Il territorio è ricco di corsi d'acqua; in particolare è percorso dalfiume Rosmarino, unafiumara che ha inciso una profonda valle che divide in due parti distinte e ben diverse il territorio comunale e dai suoi affluenti di destra e di sinistra. Il centro abitato si trova sulla riva destra sottostante a grandiosi rilievi rocciosi di originecalcarea. Il versante sinistro del Rosmarino è invece costituito da rilievi ricchi di vegetazione che arrivano alcrinale dei monti Nebrodi ed alla vetta del monte Soro (1847 m s.l.m.)
Unaleggenda riportata dagli eruditi dei secoli scorsi, ma senza alcun riferimento nella tradizione popolare, narra della fondazione del paese da parte di Patrone, un greco della città diTurio, inMagna Grecia (detto dunque Turiano) al seguito diEnea, che l'avrebbe raggiunta dopo essere sbarcato sulla costa con alcuni compagni. In realtà non risulta nessuna evidenza storica che possa collegare Alcara con Turio ovvero identificare Alcara con la città greco-romana di Turiano documentata nelle fonti, a parte la denominazione di "Castel Turio" dei resti di una fortificazione che domina il paese.
Ugualmente senza alcuna evidenza storica l'identificazione di Alcara con la città spartana diDemenna che comunque potrebbe ragionevolmente essere localizzata nell'area compresa traSan Marco d'Alunzio e Alcara.
Controversa anche la localizzazione della città greca di Crasto (Krastos) che secondo i vari storici locali oscilla dallaSicilia Occidentale, Meridionale e Orientale, ma che non dovrebbe discostarsi troppo dall'area traAgrigento eImera, nonostante la presenza dei rilievi rocciosi del "Crasto" poco sopra l'abitato di Alcara.
Secondo la vulgata locale, che assume come fonti eruditi del XVI, XVII e XVIII secolo[5], l'abitato avrebbe avuto origine in seguito alla distruzione dell'855 ad opera deiSaraceni diCrasto eDémena, a seguito della quale una parte degli abitanti si trasferì in un'area più a valle. La stessa versione viene data, spostando di poco la posizione delle due mitiche città, anche per altri centri dei Nebrodi (per esempio perDemenna).
L'improbabilità dell'identificazione con Krastos e la controversa localizzazione di Demenna, non esclude che l'attuale abitato sia nato dal progressivo abbandono di insediamenti posti più a monte come del resto è comune in molte aree appenniniche.A questa conclusione potrebbero portare per esempio i resti di antropizzazione presenti fino a pochi anni fa proprio in località Crasto.
L'insediamento prese probabilmente, dai Saraceni, il nome arabo diAkaret (con il significato di "fortezza").[6] Non sembra improbabile che gli arabi dopo la difficile conquista di questa zona dei Nebrodi, (una delle ultime conquistate, dopo quasi un secolo dallo sbarco nell'isola) abbiano previsto una rete di fortificazioni di controllo del territorio.
Comunque il primo vero riferimento storico dell'esistenza di Alcara è dato da un documento del 1096, un diploma delConte Ruggero, redatto in lingua greca[7] che indica Alcara, come possesso del vescovo diMessina e che così recita:"…diedi anche il castello di Alcara, presso Demenna, con i suoi possedimenti…"[8]
Il periodo normanno dovette essere quello più importante per l'insediamento e dovrebbe essere meglio studiato. Da notare che il quartiere più vecchio del paese, sorto ai piedi del castel Turio (oggi una torre su di uno sperone roccioso, malamente ricostruita di recente su un rudere preesistente) prende il nome diMotta che è da riferirsi al modello tipico delle fortificazioni normanne e francesi che prevedevano una torre dettadonjon (mastio) circondato da una cinta muraria dettamotte.[9] È quindi probabile che a dare una struttura urbana ad un insediamento forse, precedentemente, di carattere sparso fu proprio il periodo normanno.Tuttavia non sembra possibile, al momento, ricostruire l'andamento delle mura della "Motta" se non per brevi tratti.
Il nome divenne in seguito "Alcara Valdemone", per la sua appartenenza alla suddivisione amministrativa delVal Demone, anche se sono documentate nel tempo, versioni diverse del nome come "L'Alcara", "Arcara[11]", "L'Arcara".
NelXV secolo è attestata una comunità ebraica, probabilmente più antica e particolarmente consistente in questa zona dei Nebrodi[12], confermando che ad Alcara erano centro di scambi commerciali ed economici. La comunità sarà scomparsa o quasi nel XVII secolo con l'espulsione dalla Sicilia di tutti gli ebrei non convertiti.[13]
Nel1812, con l'abolizione delle circoscrizioni che aveva fino ad allora diviso la Sicilia (Val di Noto,Val di Mazara eVal Demone), prese il nome di Alcara "Li Fusi" in quanto centro di produzione deifusi adoperati per lafilatura. Sono attestate nell'Ottocento delle varianti come "Alcara de fusa", "Alcara dei fusi", "Alcara de li fusi"[14] e "Alcara delle Fusa"[15]. Tale denominazione fu dovuta alla necessità di distinguere questo centro abitato da un'altra "Alcara" o "L'Alcara" che per gli stessi motivi prese il nome diLercara Friddi.
Il 17 maggio 1860, Alcara fu interessata da una rivolta contadina che anticipò quella simile e più famosa diBronte (e ad altre avvenute in vari centri della Sicilia nord-orientale, comeCaronia eFrancavilla). I braccianti esasperati da condizioni di vita disperate, nutrendo aspettative di riscatto e giustizia sociale per la notizia dell'imminente arrivo deigaribaldini, assaltarono il "casino dei nobili"[16] trucidando con falci e coltelli numerose persone fra membri dell’alta borghesia o della nobiltà locale come l’esattore Don Vincenzo Artino e il figlio di 13 anni Don Pasquale, il sindaco e notaio Don Giuseppe Bartoli con il figlio Don Ignazio e il nipote Don Salvatore. Furono uccisi anche Don Luigi Lanza, Don Salvatore Lanza e Don Francesco Lanza. In seguito fu raccolto da Donna Teresa Artino, moglie di Don Ignazio Bartolo, e nipote di Don Vincenzo Artino, in un manoscritto, un elenco dei testimoni contro i congiurati affinché il giudice della Commissione Speciale prendesse in considerazione anche il contributo dato da Don Manfredi Bartolo, Adorno e Cozzo affinché la congiura si realizzasse. In questo scritto sono state ritrovate molte testimonianze riguardanti la rivolta.I garibaldini, sopraggiunti e comandati dal colonnello Giovanni Interdonato[17],[18], imprigionarono alcuni dei rivoltosi che, dopo un rapido processo da parte della Commissione Speciale, furono giustiziati in 26 e ad altri comminate pene detentive[19].L'episodio è al centro del capolavoroIl sorriso dell'ignoto marinaio, opera dello scrittoreVincenzo Consolo, e si presta al dibattito sul carattere più o meno popolare delRisorgimento e sui rapporti tra gli avvenimenti storici e la realtà degli strati più bassi della popolazione meridionale.
«D'azzurro, all'aquila d'oro, linguata, armata e rostrata di rosso, coronata concorona all'antica di tre punte visibili, dello stesso. Ornamenti esteriori da Comune.»
(D.P.R. 21 dicembre 1988)
Il gonfalone è un drappo partito di giallo e di rosso.[20]
Le Rocche del CrastoInsediamento di pastori, con costruzioni in pietra a secco, in località "Stidda", ovvero Stella, a nord dell'abitato di Alcara, sui montiNebrodi
Il convento dei Cappuccini con l'annessa chiesa di sant'Elia fu fondato nel 1574. Sorse su di un'area che allora era un quarto di miglia fuori dalle mura del paese e fu completato definitivamente nel 1624[21].Il complesso era composto oltre che dalla chiesa, dagli spazi per la vita monastica dei quali non rimane traccia.Dopo la soppressione del complesso edilizio divenne un bene pubblico, ma subì un rapido degrado, fino alle distruzioni novecentesche che hanno cancellato ogni traccia del convento sostituito da edifici residenziali e dalla cosiddetta "Villa comunale".
Il 24 giugno, festività disan Giovanni Battista, si tiene nel paese la festa di "U Muzzuni".
Il terminemuzzuni si riferisce alle brocche prive di collo ("mozzate"), ai fasci di grano dopo la raccolta (mazzuna) e alladecapitazione del santo titolare.La festa, probabilmente, ha un legame più profondo con la sacralità antica del solstizio d'estate più che con la festa di san Giovanni. La ritualità della festa studiata ripetutamente da numerosi studiosi, conserva numerosi elementipagani, risalenti al culto della deaDemetra e in origine legati alsolstizio d'estate (21 giugno).
Al tramonto vengono preparati dalle donne agli angoli delle strade i luoghi di esposizione, decorati con lepizzare, tappeti caratteristici, tessuti a mano. Intorno ad un tavolo vengono collocati ilaureddi (steli di grano germogliati in assenza di luce in un piatto). Viene quindi preparatou muzzuni, una brocca priva di collo ornata di stoffa e di decorazioni d'oro, con spighe diorzo e digrano,lavanda,garofani e ancoralaureddi, che viene posta sul tavolo nel luogo preparato.
Si intonano quindicanti popolari (chianote eruggere), duetti che trattano di vita contadina, corteggiamenti scherzosi o amori non corrisposti.
Durante la festa si svolge il rito del "comparatico" che sancisce i rapporti di amicizia, suggellata dalla recita di un canto tradizionale e dallo scambio diconfetti (a cunfetta).
Ad Alcara li Fusi è sopravvissuta, fino a pochi anni fa, una delle ultime tradizioni di musica polivocale della Sicilia con un repertorio di canti tradizionali eseguiti senza l'accompagnamento strumentale ma semplicemente accordando tra di loro le diverse voci dei vari cantori che si accavallano nell'esecuzione. Tali canti coprivano un vasto repertorio ed erano eseguiti in vari occasioni durante l'anno, anche se una rilevanza particolare assumevano quelli eseguiti durante la Settimana Santa.[23][24]
Il vasto territorio di Alcara, ora abbastanza disabitato ma in passato interessato da un insediamento sparso legato all'agricoltura ed alla pastorizia presenta, un gran numero di toponimi riferite a contrade agricole o specifici luoghi, interessanti per la loro difficile etimologia. Una ricerca accurata permetterebbe da una parte di documentare un aspetto di storia del territorio legato alla sola tradizione orale e che comunque minaccia di sparire nellamemoria collettiva e dall'altra di dare conto della complessita delle trasformazioni storico-linguistiche che hanno interessato quest'area dei Nebrodi.Ecco un elenco non esaustivo ed in via di ampliamento:
Mangalavite: Sembra da riferirsi al termine greco-bizantino dimanglabites che indicava un grado piuttosto elevato dell'esercito e della guardia imperiale. Pertanto la contrada doveva essere un fondo assegnato in premio ad un alto ufficiale. Questo non era infrequente soprattutto in una zona di confine come fu a lungo l'area traTaormina,Maniace eS.Marco duramente contesa per decenni traBizantini eArabi. Verga nel suo "Mastro Gesualdo" chiama "feudo di Mangalavite" uno dei possedimenti del protagonista, ma comunque il toponimo è presente anche nella Sicilia meridionale.
Papaleo:Papa opapas era ed è ancora il termine che utilizza la lingua greca per indicare il prete e pertanto il toponimo si riferisce senz'altro ai possedimenti di un prete ortodosso dal nome di Leone, del tutto comune in tutta l'area bizantina. Da non dimenticare che fino al XIV secolo la religione più diffusa sui Nebrodi, in Salento ed in Calabria (dove rimangono delle isole cosiddette grecaniche) era quella greco-ortodossa e solo lentamente il rito latino appoggiato dalle autorità prese il sopravvento. Il clero ortodosso poteva sposarsi e possedere beni (come a tutt'oggi) e pertanto questa conferma il carattereprediale del toponimo. Del tutto infondato il riferimento ad un'origine alcarese delPapa Leone II.
Calanna. Il toponimo è presente sia in Sicilia (Bronte) sia in Calabria. Il significato più probabile dovrebbe derivare dalla radice pre-latinakal o dalla parola arabakalat che significano entrambe "roccia" e quindi il significato (appropriato) dovrebbe essere luogo roccioso o simile. Molto meno probabile sembra la derivazione dal grecoKalanna che è un nome proprio femminile di persona derivato daAnna.
Calamoni. Possiamo considerare che l'etimologia sia incerta. Si potrebbe far risalire all'araboKal-at-Munach che significa fortilizio di sosta o dipendere dalla radicekalat vista sopra. Si nota che il toponimo è presente sull'appennino tosco-emiliano, in Umbria, in Sardegna ed in Campania, oltre che in Sicilia e spesso riferito a luoghi ricchi d'acqua (lago, rio, ponte). Tuttavia il significato più probabile è quello che fa riferimento al grecocalamon[25] cioè "canneto" in quanto si adatta alla natura dei luoghi.
Ciraseri eVignazza non presentano difficoltà etimologiche essendo riferite a colture agricole
Lemina. Si vorrebbe che derivasse da Demenna, la mitica città bizantina sulle montagne dei Nebrodi. Qui si propone un significato alternativo, seppure ipotetico, dal latino "limina" cioè "confini" in quanto contrada posta ai confini del territorio della comunità.
Macchiazza eCannizzuni fanno riferimento alla vegetazione spontanea dei luoghi.
S. Fantino. Il nome di questa, come di altre, località conferma l'impronta bizantina che ebbe questo territorio nell'alto Medioevo. Si tratta infatti del nome di due santi della chiesa greco-ortodossa, entrambi calabresi: il primo, più conosciuto, fu un monaco del IV secolo, ed il cui culto si diffuse in tutto l'oriente fino a Venezia; il secondo fu un eremita del X secolo. Pertanto il luogo doveva essere sede di una qualche chiesa o cappella votiva, dedicata ad uno di questi due santi della tradizione greca.
^Pagine 134, 135, 136 e 137 del libro di Di Francesco San Martino De Spucches, Mario Gregorio,La Storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia dalle loro origini ai nostri giorni, Palermo, volume sesto.
^Ancora all'inizio del XX secolo viene attestato il motto ingiurioso dato dai messinesi agli abitanti di Alcara e dei comuni vicini come "semi-giudei": vediGiuseppe Pitrè,Feste patronali in Sicilia, 1900.
^Giovanni di Giovanni,L'ebraismo della Sicilia ricercato, ed esposta, 1748.
^Vito Amico e Gioacchino Di Marzo,Dizionario topografico della Sicilia, 1855.
^Antonino Busacca,Dizionario geografico, statistico e biografico della Sicilia, 1850.
^Edificio che si affacciava sulla piazza principale, demolito negli anni sessanta per aprire una nuova strada.
^Giovanni Interdonato, suEnciclopedia Treccani-Dizionario biografico degli italiani.