
Alessandro Blasetti (Roma,3 luglio1900 –Roma,1º febbraio1987) è stato unregista,sceneggiatore,montatore ecritico cinematograficoitaliano, fra i più celebri e significativi del suo tempo, tanto da poter essere definito «padre fondatore del moderno cinema italiano».[1]
Viene considerato, insieme aMario Camerini, il massimo regista italiano delcinema di propaganda fascista, del quale fu anche, in qualche caso, apologeta:Sole (1929), il suo film d'esordio, è un'epica esaltazione delle bonifiche del regime e piacque molto aBenito Mussolini;Vecchia guardia (1935) è un'apologia dellamarcia su Roma.
Nei cinque decenni della sua attività, si è misurato con successo nei generi più diversi, dall'epopea storica alla commedia sentimentale, inventandone letteralmente di nuovi come ilfantasy conLa corona di ferro (1941), il film a episodi conAltri tempi - Zibaldone n. 1 (1952), il reportage-sexy conEuropa di notte (1958), ed è stato tra i primi registi cinematografici a cimentarsi con il mezzo televisivo.
È stato un grande innovatore, ha sperimentato per primo in Italia il sonoro conResurrectio (1930)[2] e il colore conCaccia alla volpe nella campagna romana (1938),[3] ha forzato i limiti di quanto fosse lecito mostrare su grande schermo, proponendo le prime nudità del cinema italiano inLa corona di ferro (1941) eLa cena delle beffe (1942), ha lanciato nuovi autori comePietro Germi e la coppia divisticaSophia Loren-Marcello Mastroianni inPeccato che sia una canaglia (1954), e rilanciato come attore brillanteVittorio De Sica inAltri tempi (1951), dopo il suo successo neorealistico.


Figlio di Cesare, professore di oboe e corno inglese all'Accademia Nazionale di Santa Cecilia, e di Augusta Lulani, Alessandro Blasetti studia presso ipadri somaschi al collegio Rosi diSpello, frequenta il liceo al Collegio Militare di Roma e compie gli studi universitari in legge allaSapienza di Roma, assecondando la tradizione della famiglia materna. Sposatosi nel1923, lavora come impiegato presso la filiale romana della "Banca Popolare Triestina"[4] e nel 1924 si laurea, dedicandosi nel frattempo all'attività di giornalista e critico cinematografico.
A partire dal1923 scrive perL'Impero, su cui nel1925 inaugura la prima rubrica cinematografica apparsa su un quotidiano,[5] intitolataLo Schermo. Fonda poi conRenzo Cesana eJacopo CominIl mondo e lo schermo, «settimanale illustrato del cinematografo», il cui primo numero esce il 15 maggio 1926, diventato dal 23 agosto 1926Lo Schermo, di cui vengono pubblicati in tutto 22 numeri ed in seguito trasformato dal marzo 1927 incinematografo (con l'iniziale minuscola), pubblicato fino al maggio 1931, a cui affiancaLo Spettacolo d'Italia, pubblicato dall'ottobre 1927 al giugno 1928[6]. Attorno acinematografo, si raccolgono personalità interessate alla ripresa (che nella prosa del tempo veniva definita una"rinascita") del cinema italiano, qualiAnton Giulio Bragaglia eMassimo Bontempelli, e giovani appassionati di cinematografia, alcuni dei quali (Francesco Pasinetti,Umberto Barbaro,Ferdinando Maria Poggioli,Goffredo Alessandrini,Raffaello Matarazzo,Aldo Vergano,Gastone Medin) avranno ruoli importanti nel cinema italiano degli anni successivi; per questo gruppo il cinema viene considerato nei vari aspetti finanziari, industriali, tecnici, politici, artistici), e questo li spinge a «passare dalle parole ai fatti[7]».
Alla fine del 1928, fonda la cooperativaAugustus, con cui produce il suo film d'esordio,Sole, sul tema dellabonifica agraria, in linea con lapolitica ruralista delregime fascista,[8] che si rivela un insuccesso commerciale e segna il precoce fallimento di questa esperienza produttiva indipendente.[9]

Blasetti accetta quindi la chiamata da parte diStefano Pittaluga alla rifondataCines, benché in un recente passato avesse pesantemente criticato Pittaluga sulle pagine dicinematografo, tacciandolo di «incapacità industriale, artistica, politica e commerciale», dovendo ora riconoscere invece che il suo è l'unico progetto produttivo con le potenzialità per risollevare il cinema italiano.[9] Il primo film prodotto dalla nuova Cines, scritto e diretto da Blasetti, è il pionieristicoResurrectio (1930), il primofilm sonoro italiano, anche se distribuito dopo il successivoLa canzone dell'amore diGennaro Righelli, per considerazioni di natura commerciale.[2] Si tratta di un nuovo insuccesso, ma per il regista è soprattutto l'occasione di sperimentare le possibilità del sonoro in tutte le sue forme (musica, rumori, dialoghi).
Si mette quindi al servizio diEttore Petrolini per il filmNerone (1930), interamente incentrato sul protagonista, anche sceneggiatore, che si esibisce nelle sue maschere più popolari. Non si tratta però di puro teatro filmato, perché Blasetti, pur definendosi solo "coordinatore tecnico", fa ben sentire la sua presenza, mettendo in scena il teatro stesso, compreso il pubblico in sala, e lasciando il suo segno nella scelta delle inquadrature e nei movimenti di macchina, fra cui l'elaborato carrello iniziale, dalla realizzazione tecnicamente molto impegnativa per l'epoca.[10]
Il successivoTerra madre (1931) affronta il tema del «ritorno alla terra», proponendo una storia costruita sull'opposizione tra vita cittadina corrotta e vita rurale sana, ed è funzionale alla politica ruralista del regime, tanto da godere dell'appoggio governativo.[11] Malgrado l'accoglienza critica non positiva, il film ha un ampio successo di pubblico.[12] Di analoga impostazione fortemente populista èPalio (1931), che ripropone l'opposizione del film precedente con il contrasto tra aristocratici e popolani, un film dalla debole struttura narrativa, che si fa notare per gli aspetti figurativi e formali con cui presenta l'ambiente senese.
Scomparso Pittaluga nel 1931, la direzione generale della produzione Cines viene presa dal letteratoEmilio Cecchi, con cui Blasetti instaura un rapporto molto proficuo. Durante la sua gestione dirige il cortometraggioAssisi (1932), il "meno blasettiano" dei suoi film[13]La tavola dei poveri (1932), dall'omonima opera teatrale diRaffaele Viviani, iremake di successi stranieriIl caso Haller (1933) eL'impiegata di papà (1934), puri lavori professionali girati in pochi giorni, e soprattutto quello è che quasi unanimemente considerato il suo capolavoro,[14]1860 (1934), un'antiretorica rievocazione dellaspedizione dei Mille. Il film, in seguito riconosciuto tra gli antesignani del neorealismo per il tema trattato e per la scelta di attori non professionisti,[14] viene accolto favorevolmente dalla critica, snobbato dal pubblico, poco interessato al tema risorgimentale, e non molto amato dal regime, perché poco celebrativo,[15] benché, pur non essendo rozzamente propagandistico, sia sotto diversi aspetti in perfetta consonanza con la politica ufficiale fascista.[16]
Sempre nel 1934, anno fatidico per il cinema italiano,[17] per la fortunata congiuntura di molti titoli importanti e per l'istituzione della Direzione Generale della cinematografia, Blasetti raggiunge l'apice del suo impegno politico e del suo coinvolgimento con il regime fascista,[18] con due celebrazioni della fascistizzazione dell'Italia, il filmVecchia guardia e lo spettacolo teatrale18 BL. Il primo ha molti punti in comune con il precedente1860, compreso l'insuccesso di pubblico, malgrado l'apprezzamento da parte diMussolini;[19] il secondo viene rappresentato un'unica volta, aFirenze.[20]
Da qui in avanti il regista intraprende un percorso di progressivo disimpegno dai grandi temi sociali[20] e di ridimensionamento della valenza politica del suo cinema. Dopo un paio di opere minori,Aldebaran (1935) eContessa di Parma (1937), gira il film storicoEttore Fieramosca, basato sul romanzo diMassimo d'Azeglio, nel quale la ricerca della messinscena spettacolare affianca gli intenti ideologici nazionalisti e che rappresenta la transizione verso i successivi film in costume di pura evasione,Un'avventura di Salvator Rosa (1939),La corona di ferro (1941) eLa cena delle beffe (1942), che raccolgono ampi consensi di critica e pubblico.

Rispetto a questi film,4 passi fra le nuvole (1942), un fittizio idillio agreste dai toni dimessi e dal cupo pessimismo, segna una svolta radicale, che non è deliberatamente ricercata da Blasetti, il quale accetta questa regia solo dopo il fallimento di alcuni progetti in linea con le sue opere precedenti (suFrancesca da Rimini, suiVespri siciliani, dallaFiglia di Iorio diGabriele D'Annunzio,Harlem, sull'emigrazione italiana, poi diretto da Gallone), ma riflette lo spirito dei tempi.[21] Insieme aOssessione diLuchino Visconti eI bambini ci guardano diVittorio De Sica, questo film costituisce non tanto un'anticipazione delneorealismo, quanto una rottura con il cinema italiano dell'ultimo decennio.[22]
L'ultima opera di Blasetti prima dellaLiberazione è il dramma psicologico femminileNessuno torna indietro, dall'omonimo romanzo diAlba de Céspedes, che riunisce le maggiori attrici italiane dell'epoca. Girato nel 1943, nel pieno del conflitto (bombardamenti colpiscono Roma poco lontano dagli stabilimenti in cui sono in corso le riprese), viene distribuito solo nel 1945, senza successo.[23]
Dopo l'8 settembre 1943, Blasetti non aderisce allaRepubblica di Salò e, a guerra conclusa, prevalsa la linea dell'amnistia generale su quella dell'epurazione, può non solo riprendere il lavoro come pressoché tutti i registi più o meno compromessi col regime fascista,[24] ma anche riassumere un ruolo di primo piano all'interno del dibattito estetico, politico ed economico sul cinema italiano, presentandosi come uomo della mediazione e della collaborazione ed intervenendo soprattutto in difesa della produzione nazionale contro l'invadenza del cinema americano.[25]
Nella seconda metà deglianni quaranta collabora, tramiteSalvo D'Angelo, con due case produttrici cattoliche, l'Orbis, che produceUn giorno nella vita (1946), e l'Universalia, che produceFabiola (1949),Prima comunione (1950) e alcuni cortometraggi. Il primo filmUn giorno nella vita si potrebbe definire un film pacifista, secondo le intenzioni del regista avrebbe dovuto fare riflettere sulla brutalità della guerra e sulla necessità del dialogo più che della vendetta ma probabilmente non fu capito.
Ilcolossal religiosoFabiola, dal romanzoFabiola o la Chiesa delle catacombe diNicholas Patrick Stephen Wiseman, è la prima superproduzione del dopoguerra ed ottiene un ampio successo di pubblico (miglior incasso della sua stagione),[26] ma viene bocciato dalla critica e suscita ostilità proprio nell'ambiente cattolico, per certe immagini sessualmente trasgressive.
Neglianni cinquanta, tornato alla Cines, Blasetti dimostra di aver ancora voglia e capacità di sperimentare, inaugurando con il ditticoAltri tempi - Zibaldone n. 1 (1952) eTempi nostri - Zibaldone n. 2 (1954) il filone del film a episodi (o racconto breve, già sperimentato inPaisà daRoberto Rossellini), che raggiungerà il massimo successo neglianni sessanta, quando praticamente ogni regista italiano vi si cimenterà. Contribuisce inoltre in modo sostanziale alla nascita del divismo nazionale: nell'ultimo episodio diAltri tempi,Il processo di Frine, in cui viene coniato il terminemaggiorata, a indicare l'immagine di donna che si imporrà sullo schermo nel corso del decennio, costituisce la coppiaVittorio De Sica-Gina Lollobrigida, poi consacrata daLuigi Comencini inPane, amore e fantasia (1953); nelle fortunate commediePeccato che sia una canaglia (1954) eLa fortuna di essere donna (1956) crea e lancia una coppia indimenticabile, destinata a ricomporsi ciclicamente nei successivi decenni,Sophia Loren eMarcello Mastroianni. In questi anni, precisamente nel 1954, riceve una "Medaglia d'oro" -Una vita per il cinema.
ConEuropa di notte (1958), documentario antologico sugli spettacoli notturni della maggiori città europee, Blasetti è precursore di un nuovo genere di grande successo popolare, il reportage sexy, tra erotismo ed esotismo, che a partire daMondo cane (1962) prenderà anche la forma dei violentimondo movies.
A partire dal 1962, Blasetti è fra i primi registi cinematografici italiani a cimentarsi con la televisione ed in quelli stesso anno cura il film-inchiestaLa lunga strada del ritorno, forse uno dei primi casi, almeno nella televisione italiana, di riutilizzo sistematico dei materiali di repertorio, combinati con interviste appositamente realizzate, per costruire un’opera documentaristica d’autore finalizzata alla memoria storica[27]. Considerata la sua concezione del cinema come spettacolo destinato alla massa, è inevitabile il suo passaggio ad un mezzo di comunicazione che gli offre di rivolgersi a platee ancor più ampie. A differenza diRoberto Rossellini, si dedica quasi esclusivamente al documentario e al film di montaggio.
La sua ultima opera cinematograficaSimon Bolivar è del1969, mentre l'ultimo lavoro per la televisioneVenezia: una mostra per il cinema è del1981. La sua tomba di famiglia si trova presso ilcimitero del Verano aRoma.


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