Il poeta Alceo in uno storico ritratto immaginario realizzato a incisione per la stampa diLibrary of the World’s Best Literature, Ancient and Modern, vol. 1, opera curata daCharles Dudley Warner (ripresa daProject Gutenberg).
Alceo nacque da famiglia aristocratica a Mitilene, il principale centro dell'isola diLesbo, in un periodo di lotte continue fra gli aristocratici che cercavano di conservare i loro privilegi e gliuomini nuovi che, appoggiandosi spesso alle forze del popolo insofferente, tentavano di impadronirsi del potere.[5] Dell'aristocrazia eolica egli sostenne ardentemente la causa: fu implicato, insieme ai suoi fratelli, Kikis e Antimenida, nelle controverse vicende locali. Proprio Kikis e Antimenida riuscirono, insieme aPittaco, nel612 a.C.[2], a rimuovere il tirannoMelancro (Diogene Laerzio,Vite dei filosofi, I, 74),[6] della famiglia dei Cleanattidi,[7] dando così avvio a nuovi violenti scontri fra gli aristocratici e il popolo[8].
Quando, successivamente,Mìrsilo prese il potere, il giovane Alceo, che aveva ordito con altri di rovesciarne il governo, scoperta la congiura (forse denunziata dallo stesso Pittaco), fu costretto all'esilio nella città di Pirra, sempre sull'isola di Lesbo.[9] Alla morte del tiranno, Alceo poté far ritorno in patria intonando un canto di giubilo (Fr. 332 Lobel-Page): «Era ora!Bisogna prendere la sbornia. Bisogna bere a viva forza, dal momento che è morto Mìrsilo».[10] Ma, già nel600 a.C., Pittaco, commilitone di Alceo durante la battaglia delSigeo controAtene per il possesso della regione Achilitide,[6] col quale condivise le amarezze della sconfitta e della fuga, ruppe il patto di «non tradire mai e di giacere morti, in una coltre di terra, uccisi dai tiranni, o ucciderli, e scampare da tanti mali il popolo» (Fr. 129 Lobel-Page),[11] divenendoaisymnètes (αἰσυμνήτης), «capo supremo del popolo», sorta di "tirannide elettiva" (Aristotele,Politica, III, 14, 1285a), succedendo così a Mìrsilo.[8][12] Pur riuscendo a governare con imparzialità e con saggezza, tanto da essere annoverato dalla tradizione fra iSette Sapienti, non fu mai perdonato dall'aristocrazia locale per il suo "tradimento":[5] «È d'un ramo bastardo, Pittaco. E l'hanno fatto tiranno d'uno Stato maledetto e senza nerbo. Per acclamazione» (Fr. 348 Lobel-Page).
E contro Pittaco, Alceo (Vite dei filosofi, II, 46),[13] l'amico di un tempo, lancia strali tesi ad evocare la sua abietta esistenza, chiamandolo il «panciuto» (φύσκων), perché «era pingue e carnoso» o il «piedi slargati spazzanti la terra» (σαράπους), perché «aveva i piedi piatti e li trascinava per terra» (Vite dei filosofi, I, 81),[14] con l'esito di un nuovo esilio, questa volta inEgitto e, forse, inTracia.
Dall'esilio Alceo fece ritorno solo quando Pittaco, prima di lasciare la carica diaisymnètes dopo dieci anni, decise di perdonare tutti i suoi nemici (Diogene Laerzio inVite dei filosofi, I, 76, tramanda la seguente notizia: «Eraclito […] afferma che, avendo in suo potere Alceo, lo rimandò libero con queste parole: ‘Il perdono è superiore alla vendetta’»).[15] Così Alceo, ormai stanco e amareggiato, trovò consolazione solo nel vino, riuscendo in questo modo a dimenticare ogni pena (Fr. 346 Lobel-Page: «Il vino! Ecco il dono d'oblio»). In patria morì in tarda età,[5] occupato solo dall'incombenza di versare sul «capo, che ha sofferto tanto, […] l'unguento» (Fr. 50 Lobel-Page).[8][16]
La letteratura antica testimonia di un legame biografico fra Alceo eSaffo, sua conterranea. Tuttavia – come fa notareLuciano Canfora – il rapporto fra i due «rischia di essere inquinato da una tradizione romanzesca», benché «la fondatezza di tali connessioni non [possa] essere negataa priori».[17] In particolare, il legame fra i due poeti sarebbe suffragato da più testimonianze, soggette a controversie.
La prima fonte è costituita da alcuni versi di Alceo (Fr. 384 Lobel-Page: «Crine di viola, eletta, dolceridente Saffo»)[18] riportati nelsecolo II dell'era volgare daEfestione nel suoManuale di metrica (14, 4).[17] Canfora osserva che le ultime parole del verso (μελλιχόμειδε Σάπφοι) possono anche essere rese con una differente separazione letterale (μελλιχόμειδες Ἄπφοι), la quale, attestata da Efestione stesso, sembra preferibile, stando all'orientamento delMaas.[17] Nel caso in cui la versione preferibile fosse davveroμελλιχόμειδες Ἄπφοι, allora il nome non sarebbe più quello di Saffo, bensì quello di Ἄπφοι o, secondo loPfeiffer, Ἄφροι (mentre la grafia per Saffo sarebbe, stando a Maas,Ψάπφοι).[17] Non tutti però aderiscono a tale versione, infatti il filologo Gentili attribuisce a Saffo la destinazione di questi versi, tuttavia essi rappresenterebbero una riverenza verso la poetessa e la sua dignità sacrale piuttosto che un canto d'amore[19]; mentre secondo la traduzione di Achille Danesi l'amore per Saffo non lascia margine di ambiguità.[20]
Il secondo testimone della passione di Alceo per Saffo si rinviene nellaRetorica diAristotele (1367a), ove, richiamando il frammento ora inserito nella raccolta Lobel-Page come 137,[21] è detto: «Ci si vergogna dicendo, facendo e progettando cose turpi; come anche Saffo ad Alceo che diceva: ‘Vorrei parlare, ma mi trattiene il pudore’, rispose: ‘Se tu avessi desiderio di cose nobili o belle, e se la lingua non si muovesse a dire qualcosa di cattivo, la vergogna non ti coprirebbe gli occhi, ma parleresti intorno a una cosa che fosse giusta».[22] È comunque possibile – nota Canfora – che Aristotele «sottintenda che la sua citazione deriva da un'opera in cui Saffo e Alceo figuravano come personaggi e che non intenda minimamente citare autentici frammenti dei due poeti».[23]
AncheErmesianatte mostra di conoscere le vicende sfortunate dell'amore di Alceo per Saffo. Nella sua raccolta elegiaca,Leonzio, egli infatti scrive: «Sai bene Alceo di Lesbo a quante baldorie dovette sobbarcarsi, cantando il suo delizioso desiderio di Saffo» (Ateneo, XIII, 598B, vv. 47-49).[23]Il legame biografico fra i poeti, infine, sarebbe anche dimostrato da alcune opere vascolari precedenti la composizione dellaRetorica aristotelica, ma, secondo Canfora, queste testimonianze non sarebbero altro che «un segno dell'accanimento con cui si è elucubrato sulla biografia» degli autori.[23]
Alceo fu uno dei principali esponenti, insieme a Saffo e adAnacreonte, della cosiddettalirica monodica, un tipo di poesia soggettiva che nasce al di fuori del culto pubblico e della vita della collettività. Non era destinata al popolo ma a una cerchia ristretta, l'eteria nel caso di Alceo; materia del canto diventa la vita del poeta in tutte le sue manifestazioni.[5]
Inni (Ὕμνοι): abbiamo notizie di unInno ad Apollo (di cui rimane solo il primo verso, ma possiamo ricavare la parafrasi da un'orazione diImerio),[25] unInno ad Hermes (di cui rimane solo la prima strofa) e unInno ai Dioscuri (che ha un precedente nel XXXIII inno omerico e un seguito nel XXII idillio di Teocrito);
Carmi della lotta civile (Στασιωτικὰ μέλη,stasiōtikà mèlē), cioè canti politici e d'indole battagliera (celebre l'immagine nella quale si paragonaMitilene ad una nave, il mare alle alterne vicende, e la tempesta alle battaglie, poi ripreso daOrazio, Carm. I,14);
Canti conviviali (Συμποσιακὰ μέλη,symposiakà mèlē), nei quali si celebrano i lieti banchetti e i convitti dell'eterìa, ossia del ristretto circolo aristocratico (noto l'invito alla baldoria in seguito alla morte del tirannoMirsilo, fonte d'ispirazione per Orazio, il quale, inOdi, I, 37, esultante per la morte diCleopatra, incoraggia i compagni a bere: «Ora bisogna bere»);[26]
Canti erotici (Ἐροτικὰ μέλη,erotikà mèlē), poesie a carattere erotico, aventi come destinatario non solo donne ma spesso anche fanciulli (amore paideutico).
Secondo il Colonna «Alceo è il combattente esemplare, l'uomo di parte che tutto sacrifica al suo ideale politico».[24] Così i suoi versi sono caratterizzati dalla preoccupazione per la patria, i quali non mancano di colpire con «gli strali del disprezzo e del sarcasmo quelli che odia».[24] Ma la poesia di Alceo non è esclusivamente civile, essa esprime, oltreché l'amore per i giovani putti, mai melenso, ma «intonato [al] clima di ruvidezza guerriera»,[24] il «senso della natura».[25] La produzione poetica della vecchiaia, invece, venuto meno l'ardore politico, è volto alla celebrazione «dell'unico amico che non lo ha mai tradito, che lo ha sorretto nei momenti più tristi, senza nulla chiedere: il frutto inebriante diDioniso!».[25]
Il dialetto utilizzato da Alceo è l'eolico misto ad alcuniionismi. È una lingua poco letteraria, infatti si trovano pochiomerismi, ed è più simile alla lingua parlata e vi si riscontra spesso unafunzione conativa. Anche per quanto riguarda i ritmi, è stata rilevata una certa varietà: si passa dallestrofe alcaiche, che prendono il nome proprio da lui, a quellesaffiche.[27]
^M. Drury, p. 829: «La data della morte è sconosciuta».
^D. Musti,Storia greca. Linee di sviluppo dall'età micenea all'età romana, Laterza, Roma-Bari 2012, pp. 212-213, ove si dice: «La cronologia, sua [: di Alceo], come quella della contemporanea Saffo, merita di restare fissata tra la seconda metà del VII secolo e i primi inizi del VI».
^Aristotele,Politica, in Id.,Politica e Costituzione di Atene, a cura di C.A. Viano, UTET, Torino 2006, p. 174, ove si dice: «Ce n'è ancora un terzo [: tipo di monarchia], che vigeva presso gli antichi Greci, praticato da quei sovrani chiamatiesimenti. Si tratta […] di una tirannide elettiva […]. Alcuni di questi sovrani governavano a vita, altri per tempi definiti o in vista di azioni determinate: per esempio i Mitilenesi scelsero Pittaco per combattere contro i fuoriusciti guidati da Antimenide e dal poeta Alceo».
^Diogene Laerzio, p. 64, ove si dice: «Pittaco [fu aspramente criticato] da Antimenida e Alceo».
^Diogene Laerzio, pp. 30-31, ove si dice: «Alceo lo chiamava σαράπους e σάραπος (dai piedi slargati spazzanti la terra) perché aveva i piedi piatti e li trascinava per terra;χειροπόδης (chiropede, dai piedi spaccati) perché aveva delle spaccature ai piedi […];γαύρηξ (spaccone, millantatore) perché si vantava fuor di proposito;φύσκων eγάστρων (panciuto) perché era pingue e carnoso;ζοφοδορπίδας perché cenava all'oscuro, senza lucerna;άγάσυρτος (sordido) perché negletto e sporco».
^Saffo, p. 208: «[Alceo:] Vorrei dire una cosa, ma ho ritegno…; [Saffo:] Se tu avessi vaghezza di cose belle e nobili, e se non mulinasse la tua lingua il male, non avresti sugli occhi il ritegno: del tuo retto sentire parleresti».
^Aristotele,Retorica, trad. it. di A. Plebe, in Id.,Opere, vol. II, Mondadori, Milano 2008, pp. 832-833.
^C. Marchesi,Storia della letteratura latina, vol. 1, Casa Editrice Giuseppe Principato, Milano 1962, p. 473 e nota 1: «Nelle strofe d'Alceo aveva Orazio esultato all'annunzio della morte di Cleopatra [:Od. I, 37]».
^"Le muse",De Agostini, Novara, 1964, Vol. I, pagg. 104-105.