primo libro dell'Iliade; inoltre accettò la variante diZenodoto δαῖταdàita del verso 5, mentre la lezione più comune, quella adottata successivamente daAristarco di Samotracia, recita "mandò in pasto ai cani forti anime d'eroi e a tutti gli uccelli". Come osservano ironicamentePfeiffer edAbbamonte, un'anima è un "pasto leggero" per gli animali ed inoltre l'espressione "forti anime" non ha troppo senso e non è mai attestata altrove; Apollonio Rodio si rese conto della difficoltà del testo e propose invece κεφαλάς (teste) così che il pasto diventasse più "lauto"; inoltre l'espressione "forti teste" è ben attestata in Omero ed Esiodo e sempre col significato metaforico di "forti corpi" assolutamente adatto al contesto. Sappiamo che adottò la lezione zenodotea dàita (pasto) così che il testo risultasse "cibo per i cani e pasto per gli uccelli": lo deduciamo da due passi, distanti poche decine di versi, del secondo libro delle Argonautiche in cui usa il termine dàita. Così facendo rimarca il termine e ne indica, collocandolo in un poema di imitazione diOmero, implicitamente l'autenticità omerica.
Si occupò, inoltre, delloScudo esiodeo, di cui sostenne, in opposizione al suo maestroZenodoto, l'autenticitàː oltre ad una citazione diretta dell'argumentum del poemetto[8], ne abbiamo ulteriore prova grazie ad un passo delleArgonautiche con la descrizione dello scudo di Giasone, chiaramente modellata sull'argomento del poemetto.