Aliminusa si trova a 450ms.l.m., nella valle delTorto, sul versante nord delmonte Roccelito o Soprana (1.145 m), sulla sinistra idrografica nel versante opposto si erge ilmonte San Calogero, già Euracus (1.326 m)[5][6].
Dal punto di vistaidrografico tutta l'area comunale ha una bassapermeabilità ed è dominata da molti impluvi a caratteretorrentizio e a regime prettamentepluviale; tutte le linee di regimazione superficiale defluiscono naturalmente e per gravità nel fosso Tre Valloni e nel Vallone di Trabiata, che a sua volta confluisce nelTorto.
Il riferimento altoponimo è documentato neltestamento diMatteo Sclafani del 1333 in cui dice di aver comprato ilfeudo e ilcasale di Rachalminusa dal figlio di Gualtiero Fisaula, Giovanni.
Terrae Harminusae
DelXV secolo è una carta, ora conservata nell'archivio degliUffizi Fiorentini con il titolo diTerrae harminusae
Larminusa
A causa delle difficili condizioni finanziarieSigismondo de Luna aliena con la condizione di riacquisto il feudo di Larminusa in territorio di Sclafani al fratelloPietro de Luna.[8]
Aloisia de Luna prende possesso, tramite il proprio procuratore Francesco de Ansaldo, diScillato e del feudo di Regaleali e quella di altri feudi qualilo vosco di Cuchiara, lo vosco di Granza, lo vosco di Cardulino, lo vosco di Santa Maria, lo vosco di Larminusa de membris et pertinentia terre, di Caltavuturo e Sclafani[9]
Alminusa
Mario Cutelli nel suo testamento redatto il 28 agosto1654 innanzi al notaio Giovanni Antonio Chiarella di Palermo, così disponeva:
«Lascio un legato di onze dieci l'anno per maritaggio di una figlia delli mei vassalli di detta terra d' Alminusa, cioè essendoci femina nubile per consequtione di detto legato, preferendo li schetti et poi li vidui, con che habbiano habitato di continuo anni sei in detta terra et stiano attualmente, incominciando dal vassallo più antiquo et andando cossì di anno in anno, et non ci essendo in alcuno anno soggetto nessuno per casarsi con detti requisiti si habbia di spendere nella fabrica et adorno della chiesa di Santa Anna, alla quale li legho onze dieci semel tantum per farsi un baldacchino et altri addrizzi a voluntà di mia moglie.[10]»
Arminusa
questo termine viene riportato nell'Ottocento in molti scritti.[11]
Aliminusa
il termine arminusa viene poi italianizzato in Aliminusa, facendo nascere molte speculazioni sul significato del nome soprattutto per l'iniziale Alì.
Cozzo de Luna, è un colle a nord di Aliminusa,[12] che prende il nome dallafamiglia de Luna i cui componenti furono Conti di Sclafani e signori di Larminusa.
Cubba, ("cupola")[13] il nome indica la cupola spesso di pozzi e sorgenti nelle campagne siciliane. Un antico pozzo con cupola dà il nome alla contrada in cui sorge.
Ramusa, è una contrada che richiama all'antico nome rahalminusa.
Passu Gulisanu, è una contrada che indica l'antico passo per la Contea diGolisano, fino al 1430 l'attuale territorio comunale dicerda faceva parte della contea diGolisano.
Cardulinu,[14] è un bosco il cui nome oggi viene erroneamente italianizzato in cardellino, ma in siciliano cardellino si dice cardiddu, il suo significato è da ricercare probabilmente nel nome dialettale del fungoPleurotus eryngii var. Ferulae, volgarmente conosciuto come fungo di ferla o di panicaut.
Soprana, Granza soprana anticamente indicava la parte superiore del feudo di Granza.
Trabiata[17], L'etimologia del termine ci conduce alla parola araba,tarbî ah, che significa quadrata, quadrangolare. Un'interessante indicazione, è stata fornita dalle fotografie aeree, su cui è visibile un'ampia traccia quadrata, che indica ilbaglio "casa Trabiata".
Torto[17], il toponimo arabo del corso d'acqua,Wâdî ‘abî Ruqqâd ,trasmessoci daIdrisi (metà XII secolo), significa “fiume dormiglione”, il nome, deriva dallo scorrere dell'acqua, che incide sornione il greto. L'attuale toponimo, Torto, già inFazello (XVI secolo), deriva dalla conformazione tortuosa dell'alveo che muta corso e genera anse fossili.
Costa Addaniu è una contrada a est di Aliminusa, fra i confini di Cerda e Sclafani, il nome deriva dal fatto che questo territorio era endemicamente popolato daldaino (addaniu è un termine siciliano che indica il daino[18]
Vuscigghiaru. Il toponimo deriva davuscigghiu[19] termine siciliano che indica laroverella.
Il primo riferimento altoponimo è documentato neltestamento diMatteo Sclafani del 1333 in cui questi dice di aver comprato ilfeudo e ilcasale di Rachalminusa (il prefissorachal inarabo significa casale o villaggio) dal figlio di Gualtiero Fisaula, Giovanni, che vendette per 550onze, con atto in Giovanni di Siracusia[20].
Il feudo è in possesso diMatteo Sclafani, conte diAdernò, il costruttore dipalazzo Sclafani aPalermo, che detiene uno dei domini economicamente e strategicamente più importanti di tutta laSicilia. Ma Matteo Sclafani morì senza lasciareeredi maschi. Le figlie Luisa e Margherita erano andate in sposa rispettivamente aGuglielmo Peralta e a Guglielmo RaimondoMoncada, che si contesero a lungo l'eredità. La contea di Sclafani, comprendente il feudo e il casale di Rachalminusa, passò quindi alla figlia Aloisia, sposa diGuglielmo Peralta.
Per un breve periodo la perdono in favore dei Moncada, per volere diRe Martino.Successivamente, iPeralta, ritornati fedeli al re Martino, rientrano nella signoria di Sclafani.
Addirittura, nel1396Nicolò Peralta ottiene dalla Corona di poter esercitare su tutta la contea di Sclafani ilmero e misto imperio (alta e bassa giustizia)[21].Si tratta della competenza, molto ambita e spesso comprata, di poter esercitare il potere giudicante non solo nelle cause civili, ma anche in quelle penali.
DelXV secolo è una carta, ora conservata nell'archivio degliUffizi Fiorentini con il titolo diTerrae harminusae, in cui si parla del feudo, con il toponimo di Rachalminusa storpiato inharminusae, (termine tuttora usato dai locali).
Dopo la morte di Nicolò, la tutrice delle figlie nonché sua vedova Elisabetta Chiaramonte permuta, per volere della corte reale, la contea di Sclafani con il centro diGiuliana. Sclafani, per questa via, perviene aSancho Ruiz de Lihori de Lihori, che ne prende possesso il 16 giugno1400.Per parecchio tempo, Sancho Ruiz de Lihori, che è figlio del governatore diAragona, visconte diGagliano, signore diCapizzi,Motta,Mistretta,Reitano e conte di Sclafani, ricopre le più alte cariche delregno di Sicilia.[22][23][24].
Ma il dominio di Sancho Ruiz fu breve: già nei primi anni del Quattrocento il De Lihori cedette la suaContea, per atto dipermuta con quella diSciortino, a Don Giacomo de Prades.
A sua volta Giacomo de Prades, con atto del 16 aprile1406 approvato dal Re Martino con diploma dell'11 agosto1408, la vendette al prezzo di 1400 onze d'oro all'ambizioso barone diCaltavuturo Enrico Rubbes, cognome poi trasformato inRusso.EnricoRusso sposò Beatrice Arezzo, figlia del protonotaro del regno, ma la coppia non ebbe figli, ed Enrico ebbe soltanto un figlio adulterino che, secondo le prescrizioni legislative, non poté subentrargli né nel titolo né nei beni, nel suo testamento, redatto il 5 agosto 1421 presso il notaio palermitano Manfredi Muta, dispose che alla sua morte, la Contea di Sclafani sarebbe dovuta pervenire al nipoteex sorore Antonio (figlio della sorella Beatrice Russo, sposa di Tommaso Spatafora conte di Capizzi), e che questi avrebbe dovuto assumere il cognome e le armi gentilizie della famiglia materna.
Nel 1442 alla morte di Enrico Russo la Contea di Sclafani passò ad Antonio Spatafora Russo.
Nel1457 la Baronia di Caltavuturo e la Contea di Sclafani passò al figlio TommasoRusso, che ottenne ilmero e misto imperio dalla corona[25].
Probabilmente Tommaso morì poco dopo, poiché notiamo che suo padre Antonio, nel proprio testamento, redatto in data 20 ottobre1459 dal notaio polizzano Francesco Notarbartolo, designò erede nella contea di Sclafani e nella baronia di Caltavuturo la nipote Beatrice, figlia di Tommaso e di Giovannella Branciforte, di minore età, assegnandole cometutori la moglie Pina ed il magnifico Giovanni Branciforte, signore di Mazzarino.[26]
A causa delle difficili condizioni finanziarieSigismondo de Luna aliena con la condizione di riacquisto il feudo di Larminusa in territorio di Sclafani al fratelloPietro de Luna.[8]
Pietro de Luna il 26 settembre 1481, nella persona del suo procuratore Michele La Farina, presenta il memoriale per l'investitura del nipoteGian Vincenzo.[27]
Nel Cinquecento, Il reGiovanni II, esiliò iLuna dal regno e confiscò tutti i loro beni per evitare altri scontri con iPerollo avuti nelle vicende del primoCaso di Sciacca.
Il 4 febbraio1519 della Contea di Sclafani si investeGian Vincenzo de Luna, figlio di Sigismondo e di Beatrice Spatafora Contessa di Sclafani.È in questo periodo che il casale, probabilmente sito sulcozzo de luna[12] e la cubba[13], (dall'arabo qubba, "cupola"), venne distrutto nella contesa con iPerollo, durante le vicende del secondoCaso di sciacca.
Gian Vincenzo de Luna vendette il feudo di Larminusa, con patto di riscatto a Giovan Bartolo La Farina signore di San Basile, e questi si investì del feudo l'8 ottobre 1532.
Pietro de Luna, (figlio di Sigismondo e Luisa Salviati e nipote diLucrezia de' Medici), si investe del feudo di Larminusa il 07 giugno 1550, avendolo ricomprato da Giovan Bartolo, e si investe della Contea di Sclafani il 6 febbraio1549 e per la successione diFilippo II aCarlo V, se ne reinveste il 12 settembre1557.Pietro de Luna ebbe due mogli: la prima era Isabel, figlia del ViceréJuan de Vega, dalla quale ebbe Bianca, Eleonora e Aloisia. La seconda era Ángela de La Cerda, figlia del ViceréJuan de la Cerda, da questa ebbe un solo figlio,Giovanni de Luna, che venne nominato suo erede universale.
Aloisia de Luna prende possesso, tramite il proprio procuratore Francesco de Ansaldo, diScillato e del feudo di Regaleali e quella di altri feudi qualilo vosco di Cuchiara, lo vosco di Granza, lo vosco di Cardulino, lo vosco di Santa Maria, lo vosco di Larminusa de membris et pertinentia terre di Caltavuturo e Sclafani[9] prestando giuramento di fedeltà il 30 settembre1592.
In Sicilia nel 1610 il governo concesse ai baroni la facoltà di fondare nuovi centri abitati non già nelle terredemaniali, bensì nei feudi in loro possesso.NeiParlamenti ordinari del 12 luglio 1618 e del 21 luglio 1621, va segnalata la scelta di favorire l'attività di colonizzazione interna mediante la concessione dilicentiae populandi a quei vecchi e recentisignori che intendevano edificare nei loro feudi rurali nuovi centri abitati per la messa a coltura granaria di terreni incolti o a pascolo per favorire il riequilibrio tra produzione ed esportazione cerealicola.[28]
La programmazione urbanistica del territorio agricolo siciliano trasse origine dall'esplosione demografica, in Sicilia da 550.000 anime del censimento del 1505 si era passati 1.020.792 del censimento del 1583.Per continuare ad essere il granaio di sempre, non potendo o volendo introdurre nuovi sistemi produttivi come l'irrigazione o la trasformazioni delle rotazioni agrarie tradizionali, bisognava mettere a coltura quanta più terra incolta possibile, per raddoppiare la produzione di grano.
Il barone che ne chiedeva l'autorizzazione otteneva il privilegio di esercitare la signoria feudale sul nuovo centro fondato e di governare la popolazione vassalla con il "potere delmero e misto imperio (alta e bassa giustizia)". In più gli veniva concesso il "privilegio di entrare nelparlamento" con relativa acquisizione di un seggio nel Braccio baronale, anche se già ne faceva parte.Alla licenza di fondare nuovi comuni faceva seguito una qualifica più elevata della gerarchia nobiliare.
Nel1620 l'intera Contea, data la prematura scomparsa del figlio diAloisia de Luna, FrancescoMoncada, passò al nipote Antonio Moncada.
Nel1625, il feudo di Larminusa venne acquistato da Don Gregorio Bruno, regiosecreto diTermini.Don Gregorio Bruno, il 30 giugno1634, dietro il pagamento di 200 once alla tesoreria Regia generale di Sicilia, ottenne lalicentia populandi per edificare e popolare un nuovo centro abitato che chiamò "Sant'Anna" in un territorio segnato da una buona rete trazzerale da masserie abbeveratoi e mulini, e l'anno successivo il borgo contava 343 abitanti.[29].[30]
In questo periodo fu costruito in una nuova zona, nascosto dai colli circostanti, unBaglio (dall'arabo: "edificio con cortile") per meglio difendersi da eventuali incursioni.
In data 23 aprile1652, per atto del notaro Pietro Cardona di Palermo, il figlio di Gregorio Bruno, Giuseppe, vendette sia il feudo di Alminusa che il borgo già creato che il baglio feudale al giureconsultoMario Cutelli, Conte di Villa Rosata.
Mario Cutelli nel suo testamento redatto il 28 agosto1654 innanzi al notaio Giovanni Antonio Chiarella di Palermo, riferendosi ad Aliminusa così disponeva:
«Lascio un legato di onze dieci l'anno per maritaggio di una figlia delli mei vassalli di detta terra d' Alminusa, cioè essendoci femina nubile per consequtione di detto legato, preferendo li schetti et poi li vidui, con che habbiano habitato di continuo anni sei in detta terra et stiano attualmente, incominciando dal vassallo più antiquo et andando cossì di anno in anno, et non ci essendo in alcuno anno soggetto nessuno per casarsi con detti requisiti si habbia di spendere nella fabrica et adorno della chiesa di Santa Anna, alla quale li legho onze dieci semel tantum per farsi un baldacchino et altri addrizzi a voluntà di mia moglie.[10]»
Cutelli disponeva anche che ove ed in qualunque tempo fosse mancata la linea maschile alla sua discendenza, una parte del suo patrimonio dovesse passare alla fondazione di un "collegio d'huomini nobili" in Catania.
Giuseppe Cutelli e Cicala, barone diValle d'ulmo, nacque a Catania il 23 ottobre1625, e ottenne nel1650 lalicentia populandi perValle dell'Ulmo. Sposò la Duchessa Anna Summaniata, e in seconde nozze Donna Maria Abatellis. Morì a Palermo il 24 novembre 1673 e venne tumulato nella chiesa di San Francesco di Paola fuori Porta Carini, a Palermo.
Antonino Mario Cutelli e Abbatellis nacque il 10 aprile1661, prese l'investitura dellaBaronia di Castelnormanno, di Aliminusa, di Cifiliana e di Villarosata nell'ottobre del1674.[31] e sposò una nobildonna di casa Marchese. Rigido nell'esercizio della giurisdizione feudale e nella riscossione dei tributi, aveva fama di barone dispotico nei vassallaggi feudali di quei contorni[32]. Il 15 febbraio del1692 fu costretto a fare donazione della baronia alla propria madre, Maria Abatellis contessa di Villarosata.[33]. In seguito conobbe la nobile Maria Ventimiglia dei conti di Prades, della quale si invaghì e con la quale convisse ed ebbe un figlio: Giuseppe Giovanni Cutelli.
Antonino Mario Cutelli morì assassinato, a Valledolmo, da un suo vassallo di nome Pietro Corvo, il 5 agosto1711 durante il tentativo di abuso di unjus primae noctis.Alla morte di Maria Abatellis, le succede, la figlia Cristina Cutelli e Abbatellis sorella di Antonino: con atto del 20 luglio 1712, veniva escluso dall'eredità il figlio naturale dell'Antonino, l'avvocato Giovanni, ma la lotta tra i due si accese a suon di scontri violenti culminati in tribunale. Alla fine ebbe partita vinta il figlio naturale Giovanni che «in virtù della sentenza del Tribunale della Gran Corte di Palermo, in data 2 agosto1726, confermata il 3 luglio 1734 dal Tribunale del Concistoro, s'investì dei feudi di Cifiliana e Mezzamandranuova».[34].
Nel1747 con la morte dell'ultimo Cutelli, Giovanni, ricordato come uomo colto, di senno e generoso, la dinastia si estinse. Il ramo femminile pose molte difficoltà alla cessione dei beni di famiglia, ma alla fine risolse il problema ilVescovo Mons. Galletti, in quanto fido commissario della volontà del Cutelli, che il 24 gennaio1750 diede in enfiteusi il Feudo di Aliminusa al principeIgnazio VincenzoPaternò, Principe diBiscari, e reperì così le risorse da destinare alla costruzione delCollegio Cutelli di Catania.
Il 5 novembre1766 Ignazio Paternò cedette Aliminusa, a Gerolamo Recupero e Bonaccorsi,naturalista professore di storia naturale all'università di Catania, il 31 gennaio 1768 si investì del feudo il nipote ex figlio Alessandro Recupero e Zappalà,numismatico archeologo, barone di Alminusa.[35][36] e a seguito di un delitto, la baronia e terra di Aliminusa per volere dell'avo passarono al fratello Giuseppe Recupero e Zappalà.
Quindi, Giuseppe Recupero e Zappalà, dottore in leggi, ebbe il 15 settembre 1774 investitura di detta baronia, e cedette in data 9 agosto1796 il feudo ad Emmanuele Milone.[37][38]Il 06 gennaio 1813 gli successe il figlio Angelo Milone, nato da Rosalia Assenzio.
Il Viceré di SiciliaDomenico Caracciolo così scriveva su latifondisti e contadini: I «proprietari e gli affittatori de’ terreni mercantano sopra il loro travaglio e sopra il soccorso che loro danno né tempi in cui cessa il lavoro» «Sicché han già ridotto quello, che un guadagna in tutto l’anno, alla sola sussistenza».«nella Sicilia son molti ricchissimi proprietari, che in riguardo alla sua grandezza sono sproporzionati e mostruosi»[39]
Un'analisi quantitativa della ripartizione del suolo agricolo in Sicilia fu compiuta dall'ufficiale borbonicoCarlo Afan de Rivera.Egli scriveva che gli 8/10 dei terreni siciliani erano latifondi e che in più 1/10 della terra rimanente, per quanto ripartita in appezzamenti relativamente piccoli, era posseduta dai medesimi latifondisti.
«Ivi più che in qualunque altra contrada dell’Europa fan contrasto le immense fortune di una ristretta casta privilegiata, e la miseria estrema della numerosa classe del popolo, che nulla possedendo per lo più manca di mezzi per guadagnar la vita coi suoi sudori. Egli è conosciuto che del suolo della Sicilia i quattro quinti sono ripartiti in latifondi e feudi nobili, che appartengono ai baroni o alla chiesa: che del quinto rimanente la metà almeno è in potere dei medesimi gran proprietarj, e che appena l’altra metà ossia la decima parte del suolo e divisa in piccoli poderi. Quindi risulta che nove decimi della superficie del terreno sono destinati a sostenere il lusso di poche centinaja di famiglie […]: che una decima parte solamente forma la proprietà di poche migliaja di persone; e che la massa della nazione non possiede nulla.»[40]
nel primo,interzato in fascia:a) d'oro, a cinque gigli d'azzurro, 2, 2, 1;b) di rosso, allo scudo d'argento, caricato di cinque scudetti d'azzurro, uno, tre, uno, e accompagnato sui fianchi da quattro torri d'oro, 2 e 2, postein palo;c) d'oro, a tre gigli d'azzurro, 2, 1;nel secondo, interzato in fascia:a) partito: nel primo, d'argento, al leone di rosso, rivoltato;nel secondo,inquartato in decusse, nel I e nel IV, d'oro, a quattro pali di rosso, nel II e nel III, d'argento, all'aquila coronata di nero;b)fasciato di quattro pezzi, di rosso e d'argento, caricato dallo scudo d'azzurro, ai tre gigli d'oro, 2, 1;c) d'azzurro, ai sei gigli d'oro, 3 e 3, ordinatiin fascia;nel terzo, d'oro, a seipalle, postein orlatura, 1, 2, 2, 1, la prima, più grande, di azzurro, le altre di rosso.Ornamenti esteriori da Comune.»
«Drappo partito di azzurro e di bianco, riccamente ornato di ricami d'argento e caricato dello stemma sopra descritto con la iscrizione centrata in argento, recante la denominazione del Comune.
Le parti di metallo ed i cordoni saranno argentati.L'asta verticale sarà ricoperta di velluto dei colori del drappo con bullette argentate poste a spirale.Nella freccia sarà rappresentato lo stemma del Comune e sul gambo inciso il nome. Cravatta con nastri tricolorati dai colori nazionali frangiati d'argento.»
IlBaglio di Aliminusa, (dall'arabo Bahahedificio che contiene il cortile) è orientato verso nord-est, hapianta rettangolare con corte interna divisa dal palazzo signorile culminante in due torrette e terrazza. Le parti laterali servivano per l'abitazione della servitù, per i granai e le scuderie. Nella parte posteriore vi è un giardino con un pozzo diacqua potabile e la 'erranteria'[42] ossia un carcere per gli animali quadrupedi erranti, che pascolavano abusivamente; gli animali venivano liberati a seguito di un pagamento al feudatario.
Adiacente al baglio sorge la chiesa dedicata a Sant'Anna, originariamentecappella del baglio, aperta al culto nel1809.
La Festa diSan Calogero ad Aliminusa da secoli si svolge il 24 agosto, in origine come ringraziamento alla conclusione della raccolta delle messi, ed è sempre stata la più importante della comunità pur non essendo il santo patrono.
San Calogero era un religioso di origine calcedone che seguiva la regola diSan Basilio, fuggito in Sicilia, a causa delle persecuzioni degli imperatoriDiocleziano eMassimiano, qui riparò nei pressi dell'attuale territorio di Aliminusa sulmonte Euraco, che da lui successivamente prese il nome, dove condusse vita contemplativa e convertendo alCristianesimo predicando ilVangelo.
La devozione della comunità di Aliminusa per il Santo, che visse in questi luoghi intorno al cinquecento dopo Cristo ha resistito tramandandosi nei secoli sino ai giorni nostri restando la festività più sentita nonostante la recente confusione nelle tradizioni del paese.
L'impianto urbano si struttura su assi ortagonali, dei quali la principale è via Roma, articolata su due livelli.Le lunghe schiere di abitazioni, orientate in direzione NO-SE, perpendicolarmente alle curve di livello (per agevolare il deflusso delle acque), sono intersecate da tre assi trasversali, il primo asse è Corso generale Michele Grisanti[44], che segue il percorso della strada provinciale 7, il secondo via Roma e il terzo Corsogenerale Cascino; gli isolati si sviluppano secondo uno schema modulare basato sulla dimensione minima dell'abitazione contadina.Unica eccezione alla semplicità del disegno urbano è il seicentesco Baglio baronale[45].
Le aziende agricole nel2000 risultavano essere 84.Per quanto attiene alle principali colture, la superficie dedita alla coltivazione delfrumento ammonta a 133,66ettari, ad altri cereali 168.82, al foraggere 117,38, all'olivo 57,09, alla vite 6.58, varia coltivazioni ortive 2.39.
La superficie di suolo adibita a uso seminativo ammonta a 304.30 ettari, a coltivazioni legnose agrarie 63,67, a prati permanenti e pascoli 125,20 e a boschi 53.1.
Le aziende bovine erano 12, per 126 capi, quelle ovicaprine 9 per 495 capi[46].
Il territorio del comune di Aliminusa rientra nella zona di produzione della D.O.P. di olio di oliva extravergineVal di Mazara.
Parte del territorio del comune di Aliminusa rientra nella zona di produzione vinicola della Doc Contea di Sclafani.
LaDoc Contea di Sclafani è stata riconosciuta con DM 21.08.1996 pubblicato sullaGU n. 202 del 29.08.1996
Nel 1827, Giuseppe E. Ortolani, scriveva di Aliminusa: esportalino emanna[47].
^abArchivio di stato di Palermo, Protonotaro del Regno 91 c.249r (licenza 22 marzo 1479).
^abArchivio di Stato di Termini Imerese notaio Gaspare Errante, volume 1469, cc. 203 e seguenti, atto del 20 agosto 1592.
^abArchivio di Stato di Palermo, notaio Giovanni Antonio Chiarella senior, Stanza V num. II reg. 73, ff,12v - 54v, atto del 28 agosto 1654.
^Pippino da Montemaggiore: storia siciliana del secolo XVIII sotto il regno di Vittorio Amedeo II.Giornale di scienze, letteratura ed arti per la Sicilia. Della Sicilia nobile.
^ablo vosco di Cuchiara, lo vosco di Granza, lo vosco di Cardulino, lo vosco di Santa Maria, lo vosco di Larminusa de membris et pertinentia terre Archivio di Stato di Termini Imerese notaio Gaspare Errante, volume 1469, cc. 203 e seguenti, atto del 20 agosto 1592.
^abLoredana Imperio- Metodologia di ricerca attraverso la toponomastica templare, Ed. Penne & Papiri, Latina, 1992
^abAAVV, Archeologia nelle vallate del fiume Torto e San Leonardo a cura di S.Vassallo, 2007
^Nuovo dizionario siciliano-italiano, Vincenzo Mortillaro di Villarena, Tip. del "Giornale letterario", 1838-1844.
^Nomi volgari adopterati in Italia a designare le principali piante di bosco, Ministero di agricoltura, industria e commercio. Firenze, Tip. di G. Barbera, 1873.
^L. Ajosa Pepi Statella,Il testamento di AntonioRusso-Spatafora conte di Sclafani ecc. Presidente del regno di Sicilia, dattiloscritto in fotocopia presso il Comune di Sclafani Bagni.
^Archivio di stato di Palermo, Protonotaro del Regno, Processi d'investitura, busta 1484, processo 219.
^Domenico Ligresti, Sicilia aperta (secoli XVI-XVII). Mobilità di uomini e idee, Palermo, 2006
^P. Misuraca, Aliminusa in Città nuove di Sicilia, cit. pp. 129-134
^Infatti, va segnalata nella Sicilia dell'epoca la scelta di favorire l'attività di colonizzazione interna mediante la concessione dilicentiae populandi a quei vecchi e recenti signori che intendevano edificare nei loro feudi rurali nuovi centri abitati per la messa a coltura granaria di terreni incolti o a pascolo per favorire il riequilibrio tra produzione ed esportazione cerealicola. Se ne tratta nei Parlamenti ordinari del 12 luglio 1618 e del 21 luglio 1621. Cfr. Domenico Ligresti,Sicilia aperta (secoli XVI-XVII). Mobilità di uomini e idee, Palermo, 2006.
^Francesco San Martino de Spuches,Storia dei Feudi e dei Titoli nobiliari di Sicilia, vol. II, Boccone del Povero, Palermo, 1924.
^Archivio di Stato di Palermo, Processi Investiture, buste 1631 e 1939, fascicoli 6759-7167
^A tal proposito bisogna ricordare che motivo di vittoria legale fu “uno strettissimo fedecommesso agnatizio, (Disposizione testamentaria, già in uso nel diritto romano, per cui un erede è tenuto a trasmettere, in tutto o in parte, i beni ereditati ad un soggetto indicato dal testatore), ammettendo alla successione figli illegittimi a preferenza delle femine fatta inserire da Don Mario Cutelli nel suo testamento. Cfr.Nobiliario di Sicilia.
^Giornale di scienze, letteratura ed arti per la Sicilia, 1834
^Atto del 17 giugno 1796 in notaio Abbate e La mantia di Palermo-Archivio di Stato-Gancia-Inventario 131
^[D. Caracciolo, Riflessioni su l’economia e l’estrazione de’ frumenti della Sicilia, con introduzione di G. Dentici, Chiaravalle Centrale 1973, citazioni a p. 31, 31, 36 ]
^[Afan de Rivera, Pensieri sulla Sicilia al di là del Faro, Napoli 1820, p. 34]
^(Aliminusa + 17 febbraio 1956). Fu ungenerale di divisione che assunse la direzione generale del personale ufficiale delMinistero della difesa.Tratto da: Le strade di Palermo: storia, curiosità e personaggi di una città attraverso la guida alfabetica completa delle sue vie, di Antonio Muccioli, Newton & Compton, 1998